Teologia dei Padri

Indice

I frutti visibili

1. - L'esempio dei cristiani

Viviamo dunque in modo che non venga maledetto il nome di Dio.

Non guardiamo la fama umana, ma neppure comportiamoci da acquistar fama cattiva: atteniamoci al giusto mezzo.

Risplendete tra gli altri, è detto, come stelle nel mondo ( Fil 2,15 ).

Per questo ci ha lasciati quaggiù: perché fossimo stelle, perché fossimo costituiti maestri degli altri, perché formassimo quasi un lievito, perché ci intrattenessimo tra gli uomini come angeli, tra i bambini piccoli come uomini, come creature spirituali tra creature sensibili, perché quelli ne avessero vantaggio, perché fossimo come seme, perché portassimo molto frutto.

Non ci sarebbe bisogno di parole, se la nostra vita risplendesse così; non ci sarebbe bisogno di maestri, se noi predicassimo con le nostre opere.

Non ci sarebbe un pagano se noi fossimo cristiani come si deve.

Se osservassimo i precetti di Cristo, se sopportassimo le ingiurie e le soperchierie, se maledetti benedicessimo, se danneggiati beneficassimo, nessuno sarebbe tanto selvaggio da non accorrere alla nostra religione, se tutti davvero facessero così.

Perché lo comprendiate bene: Paolo era uno solo, e attirò tanti.

Se tutti fossero come lui, quanti mondi non avremmo già attirato a noi?

Ecco: i cristiani sono più dei pagani.

Nelle altre materie, uno può insegnare a cento fanciulli; nel nostro campo, abbiamo tanti maestri; vi sarebbero anche tanti discepoli, ma nessuno viene.

Gli alunni infatti osservano la virtù dei maestri e quando vedono che anche noi abbiamo gli stessi loro desideri, abbiamo le stesse brame: comandare, esser stimati, come possono ammirare il cristianesimo?

Vedono vite biasimevoli, anime terrene, vedono che stimiamo le ricchezze come loro, anzi anche di più, che temiamo la morte come loro, come loro aborriamo la povertà, non sopportiamo le malattie, come loro aspiriamo alle cariche, ci affatichiamo per amor del guadagno, cogliamo tutte le occasioni.

Su che motivo possono basarsi per credere? Su quale miracolo? Ma non ne avvengono più.

Sulla nostra conversione? É finita ben male.

Sull'amore? Ma non se ne vede neppure una traccia.

Per questo renderemo conto non solo delle nostre colpe, ma anche del danno altrui.

Torniamo in noi stessi una buona volta!

Svegliamoci, mostriamo sulla terra una vita di cielo, diciamo: La nostra patria è nel cielo ( Fil 3,20 ) e mostriamoci bravi lottatori in questo mondo.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla prima lettera a Timoteo, 10,3

EMP N-68. - « L'albero si conosce dal suo frutto »

« L'albero si conosce dal suo frutto » ( Mt 12,32 )

Niente potrà rimanervi nascosto, se avrete in modo perfetto, in Gesù Cristo, la fede e la carità.

Esse sono il principio e il termine della vita: la fede è il principio, la carità è la pienezza.

L'unione delle due è Dio stesso.

Da queste derivano tutte le altre virtù che conducono alla perfezione.

Nessuno che professa la fede, pecca; né chi possiede la carità può odiare.

« L'albero si conosce dal suo frutto ».

Così quelli che professano di appartenere a Cristo si riconosceranno dalle loro opere.

Poiché ora non si tratta di far professione di fede, ma di perseverare nella pratica della fede fino alla fine.

É meglio tacere ed essere che parlare e non essere.

É bello insegnare, a condizione di mettere in pratica quello che si insegna.

Uno solo è il maestro, colui che dice, e tutto è ( Sal 33,9 ).

E quello che ha fatto nel silenzio è del tutto degno del Padre.

Colui che possiede veramente la parola di Gesù è in grado di capire anche il suo silenzio.

Così sarà perfetto, perché agirà come parla e si rivelerà attraverso il suo silenzio.

Niente è nascosto al Signore: anche i nostri segreti gli sono presenti.

Facciamo tutto nella certezza che egli abita in noi: saremo così templi di Dio ( 1 Cor 3,16; 1 Cor 6,19 ) e lui, presente in noi, sarà il nostro Dio ( Ap 21,3 ).

Così egli è di fatto, e così apparirà ai nostri occhi, nella misura in cui lo amiamo veramente …

Nella grazia che viene dal suo nome, radunatevi tutti insieme in una sola fede e in Gesù Cristo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne ( Rm 1,3 ), figlio dell'uomo e figlio di Dio; mantenetevi indissolubilmente uniti nell'obbedienza al vescovo e al collegio degli anziani, spezzando un unico pane, il pane che dona l'immortalità, combatte la morte e ci fa vivere per sempre in Gesù Cristo.

Io sono pronto a dare la vita per voi e per quelli che, a gloria di Dio, avete mandato a Smirne, da dove vi scrivo rendendo grazie al Signore ed esprimendo tutto il mio affetto per Policarpo come anche per voi.

Ricordatevi di me, come Gesù Cristo si ricorda di voi.

Pregate per la Chiesa di Siria, che lascio per essere condotto a Roma in catene: benché sia l'ultimo dei credenti di questa Chiesa, ho avuto la grazia di essere scelto per rendere gloria a Dio.

Vi saluto in Dio Padre e in Gesù Cristo, nostra comune speranza.

Ignazio di Antiochia, Lettera agli Efesini, 14-15.20-21

2. - « Dai loro frutti li riconoscerete »

Ciò che è nascosto nel seme, si mostra nella spiga; ciò che è rinchiuso nel germe, si rivela nel frutto.

Abbiamo trovato molti che ritenevamo a noi uguali nei princìpi religiosi, eppure si sono rivelati tanto diversi nella professione della fede.

Così la mietitura rappresentata dal giudizio rivela ciò che il seme della Chiesa ancora nasconde, secondo la parola del Signore: Dai loro frutti li riconoscerete ( Mt 4,16 ).

Molti fiori promettono molti frutti; ma, messi alla prova tra il soffiar del vento, solo pochi giungono a produrre frutto. In tal modo, molti appaiono fedeli di Cristo quando la Chiesa vive in pace; ma quando si abbatte su di essa la tempesta della persecuzione, solo pochi giungono al frutto del martirio.

Pietro Crisologo, Sermoni sul Vangelo di Matteo, 22

EMP I-31. - Dai frutti si riconosce l'albero

Guardatevi dai falsi profeti, dice Gesù, questi vengono a voi travestiti da pecore, ma dentro sono lupi rapaci ( Mt 7,15 ).

Il Signore ci avverte che le parole adulatrici e le dolci moine debbono venire giudicate dai frutti ch'esse producono.

Dobbiamo perciò giudicare ognuno non quale si presenta a parole, ma quale è realmente nei suoi atti.

Poiché sovente sotto apparenze di agnello si dissimula livore di lupo.

E così come i pruni non danno uva e i rovi non producono fichi, come gli alberi cattivi non portano buoni frutti ( Mt 7,16 ), ci dice Gesù, non è certo nelle belle parole che consiste la realtà delle opere buone, ma tutti devono venire giudicati dai propri frutti.

No, un servizio che si limitasse a belle parole non è sufficiente a ottenere il regno dei cieli, e non è certo colui che dice: Signore, Signore ( Mt 7,21 ) che sarà l'erede.

Infatti, qual merito si ha nel dire: « Signore » al Signore?

Cesserebbe egli forse d'essere il Signore se non lo chiamassimo così?

Su che cosa si appoggerebbe una santità che si limitasse all'invocazione di un nome, dato che la strada del regno dei cieli si trova nell'obbedienza alla volontà di Dio, più che nel pronunciare il suo nome?

Molti mi diranno in quel giorno: Signore! Signore! Non abbiamo noi profetato nel tuo nome? ( Mt 7,22 ).

Una volta ancora Gesù condanna l'arroganza dei falsi profeti e le simulazioni degli ipocriti che si procurano gloria con la potenza della parola.

Allorché impartiscono un insegnamento profetico, scacciano i demoni o compiono azioni analoghe, si illudono che sia questo a procurare loro il regno dei cieli, come se qualcosa appartenesse loro personalmente in tali parole e in tali opere!

No, è la potenza di Dio, da essi invocata, che opera tutto.

In realtà, solo mediante la lettura dei libri sacri si acquisisce la scienza della dottrina e solo nel nome di Cristo sono messi in fuga i demoni.

Bisogna perciò aggiungere qualcosa di nostro, se vogliamo arrivare alla beatitudine eterna.

Dare qualcosa del nostro io più intimo: volere il bene, evitare il male e obbedire senza esitazione ai precetti divini.

Questa disposizione spirituale ci farà riconoscere da Dio come suoi.

Inoltre, conformiamo i nostri atti alla sua volontà, invece di farci grandi con la sua potenza.

Poiché egli escluderà e respingerà coloro che si sono allontanati da lui con l'iniquità delle loro opere.

Ilario di Poitiers, Commento al vangelo di san Matteo, 6,4-5

EMP N-13. - « Figli della luce »

Voi siete la luce del mondo, non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa ( Mt 5,14-15 ).

Il Signore ha chiamato i suoi discepoli sale della terra ( Mt 5,13 ), perché dovevano condire di celeste sapienza il cuore degli uomini che il diavolo aveva reso insensato.

Ora li chiama anche luce del mondo perché, illuminati da lui stesso che è la vera ed eterna luce, sono divenuti anch'essi luce nelle tenebre.

Il Signore è Sole di giustizia ( Ml 3,19 ): non senza ragione quindi chiama anche i discepoli « luce del mondo », perché per mezzo loro espande, come attraverso raggi luminosi, la luce della sua conoscenza nel mondo intero.

Essi hanno infatti cacciato le tenebre dell'errore dal cuore degli uomini mostrando loro la luce della verità.

Anche noi, da tenebre che eravamo, siamo divenuti luce, secondo la parola dell'Apostolo: Un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore.

Comportatevi perciò come i figli della luce ( Ef 5,8 ); e ancora: Voi non siete figli della notte o delle tenebre, ma figli della luce e figli del giorno ( 1 Ts 5,5 ).

San Giovanni nella sua lettera porta la stessa testimonianza quando dice: Dio è luce ( 1 Gv 1,5 ); chi dimora in Dio è nella luce come egli stesso è nella luce.

Avendo la gioia di essere liberati dalle tenebre dell'errore, dobbiamo sempre camminare nella luminosità, come veri figli della luce …

Per questo l'Apostolo dice: Dovete splendere come astri nel mondo, tenendo alta la parola di vita ( Fil 2,15-16 ).

Se non lo siamo avremo oscurato e coperto come di un velo una luce così necessaria e benefica, a danno nostro e degli altri.

Ecco perché colui che ha ricevuto un talento per farlo fruttificare per il regno dei cieli e ha preferito nasconderlo piuttosto che depositarlo presso un banchiere, ha subìto - lo sappiamo per averlo letto - un castigo ben meritato.

Perciò la lampada luminosa che è stata accesa per la nostra salvezza, deve brillare in noi senza interruzioni.

Possediamo infatti la lampada della legge celeste e della grazia spirituale di cui Davide diceva: Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino ( Sal 119,105 ) …

Non dobbiamo dunque velare ai nostri occhi questa lampada della legge e della fede, ma innalzarla nella Chiesa come su un candelabro, perché ci rallegriamo della luce della stessa Verità e tutti i fedeli ne siano illuminati.

Cromazio di Aquileia, Trattato 5 su san Matteo, 1,3-4

3. - Istruire con amorevolezza

Chi desidera con intento sincero di condurre alla fede chi è estraneo alla religione cristiana, deve curare l'amorevolezza, non l'asprezza, perché l'ostilità non cacci lontano coloro il cui spirito poteva esser conquistato con i ragionamenti.

Tutti quelli che agiscono diversamente e sotto tale copertura vogliono impedire alla gente la celebrazione dei riti consueti, mostrano di curare più la causa propria che quella di Dio.

Così i giudei che abitano a Napoli si sono lamentati con noi, sostenendo che taluni cercano, senza ragione, di impedire loro alcune celebrazioni solenni, tanto che non è loro lecito celebrare le loro feste, come poterono invece fare fino ad ora loro stessi e i loro padri da moltissimo tempo in qua.

Se questa è la verità, tale gente mostra davvero di affaticarsi invano.

Che utilità vi è mai in ciò, se tale zelo non giova certo per attirare alla fede e alla conversione i giudei, così impediti in una loro consuetudine ormai vetusta?

Perché mai diamo loro regole sullo svolgimento delle loro cerimonie, se con ciò non li possiamo conquistare?

Bisogna fare in modo, dunque, che spinti dai ragionamenti e dalla nostra mansuetudine, vogliano seguirci, non fuggirci, perché ci sia dato, con l'aiuto di Dio, di condurli al seno della madre Chiesa, mostrando nei loro libri sacri la verità di quello che predichiamo.

La tua fraternità, dunque, li esorti, come sarà possibile con l'aiuto di Dio, ad avvicinarsi e a convertirsi, e non permetta che vengano di nuovo disturbati nelle loro celebrazioni; abbiano piena licenza di osservare tutte le loro feste e solennità, come hanno fatto da tempo, sia loro, sia i loro padri.

Gregorio Magno, Lettere, 12 ( a Pascasio, vescovo di Napoli )

4. - Forza persuasiva dell'amorevolezza

Se il medico odia l'ammalato e lo sfugge e se l'ammalato respinge il medico, quando mai guarirà, dato che né lui lo chiama, né quello da lui si reca?

Ma per quale motivo, dimmi, respingi e sfuggi il prossimo?

Perché è empio? Ma non è proprio per questo che tu devi recarti da lui, curarlo e guarirlo così dalla sua malattia?

Se poi la sua malattia è incurabile, egualmente ti viene raccomandato di far ciò che puoi: anche Giuda era incurabile, ma Dio non cessò di prestargli le sue cure.

E se pur con ogni sforzo non riesci a liberarlo dalla sua empietà, il premio che ne avrai sarà come se tu lo avessi liberato; otterrai inoltre che egli ammiri la tua amorevolezza e così tutta la gloria ti indirizzerà a Dio.

Se tu operassi miracoli, se risuscitassi i morti, se facessi qualsiasi altra cosa, mai i pagani ti ammirerebbero come vedendoti mite, dolce e soave nelle tue maniere.

E non è questo un piccolo successo: molti alla fine, infatti, verranno distolti dal male.

Nulla è tanto capace di attrarre come l'amore: per quelli ti invidieranno - per i miracoli, dico - ma per questo ti ammireranno e ti ameranno; amandoti, abbracceranno, progredendo, la verità cristiana.

E se non si fa subito fedele, non meravigliarti, non preoccuparti, non volere tutto in una volta, ma lascia che egli per ora lodi e ami, e procederà poi sulla via della fede.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla prima lettera ai Corinti, 33,5

5. - Efficacia della vita cristiana

Facciamo della terra cielo e così mostreremo a coloro che non credono di quali grandi beni essi sono privi.

Quando infatti vedranno la nostra vita e la nostra comunità bella e armoniosa, essi avranno la visione stessa del regno dei cieli.

Quando ci vedranno modesti, senza ira, puri di ogni cattivo desiderio, privi d'invidia, esenti da malizia, e attivi in tutte le virtù diranno: Se i cristiani sono angeli in questa vita, che cosa saranno dopo la morte?

Se qui, dove sono pellegrini, risplendono in tal modo, che diverranno quando giungeranno nella patria?

E così anche i pagani diverranno migliori e la predicazione della religione si diffonderà non meno che al tempo degli apostoli.

Dodici uomini poterono allora convertire città e regioni intere: se tutti noi faremo della perfezione della nostra vita un insegnamento, pensate fin dove potrà diffondersi la nostra religione.

Un pagano, infatti, non è così attratto dal vedere un morto che risuscita quanto dal contemplare un uomo che vive virtuosamente.

Di fronte a quel prodigio rimarrà, sì, sorpreso, ma la vita virtuosa di un cristiano gli porterà vantaggio.

Il prodigio avviene e passa, ma la vita cristiana resta e continuamente edifica e fa crescere la sua anima.

Vigiliamo dunque su noi stessi per avvantaggiare anche gli altri.

Non ti dico niente di troppo duro e pesante.

Non ti proibisco di sposarti, non ti ordino di abbandonare le città e di lasciare gli impegni politici e civili.

No, rimani dove ora vivi, e nelle funzioni attualmente esercitate, metti in atto la virtù.

A dire il vero, io preferirei che per la perfezione della loro vita brillassero coloro che vivono nelle città, piuttosto che quelli che si sono ritirati a vivere sulle montagne.

Per quale motivo? Perché da questo fatto potrebbe derivare un grande vantaggio.

Infatti Nessuno accende una lampada per metterla sotto il moggio ( Mt 5,15 ).

Per questo io voglio che tutte le lampade siano sopra il candelabro, in modo che si diffonda una grande luce.

Accendiamo, dunque, questo fuoco e facciamo che quanti si trovano seduti nelle tenebre siano liberati dall'errore.

E tu non venire a dirmi: Ho impegni, moglie e figli; devo occuparmi della casa e non posso fare ciò che tu dici.

Io ti assicuro che se tu fossi libero da tutti questi impegni, ma rimanessi nella stessa apatia in cui ora giaci, tutto ugualmente svanirebbe.

Se, al contrario, pur con tutti questi impegni, tu fossi pieno di fervore, riusciresti a praticare la virtù.

Una sola cosa è richiesta: la disposizione di un'anima generosa.

Allora né l'età, né la miseria, né la ricchezza, né la mole degli affari e delle occupazioni, né qualunque altra cosa ti impedirà di essere virtuoso.

E in verità si sono visti vecchi e giovani, coniugati e padri di famiglia, operai, artigiani, professionisti e soldati che hanno messo in pratica i comandamenti di Dio.

Daniele, infatti, era giovane; Giuseppe era schiavo; Aquila esercitava un lavoro manuale; Lidia, venditrice di porpora, dirigeva un laboratorio.

Uno era carceriere, un altro era centurione, come Cornelio; uno era quasi sempre ammalato, come Timoteo, e un altro ancora era uno schiavo fuggiasco, come Onesimo.

E tuttavia queste diverse condizioni non furono di ostacolo a nessuno di essi; anzi, tutti rifulsero per la santità della loro vita: uomini e donne, giovani e vecchi, schiavi e liberi, soldati e privati cittadini.

Non adduciamo dunque vani pretesti!

Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, 43,5

6. - Il cristiano si riconosce dalla vita

Sono numerosi coloro che, dopo aver ricevuto il battesimo, vivono in modo più disordinato di coloro che non lo hanno ancora ricevuto e non fanno perciò vedere in alcun modo che sono cristiani.

Non è possibile oggi riconoscere lì per lì, nelle assemblee pubbliche e anche all'interno della chiesa, i fedeli da coloro che non lo sono.

L'unica cosa che distingue gli uni dagli altri è che, quando si sta per celebrare i santi misteri, i fedeli restano nel tempio, mentre gli altri ne sono esclusi.

E, invece, non dovrebbe affatto accadere così, in quanto non dal luogo, ma dai costumi e dalla vita bisognerebbe poter distinguere gli uni dagli altri.

Gli onori e le dignità mondane si fanno riconoscere con i loro segni esteriori, mentre le insegne che indicano chi siamo noi cristiani devono essere manifestate dal nostro intimo, dalla nostra anima.

Un fedele deve far vedere chi è, non con la sola partecipazione ai santi misteri, ma per il suo comportamento rinnovato, per la sua vita nuova.

Bisogna che un cristiano, come dice il Vangelo, sia la luce e il sale del mondo.

Se, dunque, non appare in te, da te la luce, se non arresti la tua corruzione, in qual modo potremo sapere se sei cristiano?

Lo sei forse perché sei stato rigenerato nelle acque sacre del battesimo?

Questo è, invece, quanto ti rende maggiormente colpevole.

Infatti, quanto più eccellente è l'onore ricevuto, tanto più gravi sono le pene che si attirano quelli che conducono una vita per niente degna di quell'onore.

Il fedele deve brillare non solo per quei doni che ha ricevuto da Dio, ma anche per quelli che egli stesso offre a lui; deve essere riconosciuto ovunque per il suo modo di camminare, di guardare, per tutto il suo comportamento esteriore e per la sua stessa voce.

Vi dico queste cose, non perché la nostra vita serva per metterci in mostra né per compiacere agli uomini, ma per edificare coloro che ci guardano.

Eppure, quando io cerco in te i segni per riconoscerti cristiano, trovo, sotto ogni aspetto, segni completamente opposti.

Se volessi giudicare chi sei dai luoghi che frequenti, io ti vedo passare tutto il giorno negli ippodromi, a teatro, in attività illegali, in maligne riunioni, in conversazioni di piazza, in compagnia di persone del tutto corrotte.

Se considero la tua esteriore apparenza, sento in continuazione le tue risa smodate e vedo i tuoi atteggiamenti rilassati, simili a quelli delle donne perdute.

Se guardo le tue vesti, non riesco a distinguerle da quelle degli attori di teatro.

Se osservo coloro che ti stanno d'attorno e ti seguono, non vedo che parassiti e adulatori.

Se ascolto le tue parole, non sento niente di serio e di utile, niente di necessario e di essenziale, niente che sostenga e guidi la tua vita; infine, se giudico dalla tua mensa, è là che trovo le maggiori colpe di cui accusarti.

Dimmi, allora, che mi resta per riconoscere che sei cristiano, dato che tutta la tua apparenza esteriore mostra il contrario?…

Ma è ancor più deplorevole il fatto che, trovandoci in così tragica situazione, neppure riusciamo a intuire la deformità della nostra anima e a comprendere lo stato di degenerazione in cui essa giace.

Quando vai dal parrucchiere per farti tagliare i capelli, prendi lo specchio e osservi con cura se tutto va bene; senti il parere di quelli che ti stanno vicini e del parrucchiere per controllare se i ricci sulla fronte sono stati aggiustati in bel modo; e spesso, pur i vecchi, non si vergognano di folleggiare in frivolezze e fantasie giovanili.

E invece quando la nostra anima è non soltanto sfigurata, ma deforme come i mostri delle leggende, orribile come Scilla o come la Chimera, noi non ce ne diamo minimamente pensiero.

Eppure anche l'anima ha il suo specchio, uno specchio spirituale ben più luminoso e utile di quello materiale.

Esso non rivela soltanto la nostra infermità, ma può cambiarla, se noi lo vogliamo, in straordinaria bellezza.

Questo specchio, miei cari, sono i ricordi degli uomini buoni, la storia della loro vita santa, la lettura delle sacre Scritture, la legge data da Dio.

Se vuoi anche una sola volta guardare le figure di questi santi uomini, riconoscerai subito la bruttezza della tua anima; e, una volta riconosciuta, di null'altro avrai bisogno per liberarti di essa.

É davvero efficace questo specchio e con quanta facilità ci aiuta a convertirci!

Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, 4,7-8

7. - Responsabilità per il nome di cristiani

Ben giustamente è rivolto a tutti i cristiani il detto dell'Apostolo: Tu che ti glori della legge, disonori Dio trasgredendo la legge.

Il nome di Dio, infatti, è, per vostra colpa, bestemmiato tra i gentili ( Rm 2,23-24 ).

Di quale colpa siano rei i cristiani, dunque, si può comprendere da questo solo: che recano infamia al nome di Dio.

E pur sta scritto che dobbiamo far tutto a gloria di Dio, ma noi al contrario facciamo tutto in disonore di Dio.

Lo stesso nostro Salvatore ogni giorno ci grida: Splenda la vostra luce davanti agli uomini, perché i figli degli uomini vedano le vostre opere buone e glorifichino il vostro Padre che è nei cieli ( Mt 5,16 ); ma noi al contrario viviamo in modo che i figli degli uomini vedano le nostre opere cattive e bestemmino il nostro Padre che è nei cieli.

Stando così le cose possiamo davvero lusingarci della gran prerogativa del nostro nome di cristiani!

Noi, che siamo detti popolo cristiano, agiamo e viviamo in modo da sembrare l'obbrobrio di Cristo.

Viceversa, tra i pagani, dove troviamo qualcosa di simile?

Forse si può dire a carico degli unni: Ecco cosa sono coloro che si dicono cristiani?

O a carico dei sassoni o dei franchi: Ecco cosa fanno coloro che asseriscono di essere adoratori di Cristo?

O forse la legge sacrosanta viene incolpata per i costumi feroci dei mauri?

E così i riti disumani degli sciti o dei gepidi portano forse a maledire e bestemmiare il nome del Salvatore?

Si può dire di costoro: Dov'è la legge cattolica in cui credono?

Dove sono la pietà e la castità, i cui precetti essi insegnano?

Leggono il Vangelo e sono impudichi; odono le parole degli apostoli e si ubriacano; seguono Cristo e rapinano; conducono una vita reproba e sostengono di avere una legge intemerata.

Si può dire forse ciò di queste genti? No, certo!

Ma di noi tutto ciò si dice! Per noi Cristo è soggetto ad obbrobri, la legge cristiana a maledizioni.

Di noi si dice quel che abbiamo riferito: Ecco cosa sono coloro che adorano Cristo!

Salviano di Marsiglia, Il divino governo del mondo, 4,16-17

EMP N-64. - Un cristiano deve necessariamente diffondere la luce

Niente è più freddo di un cristiano, che non si interessa della salvezza degli altri.

Non puoi, a questo proposito, prendere come scusa la tua povertà: la vedova che offrì le due monetine si leverebbe ad accusarti.

Anche Pietro disse: Non ho né oro né argento ( At 3,6 ) e Paolo era talmente povero, che spesso soffriva la fame e mancava del cibo necessario.

Non puoi appellarti all'umiltà della tua nascita: anch'essi erano gente oscura, nati da umile condizione.

Non puoi mettere avanti come pretesto la tua ignoranza: anch'essi erano gente incolta.

Anche se tu fossi uno schiavo, un fuggiasco perfino, potresti ugualmente compiere tutto quello che dipende da te, perché anche Onesimo era uno schiavo: eppure guarda a che dignità fu chiamato! …

Non puoi prendere come scusa la tua debolezza fisica: anche Timoteo era debole di salute e aveva molti mali.

Come testimonianza delle sue infermità senti cosa gli dice san Paolo: Fa' uso anche di un po' di vino, a motivo del tuo stomaco e delle tue frequenti indisposizioni ( 1 Tm 5,23 ).

Qualsiasi persona può portare aiuto al suo prossimo, se desidera fare tutto quello che può.

Non vedete come sono vigorosi, come sono belli, slanciati, piacevoli, lussureggianti gli alberi senza frutto?

Ma se noi possedessimo un giardino, preferiremmo avere dei melograni o degli ulivi che sono molto più produttivi.

Gli alberi belli servono per dare gioia, ma non per rendere guadagno: la loro utilità è minima.

Coloro che pensano a se stessi sono come alberi sterili: anzi, in un certo senso, non sono nemmeno tali perché servono soltanto per essere bruciati.

Gli alberi senza frutto, almeno, possono servire per costruire o rendere solidi gli edifici.

Tali erano le vergini stolte: certo, erano pure, belle e modeste, ma non erano utili a nessuno e per questo furono bruciate.

Come loro sono tutti quelli che non nutrono il Cristo.

Guarda: nessuno di questi è accusato dei suoi peccati personali, dei suoi adulteri, dei suoi spergiuri, o altro.

Niente di ciò: vengono accusati di non essersi resi utili al prossimo.

Come può essere cristiano chi fa così?

Dimmi un po': se il lievito mescolato alla farina non fa lievitare tutta la pasta, è forse lievito?

E se il profumo non avvolge del suo soave odore tutti quelli che si avvicinano, lo chiameremo ancora profumo?

Non dire: mi è impossibile trascinare gli altri; se tu sei cristiano, è impossibile che questo non avvenga.

Come è vero che le realtà naturali non possono essere in contraddizione fra di loro, così anche per quello che abbiamo detto: operare il bene è insito nella natura stessa del cristiano.

Se tu affermi che un cristiano è nell'impossibilità di portare aiuto agli altri, offendi Dio e gli dai del bugiardo.

Sarebbe più facile per la luce essere tenebra, che per un cristiano non diffondere luce attorno a sé.

Non dire: è impossibile. É il contrario che è impossibile. Non fare violenza a Dio.

Giovanni Crisostomo, Omelia 20 ( sugli Atti degli apostoli )

8. - Il nome di cristiano

Chi di cristiano ha soltanto il nome, e non lo è, che vantaggio ha da tal nome, se nulla significa per lui?

Quanti si dicono medici, ma non sanno curare i malati!

Quanti hanno il nome di guardia, ma dormono tutta la notte!

Allo stesso modo, molti si dicono cristiani, ma in definitiva non lo sono, non sono ciò che il loro nome significa, non lo sono nella vita, non nei costumi, nella fede, nella speranza, nella carità.

Ricordate, o fratelli, quanto avete udito: Ecco quale amore ci ha dimostrato il Padre: che siamo chiamati figli di Dio e lo siamo in realtà.

Per questo il mondo non ci conosce; dal momento che il mondo non ha conosciuto il Padre, non conosce neanche noi ( 1 Gv 3,1 ).

Il mondo è tutto cristiano e in pari tempo è tutto empio; gli empi infatti sono sparsi in tutto il mondo e lo stesso si verifica per le persone pie: gli uni non conoscono gli altri.

Come sappiamo che non si conoscono a vicenda?

Da questo: che gli empi lanciano insulti contro coloro che vivono bene.

Fate bene attenzione, perché costoro si trovano forse anche in mezzo a voi.

Ciascuno di voi già vive religiosamente, già disprezza le cose del secolo, non va agli spettacoli, non si ubriaca come si trattasse di un rito, non si rende impuro ( e la cosa è molto importante ) nelle feste dei santi, col pretesto di ottenere il loro patrocinio.

Perché mai, dunque, chi non compie tali azioni viene insultato da chi le compie?

Ma come potrebbe essere oggetto di insulto, se fosse conosciuto?

Perché allora non è conosciuto? Perché il mondo non conosce il Padre.

Chi sono coloro che formano il mondo? Evidentemente quelli che abitano il mondo, così come, dicendo casa, si intende parlare dei suoi abitatori.

Queste cose già le abbiamo dette e ripetute, né ci stanchiamo di ripeterle.

Quando sentite parlare del mondo in senso cattivo, dovete intendere solo gli amatori del mondo.

Essi abitano nel mondo in quanto lo amano; e poiché lo abitano, hanno anche meritato di assumerne il nome.

Il mondo perciò non ci conosce, perché non conosce il Padre.

Gesù stesso camminava per le strade del mondo ed era Dio in carne umana, Dio nascosto nella debolezza della carne.

Perché mai non fu riconosciuto? Perché rimproverava a ciascuno i suoi peccati.

Gli uomini che amavano i piaceri del peccato, non potevano riconoscere Dio: amando ciò che la febbre suggeriva loro, facevano ingiuria al medico.

Agostino, Commento alla prima lettera di san Giovanni, 4,4

9. - La speranza dell'aldilà caratterizza la nostra vita

Tra di noi potreste trovare gente semplice, operai e vecchiette che, se non sono in grado di esporre a parole l'utilità della loro dottrina, sanno ben mostrare con le opere il vantaggio della loro scelta.

Non recitano parole imparate a memoria, ma mostrano opere buone: percossi non percuotere, rapinati non intentare causa, dare a chi chiede, amare il prossimo come se stessi.

Ordunque, se non ritenessimo che Dio ha potere su tutti gli uomini, cercheremmo di vivere in tanta purezza?

Non lo si può certo dire.

Ma poiché siamo convinti che dovremo rendere conto di tutto il nostro vivere a Dio che ha creato noi e il mondo, abbracciamo una vita misurata, piena di amore e tutta modestia, nella persuasione che ogni male cui fossimo mai sottoposti - anche se ci togliessero la vita - non sarà mai paragonabile ai beni che conseguiremo dal gran Giudice per una vita mansueta, amorevole e modesta.

Atenagora, Supplica per i cristiani, 11-12

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