Teologia dei Padri

Indice

I comandamenti di Dio

1. - Esistenza ed evoluzione della legge divina

Perché si dovrebbe credere che Dio, creatore dell'universo, guida di tutto il mondo, plasmatore dell'uomo, padre di tutte le genti, abbia con Mosè dato la legge a un solo popolo, e non sostenere invece che l'abbia data a tutte le genti?

Se non l'avesse voluta per tutti, non permetterebbe affatto che i proseliti accedessero ad essa dal paganesimo.

Invece Dio, come si addice alla sua bontà e giustizia, quale creatore del genere umano, diede la legge per tutte le genti quando volle, per mezzo di chi volle e come volle.

Infatti, all'inizio del mondo, diede agli stessi Adamo ed Eva la legge di non mangiare i frutti dell'albero piantato in mezzo al paradiso terrestre, i quali, se avessero agito altrimenti, sarebbero certamente morti.

Questa legge, se l'avessero osservata, sarebbe stata loro pienamente sufficiente.

In essa infatti riscontriamo tutti i comandamenti che in seguito furono proposti con tanta abbondanza da Mosè; cioè: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima ( Dt 6,5 ), e Amerai chi ti è prossimo come te stesso ( Lv 19,18 ), e Non ucciderai, non commetterai adulterio, non ruberai, non dirai falsa testimonianza.

Onora tuo padre e tua madre ( Es 20,12.17 ), e Non desiderare la cosa altrui ( Dt 5,16 ).

La legge primordiale data ad Adamo e ad Eva in paradiso è quasi la matrice di tutti i precetti divini; infatti, se avessero amato il Signore loro Dio, non avrebbero agito contro il suo comando; se avessero amato il prossimo, cioè se stessi, non avrebbero creduto alle lusinghe del serpente e non avrebbero così commesso omicidio in se stessi, decadendo dall'immortalità contro il volere divino.

Si sarebbero anche astenuti dal furto, se non avessero mangiato di nascosto il frutto dell'albero, e non avrebbero cercato di nascondersi sotto le sue foglie dalla vista del Signore Iddio, e non sarebbero diventati soci del diavolo, assertore di falsità, prestando fede a lui che diceva di poter diventare simili a Dio: in tal modo non avrebbero offeso Dio come loro padre, che li aveva plasmati dal fango della terra, quasi utero materno.

Se non avessero desiderato le cose altrui, non avrebbero gustato il frutto proibito.

Dunque in questa primissima e generale legge di Dio riguardante il frutto dell'albero, vediamo che vi erano inclusi tutti i precetti delle leggi posteriori, che a loro tempo furono promulgati …

Perciò io sostengo che prima della legge scritta da Mosè sulle tavole di pietra vi fu un'altra legge non scritta, che si conosceva spontaneamente e che i padri osservavano.

Perché infatti Noè fu riconosciuto giusto, se non perché davanti a lui aleggiava la giustizia della legge naturale?

E perché Abramo fu ritenuto amico di Dio, se non per l'equità e la giustizia della legge di natura?

E perché Merchisedek fu nominato sacerdote di Dio altissimo, se non perché prima della legge sul sacerdozio levitico vi erano sacerdoti che offrivano sacrifici a Dio?

Così la legge fu data a Mosè dopo i patriarchi predetti, al tempo dell'uscita dall'Egitto, dopo cioè un intervallo di molto tempo: quattrocentotrenta anni dopo Abramo fu data la legge a Mosè.

Vediamo da ciò che anche prima di Mosè vi era una legge di Dio, non solo sull'Oreb, nel Sinai o nel deserto, ma una legge più antica, data anzitutto nel paradiso terrestre, poi ai patriarchi, e rinnovata per i giudei in tempi stabiliti.

Consideriamo perciò la legge di Mosè non come originaria, ma posteriore, che Dio a un certo punto diede a tutte le genti e, come promesso dai profeti, riformò in meglio.

Egli ci ammonì che, come solo in un certo tempo la diede per mezzo di Mosè, così solo per un determinato tempo deve essere osservata e custodita: non possiamo negare questo potere a Dio che ha riformato, secondo l'opportunità dei tempi, i precetti della legge a salvezza dell'uomo.

Tertulliano, Contro i giudei, 2

2. - I singoli precetti erano legati al loro tempo

Nota quali precetti dovessero servire solo al loro tempo e ad esso fossero adattati, e non lasciarti sconcertare se odi detti scritturistici contrari l'uno all'altro.

Per esempio un detto suona così: « Voglio i sacrifici », un altro: « Odio i sacrifici ».

Un detto dice ancora: « Purifica i cibi da ciò che è impuro », un altro: « Mescolali e mangiali ».

Un altro ancora: « Osserva le feste! », un altro: « Io profano le feste ».

Un detto suona: « Santifica il giorno sacro », un altro: « Io abbomino i sabati ».

Un detto dice: « Circoncidi ogni maschio », e un altro: « Abbomino la circoncisione ».

Quando odi ciò, renditi conto, ragionando, della diversità, e non lasciarti sconvolgere come molti che il demonio avvolge fra le sue spire!

Senti dunque: i detti scritturistici sono usciti da una sola bocca, diretti però a generazioni diverse.

Un detto si rivolge a una generazione, quella generazione svanisce e il precetto con lei; giunge un'altra generazione, ed ecco un altro detto che gli impone una nuova legge.

I detti rivolti a tutte le generazioni si sommano e ammucchiano per l'ultima generazione.

Ora si fanno avanti dei pazzi che spiegano la contraddittorietà di questi detti ammettendo diversi dèi, quali loro autori: essi non vedono che le singole generazioni sono diverse l'una dall'altra, e distinte anche nel loro modo di agire.

É necessario che a tutte le generazioni vengano date le disposizioni corrispondenti, ed ecco perciò a ogni generazione detti stimolanti alla pietà, rivolti ai suoi figli.

Ma in tal modo questi detti si sono moltiplicati e ammucchiati; il cumulo di detti sconvolge gli insipienti, tanto che si staccano dall'unico Iddio.

Molti furono i detti dei profeti, miranti a curare le infermità; tutte le medicine possibili furono usate contro la malattia della caducità.

Vi sono precetti che perdono l'efficacia quando i mali precedenti non sono più attuali; e ve ne sono altri, invece, che sussistono, perché anche i mali sussistono.

Gli apostoli e i profeti sono medici delle anime: essi prescrivono i mezzi corrispondenti alla miseria dell'umanità; preparano le medicine per le malattie caratteristiche della loro generazione.

Le loro medicine servono sia dopo che prima, perché vi sono malattie che sono proprie di qualche generazione e vi sono malattie comuni a tutte le generazioni.

E contro le malattie nuove, essi prescrissero medicine nuove; per le malattie sussistenti in tutte le generazioni, essi porsero sempre le stesso medicine.

Così fu dato il precetto: « Non rubare! ».

É una malattia che continua, perciò continua anche il rimedio.

Fu dato anche il precetto della circoncisione: quella malattia è svanita, perciò è venuto meno anche il rimedio.

Si porse ai circoncisi uno strumento contro malattie che sarebbero sorte; ma tali strumenti, adatti contro malattie precedenti, ora sono diventati inutili, perché queste malattie oggi più non si riscontrano.

Non v'è più il danno da esse causato, perciò il rimedio è diventato inutile.

Così oggi i precetti del sabato, della circoncisione e della purità levitica sono superflui per noi; agli uomini invece di quei tempi erano senz'altro utili.

Ai primi uomini erano inutili, perché essi erano sani per la conoscenza; anche a noi, ultimi uomini, sono inutili, perché siamo sani per la fede.

Servirono solo agli uomini del periodo intermedio, perché erano aggravati dal paganesimo.

Efrem Siro, La fede, 40-42

3. - I comandamenti dell'Antico e del Nuovo Testamento

Se è venuto proprio colui che fu predicato dai profeti, il Signore e Dio nostro Gesù Cristo, e se la sua venuta ha arrecato una grazia più piena e un dono ben maggiore a coloro che lo hanno accolto, è chiaro che anche il Padre è proprio quello di cui i profeti hanno parlato e che il Figlio, venendo al mondo, non ha portato la conoscenza di un altro padre, ma quella di colui che è stato predicato fin dall'inizio.

Da parte del Padre, poi, egli ha portato la libertà a coloro che lo servivano con fedeltà, con prontezza e di tutto cuore; invece a coloro che lo disprezzavano, che non obbedivano a Dio, ma per semplice gloria umana cercavano la mondezza esteriore - mondezza che era una semplice figura degli eventi futuri, una semplice ombra: la legge infatti prescriveva e delineava con mezzi temporanei le realtà eterne, e con mezzi terrestri le realtà del cielo - ma dentro erano pieni di ipocrisia, di cupidigia e di ogni malvagità … a costoro ha portato la perdizione, il taglio definitivo dalla vita.

Di fatto la tradizione dei loro anziani, che fingevano di osservare la legge, era invece contraria alla legge data da Mosè.

Per questo dice Isaia: I tuoi osti aggiungono acqua al vino ( Is 1,22 ), mostrando così che gli anziani mistificavano gli austeri precetti di Dio con tradizioni annacquate, con una legge cioè adulterata e contraria alla vera legge.

Anche il Signore lo dichiarò, dicendo loro: Perché trasgredite il precetto di Dio per la vostra tradizione? ( Mt 15,3 ).

Non contenti di violare la legge con l'inosservanza e di mescolare l'acqua al vino, promulgarono una legge contraria, che resta fino ad oggi e si chiama « legge farisaica ».

In essa hanno abrogato alcune disposizioni, altre ne hanno aggiunte e altre poi le interpretano come vogliono; i loro maestri le applicano a loro capriccio.

Per rivendicare le loro tradizioni, non vollero sottomettersi alla legge che li preparava alla venuta di Cristo; anzi rimproverarono il Signore perché guariva di sabato ( il che, come abbiamo detto, non era vietato dalla legge; anch'essa in un certo senso curava, circoncidendo l'uomo di sabato ), ma non sapevano rimproverare a se stessi di trasgredire il precetto di Dio per la tradizione e per la suddetta legge farisaica, e di non avere quello che è l'essenziale della legge, cioè l'amore verso Dio.

Questo è infatti il primo e sommo comandamento; e il secondo è l'amore verso il prossimo.

Ce l'ha insegnato il Signore, soggiungendo che da questi due precetti dipendono tutta la legge e i profeti.

Egli poi non diede un altro precetto superiore a questo, ma lo rinnovò comandando ai suoi discepoli di amare Dio con tutto il cuore e il prossimo come se stessi.

Se poi egli fosse disceso da un altro padre, non avrebbe rinnovato il primo e sommo comandamento della legge, ma avrebbe senz'altro cercato di derivarne un altro più grande dal padre perfetto, né avrebbe usato il precetto dato dal Dio della legge.

Anche Paolo dice: L'amore è l'adempimento della legge ( 1 Cor 13,13 ) e soggiunge che quando tutto il resto verrà abolito, rimarranno la fede, la speranza e l'amore; ma più grande di tutto è l'amore.

Afferma poi che senza l'amore verso Dio, nulla giovano né la gnosi né la comprensione dei misteri né la fede né la profezia: tutto è inutile e vuoto, senza amore.

L'amore rende l'uomo perfetto; chi ama Dio è perfetto in questo secolo e nel secolo futuro; mai infatti cesserà il nostro amore per Dio: quanto più lo contempleremo, tanto più lo ameremo.

Sia nella legge, sia nel Vangelo, il primo e sommo comandamento è amare il Signore Iddio di tutto cuore, e il secondo è amare il prossimo come se stessi.

É chiaro dunque che unico è il promulgatore della legge e del Vangelo.

Le prescrizioni essenziali per la vita sono identiche in tutt'e due i testamenti: mostrano perciò lo stesso Signore, il quale ha certamente imposto alcuni precetti particolari adatti all'una o all'altra alleanza, ma in tutt'e due ha sancito i comandamenti più importanti ed essenziali, senza i quali non è possibile salvarsi.

Il Signore non ha certo contraddetto quest'unico legislatore, ha dimostrato invece che la legge non deriva da un altro Dio.

Diceva infatti al suo fedele uditorio, alle turbe e ai discepoli: Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei; tutto quello che vi dicono, fatelo dunque e osservatelo; ma non agite come loro agiscono: infatti dicono e non fanno.

Confezionano grossi fardelli e li pongono sulle spalle degli uomini, ma loro non li vogliono spostare neppure con un dito ( Mt 23,2-4 ).

Non denunciava la legge data da Mosè - che anzi invitava a osservare fino a quando sarebbe esistita Gerusalemme - ma rimproverava coloro che avevano sulle labbra le frasi della legge, ma non avevano amore ed erano perciò ingiusti verso Dio e verso il prossimo.

Così aveva detto Isaia: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me; è inutile il culto che mi rendono, perché insegnano dottrine e comandamenti umani ( Is 29,13 ).

Non chiamava comandamenti umani la legge data da Mosè, ma le tradizioni degli anziani, che quelli si erano congegnate e pretendevano di osservare violando la legge di Dio e disobbedendo perciò al suo Verbo.

Per questo parlando di loro Paolo dice: Ignorando la giustizia di Dio e volendo stabilire la loro propria giustizia, non si sottomettono alla giustizia di Dio.

Infatti fine della legge è Cristo, per la giustificazione di ogni credente ( Rm 10,3 ).

E come può essere Cristo il fine della legge, se non ne fosse anche l'inizio?

Chi infatti adduce il fine, deve aver realizzato anche l'inizio.

Egli è proprio colui che disse a Mosè: Ho visto bene le vessazioni cui è soggetto il mio popolo in Egitto e sono sceso per liberarlo ( Es 3,7 ), perché fin dall'inizio il Verbo era solito salire e scendere per la salvezza degli afflitti.

La legge aveva insegnato agli uomini la necessità di servire Cristo.

Lo mostrò chiaramente Cristo stesso al giovane che gli chiese cosa avrebbe dovuto fare per ereditare la vita eterna.

Gli rispose infatti: Se vuoi entrare nella vita osserva i comandamenti.

Quegli chiese: Quali?, e il Signore soggiunse: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non dire falsa testimonianza; onora il padre e la madre, e ama il prossimo tuo come te stesso ( Mt 19,17-19 ).

Proponeva così a tutti coloro che volevano seguirlo i comandamenti della legge come gradini di entrata alla vita: quello che diceva a uno, lo diceva a tutti.

Il giovane rispose: Ho fatto tutto ciò - e forse non lo aveva fatto, ché altrimenti non gli sarebbe stato detto: osserva i comandamenti -; allora il Signore, rinfacciandogli la sua cupidigia, gli disse: Se vuoi essere perfetto, va', vendi tutto ciò che hai, dividilo tra i poveri, poi vieni e seguimi ( Mt 19,20-21 ).

Con queste parole prometteva l'eredità degli apostoli a chi avesse fatto così, non annunciava certo a coloro che lo avessero seguito un altro padre, diverso da quello che era stato annunciato fin dall'inizio dalla legge, e neppure un altro figlio; ma insegnava a osservare i comandamenti imposti da Dio all'inizio, a liberarsi dall'antica cupidigia con le buone opere e a seguire Cristo.

Che poi la distribuzione dei propri beni ai poveri liberi davvero dalla cupidigia, lo ha mostrato Zaccheo dicendo: Ecco, do la metà dei miei beni ai poveri; se poi ho frodato qualcuno, gli rendo il quadruplo ( Lc 19,8 ).

Il Signore non ha abrogato, ma ha ampliato e completato i precetti naturali della legge, quelli cioè che giustificano l'uomo, e che venivano osservati anche prima della legge da coloro che erano giusti per la loro fede e piacevano a Dio.

Risulta chiaro dalle sue parole: É stato detto agli antichi: Non commettere adulterio.

Ma io dico a voi: Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore ( Mt 5,27-28 ).

E ancora: É stato detto: Non uccidere.

Ma io vi dico: Chiunque si adira con suo fratello senza motivo è passibile di condanna ( Mt 5,21-22 ).

E ancora: É stato detto: Non spergiurare … Ma io vi dico di non giurare mai.

Il vostro sì, sia un sì; il vostro no, un no ( Mt 5,33-37 ).

E altre espressioni simili.

Tutti questi precetti non sono contrari e non aboliscono i precedenti, come vanno dicendo i seguaci di Marcione, ma li dilatano ed estendono, come il Signore stesso ha detto: Se la vostra giustizia non è superiore a quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli ( Mt 5,20 ).

Cosa è questa superiorità? Anzitutto credere non solo nel Padre, ma anche nel suo Figlio che si è manifestato: è lui infatti che porta l'uomo alla comunione e all'unità con Dio.

In secondo luogo, non solo dire, ma anche fare - quelli invece dicevano, ma non facevano -, e non solo astenersi dalle azioni perverse, ma anche dai cattivi desideri.

Sarebbe stato contrario alla legge se egli avesse imposto ai suoi discepoli di compiere ciò che quella vietava.

Egli invece impose non solo di evitare le azioni proibite dalla legge, ma anche di semplicemente desiderarle.

Ciò non è contrario, come abbiamo detto, né abroga la legge, ma la completa e amplifica.

La legge, che era stata imposta a degli schiavi, educava gli animi con mezzi esteriori e corporei, attirandoli, quasi come una catena, all'osservanza dei comandamenti, perché l'uomo imparasse ad obbedire a Dio.

Ma il Verbo, liberando l'anima, insegnò anche al corpo di abbracciare una spontanea purificazione sotto il dominio dell'anima.

Fatto ciò, si rese necessario sciogliere i vincoli della schiavitù cui l'uomo era ormai assuefatto, e invitarlo a servire Dio senza vincolo.

Ma si rese necessario anche ampliare i precetti della libertà e accrescere la sottomissione al sommo re, per evitar che qualcuno, retrocedendo, venisse a mostrarsi indegno del suo liberatore.

Se infatti l'obbedienza e la pietà verso il capofamiglia devono essere uguali sia negli schiavi che nei liberi, i liberi devono avere una fiducia maggiore, perché il servizio prestato in libertà è superiore e più onorifico che la docilità mostrata in schiavitù.

Per questo motivo il Signore invece di « Non commettere adulterio », comandò di non desiderare il male; e invece di « Non uccidere », comandò di neppure adirarsi; e invece di pagare le decime, di distribuire tutto ai poveri; e di amare non solo i prossimi, ma anche i nemici; e non accontentarsi di esser solo pronti e generosi a donare, ma di cedere liberamente a coloro che ci tolgono il nostro: A chi ti toglie la tunica, disse infatti, cedi anche il mantello; a chi prende il tuo, non richiederlo; come volete che gli uomini si comportino con voi, così comportatevi con loro ( Lc 6,29.31 ).

Non dobbiamo perciò rattristarci se ci frodano nostro malgrado, ma dobbiamo rallegrarci come se avessimo spontaneamente donato, come se avessimo mostrato la nostra generosità e non ceduto alla necessità.

E se qualcuno ti costringe a fare un miglio, soggiunse, fanne con lui altri due ( Mt 5,41 ), precedendolo, cioè, come uomo libero, non seguendolo come uno schiavo.

Cercherai in tutto di essere utile al tuo prossimo, non penserai alla sua cattiveria, ma attuerai la tua bontà, rendendoti simile al Padre, che fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi e fa scender la pioggia sui giusti e sugli ingiusti ( Mt 5,45 ).

Tutti questi precetti, come abbiamo detto, non li darebbe chi intendesse sciogliere la legge, ma li dà chi la completa, la amplia, la estende a noi.

É come dire che il servizio prestato in libertà è più impegnativo, e che la nostra soggezione al liberatore deve essere più piena e più sentita.

Egli non ci ha liberati perché ci allontanassimo da lui - nessuno che sia fuori dai beni del Signore può procacciarsi l'alimento che lo salva - ma perché, ricevuta una grazia più abbondante, più noi lo amassimo; e quanto più lo ameremo, tanta più gloria da lui otterremo quando saremo per sempre al cospetto del Padre.

Dato dunque che i precetti naturali sono comuni a noi e ai giudei, e dato che in loro ebbero inizio, in noi invece ricevettero un aumento e un'intensificazione - obbedire a Dio e seguire la sua parola, amare lui sopra ogni cosa e il prossimo come noi stessi ( prossimo dell'uomo, poi, è l'uomo ), astenersi da ogni cattiva azione e tutti i precetti simili, sono comuni agli uni e agli altri - … tutto ciò dimostra, dunque, che vi è un unico e identico Signore: questi è nostro Signore, il Verbo di Dio.

Prima egli condusse gli uomini alla schiavitù sotto Dio.

Poi liberò coloro che vi si erano assoggettati, come disse ai discepoli: Ora non vi chiamo più schiavi, perché lo schiavo non sa cosa faccia il suo padrone; d'ora in poi vi chiamo amici, perché vi ho manifestato tutto ciò che ho udito dal Padre ( Gv 15,15 ).

E dicendo: « Ora non vi chiamo più schiavi » mostrò chiarissimamente di essere stato lui a istituire la schiavitù verso Dio attuata dalla legge, per donare poi la libertà.

E dicendo: « Perché lo schiavo non sa cosa faccia il suo padrone », sottolineò l'ignoranza di quel popolo di schiavi circa la sua parusia.

Chiamando infine amici di Dio i suoi discepoli, mostrò chiaramente di essere la Parola di Dio; seguendo infatti volontariamente e senza costrizione nella generosità della fede questa divina parola, Abramo divenne l' « amico di Dio ».

Il Verbo di Dio si legò in tale amicizia con Abramo, non perché ne avesse bisogno, egli che è perfetto sin dall'inizio - asserì infatti: Prima che Abramo fosse, io sono ( Gv 8,58 ) -, ma per donare ad Abramo, nella sua bontà, la vita eterna; infatti, l'amicizia di Dio dona, a coloro che l'ottengono, la vita eterna …

La legge era norma di vita e anche profezia del futuro.

Infatti, in un primo tempo, Dio si accontentò di esigere i precetti naturali, quelli che all'inizio aveva impresso nel cuore dell'uomo - cioè il decalogo, senza la cui pratica nessuno può ottenere la salvezza - e nulla più esigeva, come dice Mosè nel Deuteronomio: Ecco: queste sono tutte le parole che il Signore ha rivolto, sul monte, a tutta l'assemblea dei figli d'Israele; e non ha aggiunto nulla e le ha scritte su due tavole di pietra che mi ha dato ( Dt 5,22 ).

A coloro che volevano seguirlo, dunque, Dio prescrisse di osservare i comandamenti.

Ma quando poi i giudei si diedero a costruire il vitello d'oro, e in cuor loro ritornarono in Egitto desiderando di essere ancora schiavi e non liberi, ebbero tutte le altre prescrizioni cultuali, adatte alla loro debolezza; prescrizioni che non li separavano da Dio, ma li piegavano sotto il giogo della schiavitù …

Dio cioè li attrasse con le osservanze legali, perché così essi mordessero all'amo del decalogo, e, restandovi attaccati, non si allontanassero da Dio, ma imparassero ad amarlo di tutto cuore.

Se qualcuno, notando la disobbedienza e la rovina degli israeliti, dicesse che la legge era fiacca, potrà constatare che anche alla nostra vocazione molti sono chiamati, ma pochi eletti, e che vi sono lupi all'interno, vestiti all'esterno con pelli di pecora; che Dio, cioè, salvaguarda sempre la libertà e l'autonomia dell'uomo, pur esortandolo; e ciò perché chi disobbedisce venga condannato per la sua disobbedienza, e chi obbedisce e crede in lui venga coronato di incorruttibilità …

Anche tutta la moltitudine dei giusti che vissero prima di Abramo, e quella dei patriarchi vissuti prima di Mosè, furono giustificati senza le pratiche suddette e senza la legge di Mosè, come Mosè stesso disse al popolo nel Deuteronomio: Il Signore Dio tuo ha sancito un patto sull'Oreb; non con i vostri padri il Signore ha sancito questo patto, ma con voi ( Dt 5,2-3 ).

Perché dunque non ha sancito il patto con i padri?

Perché la legge non è stata istituita per i giusti, e i padri erano giusti: avevano scolpita nel cuore e nell'anima la forza del decalogo, amavano cioè Dio che li aveva creati e si astenevano da ogni ingiustizia verso il prossimo; non c'era bisogno che venissero esortati dalla parola scritta, perché avevano in se stessi la giustizia della legge.

Ma quando questa giustizia, questo amore verso Dio cadde in oblio e si estinse, fu necessario che Dio, nella sua immensa misericordia per gli uomini, rivelasse se stesso a viva voce; con la sua potenza fece uscire il popolo dall'Egitto, perché l'uomo tornasse ad essere discepolo e seguace di Dio.

Castigò i ribelli, perché non disprezzassero il loro Creatore; cibò il popolo di manna, perché prendesse anche un cibo spirituale, come dice Mosè nel Deuteronomio: Ti ha cibato di manna, che era sconosciuta ai tuoi padri, perché tu conosca che l'uomo non vive di solo pane, ma di ogni parola che procede dalla bocca di Dio ( Dt 8,3 ); comandò l'amore a Dio, esortò alla giustizia col prossimo, perché l'uomo non sia ingiusto né indegno di Dio.

E così con il decalogo preparò l'uomo alla sua amicizia e alla concordia con il prossimo; tutto ciò poi è di giovamento solo per l'uomo, perché Dio non ha bisogno di nulla …

Mosè dice ancora: E ora, o Israele, che cosa ti domanda il Signore Dio tuo, se non di temerlo, di camminare nelle sue vie, di amarlo e di servirlo con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima? ( Dt 10,12 ).

Proprio questo, cioè l'amicizia con Dio, rende l'uomo glorioso e supplisce a ciò che gli manca; nulla invece dà a Dio, perché egli non ha bisogno dell'amore dell'uomo.

Invece l'uomo ha bisogno della gloria di Dio e non può ottenerla se non con il servizio a lui prestato.

Per questo dice ancora Mosè: Eleggi la vita per poter vivere tu e la tua prole: ama il Signore Dio tuo, ascolta la sua voce e attaccati a lui; questa è la tua vita, questa è la durata dei tuoi giorni ( Dt 30,19-20 ).

Per preparare l'uomo a questa vita, il Signore stesso pronunciò le parole del decalogo per tutti, allo stesso modo; perciò allo stesso modo esso resta anche per noi: è stato esteso e ampliato, non abrogato, dalla sua venuta nella carne.

Invece i precetti della servitù furono imposti a parte, per il popolo, a opera di Mosè; ed erano adatti alla loro educazione, alla loro disciplina, come disse Mosè stesso: Il Signore mi comandò in quel giorno di insegnarvi le prescrizioni e i precetti ( Dt 4,14 ).

Questi precetti, dunque, dati loro come servitù e come segno, il Signore li abrogò con il nuovo patto di libertà; ma i precetti naturali, degni di uomini liberi, comuni a tutti, li ha accresciuti e dilatati: ha concesso agli uomini, nella sua liberalità, di conoscere Dio, padre di adozione, di amarlo con tutto il cuore e di seguire senza ripulse la sua parola; non solo astenendosi dalle opere cattive, ma anche dai rispettivi desideri.

E ha aumentato anche il timore: i figli infatti devono amare più dei servi e avere per il padre un amore più grande.

Per questo il Signore disse: Di ogni parola oziosa che gli uomini dicono, renderanno conto nel giorno del giudizio ( Mt 12,36 ), e: Chi guarda una donna per bramarla, ha già commesso adulterio in cuor suo ( Mt 5,28 ), e ancora: Chi si adira contro suo fratello senza motivo, sarà reo di condanna ( Mt 5,22 ).

Tutto ciò, perché noi sapessimo che non renderemo conto a Dio solo delle opere, come gli schiavi, ma anche dei discorsi e dei pensieri, come chi ha raggiunto la libertà; nell'esercizio della libertà infatti si prova se l'uomo rispetta e ama Dio.

Per questo Pietro dice che abbiamo la libertà non per celare la nostra malizia ( 1 Pt 2,16 ), ma per provare e manifestare la nostra fede.

Ireneo di Lione, Contro le eresie, 4,11-13.15.16

4. - La legge naturale è superiore alle leggi scritte dello stato

Parlando in generale, si può dire che vi siano due leggi: una, la legge di natura, della quale è lecito dire che ha Dio per autore; l'altra, la legge scritta dei vari stati.

Nel caso in cui la legge scritta non contraddica quella di Dio, sarà opportuno non angustiare i cittadini con leggi straniere.

Allorché però la legge di natura, cioè di Dio, ordina il contrario della legge scritta, considera se non sia più ragionevole respingere la lettera e lo spirito dei legislatori, per obbedire a quel Legislatore che è Dio e scegliere una strada conforme al suo Logos, anche a prezzo di pericoli, di mille sofferenze, della morte e dell'universale esecrazione.

Quando le azioni che piacciono a Dio sono contrarie a quelle previste da talune disposizioni giuridiche dello stato e, conseguentemente, risulta impossibile piacere, a un tempo, sia a Dio che a coloro che esigono l'applicazione di tali disposizioni, ebbene, in tal caso, sarebbe assurdo respingere il comportamento grazie al quale ci si renderebbe graditi al Creatore dell'universo per scegliere quello con cui si offende Dio, dando completa soddisfazione a delle leggi che non sono leggi e a coloro che le sostengono.

Ora, se ci pare ragionevole d'anteporre, in altre circostanze, la legge della natura, che è la legge di Dio, a quella che viene scritta e promulgata dagli uomini in contraddizione con la legge di Dio, quanto più non sarà giusta una scelta del genere, allorché si tratti di leggi che regolino il culto da rendere a Dio stesso?

Origene, Contro Celso, 5,37

5. - Posizione dei cristiani provenienti dal giudaismo e provenienti dal paganesimo di fronte alle antiche leggi cerimoniali

Io per me credo che Pietro agisse in modo da obbligare i pagani ad osservare i riti giudaici.

Così infatti trovo scritto in Paolo e non posso credere che egli abbia mentito.

Era quindi Pietro a non agire rettamente, perché era in contrasto con la verità del Vangelo pensare che i convertiti a Cristo non potessero salvarsi senza osservare quei riti antichi.

Appunto questo sostenevano in Antiochia coloro che erano passati dalla circoncisione alla fede di Cristo e contro i quali Paolo ingaggiò una lotta continua e accanita.

Ma quando fu proprio Paolo a far circoncidere Timoteo, a sciogliere il voto a Cencre, a celebrare in Gerusalemme i riti della legge con quelli che lo conoscevano, dietro esortazione di Giacomo, egli non agì per far credere che con quei riti si potesse conseguire la salvezza cristiana; voleva solo non dare l'impressione che li condannasse, al pari dei culti idolatrici dei pagani, e i riti che Dio aveva prescritto si celebrassero, come era conveniente, nei templi primitivi, in quanto rappresentavano la prefigurazione delle realtà future.

Giacomo in realtà gli disse proprio questo: d'aver cioè sentito dire di lui che insegnava a romperla con Mosè.

Ora, sarebbe senza dubbio un'empietà che i credenti in Cristo la rompessero con un profeta di Cristo come se condannassero e detestassero la dottrina di uno del quale Cristo stesso afferma: Se voi credeste a Mosè, credereste pure a me, perché proprio di me egli ha scritto ( Gv 5,46 ) …

A mio parere il testo non è oscuro: Giacomo volle dargli questo consiglio perché i giudei convertiti al Cristo, che però erano ancora zelanti nell'osservare la legge, sapessero che era falsa la diceria sentita sul conto di Paolo; voleva inoltre evitare che le prescrizioni date agli antichi ebrei, nostri antenati nella fede, le considerassero condannate come sacrileghe dalla dottrina di Cristo, e scritte senza l'ordine di Dio …

Dico dunque che la circoncisione e gli altri riti di tal genere furono dati da Dio all'antico popolo ebraico mediante il Testamento che chiamiamo Antico; essi erano unicamente simboli dei beni futuri che dovevano essere realizzati da Cristo; dopo l'arrivo di tali beni quelle prescrizioni sono rimaste solo come documenti che i cristiani devono leggere per comprendere le profezie che li hanno preceduti e non per praticarle come se dovessimo aspettare ancora la rivelazione della fede che quelli annunciavano come futura.

Sebbene però quei riti non dovessero essere imposti ai pagani, non dovevano tuttavia essere eliminati dalla consuetudine dei giudei come detestabili e da condannare.

Solo in un secondo tempo, gradualmente e a poco a poco, in seguito all'intensa predicazione della grazia di Cristo, i fedeli avrebbero capito che veniamo giustificati e salvati dalla grazia e non già da quei riti, figura di beni una volta futuri, ma ormai avverati e presenti.

Così, con la chiamata al Vangelo dei giudei viventi durante la manifestazione fisica del Signore e durante i tempi degli apostoli, sarebbe venuta a cessare definitivamente la funzione di quelle pratiche rituali figurative; per tenerle ancora in onore sarebbe bastato non scansarle come detestabili e simili all'idolatria.

D'altronde la loro pratica non doveva continuare più oltre, per evitare che si credessero necessarie nel senso che dall'osservanza di esse dipendesse la salvezza o questa fosse impossibile senza di esse.

Così la pensavano quegli eretici, i quali volendo essere giudei e cristiani allo stesso tempo, non potevano essere né giudei né cristiani [ allude alla setta degli ebioniti e dei nazarei ].

Quantunque io non abbia mai avuto nulla in comune con tale opinione, ti sei degnato tuttavia di ammonirmi con la più squisita cortesia di starne in guardia.

Orbene, proprio in quell'errore era caduto Pietro, non perché vi consentisse, ma perché cadde nella simulazione per paura.

Ecco perché Paolo poté scrivere, senza dire una bugia diplomatica, d'essersi accorto che non camminava rettamente secondo la verità del Vangelo e poté dirgli con altrettanta sincerità che obbligava i pagani a praticare i riti giudaici.

A una tale pratica invece Paolo non costringeva nessuno senza finzione allorché praticava sul serio quegli antichi riti, quando era necessario per dimostrare che non erano, di per sé, da condannare.

Egli, per conto suo, predicava senza stancarsi che la salvezza dei fedeli non dipendeva da quei riti, ma dalla grazia della fede che era stata rivelata; in tal modo non costringeva nessuno a sobbarcarsi a praticarli come necessari …

Al sopraggiungere della fede, già preannunciata dagli antichi riti e rivelata poi dalla morte e dalla risurrezione del Signore, essi avevano certamente perduto, in certo qual modo, la loro funzione vitale: erano come cadaveri di parenti, che dovevano anch'essi, per così dire, essere portati alla sepoltura non con simulato onore, ma con religioso rispetto; non dovevano insomma essere abbandonati all'improvviso e neppure essere gettati in pasto all'oltraggio dei nemici, come a dei cani arrabbiati.

Adesso quindi, se un cristiano, anche se proveniente dal giudaismo, avesse intenzione di praticarli come per il passato, dissotterrando per così dire dei carboni ormai spenti, non agirebbe più come uno che accompagni o porti religiosamente una salma alla sepoltura, ma come un sacrilego il quale violi una tomba.

Agostino, Le Lettere, I, 82,2,8-16 ( a Girolamo )

6. - Amore per la legge di Dio

Chi ama la legge di Dio, onora anche ciò che in essa non comprende.

Ciò che gli pare poco logico, giudica piuttosto di non averlo compreso e pensa che vi si trovi celato qualcosa di grande.

Non gli è dunque di scandalo la legge del Signore; e per non soffrire scandalo, soprattutto egli non bada agli uomini - per quanto sia santa la loro vocazione -, tanto da far dipendere la loro fede dai loro costumi.

Perciò, se alcuni di loro cadono, egli non se ne scandalizza e non rovina così se stesso.

Al contrario, egli ama la legge del Signore per se stessa, e in lui vi è sempre grande pace e mai scandalo.

L'ama senza preoccupazioni, perché sa che anche se molti peccano contro la legge, essi non peccano certo a causa della legge.

Agostino, Esposizioni sui Salmi, 119

7. - L'osservanza legale veterotestamentaria e la perfezione cristiana

Non viene da noi esigita l'osservanza legale, ma ogni giorno per noi risuonano le parole del Vangelo: Se vuoi essere perfetto, va', vendi tutto ciò che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi ( Mt 19,21 ).

Quando dunque offriamo a Dio la decima dei nostri beni, dobbiamo sapere di essere ancora quasi oppressi dal peso della legge e di non essere ancora pervenuti alla sublimità evangelica, sublimità che premia chi la raggiunge non solo con beni della presente vita, ma anche con beni futuri.

La legge infatti ha promesso a chi la osserva non i premi del regno dei cieli, ma la consolazione in questa vita, dicendo: Chi farà ciò, vi troverà la vita ( Lv 18,5 ), mentre il Signore dice ai suoi discepoli e apostoli: Beati i poveri in spirito, perché di loro è il regno dei cieli ( Mt 5,3 ), e Ognuno che abbandona la casa o i fratelli o le sorelle o il padre o la madre o la moglie o i figli o i campi per il mio nome riceverà il centuplo ed entrerà in possesso della vita eterna ( Mt 19,29 ).

E a ragione: è certo più lodevole astenerci dai beni leciti e non solo da quelli illeciti, e non usarne per rispetto di colui che pure per la nostra debolezza ci ha permesso di usarne …

Non si poteva infatti imporre a tutti, e neppure da tutti esigere, per così dire, canonicamente, ciò che per la sua mirabile elevatezza non può essere raggiunto da tutti; ma tutti vi sono invitati per consiglio e con l'aiuto della grazia: così i grandi possono essere giustamente coronati per la loro virtù perfetta; i piccoli invece che non hanno ancora raggiunto la pienezza dell'età di Cristo, per quanto sembrino quasi svanire coperti dal fulgore delle stelle più grandi, sono ben lungi tuttavia dalle tenebre di maledizione che vi sono sotto la legge e non sono perciò condannati alle stragi presenti né predestinati al supplizio eterno.

Cristo infatti non costringe nessuno a quella vita eccelsa di virtù per necessità legale, ma vi invita tutti a libera scelta, con libero consiglio, e li accende col desiderio della perfezione.

Dove vi è il precetto, vi è la necessità; dove vi è la necessità, vi è la difficoltà; dove vi è la difficoltà, vi è anche la negligenza; ove vi è la negligenza, vi è il peccato; ove vi è il peccato, ne segue la pena.

Coloro poi che osservano tutto ciò a cui l'inflessibilità della legge stabilita li spinge, piuttosto che conseguire ricompensa o premio fuggono la pena di cui quella li minaccia.

La parola evangelica, dunque, come sospinge i forti a mete alte, sublimi, così non ammette che i deboli sprofondino nell'abisso: elargisce ai perfetti la pienezza della beatitudine impartendo il suo perdono alla fragilità …

Perciò, oggi sta in nostro potere decidere di vivere sotto la grazia del Vangelo o sotto il terrore della legge.

Ciascuno, in base alla qualità delle proprie azioni, deve necessariamente decidere per una parte o per l'altra.

Infatti, o la grazia di Cristo accoglie chi oltrepassa la legge oppure la legge lo ritiene a se soggetto, come inferiore e debitore.

E chi è soggetto ai precetti legali non può certamente giungere alla perfezione evangelica, per quanto vanamente si glori di essere cristiano e di essere stato liberato dalla grazia del Signore.

Giovanni Cassiano, Conferenze, 21,5-7

8. - Legge e Vangelo

Dio ha deciso di donare la sua eredità alle nazioni stolte, a uomini che non appartenevano alla città di Dio e non sapevano neppure che Dio esistesse.

Ora che per questa chiamata ci è stata donata la vita, e che Dio ha ricapitolato in noi la fede di Abramo, non dobbiamo più tornare indietro, alla legge antica, perché abbiamo accolto in mezzo a noi il Maestro della legge, il Figlio di Dio, e per la fede in lui abbiamo appreso ad amare Iddio con tutto il nostro cuore e il prossimo come noi stessi.

Ma l'amore di Dio esclude ogni peccato, e l'amore del prossimo non fa del male a nessuno.

Per tutto ciò, la legge non ci è più necessaria come pedagogo.

Ora noi parliamo al Padre, ci intratteniamo con lui faccia a faccia, siamo diventati fanciulli quanto a malizia, saldamente confermati nella giustizia e nella modestia.

Infatti, la legge non dovrà più ripetere: « Non commettere adulterio », a colui che non ha il minimo desiderio della donna d'altri: né: « Non ammazzare », a colui che ha eliminato completamente da sé la collera e l'ostilità; né: « Non desiderare il campo del tuo prossimo, il suo bue o il suo asino » a coloro che non hanno alcun desiderio di cose terrene, ma cercano di accumulare frutti per il cielo; né: « Occhio per occhio e dente per dente », a colui che non considera nessuno come nemico, ma tutti come suo prossimo, e che perciò non può alzare la mano per vendicarsi; la legge non reclamerà le decime da chi ha consacrato tutti i suoi beni a Dio, ha abbandonato il padre, la madre, la famiglia tutta, per seguire il Verbo di Dio.

Non vi è più l'obbligo di non lavorare nel giorno di riposo, per chi fa sabato tutti i giorni, cioè tutti i giorni rende culto a Dio nel suo tempio, che è il corpo dell'uomo, e pratica la giustizia ad ogni ora.

Io voglio la misericordia, egli dice, e non il sacrificio; la conoscenza di Dio più degli olocausti ( Os 6,6 ).

Ma chiunque invocherà il nome del Signore, costui sarà salvo.

E non è stato dato altro nome del Signore sotto il cielo, per la salvezza degli uomini ( At 4,12 ), se non il nome divino di Gesù Cristo, Figlio di Dio, cui obbediscono gli stessi demoni, gli spiriti malvagi e tutte le potenze ribelli.

Con l'invocazione del nome di Gesù Cristo crocifisso sotto Ponzio Pilato, Satana viene separato dagli uomini.

In ogni luogo, dove qualcuno di quelli che credono in lui e fanno la sua volontà lo chiama invocandolo, Gesù gli si fa vicino e sta con lui, accogliendo le domande di chi lo invoca con purezza di cuore.

Ricevuta così la salvezza, noi ringraziamo ogni giorno Dio che, nella sua immensa, insondabile sapienza, ci salva e annuncia dall'alto dei cieli la salvezza, che consiste nella venuta visibile di nostro Signore, cioè nella sua vita umana; salvezza che noi, abbandonati a noi stessi, non avremmo mai potuto ricevere.

Ma ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio.

Parlando di essa, anche Geremia dice: Chi è salito in cielo, e si è impadronito di lei ( la sapienza di Dio ) e l'ha portata giù dalle nuvole?

Chi ha varcato i mari e l'ha trovata e l'acquisterà a prezzo d'oro puro?

Nessuno ha scoperto la sua via, nessuno ha conosciuto i suoi sentieri.

Ma colui che tutto sa, la conosce nella sua sapienza, colui che ha creato la terra per un tempo eterno e la riempì di grassi quadrupedi; colui che manda la luce, ed essa si propaga; la richiama, ed essa gli obbedisce con tremore.

Le stelle sono sorte per la loro veglia ed esultano; egli le chiama, ed esse dicono: Eccoci!; brillano con gioia per lui, che le ha fatte.

Questi è il nostro Dio; nessuno può essere messo con lui a confronto; egli ha trovato tutte le vie con la sua mente, e l'ha data a Giacobbe, suo servo, a Israele, suo diletto.

Poi essa apparve sulla terra, e ha vissuto con gli uomini.

Questo è il libro dei comandi di Dio e della legge eterna; quanti la osserveranno avranno la vita; ma chi l'abbandonerà, morirà ( Bar 3,29-4,1 ).

Chiama « Giacobbe e Israele » il Figlio di Dio, che ha ricevuto dal Padre ogni potere sulla nostra vita, e, una volta ricevuto, lo ha fatto discendere su noi che eravamo lontani da lui, quando è apparso sulla terra ed è vissuto tra gli uomini, congiungendo e unendo lo Spirito di Dio Padre con la carne da Dio formata affinché l'uomo fosse fatto a immagine e somiglianza di Dio.

Ireneo di Lione, Dimostrazione della predicazione apostolica, 95-97

9. - Non è difficile adempiere i precetti

Quale comandamento - domando - ci appare arduo e insostenibile?

« L'aver moglie - mi è stato risposto - dovendo rimanere, nello stesso tempo, casti e temperanti ».

Ebbene, sarebbe questo, forse, un precetto oneroso?

Ma come potrebbe esserlo, dal momento che sono in molti coloro che, non soltanto fra i cristiani, ma anche fra i pagani, sanno mantenersi casti nell'ambito stesso del matrimonio?

Ora, se il pagano è capace di far questo sotto lo stimolo di un'effimera vanità, non saresti tu in grado di osservarlo per timor di Dio?

Elargisci ai poveri, sta scritto, una parte delle tue ricchezze ( Tb 4,7 ).

É questo, forse, un precetto arduo e difficile ad adempiersi?

Eppure, anche in questo caso, i pagani, che hanno donato tutte le loro risorse per esser vanamente glorificati, sono lì ad accusarci.

Astenetevi … dal turpiloquio ( Col 3,8 ).

É difficile questo? Ebbene, anche se non esistesse alcun comandamento del genere, non sarebbe per noi opportuno, forse, comportarci a quel modo, per non coprirci di vergogna?

Fare il contrario, anzi, pronunciando cioè oscenità, quello sì che è difficile!

E lo dimostra il fatto che l'anima si vergogna e arrossisce ogni volta che sia stata costretta ad esprimersi con un linguaggio del genere, e neppure lo farà, a meno che non vi sia spinta dall'ubriachezza.

Per quale motivo, infatti, quando stai seduto nella pubblica piazza, quello che non osi fare in casa tua, lì, invece, non esiti a farlo?

Per la gente che si trova in quel luogo, forse?

E perché, allora, se fosse presente tua moglie, non ti azzarderesti a farlo?

Per non offenderla? Ebbene, se dimostri questi scrupoli nei confronti di tua moglie, non arrossisci, allora, offendendo Dio?

Egli, infatti, è dappertutto e ascolta ogni cosa.

Non vi ubriacate ( Ef 5,18 ), sta scritto. Bene: si tratta, forse, di un supplizio?

Ma l'Apostolo non ha detto: « Flagella il tuo corpo! ».

Che cosa, allora! Semplicemente: « Non ubriacatevi ».

Vale a dire: « Non eccedete al punto da perdere il controllo dell'anima vostra ».

Bisogna, per caso, aver cura del corpo?

In nessun modo, secondo quanto prescrive, infatti, lo stesso Paolo: Non datevi cura della carne; per soddisfarne le concupiscenze ( Rm 13,14 ).

Ora, per far questo, occorre che tu non vada in giro a rubare ciò che non è tuo, non ti impadronisca avidamente dei beni altrui e non spergiuri ( Mt 5,33 ).

Ebbene, tutto questo richiede, forse, uno sforzo e un impegno particolari?

Sta anche scritto: Non fate violenza a nessuno e non calunniate ( Lc 3,14 ).

É, per caso, faticoso far questo? Il contrario forse, quello sì, richiede fatica!

Quando, infatti, maledici qualcuno, ti senti subito in pericolo, in apprensione, nel timore che possa averti udito la persona interessata, importante o modesta che sia.

Se si tratta di qualche personaggio di rilievo, infatti, ti accorgi subito di trovarti, per forza di cose, nei guai; se, invece, è una persona di poco conto, ti ripagherà con la stessa moneta e, anzi, ti coprirà di insulti e di maledizioni ancor più tremende.

Nessun precetto che ci sia stato impartito è realmente arduo, nessuno è oneroso, se davvero siamo disposti a metterlo in pratica.

Se, invece, la nostra volontà non è orientata in tal senso, anche di fronte, allora, alle cose più facili, ci troveremo ad affrontare difficoltà insormontabili.

Che cosa c'è, ad esempio, di più semplice del mettersi a mangiare?

Eppure sono in parecchi coloro i quali, per la loro incredibile pigrizia, sopportano anche questo a denti stretti.

Molti ne sento dire che anche dover nutrirsi è una fatica.

Pertanto, nessuna delle cose di cui abbiamo parlato ti apparirà difficile, se soltanto vorrai davvero metterla in pratica.

Quando c'è la volontà, infatti, qualsiasi cosa, con l'aiuto della grazia celeste, diviene possibile.

Cerchiamo allora di nutrire una sincera volontà a compiere il bene.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera agli ebrei, 13,5

10. - Occorre vivere secondo le leggi di Dio

Gli uomini, adorando le creature in luogo del Creatore ( Rm 1,25 ), si comportano alla stregua di colui che ammirasse un'opera, ignorando l'artista che l'ha prodotta; apprezzasse gli edifici di una città, disprezzandone l'architetto; facesse, ancora, l'elogio d'uno strumento musicale, senza per nulla curarsi di colui che l'avesse costruito e accordato.

Folli e ciechi! Come potrebbero costoro conoscere anche soltanto un edificio, un bastimento o una lira, se non vi fosse un carpentiere a costruire la nave, un architetto a innalzare l'edificio, un artigiano a fabbricare la lira?

Chi ritenesse il contrario, sarebbe folle oltre ogni misura.

Ora, similmente, a me sembrano privi d'una mente sana anche coloro che non riconoscono Dio e non adorano il Verbo, Salvatore di tutti, nostro Signore Gesù Cristo, per il tramite del quale il Padre tutto ordina, tutto contiene, a tutto provvede.

Se tu, perciò, hai fede in lui e gli sei devoto, o amico di Cristo, sii felice e nutri buone speranze, giacché il frutto di questa fede e di questa pietà è l'immortalità e il regno dei cieli, a patto però, che la tua anima sia governata conformemente alle leggi di Dio.

Orbene, come la ricompensa destinata a quanti vivano secondo le leggi di Dio sarà la vita eterna, parimenti, coloro che procedono per le vie opposte, lontano dal Verbo, nel giorno del giudizio proveranno grande vergogna e correranno un rischio inesorabile: costoro, infatti, pur rendendosi conto di quale fosse il cammino della verità, si sono comportati nella maniera opposta a quella che essi stessi ritenevano giusta.

Atanasio, Contro i pagani, 47

11. - Qual è la volontà di Dio?

Chi sono coloro che ignorano ciò che valga davvero e ciò che sia volontà di Dio?

Tutti quelli che aspirano a possedere i beni di questo mondo, che ritengono giusto cercare la ricchezza e disprezzano la povertà, che sono assetati di potere e anelano all'eterna gloria su questa terra; sono tutti coloro che si reputano chissà chi, per il fatto di aver innalzato splendide case, d'aver acquistato magnifici sepolcri, di possedere, magari, folle di schiavi ed esser attorniati da una schiera di eunuchi.

Tutti costoro, infatti, ignorano ciò che valga davvero e, al tempo stesso, quale sia la volontà di Dio, dal momento che le due cose sono, in realtà, una sola.

Le cose che sono davvero utili per noi, Dio le vuole; e quelle che Dio vuole, d'altronde, sono per noi indubbiamente utili.

E che cos'è che Dio vuole, allora? Che noi viviamo nella povertà, nell'umiltà, nel disprezzo della gloria, nella temperanza e non nei piaceri; nelle tribolazioni e non nella quiete; nel dolore e nell'austerità, non nella dissolutezza e nel divertimento; in tutte le altre condizioni, insomma, che egli ha prescritto.

Molti, invece, non vedono di buon occhio questi insegnamenti e non ritengono che si tratti di cose utili né che rappresentino la volontà di Dio.

É per questo che costoro non hanno mai potuto giungere ad accettare le tribolazioni in nome della virtù.

Chi, infatti, ignora cosa sia la virtù, ma anzi apprezza la dissolutezza, e chi, in luogo di una casta sposa, preferisce una meretrice, quando mai riuscirà a distaccarsi da questo mondo?

Prima di ogni altra cosa, dunque, dobbiamo esprimere una giusta e corretta valutazione delle cose e, anche senza ancora mettere in pratica la virtù, dobbiamo tuttavia apprezzarla come merita; anche senza ancora distoglierci dalla nostra cattiva condotta, dobbiamo nondimeno condannarla e aderire intanto a una sana concezione della vita.

Di questo passo, facendo progressi nella giusta direzione, saremo alla fine in grado di mettere in pratica i princìpi che abbiamo formulato.

É per questo che Paolo ci sollecita a rinnovarci, dicendo: Affinché possiate distinguere quale sia la volontà di Dio ( Rm 12,2 ).

Giovanni Crisostomo, Commento alla lettera ai Romani, 20,2-3

EMP I-2. - Il sacrificio di Abramo

Abramo prese la legna dell'olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono insieme ( Gen 22,6 ).

Isacco porta lui stesso la legna per l'olocausto: per questo è figura di Cristo che portò egli stesso la croce ( Gv 19,17 ).

Eppure portare la legna per l'olocausto è compito del sacerdote.

Cristo è dunque nello stesso tempo vittima e sacerdote.

Questo è ciò che vuol significare l'espressione: « Poi proseguirono insieme ».

Infatti, mentre Abramo, che doveva compiere il sacrificio, porta il fuoco e il coltello, Isacco non cammina dietro a lui, ma accanto, dimostrando così di condividere col padre la funzione sacerdotale.

E la Scrittura continua: Isacco si rivolse a suo padre Abramo, e disse: Padre ( Gen 22,7 ).

E in quel momento la voce del figlio risuona come una tentazione.

Prova a immaginare come sarà stato sconvolto il cuore del padre nell'udire la voce del figlio che sta per essere immolato.

Infatti la fede di Abramo, sebbene lo portasse a una certa durezza di cuore, non gli impedì di rispondere con una parola affettuosa: Che c'è, figlio mio?

E Isacco riprese: Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov'è l'agnello per il sacrificio?

Abramo rispose: Dio si provvederà l'agnello per il sacrificio, figlio mio ( Gen 22,8 ).

Questa risposta di Abramo, amorevole e insieme prudente, mi commuove.

Non so che cosa vedesse in spirito, perché non parla in riferimento al presente, ma al futuro, quando dice: « Dio stesso si provvederà l'agnello ».

Al figlio che l'interroga sul presente, risponde con l'intuizione del futuro.

Il Signore infatti si era già provveduto una vittima nella persona di Cristo …

E Abramo - dice la Scrittura - stese la mano e afferrò il coltello per immolare suo figlio.

Ma l'angelo del Signore lo chiamò dal cielo e disse: Abramo, Abramo! Ed egli rispose: Eccomi.

E l'angelo disse: Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! adesso so che tu temi Dio ( Gen 22,10-12 ) …

Facciamo un confronto con quel passo dell'Apostolo in cui viene detto di Dio che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi ( Rm 8,32 ).

Guarda con quale stupenda generosità Dio scende in gara con gli uomini: mentre Abramo ha offerto un figlio mortale, che di fatto non sarebbe morto, Dio ha consegnato per noi alla morte un Figlio immortale.

E Abramo alzò gli occhi e vide che c'era un ariete impigliato con le corna in un cespuglio ( Gen 22,13 ).

Dicevamo prima che Isacco era figura di Cristo: ma Cristo sembra essere prefigurato anche nell'ariete.

Vale la pena che cerchiamo di comprendere come l'una e l'altra figura - Isacco che non viene ucciso e l'ariete che lo è - si riferiscono entrambe a Cristo.

Cristo è il Verbo di Dio, ma il Verbo si è fatto carne ( Gv 1,14 ).

C'è dunque in Cristo una natura che viene dall'alto, e una natura assurta dalla condizione umana, dal seno della Vergine.

Ora Cristo soffre, ma nella carne; si sottopone alla morte, ma è la sua carne che la subisce, e di questo è figura l'ariete, come diceva anche Giovanni: Ecco l'agnello di Dio che toglie i peccati del mondo ( Gv 1,29 ).

Al contrario, il Verbo è rimasto nell'incorruttibilità: è lui il Cristo secondo lo spirito, e Isacco ne è l'immagine.

Per questo egli è insieme vittima e sacerdote.

Infatti, secondo lo spirito, Cristo offre ai Padre la vittima e, secondo la carne, egli stesso viene offerto sull'altare della croce.

Origene, Omelia sul Genesi, 8,6.8-9

12. - Chiunque fa la volontà del Padre, è madre, fratello e sorella di Cristo

Il parto della santa Vergine è gloria di tutte le sante vergini.

Anche esse con Maria sono madri di Cristo, se fanno la volontà di suo Padre.

Per questo, infatti, Maria è madre di Cristo in modo più eccelso e beato, secondo le parole del Signore: Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, quegli mi è fratello, sorella e madre ( Mt 12,50 ).

Tutti questi legami di parentela mostra egli verso il popolo da lui redento: ha per fratelli e sorelle gli uomini santi e le sante donne, perché sono con lui eredi della celeste beatitudine.

Sua madre è tutta la Chiesa, perché partorisce, per grazia di Dio, le sue membra, cioè i suoi fedeli.

Egualmente gli è madre ogni anima pia che compie la volontà di suo Padre, con fecondissimo amore, in coloro in cui essa è nei travagli come di parto fino a quando in loro non si formi Cristo ( Gal 4,19 ) …

Sia le fedeli sposate che le vergini consacrate a Dio, per la santa vita, per la carità di un cuore puro, la coscienza buona e la fede non finta, sono spiritualmente madri di Cristo, perché fanno la volontà del Padre.

Quelle poi che, nella vita coniugale, partoriscono corporeamente, non partoriscono Cristo, ma Adamo: perciò si affrettano, affinché i loro figli, immersi nel sacramento, diventino membra di Cristo, ben sapendo chi hanno partorito.

Agostino, La santa verginità, 5,5-6,6

13. - L'amore di Dio estingue in noi l'inclinazione al peccato

Chi ha raggiunto la vetta della perfezione evangelica sta al di sopra di tutta la legge per il merito di sì grande virtù.

Guardando dall'alto in basso come cosa di poco conto tutto ciò che Mosè ha ordinato, egli riconosce di vivere sotto la grazia del redentore, per il cui aiuto, lo sa bene, egli è giunto a questo stato eccelso.

Non regna perciò in lui il peccato, perché l'amore di Dio, riversato nei nostri cuori dallo Spirito Santo ( Rm 5,5 ) che ci è stato donato, esclude ogni inclinazione a qualsiasi altra cosa.

Egli perciò non può desiderare quel che è proibito né disprezzare ciò che è comandato, perché tutta la sua tensione, tutti i suoi desideri sono rivolti all'amore di Dio ed egli è così poco preso dal piacere delle cose terrene, che non se ne serve neppure se permesse.

Giovanni Cassiano, Conferenze, 21,33

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