Teologia dei Padri

Indice

La crescita spirituale

1. - La necessità del progresso spirituale

Ciascuno necessariamente o, come dice l'Apostolo, rinnovato interiormente nell'anima progredisce ogni giorno, tendendo continuamente a ciò che gli sta davanti ( Ef 4,23; Fil 3,13 ), o, se trascura ciò, retrocede conseguentemente e cade in una situazione peggiore.

Il nostro spirito non può affatto durare nella stessa e identica situazione, proprio come qualcuno che volesse spingere una barca, a forza di remi, contro la corrente di un fiume: necessariamente o avanza, tagliando a forza di braccia l'impeto del fiume, oppure, se cessa dallo sforzo, viene trascinato dove vuole la corrente.

Ecco perciò un indizio evidente del nostro peggioramento: se comprendiamo di non avere nulla guadagnato.

Non dubitiamolo: stiamo facendo certamente marcia indietro quando ci accorgiamo di non essere progrediti in avanti perché, come ho detto, l'animo umano non può restare sempre nello stesso stato e nessuno, per quanto santo, finché è in questa carne, può raggiungere un tale apice di virtù da perseverarvi immobile sempre: necessariamente o qualcosa acquista o qualcosa perde, e in nessuna creatura vi può essere tale perfezione che non sia soggetta alla possibilità di mutamento.

Giovanni Cassiano, Conferenze, 6,14

2. - Quotidiana crescita spirituale

Chi progredisce ogni giorno e si rinnova nella conoscenza di Dio, nella giustizia e nella vera santità, trasferisce il suo amore dalle realtà temporali a quelle eterne, dai beni visibili a quelli intelligibili, dalle cose carnali a quelle spirituali; insiste con diligenza per frenare e diminuire le brame verso le prime, e legarsi d'amore verso le altre.

Ma riesce a fare tanto, quanto è l'aiuto da Dio elargitogli.

É divina sentenza, infatti: Senza me, nulla potete fare ( Gv 15,5 ).

Quando l'ultimo giorno di questa vita sopraggiungerà per chi in tale progresso e impegno avrà mantenuto la fede nel Mediatore, sarà accolto dai santi angeli, perché lo conducano a Dio da lui tanto onorato; da lui poi sarà condotto a perfezione e alla fine del mondo riceverà un corpo incorruttibile non per il castigo, ma per la gloria.

E in tale immagine sarà perfetta la somiglianza di Dio, quando sarà perfetta la visione di Dio.

Di questa visione l'apostolo Paolo dice: Ora vediamo come tramite uno specchio, in enigma, ma allora faccia a faccia ( 1 Cor 13,12 ).

E dice ancora: Ma noi, contemplando a volto aperto la gloria del Signore, ci trasformiamo nella stessa immagine di gloria in gloria come dallo Spirito del Signore ( 2 Cor 3,18 ): questo è ciò che si verifica a chi progredisce di giorno in giorno nel bene.

Agostino, La Trinità, 14,23

EMP I-19. - Crescita dell'uomo interiore

Prima della venuta del Signore Gesù, gli uomini cercavano la loro grandezza in se stessi.

Egli è venuto come uomo perché la gloria dell'uomo diminuisca, e cresca invece la gloria di Dio: è venuto senza peccato e ci ha trovati tutti peccatori.

Il fatto che sia venuto per rimettere i peccati ci dice che Dio è grande e pieno di misericordia: dunque l'uomo dovrà riconoscerlo.

La piccolezza e la miseria dell'uomo si esprime proprio in questa confessione, mentre la grandezza di Dio si manifesta nella sua misericordia.

Se Cristo è venuto a perdonare all'uomo i suoi peccati, l'uomo deve prendere coscienza della sua piccolezza, lasciando che Dio metta in opera la sua misericordia.

Bisogna ch'egli cresca e che io diminuisca ( Gv 3,30 ).

Cioè: bisogna ch'egli dia, e che io riceva.

Bisogna ch'egli abbia la gloria, e che io la riconosca.

L'uomo deve comprendere qual è la sua condizione e riconoscerla davanti a Dio.

Ascoltiamo quello che dice l'Apostolo all'uomo superbo e orgoglioso, che cerca di farsi grande: Che cos'hai che non abbia ricevuto?

E se l'hai ricevuto, perché te ne glori come di una cosa tua? ( 1 Cor 4,7 ).

E dunque l'uomo, che voleva attribuire a sé ciò che non era suo, deve riconoscere che quanto ha lo ha ricevuto, e farsi piccolo piccolo: è bene per lui che in lui Dio sia glorificato.

Egli deve diminuire ai propri occhi per poter crescere in Dio …

Cresca in noi la gloria di Dio e diminuisca la nostra gloria, e così, in Dio, anche la nostra crescerà.

É quanto afferma l'Apostolo, quanto afferma la sacra Scrittura: Chi si gloria, si glori nel Signore ( 1 Cor 1,30 ).

Vuoi cercare la tua grandezza in te stesso? Vuoi crescere, ma cresci male, a tuo danno.

E colui che cresce male, in realtà regredisce.

Sia dunque Dio a crescere, Dio che è sempre perfetto: egli cresca in te.

Quanto più conosci Dio, quanto più lo accogli in te, tanto più Dio sembra crescere in te, anche se in sé non cresce, dal momento che è sempre perfetto.

Ieri lo conoscevi un poco, oggi lo conosci un po' di più, domani lo conoscerai ancora meglio: è la luce stessa di Dio che cresce in te.

Ecco perché è come se in te crescesse Dio, che pure è sempre perfetto.

Un uomo era cieco, ed ecco che i suoi occhi cominciano a guarire.

Comincia a vedere un pochino di luce; il giorno dopo un po' di più, e il terzo giorno di più ancora. 

Egli avrà l'impressione che sia la luce a crescere, mentre la luce è perfetta, che egli la veda o no.

Così è dell'uomo interiore: egli progredisce in Dio, e sembra che sia Dio a crescere in lui. L'uomo intanto diminuisce, decadendo dalla sua gloria per elevarsi alla gloria di Dio.

Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, 14,5

3. - Il pellegrinaggio verso la patria

Il genere umano suole stimare assai la scienza delle realtà terrestri e celesti; in ciò sono certo migliori coloro che a questa scienza preferiscono conoscere se stessi.

L'animo che conosce anche la propria debolezza è più degno di lode di chi, non considerandola, scruta le vie delle stelle per conoscerle, o addirittura già le conosce, mentre non conosce la via per cui giungere alla propria salvezza, alla propria forza.

Ma chi, destato dal calore dello Spirito Santo, già è sveglio in Dio e nel suo amore si è fatto vile a se stesso, chi vuole da lui entrare e non ne ha la forza, al suo splendore scruta se stesso, trova se stesso e sa di non poter confrontare la propria infermità alla sua purezza; gli è dolce piangere, gli è dolce scongiurarlo di aver ancora e ancora pietà, fino a quando si liberi di tutta la propria miseria.

E prega con fiducia, che ha già ricevuto il pegno della salvezza tramite il suo unico salvatore e illuminatore degli uomini.

Chi così fa, chi così soffre, la scienza non lo gonfia perché la carità lo edifica ( 1 Cor 8,1 ).

Ha preferito una scienza a un'altra scienza, ha scelto di conoscere la propria debolezza piuttosto che i bastioni del mondo, le fondamenta della terra e i fastigi dei cieli; e crescendo questa scienza cresce il dolore ( Qo 1,18 ), il dolore del suo pellegrinaggio per il desiderio della patria, del suo Creatore, Iddio beato.

Se tra questo genere di uomini, nella famiglia del tuo Cristo, o Signore Dio mio, se tra i tuoi poveri io gemo, concedimi di offrire del tuo pane agli uomini che non hanno fame e sete di giustizia ( Mt 5,6 ), ma sono sazi e soddisfatti.

Li ha saziati la loro fantasia, non la tua verità, che essi rifiutano e fuggono, cadendo nella loro vanità.

Certo, sento quante illusioni partorisce il cuore umano, e che cos'è il mio cuore se non un cuore umano?

Ma questo ti prego, Dio del mio cuore: che nessuna di tali fantasie io riversi in questo scritto come verità certa, ma scenda in esso ciò che per mio tramite può venire da lassù, donde anch'io - quantunque rigettato dall'aspetto del tuo volto ( Sal 31,23 ), io mi sforzi di ritornare da lontano per la via che il tuo Unigenito tracciò all'umanità - venga irrorato dall'aura della verità.

In tanto vi attingo, per quanto io sia mutabile, in quanto nulla vedo in essa di mutabile …

Poiché l'essenza di Dio non ha nulla di mutabile in sé: sia nell'eternità, sia nella verità, sia nella volontà.

Ivi eterna è la verità ed eterna la carità; e vera ivi è la carità, vera l'eternità; e amata ivi è l'eternità, e amata la verità.

Agostino, La Trinità, 4,1

4. - Le tappe sulla strada del cielo

Ascolta le parole del consiglio bello e buono e impara ciò che ti dico, mio caro fratello e amico di Cristo!

Se vuoi fare un viaggio verso un'altra terra, una terra lontana, verso la tua patria, non puoi lasciarti dietro tutta l'estensione della strada in un istante, ma fai un certo numero di passi, e giungi così, a poco a poco e con fatica, alla terra che brami.

Così avviene anche per il regno dei cieli, per il paradiso di delizia.

Vi si giunge attraverso il digiuno, l'astinenza e la veglia.

L'astinenza, le lacrime e la preghiera, la veglia e l'amore sono le tappe che conducono al cielo.

Non temere per un buon inizio della bella strada che conduce alla vita eterna: abbi soltanto la più seria volontà di entrare in tale strada, e sii pronto.

Presto essa si spianerà davanti ai tuoi piedi, passerai con gioia e contentezza da una tappa all'altra, e a ciascuna i passi della tua anima si faranno più saldi.

Non troverai più difficoltà sulla strada che conduce al cielo, perché il Signore del cielo si farà egli stesso, spontaneamente, strada della vita per quelli che con gioia vogliono giungere al Padre della luce.

Efrem Siro, Meditazione sulla morte, 6

5. - La perfezione è lo scopo della vita

Chi anzitutto ha saputo moderarsi e tendere alla libertà dalle passioni progredendo poi nelle opere buone di una perfezione illuminata, è già da quaggiù simile agli angeli.

Già splendido e rilucente come il sole per la sua beneficenza, tende, nella giusta conoscenza e per l'amore di Dio, verso la santa dimora, come gli apostoli.

Non che questi siano stati eletti a diventare apostoli per qualche loro esimia qualità di natura, perché anche Giuda fu eletto con loro; ma furono idonei ad essere eletti apostoli da colui che prevede il fine; perciò Mattia, eletto non insieme agli altri, mostratosi degno di diventare apostolo, successe al posto di Giuda.

É possibile perciò anche ora che chi si è esercitato nella legge del Signore, che ha vissuto nella perfezione e nella luce spirituale del Vangelo, venga ascritto al numero degli apostoli.

Costui è veramente un anziano della Chiesa, è un vero diacono, è, cioè, un servo della divina volontà, se insegna e osserva i precetti del Signore; non perché è stato ordinato tale dagli uomini o perché venga ritenuto presbitero a buon diritto, ma perché il giusto viene annoverato nel presbiterio.

E se qui sulla terra non può onorarsi di un seggio privilegiato, siederà su uno dei ventiquattro troni e giudicherà il popolo, come dice Giovanni nell'Apocalisse ( Ap 4,4 ).

Uno infatti è in realtà il testamento di salvezza a noi giunto fin dalla creazione del mondo, per quanto ritenuto diverso nei doni secondo la diversità delle generazioni e dei tempi.

Ne consegue che unico e immutabile è il dono della salvezza dato dall'unico Dio per opera dell'unico Signore, per quanto giovi in modi diversi.

Per questo motivo viene tolta la « parete divisoria » che separa i giudei dai pagani, perché ne sorga un unico popolo eletto; e così sia gli uni che gli altri « pervengono all'unità della fede ».

Unica è l'elezione sia degli uni che degli altri ( Ef 2,14ss ).

E più eletti tra gli eletti - è detto -, colti come fiori nella stessa Chiesa per la loro gnosi perfetta, onorati della gloria magnifica di essere giudici e amministratori, provenendo in egual misura dai giudei e dai pagani, sono i ventiquattro nei quali è raddoppiato il numero della grazia apostolica.

Infatti anche quaggiù nella Chiesa i gradi di vescovo, anziano, diacono, come credo, sono imitazioni della gloria degli angeli in quella economia di salvezza che, secondo le Scritture, spetta a coloro che sono vissuti nella perfetta giustizia secondo il Vangelo, a imitazione degli apostoli.

Di costoro scrive l'Apostolo che, rapiti tra le nubi, anzitutto saranno diaconi, e poi saranno assunti tra gli anziani, in un grado superiore di gloria, poiché tra gloria e gloria c'è differenza, finché cresceranno alla misura dell'uomo perfetto ( Ef 4,13 ).

Costoro, come dice Davide riposeranno sul monte santo di Dio ( Sal 15,1 ), nella Chiesa di lassù, in cui si raccolgono i sapienti di Dio che sono i veri israeliti, puri di cuore, in cui non vi è inganno ( Gv 1,47; Mt 5,8 ), e che si dedicano alla pura visione di una contemplazione incessante.

Clemente Alessandrino, Stromata, 6,105-108

6. - Vita tutta assorta nel desiderio di Dio

La vita di un buon cristiano è tutta un santo desiderio.

Ma se una cosa è oggetto di desiderio, ancora non la si vede, e tuttavia tu, attraverso il desiderio, ti dilati, così che potrai essere riempito quando giungerai alla visione.

Ammettiamo che tu debba riempire un grosso sacco e sai che è molto voluminoso quello che ti sarà dato; ti preoccupi di allargare il sacco o l'otre o qualsiasi altro tipo di recipiente, più che puoi; sai quanto hai da metterci dentro e vedi che è piccolo; allargandolo lo rendi più capace.

Allo stesso modo Dio con l'attesa allarga il nostro desiderio, col desiderio allarga l'animo e dilatandolo lo rende più capace.

Viviamo dunque, o fratelli, di desiderio, poiché dobbiamo essere riempiti.

Ammirate l'apostolo Paolo che dilata le capacità della sua anima, per poter accogliere ciò che sta per venire.

Egli dice infatti: Non che io abbia già raggiunto il fine o che io sia perfetto; non penso di avere già raggiunto la perfezione, o fratelli ( Fil 3,12-13 ).

Ma allora che cosa fai, o Paolo, in questa vita, se non hai raggiunto la soddisfazione del tuo desiderio?

Una cosa sola; inseguire con tutta l'anima la palma della vocazione celeste, dimentico di ciò che mi sta dietro, proteso invece a ciò che mi sta davanti ( Fil 3,13-14 ).

Ha dunque affermato di essere proteso in avanti e di tendere al fine con tutto se stesso.

Comprendeva bene di essere ancora incapace di accogliere ciò che occhio umano non vide, né orecchio intese, né fantasia immaginò.

In questo consiste la nostra vita: esercitarci col desiderio.

Saremo tanto più vivificati da questo desiderio santo, quanto più allontaneremo i nostri desideri dall'amore del mondo.

Già l'abbiamo detto più volte: il recipiente da riempire deve essere svuotato.

Tu devi essere riempito di bene: liberati dunque dal male.

Supponi che Dio ti voglia riempire di miele: se sei pieno di aceto, dove metterai il miele?

Bisogna gettar via il contenuto del vaso, anzi bisogna addirittura pulire il vaso, pulirlo faticosamente coi detersivi, perché si presenti atto ad accogliere questa realtà misteriosa.

La chiameremo impropriamente oro, la chiameremo vino, qualunque cosa diciamo intorno a questa realtà inesprimibile, qualunque cosa ci sforziamo di dire, è racchiusa in questo nome: Dio.

Ma quando lo abbiamo pronunciato, che cosa abbiamo pronunciato, che cosa abbiamo detto?

Sono forse queste due sillabe tutto quel che aspettiamo?

Qualunque cosa dunque siamo capaci di dire, è al di sotto della realtà: dilatiamoci col desiderio di lui, così che ci possa riempire quando verrà.

Agostino, Commento alla prima lettera di san Giovanni, 4,6

7. - Nel regno dei cieli si entra con la violenza

Si impossessano del regno dei cieli non i pigri, i trasandati, i delicati, i tenerelli, ma i violenti.

Ma chi sono questi violenti? Coloro che non ad altri, ma alle proprie brame fanno splendida violenza, che privano se stessi, con lodevole rapina, d'ogni piacere di realtà presenti, coloro che la voce del Signore chiama rapinatori sublimi, perché si impossessano con violenza del regno dei cieli.

Il regno dei cieli, infatti, secondo il detto del Signore, patisce violenza, e i violenti se ne impossessano ( Mt 11,12 ).

Costoro sono dunque violenti insigni, perché fanno violenza alla propria perdizione.

L'uomo infatti, come sta scritto, si affatica nei dolori e fa violenza alla propria perdizione ( Pr 16,26: LXX ).

La nostra perdizione è il piacere della vita presente o, per esprimermi meglio, è il conseguimento dei nostri desideri e delle nostre voluttà.

Quando qualcuno si mortifica e sottrae questo piacere alla propria anima, fa davvero violenza, gloriosa e utile, alla sua perdizione.

Giovanni Cassiano, Conferenze, 24,26

8. - Il sacro fuoco nell'anima

Gesù dice: Io sono venuto a portare il fuoco sulla terra e che desidero se non che si accenda? ( Lc 12,49 ).

E per lo stesso motivo lo Spirito Santo apparve in terra sotto forma di fuoco.

Eppure, dopo tutto questo, noi restiamo più freddi della cenere e più insensibili dei morti.

Non ci commoviamo affatto al vedere Paolo elevarsi al di sopra del cielo, passare anzi di cielo in cielo più veemente di una fiamma, vincere tutti gli ostacoli e porsi al di sopra degli inferi e dei superni, del presente e dell'avvenire, di ciò che è e di ciò che non è.

Se questo esempio ti sembra troppo grande, ebbene, ciò è segno della tua rilassatezza.

Che cosa ebbe Paolo più di te, per dire che ti è impossibile imitarlo?

Ma per non insistere su questo punto, lasciamo da parte Paolo e gettiamo uno sguardo sui primi cristiani: denaro, proprietà, onori mondani, affari terreni, essi gettarono via tutto, per donarsi tutti interi a Dio, per meditare giorno e notte sugli insegnamenti della sua parola.

Ecco qui il fuoco dello Spirito Santo: esso non tollera che si abbia alcun desiderio delle cose di questo mondo, in quanto ci conduce verso un altro amore.

Perciò colui che prima amava le cose terrene, ora, anche se occorresse donare tutto quanto possiede, abbandonare le gioie di questa terra, disprezzare la gloria, e dare la sua stessa vita, farà tutto ciò con meravigliosa facilità.

Infatti quando l'ardore di questo fuoco è entrato nell'anima dell'uomo, esso scaccia l'indifferenza e la pigrizia.

Questo fuoco rende l'anima che ne è invasa più leggera di una piuma e le conferisce inoltre la capacità di disprezzare tutte le cose terrene.

Quest'uomo rimane sempre in perpetuo pentimento e nella contrizione.

Piange senza tregua e trova grande sollievo e gioia nelle sue lacrime.

Di certo, non c'è niente, niente che congiunga e unisca più strettamente a Dio di queste lacrime.

Colui che si trova in tali condizioni, anche se vive in città, è come se abitasse in un eremo nel deserto, su una montagna o nella foresta.

Egli non rivolge più uno sguardo alle cose presenti, non si sazia di gemere e piange per i propri peccati come per quelli degli altri.

Per questo Gesù proclama beati, prima di altri, gli uomini di tal genere, dicendo: Beati quelli che piangono! ( Mt 5,5 ).

Ma in qual senso allora Paolo ha detto: Siate sempre allegri nel Signore! ( Fil 4,4 )?

Lo ha detto per esprimere la gioia che queste lacrime suscitano.

Infatti, come la gioia terrena ha sempre per compagna la tristezza, così le lacrime che si versano per amore di Dio fanno fiorire nell'anima una beatitudine che non muore né appassisce mai.

Fu così che quella peccatrice, di cui parla il Vangelo, divenne più pura delle stesse vergini, in quanto era stata presa totalmente da questo fuoco divino.

Quando fu infiammata dal fervore della penitenza, arse d'amore per Cristo.

Sciolse i suoi capelli, bagnò i piedi di Gesù con le lacrime, li asciugò con la sua chioma e versò su di essi il profumo.

Tutto questo avveniva esteriormente, ma i sentimenti della sua anima erano assai più ardenti d'ogni esterna manifestazione: solo Dio li vedeva!

Ecco, tutti coloro che ascoltano la sua storia, si rallegrano con lei per le sue sante azioni e la considerano purificata da tutti i suoi peccati.
Se noi, che pure siamo tanto cattivi, così giudichiamo la sua conversione, ebbene, consideriamo quali grazie ella ha ricevuto da Dio misericordioso, consideriamo quanti frutti ella ha raccolto dalla sua penitenza, prima ancora che Dio la ricolmasse dei suoi doni.

Come l'aria diviene più pura dopo violente piogge, così dopo questa effusione di lacrime lo spirito diviene più tranquillo e sereno e le nubi del peccato si dissipano del tutto.

Come siamo purificati nel battesimo, grazie all'acqua e allo Spirito, così lo siamo nella penitenza, grazie alle lacrime e alla confessione dei peccati, sempre che non facciamo questo per ostentazione e per vanagloria.

Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, 6,4-5

9. - La festa della vita

Per il vero gnostico tutta la vita è una festa sacra.

I suoi sacrifici consistono pertanto nelle preghiere e nelle lodi, nella lettura della sacra Scrittura prima dei pasti, nei salmi e negli inni durante i pasti e prima di coricarsi, e ancora nella preghiera notturna.

Così si unisce alla schiera divina, cui è unito per il suo pensiero incessante in una contemplazione indimenticabile.

Ma come? Non conosci anche l'altro sacrificio, che consiste nel dono spontaneo di dottrina e di fatti ai bisognosi? Certo!

Ma durante la preghiera, che recita ad alta voce, non usa molte parole, perché dal Signore ha imparato anche come pregare.

Prega dunque in ogni luogo, ma non pubblicamente e davanti agli occhi di tutti.

E prega in ogni circostanza, sia che faccia una passeggiata, sia in compagnia, o riposi, o incominci un'opera spirituale.

E quando nella cella della sua anima egli nutre un solo pensiero e con gemiti inenarrabili invoca il Padre, questi gli è già vicino, anzi presente, mentre egli ancora parla.

Clemente Alessandrino, Stromata, 7, 49,3-7

10. - Per i cristiani ogni giorno deve essere festa

EMP X-54. - « Un solo corpo e un solo spirito »

Perché arrivassimo all'unità con Dio e tra noi - fino ad essere uno solo, pur restando distinti gli uni dagli altri nel corpo e nell'anima - il Figlio di Dio ha escogitato un mezzo concepito dalla sapienza e dal consiglio del Padre che gli appartengono.

Benedice quelli che credono in lui facendoli misticamente partecipi di un solo corpo, il suo.

Li incorpora così a sé e gli uni agli altri.

Chi separerà quelli che sono stati uniti da questo santo corpo nell'unità di Cristo, o li allontanerà da quella unione di natura che hanno tra loro?

Infatti se abbiamo parte a un solo pane, noi diveniamo tutti un solo corpo ( 1 Cor 10,17 ).

Cristo non può essere diviso.

Per questo, sia la Chiesa che noi, sue membra diverse, siamo chiamati corpo di Cristo secondo l'espressione di san Paolo ( Ef 5,30 ).

Siamo tutti riuniti all'unico Cristo per mezzo del suo santo corpo; e poiché lo riceviamo da lui, uno e indivisibile nei nostri corpi, è a lui più che a noi stessi che le nostre membra si uniscono …

Per l'unità nello Spirito la nostra riflessione sarà uguale, e diremo che avendo ricevuto tutti un solo e medesimo Spirito, lo Spirito Santo, siamo in qualche modo mescolati gli uni agli altri e a Dio.

Infatti, benché formiamo una moltitudine di individui e Cristo stabilisca in ciascuno di noi lo Spirito del Padre e suo, non c'è tuttavia che un solo Spirito indivisibile che unisce in lui i singoli spiriti, distinti tra loro per la loro esistenza individuale, facendoli essere per così dire un solo spirito in lui.

Come la potenza della santa carne [ di Cristo ] unifica in un solo corpo coloro nei quali è entrata, così lo Spirito di Dio, uno e indivisibile, abita in tutti e ci unisce tutti in una unità spirituale.

Da ciò questo appello di san Paolo: Con tutta umiltà e mansuetudine, con longanimità, sopportatevi gli uni gli altri caritatevolmente; studiate di conservare l'unità dello spirito nel vincolo della pace.

C'è un solo corpo e un solo spirito, come una sola è fa speranza a cui siete stati chiamati per la vostra vocazione.

Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo; un solo Dio e Padre di tutti, che è sopra tutti, opera in tutti ed è in tutti ( Ef 4,2-6 ).

Se l'unico Spirito abita in noi, il Dio unico, Padre di tutti, sarà in noi e condurrà, per mezzo del Figlio suo all'unità vicendevole e all'unione con lui tutti quelli che partecipano dello Spirito.

Cirillo di Alessandria, Commento al vangelo di Giovanni, 11,11

11. - La vita beata

Nulla abbiamo portato in questo mondo né possiamo portarne via nulla: se abbiamo di che nutrirci e coprirci, accontentiamoci.

Poiché quelli che vogliono diventare ricchi, incappano nella tentazione e nel laccio e in molteplici desideri insensati e dannosi, che sommergono gli uomini nella rovina e nella perdizione, poiché radice di tutti i mali è la cupidigia del denaro, per il cui appetito alcuni si sono sviati dalla fede e si sono cacciati da se stessi in molti dolori ( 1 Tm 6,6-10 ).

Chi desidera quanto basta senza volere di più, non desidera cosa disonesta; in caso contrario non lo desidera e quindi neppure lo vuole onestamente.

Questo bramava e per questo pregava colui che diceva: Non darmi né ricchezza né povertà, ma concedimi solo quanto basta per evitare che, divenuto sazio, non diventi bugiardo e dica: Chi mi vede? o divenuto povero, commetta qualche furto e spergiuri nel nome del mio Dio ( Pr 30,8-9 ).

Tu vedi chiaramente che anche il necessario non si desidera per se medesimo, ma per la salute del corpo e per un decoroso abbigliamento della persona umana, tale cioè che non sia sconveniente per coloro con i quali dobbiamo vivere onestamente e civilmente.

Per tal modo, fra tutte queste cose l'incolumità e l'amicizia sono desiderate per se stesse, mentre quando ciò che basta delle cose necessarie si ricerca onestamente, suole essere cercato non per se stesso, ma per i due beni summenzionati.

L'incolumità inoltre consiste nella vita stessa, nella salute e integrità del corpo e dell'animo.

Allo stesso modo, l'amicizia non dev'essere circoscritta in limiti angusti, poiché abbraccia tutti quelli a cui sono dovuti affetto e amore, quantunque si rivolga con più propensione verso alcuni e con più esitazione verso altri.

Essa si estende sino ai nemici, per i quali siamo tenuti anche a pregare.

Così non c'è alcuno nel genere umano a cui non si debba amore, basato, se non sulla vicendevole affezione, almeno sulla partecipazione alla comune natura umana.

D'altra parte non a torto proviamo grande attrattiva per quelli da cui siamo vicendevolmente amati, in modo santo e casto.

Bisogna pregare che questi beni ci siano conservati quando si hanno, e ci siano elargiti quando non si hanno.

É forse tutto qui, è forse questo tutto ciò che costituisce l'essenza della vita beata, oppure la Verità ci insegna qualche altro bene da preferire a tutti questi beni?

In effetti, anche la sufficienza dei mezzi e l'incolumità tanto nostra che degli amici, poiché sono beni temporanei, devono essere disprezzati per il conseguimento della vita eterna.

Anche se per caso il corpo gode buona salute, l'anima non si può affatto considerare sana, se non antepone le realtà eterne a quelle temporali.

E per vero non si vive utilmente nel tempo, se non per acquistare il merito, in grazia del quale vivere nell'eternità.

Ne consegue che ogni altro bene, che è desiderato utilmente e convenientemente, dev'essere senza dubbio riferito all'unica vita che si vive con Dio e di Dio.

Poiché se amiamo Dio, in lui amiamo noi stessi e, secondo l'altro precetto, amiamo veramente il prossimo nostro come noi stessi solo se, per quanto dipende da noi, cerchiamo di condurlo a un simile amore di Dio.

Noi dunque amiamo Dio per se stesso, noi e il prossimo per lui.

Ma neppure quando viviamo così, possiamo pensare di essere già arrivati alla vita beata, come se non ci fosse più nulla da chiedere con la preghiera.

Poiché in qual modo si può già vivere beatamente, quando ci manca ancora il bene, per cui unicamente si vive bene?

Agostino, Le Lettere, II, 130,12-14 ( a Proba )

12. - La ricerca della felicità può condurre all'errore

… Alcuni, ingannati dalla fallace superficie del mare, hanno deciso d'avanzare al largo e osano allontanarsi dalla patria e spesso se ne dimenticano.

E se un vento, che credono favorevole, li sospinge da poppa, non saprei in quale direzione e in maniera assai occulta, incorrono nel colmo dell'infelicità.

Ma ne sono orgogliosi e soddisfatti, perché fino a tal punto li favorisce la serenità assai ingannevole dei piaceri e degli onori.

E ad essi non si deve augurare altro che una sfavorevole e, se è poco, una veramente crudele tempesta, proprio in quelle soddisfazioni da cui sono trattenuti nel piacere e inoltre il vento contrario che li conduca, magari piangenti e gementi, a godimenti sicuri e stabili.

Tuttavia taluni di questa categoria, non essendosi ancora molto allontanati, sono ricondotti da avversità non tanto gravi.

Sono gli uomini che, quando le lacrimevoli perdite delle loro sostanze o le angustianti difficoltà per futili interessi li stimolano a leggere, poiché non rimane loro altro da fare, libri di uomini dotti e molto saggi, si svegliano, per così dire, nel porto stesso, da cui non possono farli uscire le lusinghe del mare troppo falsamente tranquillo.

Agostino, La felicità, 1,2

13. - Castelli in aria

Sii prudente e accetta i consigli! Bada al presente e prevedi il futuro.

Non lasciarti sfuggire per leggerezza ciò che hai né supporre di poterti impossessare di ciò che non è e che forse mai sarà.

Non è forse una malattia degli adolescenti ritenere, per leggerezza di mente, di possedere già ciò che si spera?

Quando infatti hanno un'ora libera o prendono il riposo notturno, si costruiscono castelli in aria e vi si lasciano prender tutti, per l'instabilità della loro mente: si ripromettono una vita splendida: nozze famose, prole numerosa, grande longevità e onore da tutti.

Inoltre, pur non potendo fermare su di nulla la loro speranza, si lasciano gonfiare da ciò che tra gli uomini è il massimo.

Acquistano case magnifiche e immense, le arredano con ogni tipo di suppellettile preziosa, le circondano di tanto terreno quanto il loro vano fantasticare è lontano dalla realtà del creato.

Poi se chiudono il raccolto in grandi magazzini, a ciò aggiungono greggi, una schiera enorme di schiavi, e incarichi politici, e dominio sulla massa, autorità militare, guerre, trofei, e persino il titolo di re.

A tutto questo giungono col vano fantasticare della loro mente e per la loro immensa stoltezza credono di godere ciò che sperano, come fosse già presente e giacesse ai loro piedi.

Questo sognare ad occhi aperti è una malattia propria di un animo ozioso e indolente.

E proprio per comprimere questa effervescenza della fantasia, questa eccitazione del pensiero e per imporre quasi le briglie all'instabilità della mente, la parola divina ci annuncia il grande e saggio precetto: Fa' attenzione a te stesso ( Dt 15,9 ), cioè: non prometterti ciò che è insussistente, ma disponi a tuo vantaggio ciò che è presente.

Basilio il Grande, Omelia su « Fa' attenzione a te stesso », 5

14. - La serietà della vita

La vita non è un gioco.

O meglio, mentre questa vita presente è un gioco, quella futura non lo è certamente.

Ma forse non è soltanto un gioco, è anche peggio di questo, poiché non finisce nel riso, ma in lacrime e in un gravissimo danno per coloro che non avranno voluto regolare la loro condotta, diligentemente, sulle leggi di Dio.

Noi, infatti, prendiamo la vita come uno scherzo.

Ditemi, quando costruiamo questi superbi palazzi, in che cosa siamo diversi dai fanciulli che giocano costruendo case?

Che differenza c'è tra loro che, per giocare, preparano colazioni e merende, e noi che mangiamo senza moderazione?

Non c'è nessuna differenza, se si toglie il fatto che i loro divertimenti sono innocenti, mentre i nostri giochi, colpevoli, saranno colpiti con estremo rigore.

E non dobbiamo stupirci se non vediamo ancora la vanità delle cose di cui ci occupiamo.

Sta di fatto che non siamo ancora diventati uomini.

Quando lo saremo, riconosceremo la puerilità di tutto quanto noi ora facciamo.

Ora che siamo adulti, noi ridiamo dei fanciulli; ma quando eravamo bambini, i giochi infantili erano i nostri affari importanti.

Quando ammucchiavamo insieme cocci e fango, non eravamo meno soddisfatti e fieri di quanto lo sono coloro che innalzano immensi edifici ed enormi complessi.

Ma come quelle piccole costruzioni cadevano e sparivano ben presto e, anche se stavano in piedi, non ci servivano a niente, lo stesso si può dire dei superbi edifici che costruiamo da grandi.

Sono indegni di chi è cittadino del cielo, che dovrebbe vergognarsi di vivere soddisfatto in simili case avendo una patria celeste.

E come noi distruggiamo con i piedi questi castelli di fango costruiti dai bambini, così anche colui che è saggio abbatte con la sua mente tutti questi superbi palazzi innalzati dagli uomini.

E come noi ridiamo, vedendo i fanciulli piangere sulla rovina dei loro piccoli castelli, così anche questi saggi, al vederci addolorati per la rovina dei nostri palazzi, non solo ridono ma versano anche lacrime, poiché essi soffrono alla vista della nostra miseria e del gran male che facciamo a noi stessi giocando con simili futilità.

Cerchiamo, dunque, di diventare uomini!

Fino a quando ci trascineremo per terra, riponendo la nostra orgogliosa e vana gioia nei sassi e nei legni?

Fino a quando, insomma, giocheremo?

E volesse il cielo che soltanto giocassimo; ma noi ora rischiamo di perdere anche la salvezza eterna, sacrificandola a queste vanità.

E come i fanciulli sono puniti molto severamente quando trascurano i loro studi per occuparsi di questi giochi, così anche noi saremo condannati all'estremo supplizio avendo consumato tutta l'energia e l'attività della nostra vita in vani giochi e non avendo nulla da offrire quando Dio ci chiamerà a rendere conto, attraverso le nostre opere, della scienza divina a noi insegnata e del nostro apprendimento spirituale.

Nessuno allora potrà liberarci, né padre, né fratello, né chiunque altro.

Tutte le nostre trascorse occupazioni svaniranno; ma le pene che esse hanno attirato sul nostro capo resteranno per l'eternità.

Dio ci tratterà, insomma, come sono trattati questi fanciulli, quando i loro padri, irritati per la loro pigrizia, tolgono di mezzo i loro giocattoli infantili e li lasciano piangere, senza commuoversi alle loro lacrime.

Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, 23,9

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