Teologia dei Padri

Indice

Causa e scopo del male

1. - Il re della creazione e il re delle tenebre

Uno solo è il vero e principale re, il re di tutto il creato.

Nondimeno anche il Signore del mondo, il reggitore delle tenebre, si arroga il nome di re.

Le legioni degli angeli stanno da presso al vero re; e le legioni dei demoni presso il principe delle tenebre ( Col 1,13 ).

I principati, le potestà, le virtù sottostanno al Re dei re e al Signore dei dominatori; eppure anche l'altro, come dice l'Apostolo, ha principati, virtù, potestà, che gli verranno tolti quando il male sarà annientato.

Sono infatti dell'Apostolo queste parole: Quando scioglierà ogni principato e ogni potestà e ogni virtù ( 1 Cor 15,24 ).

Gregorio di Nissa, Commento al Cantico dei cantici, 14

2. - Il principe di questo mondo

Guardiamoci bene dal pensare che il diavolo sia il principe del mondo, nel senso che egli possa dominare il cielo e la terra.

Il mondo, in questo caso, deriva il suo nome dagli uomini malvagi che sono diffusi in tutta la terra, nello stesso senso in cui una casa trae la sua qualificazione da coloro che la abitano.

Così diciamo: questa è una buona casa, oppure, è una casa malvagia, non in quanto lodiamo o rimproveriamo l'edificio, le pareti e il tetto, ma in quanto lodiamo o rimproveriamo i costumi degli uomini, buoni o malvagi, che vi abitano.

In questo senso dunque si dice: « principe di questo mondo », cioè principe degli uomini malvagi che abitano nel mondo.

E mondo si può intendere anche quello dei buoni, che analogamente sono diffusi in tutto l'orbe: in questo senso l'Apostolo dice: Dio stava in Cristo, riconciliando con sé il mondo ( 2 Cor 5,19 ).

Questi sono i buoni, dai cui cuori il principe di questo mondo è cacciato fuori.

Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, 52,10

3. - L'uso sbagliato dei beni creati

Nessuno lo nega, tutti sanno che Dio è il creatore dell'universo - come la natura stessa lo testimonia - e che tutti questi beni egli ha messo al servizio dell'uomo.

Ma poiché Dio non lo si conosce rettamente - solo dalla natura, cioè, e non da un intimo rapporto di amicizia con lui; da lontano, e non da vicino - è del tutto naturale che non si sappia come egli vuole che vengano usate o non usate le sue creature.

E non si conosce anche la potenza ostile che con lui compete, per sconvolgere l'uso delle creature.

Non si ha dunque conoscenza della sua volontà, né del nemico di questa volontà divina; anzi, quest'ultimo si conosce ancor meno.

Non bisogna dunque tener presente solo colui da cui tutto è stato creato, ma anche colui da cui tutto è stato sconvolto.

Solo allora apparirà chiaro per quale uso ogni cosa è stata creata, quando apparirà per quale uso non è stata creata.

C'è una grande differenza tra l'essenza della corruzione e l'incolumità, perché vi è una grande differenza tra il Creatore e il pervertitore.

Del resto, le cattive azioni di ogni specie, anche quelle che gli stessi pagani rifiutano e proibiscono, si attuano solo per mezzo di realtà create.

Se il delitto viene compiuto con un coltello, con il veleno, o con incanti magici, il ferro è di Dio, proprio come lo sono le erbe e gli spiriti.

La provvidenza creatrice ha chiamato dunque all'essere queste realtà per l'assassinio di un uomo? No!

Essa ha proibito ogni specie di omicidio con quell'unica proibizione iniziale: « Tu non ucciderai ».

Inoltre: l'oro, il bronzo, l'argento, il legno e le altre materie che si usano per costruire gli idoli, chi mai le ha poste al mondo, se non il creatore del mondo, Dio?

Ma le ha forse fatte perché queste cose diventassero oggetto di un culto opposto a lui?

Al contrario: ai suoi occhi l'idolatria è l'offesa maggiore.

Ma la cosa che offende Dio, non appartiene a lui?

Quando lo offende, cessa di essere sua, lo offende.

L'uomo stesso, il colpevole di tutti i misfatti, è non solo opera di Dio, ma anche sua immagine, e tuttavia con l'anima e col corpo si è allontanato dal suo Creatore.

Ci sono stati dati gli occhi, non per accontentare la cupidigia; le orecchie, non per dedicarci a conversazioni perverse; le orecchie, non per ascoltare cattivi discorsi; il gusto, non per peccare di gola; il ventre, non per darci alle gozzoviglie; gli organi genitali, non per gli eccessi dell'impudicizia; le mani, non per la violenza; i piedi, non per il girellare ozioso; così anche l'anima è stata posta nel nostro corpo, non per farne un'officina di insidie, inganni e ingiustizie.

Non lo credo proprio! Se infatti Dio, che continuamente ci eccita all'innocenza, odia ogni specie di malvagità, è indiscutibilmente certo che tutto ciò che egli ha creato, non lo ha creato perché si scelgano le opere malvagie che egli condanna, anche se esse in realtà si effettuano per mezzo delle cose da lui create; la dannazione solo da questo è motivata: l'uso sconvolto del creato da parte delle creature.

Una conoscenza approfondita del Signore ci pone dunque innanzi agli occhi il suo rivale; nello sguardo approfondito sul Creatore noi vediamo anche il corruttore.

Tertulliano, Gli spettacoli, 2

4. - Donde proviene il male nel mondo?

Donde provengono le malattie? Donde le morti premature?

Donde gli stermini d'intere città, i naufragi, le guerre, le epidemie?

Tutte queste cose sono cattive, eppure, si dice, sono opera di Dio.

In chi altri, infatti, se non in Dio possiamo far risalire la causa delle cose che accadono?

Orsù dunque, quando c'imbattiamo in questo notissimo problema, noi, dopo aver ricondotto il discorso a un principio riconosciuto e aver considerato la questione con maggior sollecitudine, tentiamo di spiegarla chiaramente e senza confusione.

Occorre perciò anzitutto fissare e determinare nelle nostre anime quest'unico principio, che cioè, essendo noi un'opera del buon Dio, siamo da lui altresì conservati e le nostre cose vengono governate da lui ( sia le piccole che le grandi ), né possiamo compiere qualsiasi cosa senza la volontà di Dio; è sempre con il concorso di questa, infatti, che qualunque cosa noi facciamo non risulti dannosa e perniciosa oppure tale da potersi escogitare qualcosa di meglio.

Le morti provengono certamente da Dio.

Ma la morte non è assolutamente un male, a meno che qualcuno non voglia intendere la morte del peccatore, dal momento che il partirsene di qui è per lui l'inizio delle pene dell'inferno.

D'altra parte, poi, le stesse sofferenze infernali non hanno Dio per autore, ma noi stessi.

Il principio e la radice del peccato, infatti, risiede in noi, nella facoltà del nostro libero arbitrio.

A noi, infatti, sarebbe stato possibile non patire alcunché di molesto, se soltanto ci fossimo astenuti dal male; ma ora, essendoci fatti adescare dal piacere e avendo peccato, quale specioso argomento possiamo addurre se non riconoscere semplicemente che siamo proprio noi i fautori delle nostre stesse miserie?

Il male, dunque, proviene in parte dai nostri sensi, in parte dalla sua medesima natura.

Ciò che è male per natura, pertanto, dipende da noi: ingiustizia, lascivia, ira, ignavia, invidie, uccisioni, avvelenamenti, inganni e gli altri vizi del genere che, mentre contaminano l'anima creata a immagine del Creatore, sogliono oscurare la sua bellezza e la sua dignità.

Definiamo ancora come male ciò che è molesto per noi e reca dolore ai sensi: le malattie del corpo, le ferite, la mancanza delle cose necessarie, gli oltraggi, i dissesti finanziari, la perdita dei familiari e dei beni.

Ciascuna di queste cose ci viene elargita prudentemente dal buon Dio per nostra utilità.

Egli toglie, infatti, le ricchezze a coloro che se ne servono male, onde distruggere lo strumento con il quale perpetravano l'ingiustizia.

Dio poi suscita la malattia in coloro per i quali è più utile avere le membra impedite piuttosto che agili e pronte nel muoversi verso il peccato.

Una volta raggiunto il limite della vita, Iddio infligge anche la morte prevista per ciascuno, fin dall'inizio, dal suo giusto giudizio che intravede di lontano ciò che giova ad ognuno.

Si verificano poi certe carestie, certe siccità, certe alluvioni, certi flagelli che travolgono intere città e interi popoli, onde punirli per la loro intemperanza nel male.

Come dunque fa del bene il medico, quando infligge fatiche e dolori al corpo ( combatte, infatti, con la malattia, non con il malato), allo stesso modo è buono anche Dio, il quale, attraverso le singole pene che impartisce, provvede alla salvezza di tutti.

D'altronde, tu non accusi di nessun crimine il medico quand'egli taglia certe parti del corpo, ne brucia certe altre, ne recide addirittura certe altre ancora; anzi, gli dai del denaro e lo chiami salvatore per il fatto d'aver circoscritto la malattia a una piccola parte prima che si diffondesse in tutto il corpo.

Quando, invece, hai veduto una città, scossa dal terremoto, crollare sui suoi abitanti o una nave affondare nel mare con il suo equipaggio, allora non hai esitato a scagliare la tua lingua blasfema contro il vero medico e salvatore.

Al contrario, sarebbe stato opportuno che tu comprendessi come, finché la malattia degli uomini infermi era stata leggera e curabile, essi avevano ricevuti soccorsi convenienti; allorquando, però, il morbo era divenuto alla fine più forte di qualsiasi possibilità terapeutica, era stato allora necessario amputare l'inutile parte, onde scongiurare il pericolo che la malattia, diffondendosi costantemente, raggiungesse gli organi vitali.

Allo stesso modo come, perciò, la causa dell'amputazione o dell'ustione non è il medico, ma la malattia; così pure le distruzioni di città, originate dalla gravità dei peccati, assolvono Dio da ogni delitto e da qualsivoglia biasimo …

Da questo fatto dipendono le sventure delle città e dei popoli, la siccità dell'aria, la sterilità della terra e le amare disgrazie che capitano a ciascuno nella vita e che hanno lo scopo di interrompere la crescita del male.

Per questo sono recati da Dio mali come questi: onde prevenire, cioè, la nascita dei veri mali.

Le afflizioni del corpo e le molestie esterne, infatti, sono state escogitate per frenare i peccati.

Dio, perciò, il male lo elimina, ma non ne è affatto l'origine e il principio.

Anche il medico elimina la malattia, e non è lui che la procura all'organismo.

In realtà le stragi di intere città, i terremoti, le inondazioni, le sconfitte di eserciti, i naufragi e qualsiasi genere di ecatombe collettiva ( sia che provengano dalla terra o dal mare o dal fuoco o da qualunque altra causa ) avvengono per il castigo e la purificazione dei superstiti, dal momento che Dio castiga con pubblici flagelli la pubblica iniquità.

Pertanto, ciò che costituisce realmente un male, cioè il peccato e tutto ciò che è veramente degno del nome di « male », non dipende da altro che dalla nostra volontà, giacché in noi risiede la facoltà di astenercene o di perpetrarlo.

Gli altri mali, quali, ad esempio, le guerre, sono stati inflitti in parte per mettere alla prova la nostra fortezza, come per Giobbe la privazione dei figli, la perdita in un solo momento di tutte le ricchezze, le piaghe ulcerose ( Gb 1,14-15; Gb 2,7 ); in parte, poi, a espiazione dei peccati, come la vergogna familiare e il disonore per Davide, costretto a pagare il fio della sua scellerata passione ( 2 Sam 13,11-14 ).

E conosciamo altresì come un altro genere di orribili mali sia recato dal giusto giudizio di Dio, onde rendere più moderati e cauti coloro i quali siano corrotti e inclini al peccato, come nella circostanza in cui Datan e Abiran furono inghiottiti dalla terra attraverso il baratro apertosi per accoglierli ( Nm 16,31 ).

In questo caso, d'altronde, non furono loro stessi ad essere resi migliori da un tal supplizio ( come sarebbe stato possibile, infatti, dal momento che essi sprofondarono nell'inferno? ), ma ciò nondimeno, per mezzo del proprio esempio, resero gli altri più cauti e prudenti.

Basilio il Grande, « Omelia Dio non è l'autore del male », 2-3,5

5. - L'insignificante inizio del peccato

Dobbiamo respingere gli attacchi e i peccati iniziali.

Quand'anche i primi peccati non avessero ulteriori conseguenze, neppure in tal caso si dovrebbero sottovalutare perché, se lo spirito è negligente, finiscono col diventare sempre più grandi.

Dobbiamo quindi impegnarci con tutte le forze per soffocare gli inizi del peccato.

Non considerare come insignificante un peccato, ma bada che, se si trascura, diventa radice di grande peccato.

Se è lecito dire una cosa sorprendente, ti dirò che i grandi peccati non richiedono tanta vigilanza, quanta ne esigono, invece, le colpe lievi e insignificanti.

In realtà la natura stessa della colpa ci fa evitare i grandi peccati, mentre le piccole mancanze, per il fatto stesso d'essere tali, ci inducono alla trascuratezza e non ci permettono di insorgere coraggiosamente per eliminarle.

Così, se noi dormiamo, rapidamente diventeranno grandi.

Lo stesso fenomeno si constata in ciò che accade nei corpi.

Così ebbe origine, in Giuda, quell'enorme peccato: se egli non avesse ritenuto lieve colpa appropriarsi del denaro destinato ai poveri, non sarebbe stato condotto al tradimento e, se i giudei non avessero considerato colpa senza importanza lasciarsi dominare dalla vanagloria, non sarebbero poi giunti fino all'eccesso di uccidere Cristo.

Si potrebbe facilmente rilevare che tutti i grandi mali provengono da ciò.

Nessuno passa rapidamente e di colpo alla malvagità.

Indubbiamente l'anima possiede una certa connaturata vergogna e pudore di fronte al male, e non è possibile che, all'improvviso, diventi talmente preda dell'impudenza da rigettare tutto in una sola volta; ma lentamente, e a poco a poco, col diventare negligente, si corrompe.

Così si è introdotta nel mondo l'idolatria; a causa dell'onore smodato ed eccessivo attribuito agli uomini, si giunse ad adorare le statue di persone vive e defunte.

Così cominciò a imporsi e a dominare la fornicazione; e così altri numerosi mali.

Fate attenzione a questo esempio: un uomo ride a sproposito; uno lo riprende, mentre un altro gli toglie ogni scrupolo, asserendo che non c'è niente di male in ciò.

Che cos'è infatti il ridere? Che cosa può derivare da ciò?

Eppure, è da questo ridere inopportuno che derivano la scurrilità, il turpiloquio, l'azione disonesta.

Se poi si riprende un altro perché calunnia il prossimo, lo ingiuria e lo maledice, costui non si cura del rimprovero e dice: Maledire non è nulla.

Eppure, da ciò hanno origine odio indicibile, inimicizie irriconciliabili, ingiurie senza numero; dalle ingiurie provengono le ferite; dalle ferite, spesso, gli assassini e la morte.

Così quello spirito maligno dalle piccole cose fa derivare le grandi; poi, dalle grandi, induce alla disperazione, escogitando con ciò un altro metodo, non inferiore al primo.

Difatti, non tanto il peccato quanto il disperare conduce alla perdizione.

Chi ha peccato, se è vigilante, può rapidamente, con la penitenza, rimediare al mal fatto.

Ma se cede e si avvilisce senza correggersi, rende incurabile il suo stato, perché non applica il rimedio della penitenza.

Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, 86,3-4

6. - L'origine del male risiede nella cattiva volontà

Donde proviene il male? Donde ravvisare la causa di tanti mali?

Tu domandi: Donde provengono le malattie? Donde viene il delirio frenetico?

Qual è l'origine del sonno pesante? Non forse l'apatia?

Se le malattie naturali hanno inizio dalla volontà che le sceglie, molto di più quelle che provengono dal libero arbitrio.

Donde proviene l'ubriachezza? Non forse dall'intemperanza?

La frenesia, non è forse una conseguenza della febbre troppo alta?

La febbre, d'altronde, non deriva dalla sovrabbondanza di qualche elemento che si trova in noi?

Quest'ultima, a sua volta, non è forse una conseguenza della nostra smoderatezza?

Quando, infatti, per difetto o per eccesso, abbiamo prodotto la situazione disordinata dei nostri umori, allora accendiamo quel fuoco.

Poi, se esitiamo a spegnere la fiamma accesa, produciamo in noi stessi un rogo, che alla fine non riusciamo più ad estinguere.

Così accade anche nel vizio: quando non lo freniamo e non lo sradichiamo sul nascere, alla fine non riusciamo più a stroncarlo, poiché esso supera le nostre forze.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla prima lettera ai Tessalonicesi, 9,4

7. - Il peccato sta nella volontà

Ammesso che l'occhio abbia dato uno sguardo improvviso e involontario, almeno la volontà e la percezione interna non devono seguirlo.

Lo sguardo non è ancora colpa, ma bisogna badare che non sia seme o principio di colpa.

Anche se l'occhio carnale dà uno sguardo, è ben possibile tener chiuso l'occhio del cuore, affinché la purezza dell'anima resti immacolata.

Abbiamo un Signore fedele e mite; il profeta dice: « Non riguardare la figura della cortigiana », ma il Signore soggiunge: Chi guarda una donna per desiderarla ha già commesso con lei adulterio ( Mt 5,28 ).

Egli non dice: « Chi vede », ma « Chi la guarda per desiderarla »; non giudica dunque la vista, ma considera la percezione e la volontà dell'anima.

Tuttavia è salubre davvero quella modestia che ha saputo pienamente imbrigliare la vista, tanto che spesso non vede ciò che le cade sotto gli occhi.

Sembra certo che, quando diamo uno sguardo, noi accogliamo nei nostri occhi ciò che ci si presenta; ma se non vi si aggiunge l'attenzione dell'anima, ciò che si è visto sparisce col cessare dell'avvertenza.

Vediamo dunque più propriamente con lo spirito, che con gli occhi del corpo.

Se dunque l'occhio corporeo conserva la scintilla che può diventar fiamma, noi non dobbiamo nasconderci il fuoco nel petto, cioè nel profondo dell'anima, nel santuario del cuore; non dobbiamo immettere questo fuoco nel midollo delle nostre ossa, non dobbiamo preparare a noi stessi i lacciuoli.

Ambrogio, La penitenza, 1,14

8. - L'origine del male va ricercata negli uomini

Non potrebbe dirsi senza empietà che il male ha la sua origine in Dio, poiché nessun contrario proviene dal suo contrario.

Né la vita, in effetti, genera la morte; né le tenebre sono una fonte di luce; né la malattia, una causa di salute; ma, nonostante il fatto che le disposizioni si mutino passando dal contrario al loro contrario, nelle generazioni tuttavia, ciascun essere procede non dal suo contrario, ma dal suo simile.

Se dunque, si obietterà, il male non è ingenerato e non proviene da Dio, donde trae la sua natura?

Che esistano in effetti dei mali, nessuno potrà negarlo fra quanti partecipano alla vita.

Cosa rispondere? Che il male non è un essere vivente e animato, ma una disposizione dell'anima, contraria alla virtù, che proviene da un noncurante abbandono del bene.

Non andare dunque a cercare il male al di fuori; non immaginare una sostanza primordiale che sia perversa; spetta a ciascuno riconoscersi autore della malizia che risiede in sé.

Infatti, di ciò che ci capita ogni giorno, una parte ci viene dalla natura, come la vecchiaia e le infermità.

Una parte ci sopraggiunge per combinazione fortuita: come gli avvenimenti imprevedibili, dovuti alle contingenze di cause esterne ( ce n'è spesso di tristi, ma anche di gioiosi: per esempio, per un uomo che scava un pozzo, la scoperta d'un tesoro; per colui che cammina per strada, l'incontro con un cane arrabbiato ).

Una parte, infine, si trova in nostro potere, come il domare le nostre passioni oppure il non frenare i richiami del piacere, contenere la nostra collera o allungare la mano su chi si è irritato contro di noi, dire la verità o mentire, essere dolci e mansueti di carattere ovvero orgogliosi e dominati dalla superbia.

Ciò di cui tu sei padrone, non hai da cercarne l'origine al di fuori; riconosci invece che il male propriamente detto ha il suo principio nei traviamenti liberamente consentiti.

No, se il male fosse involontario e non dipendesse da noi, le leggi non farebbero tanta paura ai colpevoli; i tribunali non infliggerebbero quegli inesorabili castighi che danno ai criminali la pena ch'essi meritano.

Ma io non parlerò oltre sul male propriamente detto.

Infatti la malattia, la povertà, la privazione degli onori, la morte e tutto ciò che di doloroso capita agli uomini, non devono assolutamente essere messi nel numero dei veri mali, poiché noi non annoveriamo neppure i loro contrari fra i più grandi beni.

Alcune di queste prove hanno origine nella natura; altre non sembrano senza vantaggio per chi le sperimenta.

Basilio il Grande, Esamerone, 2,4-5

9. - L'origine del male è nell'allontanamento dell'uomo da Dio

Se era lo Spirito Santo colui che si librava sopra le acque, non potevano certo sovrastare le ostili potenze delle tenebre là, ove aveva preso posto tanta grazia …

E dove avrebbe potuto prender posto invece la tenebra degli spiriti del male quando il mondo si rivestiva del manto magnifico che gli vediamo nella sua figura odierna?

O forse Iddio creò contemporaneamente anche il male? No!

Esso trae l'origine da noi e non deriva dalla creatrice mano di Dio: è il parto di un agire morale sconsiderato, privo delle prerogative di una creatura e della dignità di una sostanza naturale, è invece dovuto alla volubilità del vizio e al traviamento del peccato.

Dio lo vuole estirpare da ogni anima: com'è possibile che l'abbia piantato lui?

Forte risuona l'ammonimento del profeta: Distoglietevi dalla vostra cattiveria! ( Is 1,16 ), e soprattutto Davide: Allontanati dal male e opera il bene! ( Sal 34,15 ).

Come dunque potremmo attribuirgli un'origine da Dio?

Eppure questa è l'opinione infelice di coloro che credettero di dover in questo modo portar confusione nella Chiesa.

Qui i marcioniti, là i valentiniani, là ancora la peste dei manichei fecero il tentativo di seminare nello spirito dei santi il loro funesto contagio.

Ma perché dovremmo ricercare le tenebre della morte proprio nella luce della vita?

La Scrittura divina stilla un balsamo di salvezza, emana un profumo di vita, così che dalla sua lettura puoi cavarne dolci frutti, e non correre il pericolo di precipitare in un'impetuosa rovina.

Leggi con semplicità, o uomo! Non scavarti da te stesso la fossa, interpretandola alla rovescia!

Il tenore delle sue parole è semplice: « Dio ha creato il cielo e la terra »: ha creato ciò che non v'era, non ciò che vi era …

Che cosa diremo dunque? Se il male non è increato e privo di inizio, e neppure è stato creato da Dio, da dove trae la sua essenza?

E che in questo mondo vi sia il male, nessuno che ragioni l'ha mai negato, ché tanto spesso si manifesta in questa vita la rovina mortale.

Ma anche solo da ciò che abbiamo detto possiamo concludere che il male non è una realtà originale, ma una deformazione della mente e dell'animo, dovuta al loro allontanamento dal sentiero della virtù, che sorprende ordinariamente solo chi è trascurato.

Perciò non dall'esterno, ma dal nostro intimo stesso ci minaccia il maggior pericolo.

Nell'intimo sta in agguato l'avversario, nell'intimo è la causa del peccato; nell'intimo, lo ripeto, chiuso in noi stessi.

Non perdere dunque di vista il tuo proposito, controlla il comportamento del tuo spirito; sii vigilante sui pensieri della tua anima e sui desideri del tuo cuore!

Tu stesso sei responsabile dei tuoi peccati, tu sei il mandante delle tue azioni perverse, il seduttore colpevole dei tuoi misfatti.

Perché tiri in ballo una natura estranea per scusare i tuoi errori?

Oh! non avessi mai trascinato ivi te stesso, spinto ivi te stesso, rotolato ivi te stesso per la smoderatezza delle brame, o per quella cupidigia che ci stringe ovunque come una rete!

Sì, è in nostro potere frenare le nostre brame, moderare l'ira, ammansire la cupidigia, ma è anche in nostro potere farci schiavi del piacere, accendere la libidine, attizzare l'ira o prestarle orecchio quando è attizzata; elevarci in superbia e lasciarci dominare dalla crudeltà, piuttosto che abbassarci nell'umiltà e amare la mitezza.

Perché accusi dunque la tua natura, o uomo?

É vero: l'età e le malattie sono un certo impedimento che la inceppa; ma proprio l'età fa maturare in noi i frutti più dolci, si dimostra più utile nei consigli, più pronta a sostenere la morte, più forte nel reprimere le voglie.

La debolezza del corpo è salute per lo spirito.

Perciò dice l'Apostolo: Quando sono debole, allora sono forte ( 2 Cor 12,10 ): non della sua forza, ma della sua debolezza egli si gloria.

Un insegnamento divino riluce anche da quest'altra parola di salvezza: La forza si perfeziona nella debolezza ( 2 Cor 12,9 ).

Si devono evitare quei « peccati di gioventù » che sgorgano dalla nostra volontà, come pure dai piaceri irragionevoli della carne.

Non cerchiamo dunque fuori di noi la causa di ciò, di cui noi stessi siamo padroni; non attribuiamo ad altro, ma ammettiamo che dipende da noi.

Infatti quando ci determiniamo a qualcosa, che se noi non volessimo non saremmo costretti a fare, dobbiamo attribuirne a noi e non ad altri la responsabilità.

Per questo anche dai tribunali terreni vengono dichiarati colpevoli e puniti i delinquenti che agiscono deliberatamente e senza esserne costretti.

Se invece qualcuno uccide un innocente per un accesso di pazzia, non ne subisce la pena di morte.

Anzi, anche secondo la prescrizione della legge divina ( Nm 35,22-25; Gs 20,1ss ), colui che uccide senza intenzione, può sperare l'impunità e gli viene concessa una città di rifugio ove gli è dato evitare la pena.

Sono infatti azioni malvagie solo quelle azioni che inceppano lo spirito con la colpa e aggravano la coscienza.

Ma nessuno che ragioni dirà che è un male di cui si è responsabili la povertà, l'umile condizione, la malattia o la morte.

Ambrogio, Esamerone, 1,29-30

10. - Le radici del male risiedono nelle passioni

Se qualcuno viene stimolato al peccato e trascinato dalla malizia diventa simile a una città, priva di mura, che i predoni invadono da qualsiasi parte vogliono, senza incontrare ostacolo alcuno e lasciandola deserta e in preda alle fiamme.

A questo modo, infatti, quando ti lasci andare e non hai più cura di te stesso, subentrano in te gli spiriti maligni che stravolgono e saccheggiano la tua mente, scompigliandone i pensieri e volgendoli a questo mondo.

Molti, poi, che si danno un gran da fare nell'investigazione della realtà esterna, coltivando la scienza e avendo cura di vivere rettamente, ritengono che la perfezione consista in tali cose, senza guardare nel loro cuore e senza vedere la malizia che trascina la loro anima.

La dimensione più recondita dello spirito, infatti, quando contiene la malizia, mette radici nelle altre membra: ed ecco che il ladrone, cioè la potenza avversaria, ha fatto il suo ingresso.

La forza del nemico, perciò, è anche spirituale e se uno non muove guerra contro il peccato, a poco a poco la malizia, penetrando di nascosto e diventando sempre più forte, conduce l'uomo a commettere manifestamente i peccati.

La malizia, infatti, scaturisce da ogni parte come una sorgente: tu, perciò, cerca diligentemente di arrestarne i rivoli affinché, sconvolto da infiniti mali, tu non ne venga alla fine istupidito.

La tua sorte, in tal caso, potrebbe paragonarsi a quella di chi, vissuto fino a un certo momento nobile, ricco e senza alcuna preoccupazione, si vede improvvisamente arrestato dai ministri e dalle guardie del principe, che gli dicono: « Sei stato accusato di un delitto e sarai sottoposto alla pena capitale ».

E il tale, appunto, impressionato da una simile notizia, finisce con lo smarrire tutti i suoi pensieri e col rimanere come attonito.

Nutri, perciò, la medesima opinione anche nei confronti degli spiriti maligni.

Il mondo visibile, infatti, per i re come per i miseri, è sconvolto da tumulti, perturbazioni e guerre e nessuno ne conosce il motivo: il male, cioè, che ha fatto il suo ingresso in seguito alla disobbedienza di Adamo e che è portatore di morte.

Il peccato che è subentrato, infatti, essendo in qualche modo la potenza razionale di Satana, ha poi trapiantato tutti i mali.

Esso agisce nascostamente nell'uomo interiore e nella sua mente e combatte con il pensiero.

Gli uomini, tuttavia, non si rendono conto di compiere tali cose sollecitati da una forza esterna, ma ritengono che siano naturali e che essi le conducano a termine grazie all'autonoma deliberazione del proprio animo.

Coloro i quali hanno nell'anima la pace di Cristo, invece, e sono illuminati da lui, costoro sanno bene donde traggano origine quelle cose.

Il mondo alimenta passioni peccaminose e non lo sa.

Esse sono un fuoco impuro che accende il cuore e pervade tutte le membra, sollecitando gli uomini alle libidini e a infiniti mali.

Tutti coloro che sono tentati e finiscono col diventare preda del piacere, perciò, commettono fornicazione nell'intimo del loro cuore: così, a poco a poco, mentre il male riceve nutrimento, cadono manifestamente nello stupro.

Allo stesso modo devi ritenere anche a riguardo dell'avarizia, della vanagloria, del lusso, dell'invidia e dell'ira.

Quando l'anima si invischia nel piacere si trova nella medesima situazione di uno a cui, invitato a un pranzo, vengono serviti ogni sorta di cibi, mentre il peccato gli suggerisce di gustare tutto.

Le passioni, infatti, sono come dei monti assai aspri …

Le persone prudenti, invece, non soddisfano le passioni allorché queste insorgono, ma si adirano contro le cattive cupidigie e divengono loro avversarie.

Satana, infatti, brama immensamente di riposare nell'anima e di porvi il suo giaciglio, addolorandosi e tormentandosi quando questa non lo accontenti.

Non mancano, tuttavia, coloro i quali osservano la divina virtù.

Pseudo-Macario, Omelie spirituali, 15,47-51

11. - Le passioni stesse sono un castigo

Ti pare dunque una pena piccola, quando la passione domina l'intelletto, e spogliatolo della sua ricchezza di virtù lo trascina di qua e di là, povero e miserabile?

Ora gli fa approvare il falso invece del vero, ora glielo fa addirittura difendere; ora gli fa rigettare ciò che prima aveva accettato e precipitare ancora in altri errori; ora gli fa sospendere l'assenso, gli incute timore del ragionamento profondo; lo getta nella sfiducia di giungere a qualsiasi verità, compenetrandolo delle pene della stoltezza; ora lascia che si sforzi un poco di raggiungere la luce, ma lo fa poi crollare per stanchezza.

E frattanto l'impero delle passioni tiranneggia crudamente e sconvolge tutta l'anima e tutta la vita umana, con tempeste molteplici e contrastanti: qui timore, ivi brama: qui ansietà, ivi letizia falsa e vana; qui rincrescimento per la perdita di cose care, lì bramosia di acquistare ciò che non si ha; qui dolore per le ingiurie ricevute, lì ardore di vendetta.

Così l'animo viene stretto dall'avarizia, dissipato dalla lussuria, scosso dall'ambizione, gonfiato dalla superbia, torturato dall'invidia, seppellito nell'infingardaggine, eccitato dalla pervicacia, afflitto dalla soggezione; e così di tutte le altre tendenze varie e innumerabili, presenti nel regno della passione.

Possiamo dunque ritenere che non sia una pena vera questa che, come vedi, colpisce necessariamente tutti coloro che non abbracciano la sapienza?

E penso che sia questa una pena grande, e molto giusta per colui che, già collocato all'altezza della sapienza, ha scelto poi di discendere da lassù e servire alle passioni; resta tuttavia incerto se vi possa essere chi ha voluto o vuole fare ciò.

Agostino, Il libero arbitrio, 1,22-23

12. - « Mondo » è il nome collettivo di tutte le passioni

Molti credono di essere molto lontani dal mondo, nel loro agire, perché ne sono lontani in due o tre cose, da cui si astengono.

Non sono abbastanza saggi da vedere che in uno o due membra essi sono morti al mondo, ma che con tutte le altre vivono ancora nel corpo del mondo.

Perciò non si accorgono più neppure delle loro passioni e, non percependole, non si preoccupano nemmeno della loro salvezza.

La parola « mondo » è quasi il nome collettivo di tutte le passioni.

Quando noi vogliamo designarle a una a una, invece, usiamo il loro nome particolare.

Le passioni sono una parte del meccanismo del mondo; ove esse sono spente, anche la mondanità è cessata.

Tra di queste enumeriamo l'amore alla ricchezza, l'ansia di accumulare possedimenti, la crapula che riempie il corpo e da cui sorgono le passioni impure, l'ambizione che è la sorgente dell'invidia, il desiderio di potere, la superbia e la boria per la propria posizione, la brama di notorietà tra gli uomini, che è causa di inimicizie, e il timore di pericoli corporei.

Ove il corso di tutte queste cessa ed esse svaniscono, in egual grado cessa la situazione mondana, e giunge a termine, come avvenne per alcuni santi, che col corpo erano morti.

Vivevano nel corpo, ma non secondo la carne.

Guarda dunque in quante di queste passioni tu ancora vivi, e saprai in quali parti del mondo tu stai ancora e in quali tu sei morto.

Ora sai cosa è il mondo: impara anche, da queste sue singole parti, fino a che punto sei ancora in esso implicato e fino a che punto te ne sei liberato.

In altri termini: « mondo » è agire secondo il corpo, sono i pensieri carnali.

L'elevazione al di sopra del mondo si manifesta per queste due note: il mutato comportamento e la diversità dei moti intimi.

Dalle manifestazioni immediate del tuo spirito circa le realtà verso cui è attratto tu puoi riconoscere la vera misura del tuo costume: verso cosa la tua natura aspira involontariamente, quali manifestazioni le sfuggono continuamente e ciò da cui si sente mossa; cioè, se il tuo spirito accoglie in sé sempre e solo le impressioni dei moti incorporei, oppure se si muove tutto nella materia.

Isacco di Ninive, La vita virtuosa, 2

13. - A quale scopo il male nel mondo?

Il fatto che su questa terra i malvagi continuino a vivere e non muoiano sconcerta numerosissime persone.

Parecchie sono le cause di un tale fenomeno: ad esempio, affinché essi si convertano ovvero perché siano di esempio a molti con il loro castigo.

Paolo, dal canto suo, accenna a un motivo affatto calzante: In una grande casa non vi sono soltanto vasi d'oro e d'argento, ma anche di legno e di coccio ( 2 Tm 2,20 ); mostrando in tal modo come, in una grande casa, debba rinvenirsi una grande varietà di vasi.

Ebbene, parimenti deve accadere anche in tutto il mondo: non parla della Chiesa, ma del mondo in generale.

E non ritenere affatto che ciò sia detto a proposito della Chiesa; in essa, infatti, l'Apostolo non vuole che vi sia alcun vaso di legno o di coccio: dov'è il corpo di Cristo, dov'è la Vergine casta, senza macchia né ruga, bisogna che si trovino unicamente vasi d'oro e d'argento.

Ciò che afferma l'Apostolo, significa: non turbarti, se vi sono uomini malvagi e scellerati, poiché in una casa grande esistono anche vasi come quelli.

Essi non sono tutti destinati allo stesso onore, ma gli uni sono usati per onore, gli altri per cose vergognose.

Orbene, codesti vasi deteriori sono destinati, nella casa, a un certo uso; nel mondo, a un altro.

Iddio stesso, infatti, si serve di essi sia pure a uno scopo diverso.

Per esempio, colui che aspira alla vanagloria costruisce molte case, e allo stesso modo si comportano l'avaro, il mercante, il taverniere, il principe: sono determinate opere mondane che ad essi competono.

Il vaso d'oro, invece, non è niente del genere, ma si versa sulla mensa del re.

Paolo, perciò, non intende affermare che la malizia è necessaria ( e come potrebbe? ), ma unicamente che anche i cattivi assolvono una qualche loro funzione.

Se tutti i vasi fossero d'oro e d'argento, infatti, non vi sarebbe alcun bisogno di loro: se tutti fossero pazienti, cioè, non occorrerebbero gli edifici; se tutti fossero alieni dai piaceri, non vi sarebbe necessità di preparare cibi; se tutti si accontentassero soltanto del necessario, non si avvertirebbe l'esigenza di possedere splendidi palazzi.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla seconda lettera a Timoteo, 6,1

14. - Obiezioni fondate sul successo dei peccatori

Come ci comportiamo di fronte a coloro che vivono male, eppure fioriscono?

Proprio per questo motivo il buono si turba nell'animo e perde la pace: ogni giorno si dedica ad opere buone, eppur si vede attanagliato dalle angustie: forse le strettezze finanziarie, forse la fame, la sete, la nudità, forse si trova in carcere pur avendo operato il bene e colui che ve lo ha condannato opera il male ed esulta; gli penetra perciò in cuore un pensiero pessimo, contrario a Dio, ed egli dice: « O Dio, perché ti servo? Perché obbedisco alle tue parole? … ».

Eppure « come sono magnifiche le tue opere, o Signore! Troppo profondi sono i tuoi pensieri ».

Fratelli miei, nessun mare è tanto profondo come lo è questo pensiero di Dio: cioè che i cattivi fioriscano e i buoni soffrano; nulla è tanto profondo, nulla tanto abissale; naufraga ogni infedele in questa profondità, in questo abisso.

Ma tu, vuoi superare questo mare profondo?

Non scendere dal legno di Cristo, non immergerti: tienti stretto a Cristo …

Non gioire come il pesce che si rallegra per l'esca: il pescatore non ha ancora tratto a sé l'amo, quell'amo che esso ha già tra le fauci.

E ciò che ti sembra lungo, è breve: tutto passa molto in fretta.

Che cosa è una vita umana, anche lunga, in confronto all'eternità di Dio? …

Ma tu hai questo potere: unisci il tuo cuore all'eternità di Dio, e sarai con lui eterno …

Il ragazzo che viene bastonato, se gli manca il cuore, se è imprudente e stolto, ha invidia di suo fratello che non è punito; geme di se stesso e dice in cuor suo: « Mio fratello fa tanto male quanto io; può far tutto quel che vuole contro i comandi di mio padre e nessuno lo rimprovera; io, appena mi muovo, mi battono! ».

É stolto, è imprudente: vede quello che patisce lui e non vede quello che è riservato all'altro …

Perciò il salmo, dopo aver detto: « Troppo profondi sono i tuoi pensieri », soggiunge subito: « L'uomo imprudente non lo conosce e lo stolto non comprende ciò ».

Cosa è che non comprende lo stolto, e che l'imprudente non conosce?

Che « i peccatori crescono come il fieno … per andar perduti nei secoli dei secoli ».

Agostino, Esposizioni sui Salmi, III, 91,6

15. - I malvagi mettono alla prova il nostro amore

Fratelli, per quali ragioni pensate che i deserti si siano riempiti di servi di Dio?

Se essi si fossero trovati bene tra gli uomini, se ne sarebbero forse allontanati?

E tuttavia, che cosa fanno? Ecco, si allontanano, fuggono, dimorano nel deserto; ma vi restano, forse, isolati?

La carità li prende sì che vivano in comunità numerose, anche se, fra i tanti, ve ne sono alcuni che mettono alla prova gli altri.

Inevitabilmente, infatti, in ogni società un po' numerosa si trovano dei malvagi.

Dio stesso, il quale sa come metterci alla prova, mischia con noi anche degli individui che non persevereranno; anzi, ne fa entrare certuni così abili nel simulare, che non hanno mosso nemmeno i primi passi sulla via in cui dovrebbero perseverare.

Dio sa che per noi è necessario sopportare i malvagi, perché così la nostra bontà farà progressi.

Amiamo dunque i nemici!

Rimproveriamoli, castighiamoli, scomunichiamoli e, mossi dall'amore, separiamoli - magari - anche da noi …

La perdita dell'amore, infatti, sarebbe per te la morte.

Agostino, Esposizioni sui Salmi, II, 54,9

16. - L'ineluttabile cattiveria del mondo e dell'uomo

Smisurato è il male, e Dio ha voluto che fosse tale.

Se i cattivi non fossero tanto numerosi, il male non sarebbe tanto smisurato.

« Tempi cattivi, tempi infelici! », dicono gli uomini.

Viviamo bene, e i tempi saranno buoni.

Noi siamo i tempi: come siamo noi, così sono i tempi.

Ma che facciamo noi? Non siamo buoni di convertire la massa degli uomini a una retta vita?

I pochi che mi ascoltano vivano rettamente; i pochi che vivono rettamente, sopportino i molti che vivono male!

Sono frumento sull'aia, e sull'aia possono essere mescolati con la pula: nel granaio non più.

Sopportino dunque ciò che non vogliono, per giungere a quello che essi vogliono!

Perché ci affliggiamo e ci lamentiamo con Dio?

Il male nel mondo è tanto smisurato, perché non si ami questo mondo.

Grandi uomini, santi credenti hanno odiato un mondo ben compaginato; noi non riusciamo neppure a odiare un mondo scompaginato.

Cattivo è il mondo, sì, è cattivo; eppure viene amato come se fosse buono.

Ma cosa è dunque cattivo nel mondo?

Non è cattivo il cielo, non lo è la terra, non lo sono l'acqua e ciò che in essi vive: i pesci, gli uccelli, gli alberi.

Tutto questo è buono: ma gli uomini cattivi fanno cattivo il mondo.

E poiché non possiamo esser liberati dagli uomini cattivi fino a quando viviamo, supplichiamo il Signore nostro Dio che ci conceda di sopportare il male, per giungere così al bene!

Non facciamo inquietare il padre di famiglia: egli è buono e ci sopporta, ma noi non lo sopportiamo!

Egli sa come deve guidare ciò che ha creato.

Fa' ciò che ha comandato e spera ciò che ha promesso.

Agostino, Discorsi, 80,8

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