Teologia dei Padri

Indice

Povertà e ricchezza

1. - Uguale distribuzione del beni importanti per la vita e diversa per quelli non importanti

Per quale motivo Dio ha creato come beni comuni i più importanti e necessari che ci sostengono in vita, mentre quelli meno importanti e più meschini non sono comuni?

Parlo cioè delle ricchezze. Per quale motivo?

Perché la nostra vita sia assicurata e ci sia data una palestra di virtù.

Se infatti questi beni necessari non fossero comuni, forse i ricchi, con la loro abituale avarizia, strozzerebbero i poveri: se lo fanno già per i soldi, tanto più lo farebbero per i beni necessari.

E ancora, se le ricchezze fossero comuni e fossero ugualmente alla portata di tutti, mancherebbe ogni occasione di fare elemosina, ogni opportunità d'esercitare la carità.

Affinché dunque ci sia dato di vivere in sicurezza, ci sono comuni le fonti della vita; e affinché ci sia data occasione di acquistare la corona e buona fama, le ricchezze non sono comuni; in questo modo, odiando l'avarizia e perseguendo la giustizia, elargendo ai bisognosi le nostre sostanze, possiamo giungere ad alleviare i nostri peccati.

Dio ti ha fatto ricco; perché tu ti fai povero?

Ti ha fatto ricco affinché tu aiuti i bisognosi, affinché tu ti sciolga dai tuoi peccati per la tua generosità verso gli altri; ti ha dato le ricchezze non perché tu le rinchiuda a tua rovina, ma perché tu le effonda a tua salvezza.

E inoltre ha fatto sì che il loro possesso sia incerto e instabile, per annientare l'impeto della folle passione verso di esse.

Infatti, chi ora le possiede non può esserne sicuro, bensì vede tante insidie nascere intorno ad esse; ma se alla prosperità andasse unita anche la sicurezza e la stabilità, a chi mai la perdonerebbero?

Davanti a chi si arresterebbero? Davanti a quale vedova, davanti a quali orfani, davanti a quali poveri?

Pertanto non riteniamo un gran bene la ricchezza; un bene grande è possedere non un patrimonio, ma il timore di Dio e la pietà tutta quanta.

Osserva dunque: se uno è giusto e ha molta sicurezza presso Dio, anche se fosse il più povero degli uomini, può risolvere i mali di quaggiù: gli basta solamente stendere le mani al cielo, innalzare a Dio la sua invocazione, e varcherà le nubi!

Si ripone tanto oro, ed è più inutile di tutto il fango per risolvere i mali che ci sovrastano, e non solo in questi rischi: se ci sopraggiunge una malattia, o la morte, o qualcos'altro di simile, resta smascherata tutta l'impotenza della ricchezza e la sua incapacità ad assicurare contro gli eventi.

In una cosa sembra che la ricchezza superi la povertà: godere ogni giorno e saziarsi di squisitezze nei banchetti.

Ma si può ben vedere che questo si verifica anche alla tavola dei poveri: essi godono d'una gioia che è maggiore di quella di tutti i ricchi.

E non meravigliatevi, né credete che sia un paradosso quel che vi dico: ve lo chiarisco subito con l'esporvi di che si tratta.

Sapete infatti, senza dubbio, e ammettete tutti che non è la qualità delle portate, ma la disposizione dei commensali che crea la gioia nei convivi: se qualcuno quando si siede a mensa ha fame, gusta il cibo, anche più misero, più d'ogni condimento, d'ogni squisitezza e di mille leccornie.

Chi invece, come fanno i ricchi, non aspetta il bisogno, non attende l'appetito, per sedersi a tavola, anche se vi trovasse dei dolci, non ne proverebbe gusto, proprio perché il suo appetito non si è ancora svegliato …

E non solo riguardo al cibo, ma anche riguardo alle bevande si può osservare questo: come l'appetito eccita il gusto più che la qualità delle portate, così la sete suole rendere graditissima la bevanda, anche se si bevesse solo acqua …

E ciò lo si può notare anche nel sonno. Non è infatti il materasso soffice, né il letto montato in argento, né la tranquillità nella stanza, né qualcosa di simile che ordinariamente rende dolce e facile il sonno, ma piuttosto il lavoro e la fatica, e il coricarsi bisognosi di riposo e già quasi addormentati …

É opera della benignità di Dio che le gioie si acquistino non con le ricchezze e con i soldi, ma con la fatica e il travaglio, con la necessità e con la saggezza.

Ma non così i ricchi: pur giacendo su soffici letti, spesso restano insonni per tutta la notte, e per quante ne escogitino, non giungono a godere questa gioia.

Il povero, invece, quando si toglie dal lavoro quotidiano, ha le membra affrante e prima ancora di coricarsi viene preso da un sonno profondo, soave, meritato, e ottiene così la ricompensa, non piccola, delle sue oneste fatiche.

Dato dunque che il povero con più piacere dorme, beve e mangia, che merito resta dunque alla ricchezza, privata anche del privilegio che sembrava avere sulla povertà?

Per questo, fin dall'inizio, Dio soggiogò l'uomo alla fatica, non per castigarlo o punirlo, ma per correggerlo e educarlo.

Mentre Adamo conduceva una vita inoperosa cadde dal paradiso; mentre l'Apostolo conduceva una vita piena di fatiche e travagli, tanto da dire: Nella fatica e nel travaglio sto lavorando giorno e notte ( 2 Cor 11,27; 1 Ts 5,9 ), fu rapito in paradiso e salì al terzo cielo.

Non lamentiamoci dunque della fatica e non rifiutiamo il lavoro: prima ancora che nel regno dei cieli, ancor quaggiù ne riceveremo una grande mercede: non solo la gioia, ma anche, ciò che è molto meglio, una salute purissima.

I ricchi infatti, oltre che dalla noia anche da molte malattie sono sommersi; i poveri, invece, restano liberi dalle mani dei medici.

Che se poi cadono ammalati, presto si tirano su, perché sono lontani da ogni mollezza e hanno un fisico robusto.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulle statue, 2,6-8

2. - La povertà non è per noi un'infamia, ma una gloria

Noi siamo per lo più ritenuti poveri: non è un'infamia, ma una gloria.

Il lusso abbatte l'animo, la frugalità lo afferma.

Del resto come può dirsi povero chi non ha bisogno di nulla, chi non brama i beni altrui, chi è ricco in Dio?

É povero piuttosto colui che, pur possedendo molto, desidera ancor di più.

Dirò proprio quello che sento: nessuno può essere tanto povero come quando è nato.

Gli uccelli vivono senza patrimonio e gli animali ogni giorno trovano il loro pascolo: sono tutte creature nate per noi, e, se non le bramiamo, le possediamo tutte.

Dunque, come chi fa un viaggio è tanto più fortunato quanto minore è il carico che porta, così è tanto più felice nel viaggio di questa vita chi è alleggerito dalla povertà, chi non sospira sotto il peso delle ricchezze.

Tuttavia, se ritenessimo utili le ricchezze, le chiederemmo a Dio: potrebbe concedercene un po', perché è padrone di tutto.

Ma noi preferiamo disprezzare i beni, anziché conservarli; bramiamo piuttosto l'innocenza, chiediamo piuttosto la pazienza; preferiamo essere buoni che prodighi.

Minucio Felice, Ottavio, 36

EMP T-9. - « Dio innalza gli umili »

« Dio innalza gli umili » ( Lc 1,52 )

Quando affermo che Dio non ascolta i ricchi, non pensate fratelli che non esaudisca coloro che possiedono denaro, domestici e possedimenti.

Se sono nati in questo stato e « occupano » questo posto nelle società, si ricordino delle parole dell'Apostolo: Ai ricchi in questo mondo raccomanda di non essere orgogliosi ( 1 Tm 6,17 ).

Coloro che non si lasciano vincere dall'orgoglio sono poveri davanti a Dio, che tende l'orecchio verso i poveri e i bisognosi.

Sanno, infatti, che la loro speranza non è nell'oro o nell'argento, né in quelle cose in cui li vediamo sovrabbondare per un certo tempo.

Basta che le ricchezze non causino la loro rovina e, se non giovano a nulla per la loro salvezza, almeno non ne costituiscano un ostacolo …

Quando un uomo disprezza tutto ciò che alimenta il suo orgoglio, è un povero di Dio; e Dio inclina verso di lui l'orecchio, perché conosce il tormento del suo cuore.

Senza dubbio, fratelli, quel povero coperto di piaghe, che giaceva alla porta del ricco, fu portato dagli angeli nel seno di Abramo, lo leggiamo e lo crediamo.

Il ricco, invece, che, vestito di porpora e di bisso, banchettava splendidamente ogni giorno, fu precipitato nei tormenti dell'inferno ( Lc 16,19-31 ).

É stata proprio la sua indigenza che ha meritato al povero di essere trasportato dagli angeli?

E il ricco è stato abbandonato ai tormenti per colpa della sua opulenza?

Dobbiamo riconoscerlo: in questo povero fu onorata l'umiltà, e nel ricco fu punito l'orgoglio.

Ecco la prova che non le ricchezze, ma l'orgoglio è causa di castigo al ricco.

Senza dubbio il povero fu portato nel seno di Abramo, ma dello stesso Abramo la Scrittura dice che aveva molto oro e argento e che fu ricco su questa terra ( Gen 23,2 ).

Se il ricco è precipitato nei tormenti, come mai Abramo ha potuto superare il povero per accoglierlo nel proprio seno?

Abramo in mezzo alle ricchezze era povero, umile, rispettoso e obbediente a ogni ordine di Dio.

Il suo disprezzo per le ricchezze era tale che, quando Dio glielo chiese, accettò di immolare il figlio a cui queste ricchezze erano destinate.

Imparate dunque a essere poveri e bisognosi, sia che possediate qualcosa in questo mondo, sia che non possediate nulla.

Perché si trovano dei mendicanti pieni di orgoglio e dei ricchi che confessano i propri peccati.

Dio resiste ai superbi, coperti di seta o di stracci, ma concede la sua grazia agli umili, che possiedano o no beni di questo mondo.

Dio guarda nell'intimo, là egli pesa, esamina.

La bilancia di Dio, tu non la vedi: è il tuo pensiero che vi si trova soppesato.

Il salmista pone sul piatto i suoi titoli a essere esaudito quando dice: Perché io sono povero e infelice ( Sal 86,1 ).

Cerca di essere tale: se non lo sei, non sarai esaudito. Rifiuta tutto ciò che attorno a te e in te porta alla presunzione. Non presumere che di Dio, non aver bisogno che di lui ed egli ti colmerà.

Agostino, Esposizioni sui salmi, 86,3

3. - Il povero di Dio

Il povero di Dio lo è nell'animo, non nel portafogli.

Ecco, si fa avanti un uomo che ha la casa piena, i terreni fertili, molti campi, molto oro ed argento; ma sa di non dover presumere di tutto ciò, si umilia davanti a Dio e fa del bene.

Così il suo cuore si eleva a Dio: egli sa che a nulla gli giovano le ricchezze, ma piuttosto gli inceppano i piedi, se Lui non lo guida e non l'aiuta.

Lo enumeriamo tra i poveri saziati di pane.

Trovi invece un altro: è un povero gonfio, oppure non è gonfio, perché non ha nulla, ma cerca ciò che lo può gonfiare.

Dio non guarda le facoltà, ma la cupidigia, e giudica costui secondo la cupidigia con cui brama i beni temporali, non secondo le ricchezze che non è riuscito a raggiungere.

Per questo l'Apostolo dice dei ricchi: Ai ricchi di questo mondo raccomanda di non essere alteri d'animo e di non porre la speranza nelle ricchezze instabili, ma in Dio vivo che ci dà in abbondanza ogni cosa.

Che devono far dunque delle loro ricchezze?

Continua dicendo: Siano ricchi di buone opere, siano facili a dare e a far parte dei loro beni.

E nota che costoro sono poveri: Si accumulino un bel tesoro per il futuro e conquistino la vita eterna ( 1 Tm 6,17-19 ).

Quando la raggiungeranno, allora saranno ricchi; ma fino a quando non la posseggono, sappiano di essere poveri.

Ecco dunque che tutti gli umili di cuore, tutti coloro che posseggono la doppia carità, qualsiasi cosa posseggono in questo mondo, Dio li annovera fra i suoi poveri che sazia di pane.

Agostino, Esposizioni sui Salmi, 132,26

4. - La ricchezza dei poveri

Vuoi che ti mostri la tua ricchezza, perché tu cessi di ritenere fortunati i possessori di ricchezze?

Vedi questo cielo quassù, com'è bello, com'è grande, e come si distende nell'immensità?

Di tanta bellezza il ricco non gode più di te e non può tenerti lontano e farla tutta sua: essa, come è stata creata per lui, così anche per te.

E il sole, questo astro splendido e luminoso che allieta i nostri occhi, non si offre ugualmente a tutti, e tutti ne godono allo stesso modo, i ricchi e i poveri?

E la corona delle stelle, e il globo della luna, non sono per tutti allo stesso modo?

Anzi, se dobbiamo dire qualcosa di stupendo, ne godiamo più noi poveri che i ricchi.

Essi infatti, oppressi spesso dall'ubriachezza, passando la vita tra i banchetti, immersi nel sonno, non possono neppure percepire queste sensazioni, perché vivono al chiuso e all'ombra; i poveri, invece, più di tutti gli altri sono nella condizione di godere questi elementi.

Se esamini l'aria, diffusa ovunque, vedi che il povero ne gode pienamente e schiettamente, più degli altri.

I viandanti e gli agricoltori ne godono più di chi vive in città; e fra chi vive in città, gli artigiani ne godono più di quelli che passano tutto il giorno nei bagordi.

E la terra non è concessa egualmente a tutti?

« Ma no! - si dice - perché sostieni questo? Dimmelo! ».

« Perché chi è ricco, in città si impossessa di molti iugeri e costruisce grandi mura di cinta; in campagna poi si appropria di molte porzioni di terreno ».

E con ciò? Se se ne appropria, ne gode da solo?

No davvero, per quanto se ne sforzi, è costretto a distribuire a tutti i frutti della terra: coltiva per te il frumento, il vino e l'olio, ed è sempre al tuo servizio.

Le grandi mura e le belle case le prepara, con indicibili spese, fatiche e preoccupazioni, perché tu ne usi e per questo suo servizio si prende solo un pochino d'argento.

Ai bagni pubblici in ogni circostanza si può vedere che i ricchi sono travagliati dagli affari, dalle preoccupazioni e dalle fatiche, mentre i poveri, per pochi soldi, ne godono con tranquillità il frutto.

Anche del terreno il ricco non gode più di te: egli non riempie dieci ventri, ma uno solo come te.

Ma si nutre di cibi ben più raffinati? Certo, questo non è un grosso vantaggio dal momento che anche sotto questo aspetto scopriamo che tu hai più di lui.

Quella vita splendida, infatti, ti sembra desiderabile perché offre un piacere maggiore; invece è maggiore il piacere del povero; e non solo il piacere, ma anche la salute.

Il ricco ha solo questo privilegio: rendere più debole il proprio corpo e accumularvi più cause di malattia.

Nel povero tutto è regolato con naturale moderazione, nel ricco tutto finisce, per la smoderatezza, in rovina e malanno …

A seguito di questo sovraccarico di cibo, la digestione disturba tutto il corpo come ogni singola parte.

Infatti, poiché il calore naturale non è sufficiente a macerare tutti questi alimenti, ne è come soffocato, e un cattivo odore esala da essi che causa un profondo malessere.

Come le cloache dove vi è quantità di sterco, erba, fuscelli, pietre e fango, spesso si ostruiscono e allora la melma nel suo impeto trabocca fuori; così è del ventre dei ricchi: essendo ostruito sotto, i flussi cattivi rigurgitano per lo più dal di sopra.

Non così per i poveri; come le sorgenti che versano le loro acque pure, per irrigare orti e giardini, anche il loro ventre è libero da tanti eccessi.

Ma non certo quello dei ricchi, o meglio, di coloro che si abbandonano alle gozzoviglie: è zeppo di umori nocivi, di catarro, di bile, di sangue corrotto, di flussi putridi, eccetera.

Ne consegue che chi vive nei bagordi non può stare mai bene, neppure per breve tempo, ma vive in continue malattie.

Mi piacerebbe chiedere loro per quale motivo ci sono stati dati i cibi: perché ci roviniamo o perché ce ne nutriamo?

Perché ci ammaliamo o perché restiamo sani? Per indebolirci o per rinforzarci?

É chiaro: per nutrirci, per restar sani e forti.

Perché allora ne usate tutt'al contrario, procurandovi malattie e infermità al corpo?

Non così il povero: il suo cibo semplice gli dona salute, robustezza e vigore.

Non piangere dunque per la povertà, madre di salute, ma gioiscine; e se vuoi essere veramente ricco disprezza le ricchezze.

Il vero benessere invero non sta nel possedere molte cose, ma nel non sentire neppure il bisogno di possederle.

E se arriveremo a tanto, staremo quaggiù meglio di tutti i ricchi, e lassù conseguiremo i beni futuri.

Voglia il cielo che possiamo tutti entrarne in possesso per la grazia e la benignità del Signore nostro Gesù Cristo, a cui, insieme al Padre, e allo Spirito Santo sia onore, potenza e gloria, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amen.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla seconda lettera ai Corinti, 12,5-6

EMP T-67. - La beatitudine dei poveri

Quando Gesù dice: Beati i poveri nello spirito ( Mt 5,3 ), ci porta a capire che il regno dei cieli sarà dato non tanto a chi non possiede ricchezze, quanto piuttosto a chi è radicato nell'umiltà interiore.

D'altra parte non si può dubitare che i poveri siano aperti più dei ricchi a questo dono dell'umiltà, perché la scarsità dei beni porta più facilmente alla dolcezza, mentre la ricchezza è spesso accompagnata dall'arroganza.

É vero però che ci sono dei ricchi che sanno mettere i loro beni a servizio degli altri, piuttosto che valersene per il loro prestigio personale: persone che considerano loro massimo guadagno il destinare la ricchezza a migliorare le condizioni di chi si trova nelle difficoltà o nella miseria.

Ecco perché questa beatitudine è offerta agli uomini di ogni condizione: le disposizioni interiori possono essere le stesse pur nella diversità della situazione economica, perché questa disparità conta molto meno dell'affinità spirituale.

Beata la povertà che non si lascia prendere dall'amore per le cose temporali e non desidera accumulare i beni terreni, ma è attenta ai beni che le vengono da Dio.

Dopo il Signore, i primi a darci l'esempio di questa povertà aperta ai valori dello spirito sono stati gli apostoli.

Abbandonando senza calcoli tutti i loro beni alla chiamata del divino maestro, prontamente e con gioia hanno trasformato la loro esistenza e da pescatori di pesci sono diventati pescatori d'uomini.

E infatti la loro fede si è posta come modello per molti e ha suggerito la stessa conversione: nei primi tempi della Chiesa, la moltitudine dei credenti era un cuor solo e un'anima sola ( At 4,32 ).

Essi si erano spogliati di tutti i loro possedimenti, e la loro povertà tutta orientata a Dio li disponeva a ricevere in abbondanza i beni eterni.

Incoraggiati dalla predicazione degli apostoli, erano contenti di non aver nulla nel mondo e di possedere tutto in Cristo.

L'apostolo Pietro, un giorno, salendo al tempio, fu fermato da uno storpio che gli chiedeva l'elemosina: Argento e oro non ne ho - gli disse - ma ti dò quello che possiedo: in nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina! ( At 3,6 ).

Che cosa di più grande di questa umiltà, o di più ricco di questa povertà?

Pietro non ha le risorse del denaro, ma dispone dei beni naturali.

L'uomo che una madre aveva dato alla luce infermo, Pietro lo guarisce con una parola.

Non ha monete con l'effigie di Cesare, ma ha il potere di rifare in quell'uomo l'immagine di Cristo.

E la ricchezza di cui Pietro dispone non salva soltanto quest'uomo, guarito dalla sua infermità, ma anche le cinquemila persone che in seguito al discorso fatto dall'apostolo per spiegare il miracolo, credettero.

Leone Magno, Sermoni, 95,2-3

5. - Anche il povero ha avuto da Dio grandi doni

Non sei nobile né famoso, sei povero, nato da poveri, senza casa, senza patria, privo del pane quotidiano, timoroso delle autorità, da tutto angosciato per l'umiltà della tua vita?

Infatti il povero, è scritto, non sostiene la minaccia ( Pr 13,8 ).

Non disperare, per questo, di te, e se non hai ciò che in questa vita tutti desiderano, non far getto di ogni buona speranza; piuttosto solleva la tua anima alla considerazione dei beni che da Dio ti sono già stati elargiti e di quelli che, per la sua promessa, ti sono riservati per il futuro.

Anzitutto sei un uomo, l'unico, fra tutti gli animali, che Dio ha plasmato; e non ti basta a darti la gioia più alta, se ci pensi bene, il fatto che tu sei stato formato dalle mani stesse di lui, creatore di tutto?

E inoltre che tu, fatto a immagine del tuo creatore, potrai ascendere, con una vita buona, alla stessa dignità degli angeli?

Hai ricevuto un'anima intelligente, per la quale puoi applicarti alla conoscenza di Dio scrutando la natura con la ragione, e cogliere il frutto più dolce della sapienza.

Tutti gli animali della terra, sia domestici che selvatici, e tutti quelli che vivono nell'acqua o che volano in quest'aria, ti sono soggetti e ti servono.

Non sei stato tu ( uomo ) inoltre, a scoprire le arti e a costruire le città?

E non hai escogitato ciò che è necessario alla vita e alla gioia?

Non ti sei reso praticabili i mari con la ragione?

La terra e il mare non servono alla tua vita?

E l'aria e il cielo e i cori delle stelle non fanno mostra a te del loro ordine?

Perché dunque ti disanimi se non hai un cavallo col morso d'argento?

Ma hai il sole che nel suo corso velocissimo tutto il giorno per te quasi sorregge la fiaccola.

Non hai oro o argento scintillanti, ma hai la luna che con il suo svariatissimo splendore ti illumina.

Non sali su carri dorati, ma hai i piedi, veicolo tuo personale e connaturato.

Perché dunque stimi beati quelli che hanno la borsa piena ma hanno bisogno dei piedi altrui per spostarsi?

Non dormi in un letto d'avorio, ma hai la terra più preziosa di ogni avorio e godi un dolce riposo su di essa, e un sonno immediato che ti libera dalle cure.

Non giaci sotto un soffitto dorato, ma hai il cielo, rutilante per la bellezza ineffabile delle stelle.

Questi sono beni materiali, ma ne hai altri ben maggiori: per te la presenza di Dio tra gli uomini, la distribuzione dello Spirito Santo, la liberazione dalla morte, la speranza della risurrezione, i divini precetti che rendono perfetta la tua vita, l'accesso a Dio tramite l'osservanza dei comandamenti, il regno dei cieli per te preparato, la corona di giustizia pronta per chi non fugge la fatica per la virtù.

Se guardi dunque a te stesso, troverai che tutto questo e molto di più è per te; godrai di quel che possiedi e non ti perderai d'animo per ciò di cui sei privo.

Basilio il Grande, Omelia « Fa' attenzione a te stesso », 6-7

6. - L'allegoria della vite e dell'olmo

Mentre me ne andavo verso il mio campo e osservavo un olmo e una vite esaminando le due piante e i loro frutti, mi apparve il Pastore e mi chiese: « Che stai indagando sull'olmo e sulla vite? ».

« Rifletto, signore, che si adattano bene l'uno all'altra ».

« Questi due alberi - disse - sono un esempio per i servi di Dio ».

« Vorrei comprenderlo questo esempio dei due alberi, di cui tu parli ».

« Vedi quest'olmo e questa vite? ». « Sì, signore ».

« Questa vite è fruttifera, mentre l'olmo è un albero che non porta frutti; ma se la vite non si arrampica sull'olmo, non può produrre molti frutti e quel poco che produce giacendo sul terreno resta infracidito perché manca il sostegno.

Invece quando la vite sta avvinghiata all'olmo porta frutto per sé e per l'olmo.

Vedi dunque che anche quest'ultimo porta frutto non meno della vite, anzi, forse più abbondante ».

« Come, signore? Porta frutto più abbondante? ».

« Sì, perché solo se sta attaccata all'olmo la vite porta frutto abbondante e bello, mentre se giace al suolo lo dà scarso e guasto.

Questa similitudine si può applicare ad alcuni servi di Dio, cioè ai poveri e ai ricchi ».

« Spiegami in che modo, signore ».

« Ascolta. Il ricco ha certo molti beni, ma è povero davanti a Dio, preoccupato com'è delle sue ricchezze.

La sua lode, la sua preghiera a Dio è molto breve, e per di più, è povera e debole, priva di forza verso l'alto.

Quando dunque il ricco si unisce al povero e gli somministra il necessario, convinto che quanto fa per il povero ha la ricompensa da Dio ( perché il povero è ricco di lodi divine e di preghiere, e queste hanno molta forza presso Dio ), con questa fiducia e senza esitazione il ricco somministra al povero ogni cosa.

E il povero, soccorso dal ricco, prega Dio e gli rende grazie per il suo benefattore, e così il ricco si prende cura del povero, che non gli manchi nulla di necessario per la vita, perché sa che la sua orazione è accetta e preziosa agli occhi di Dio.

Ambedue così compiono il loro compito: il povero fa la preghiera, di cui è ricco ( dono che ha ricevuto dal Signore ): questa egli rende al Signore stesso, che gli ha fatto tale dono.

E similmente il ricco, senza esitazioni, dà al povero la ricchezza che ha ricevuto dal Signore; e questa è veramente un'opera grande e accetta a Dio, perché egli mostra di saper amministrare con saggezza i propri beni, e, distribuendo ai poveri i doni del Signore, adempie rettamente la sua missione.

« Dunque, sembra che l'olmo non dia frutto, a giudizio degli uomini: ma essi non sanno o non riflettono che, durante la siccità, l'olmo conserva l'umidità e dà alimento alla vite, e così la vite, non mancandole l'umore necessario, dà un frutto doppio: per sé e per l'olmo.

In tal modo i poveri, pregando il Signore per i ricchi, aggiungono ciò che manca alle ricchezze di costoro, mentre i ricchi, fornendo ai poveri il necessario, soddisfano le loro esigenze vitali.

L'uno e l'altro così partecipano a un'opera santa.

Chi agirà così non sarà abbandonato da Dio ma sarà scritto nel libro di coloro che hanno la vita.

Beati quelli che possiedono ricchezze, ma sanno di averle ricevute da Dio: chi comprende ciò, può compiere bene la sua missione ».

Erma, Il Pastore, Allegoria, 2

7. - La ricchezza e la povertà sono semplici strumenti per il bene e per il male

Se dicessimo che le ricchezze sono cattive, la bestemmia ricadrebbe sul loro elargitore; ma la ricchezza e la povertà sono state proposte agli uomini dal Creatore come materia, come strumenti, tramite i quali gli uomini, quali artefici, plasmano il simulacro della virtù o scolpiscono la statua del vizio.

Ma con le ricchezze a stento qualcuno riesce a scolpire artisticamente qualche membro appena della virtù, mentre con la povertà a tutti è possibile plasmarla completamente.

Non disprezziamo dunque la povertà, madre della virtù; e non biasimiamo la ricchezza, ma accusiamo coloro che ne fanno un uso sconveniente.

Anche il ferro è stato dato agli uomini per edificare case, coltivare la terra, costruire navi e facilitare le altre attività necessarie alla vita umana; ma quelli che infieriscono l'uno contro l'altro fanno sì che esso non serva solo agli usi necessari, dato che per suo mezzo si danno l'un l'altro la morte.

Non per questo però accusiamo il ferro, bensì la malvagità di coloro che l'usano male.

Così il vino è stato dato agli uomini per la gioia del cuore, non per oscurargli la mente; ma coloro che si abbandonano all'intemperanza e si danno all'ubriachezza, rendono padre di demenza questo genitore di gioia.

Noi tuttavia, giudicando rettamente, chiamiamo alcolizzati, ubriaconi e abbietti quelli che fanno uso cattivo di questo dono divino, mentre ammiriamo il vino come dono di Dio.

Allo stesso modo giudichiamo, dunque, le ricchezze e coloro che ne usano: quelle preserviamole da ogni accusa, questi, se le amministrano con giustizia, incoroniamoli con le lodi più belle; se invece, invertendo il retto ordine, essi mostrano di essere schiavi del denaro compiendo tutto ciò che esso pretende, eseguendone ogni comando perverso, lanciamo contro di loro l'accusa di malvagità; essi, essendo stati eletti come padroni, hanno rovinato la loro autorità e hanno mutato il potere in schiavitù.

Teodoreto di Ciro, La provvidenza divina, 6

8. - Significato spirituale delle parole del Signore: « Vendi ciò che hai »

Vendi ciò che hai ( Mt 19,21 ). Che significa?

Non quello che alcuni ammettono così a prima vista, che cioè il Signore ci comandi di far getto dei beni posseduti e di rinunciare alle ricchezze; ci comanda piuttosto di bandire dall'anima i pensieri usuali sulla ricchezza, la passione morbosa verso di essa, le preoccupazioni, le spine dell'esistenza che soffocano il seme della vita.

Non è infatti nulla di grande e di desiderabile l'essere privi di ricchezze ma non per lo scopo di raggiungere la vita eterna: altrimenti i miserabili che non hanno nulla, che sono privi di ogni mezzo, che mendicano ogni giorno il sostentamento, gli accattoni che giacciono per le vie e che pur non conoscono Dio e la giustizia di Dio, solo perché sono tanto poveri e non sanno procacciarsi da vivere e sono privi anche del minimo necessario, dovrebbero essere i più beati e amati da Dio e i soli atti a possedere la vita.

Non è una novità rinunciare alle ricchezze ed elargirle ai poveri e ai mendichi: molti l'hanno fatto, prima che il Salvatore scendesse quaggiù: alcuni per aver tempo di dedicarsi agli studi e alla sapienza morta, altri per una fama vuota e una gloria vana: gli Anassagora, i Democrito, i Cratete.

Cos'è dunque la novità, da lui annunciata come qualcosa propria di Dio, che sola vivifica e che non salvò gli antichi?

Cos'è la rarità, cos'è la « nuova creazione », che il Figlio di Dio proclama e insegna?

Non qualcosa di manifesto o che altri hanno già fatto egli ci prescrive, ma qualcosa d'altro, più grande, più divino e più perfetto, che da quella viene simboleggiato: liberare l'anima e la sua intima disposizione dalle passioni, e rescindere ed estirpare dalla radice ciò che è estraneo alla ragione.

É questa la scienza propria dell'uomo di fede, è questo l'insegnamento degno del Salvatore.

Quegli antichi disprezzarono le cose esteriori, rinunciarono ai loro beni e li distribuirono, ma sono convinto che alimentarono così le passioni dell'anima.

Crebbero nella superbia, nella millanteria, nella vanagloria, e nel disprezzo degli altri uomini, come se avessero compiuto qualcosa di sovrumano.

E come potrebbe il Salvatore comandare a coloro che vivranno in eterno ciò che è di danno e di rovina per la vita che egli promette?

Inoltre è possibile anche questo: che uno deponga il peso dei propri possessi e tuttavia porti radicata e vivida in sé la brama e l'anelito alle ricchezze; ed è possibile anche che uno ne abbia perso l'uso, ma per la privazione e il desiderio di ciò che ha sperperato sia tormentato da una duplice sofferenza: la mancanza del necessario e il pentimento di ciò che ha fatto.

É impossibile, è impensabile, infatti, che chi manca del necessario per la vita, non abbia l'animo tutto agitato e continuamente stimolato dalla continua ricerca di una situazione migliore: in che modo e dove se la possa procurare.

Ma quanto meglio è il contrario: che uno possegga il necessario, e così non debba soffrire lui e abbia da elargire agli altri ciò che conviene.

Che possibilità ci sarebbe di beneficare il prossimo, se tutti non possedessero nulla?

E come si potrebbe negare che questa dottrina non sia in netto contrasto con molti altri ottimi insegnamenti del Signore?

Fatevi degli amici con il mammona di iniquità, affinché quando giungerete alla fine, vi accolgano nelle tende eterne ( Lc 16,9 ).

Preparatevi tesori in cielo, dove né la ruggine, né la tignola distruggono, né i ladri scavano ( Mt 6,20 ).

E come si potrebbe dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi e accogliere i pellegrini - e a quelli che non fanno ciò viene minacciato il fuoco e le tenebre esteriori -, se prima non si possedesse tutto questo?

Anzi, egli stesso comanda di accoglierlo come ospite a Zaccheo e a Matteo, che pure erano ricchi e pubblicani; e non comanda loro di rinunciare alle ricchezze, ma, dopo aver suggerito il retto uso e vietato quello ingiusto, soggiunge: Oggi si è compiuta la salvezza per questa casa, perché anch'egli è figlio di Abramo ( Lc 19,9 ).

Loda dunque l'uso delle ricchezze, imponendo però di comunicarle agli altri: dar da bere a chi ha sete, dar del pane a chi ha fame, accogliere lo straniero e vestire l'ignudo.

Ora, nessuno può compiere questi uffici senza le ricchezze; eppure il Signore ci comanda di rinunciarvi.

Che altro fa dunque se non imporre di dare e non dare, di nutrire e non nutrire, di accogliere e non accogliere, di comunicare agli altri e non comunicare? Ma ciò è assolutamente contraddittorio.

Non si hanno perciò da rigettare le ricchezze che devono servire a vantaggio del prossimo; sono possessi perché la loro caratteristica è di essere possedute e sono dette beni perché servono al bene, e sono state preparate da Dio per i bisogni degli uomini.

Esse dunque sono presenti, sono a portata, come materia, come strumento per servire a un buon uso a chi bene le conosce.

Se ne usi con intelligenza, lo strumento è intelligente; ma se manchi di intelligenza, partecipa alla tua mancanza di intelligenza, pur non avendone colpa.

Un tale strumento, dunque, sono le ricchezze.

Ne puoi usare con giustizia: ti sono ministre di giustizia.

Qualcuno ne usa ingiustamente? Scopriamo che sono ministre di ingiustizia.

La loro natura è di servire, non di comandare.

Non dobbiamo dunque rimproverare loro di non avere in sé né il bene né il male e di essere fuori causa; bensì dobbiamo rimproverare chi può usarne o bene o male come gli pare, cioè la mente e il giudizio umano, che è libero in sé e padrone di usare delle cose a lui concesse.

Nessuno cerchi dunque di distruggere la ricchezza, ma le passioni dell'anima, che non permettono l'uso migliore dei beni, non lasciano che l'uomo sia veramente virtuoso e capace di usare rettamente della ricchezza.

L'ordine dunque di rinunciare ai nostri beni e di vendere ciò che si possiede lo si deve intendere in questo modo: è stato impartito contro le passioni dell'animo.

Io poi aggiungerei anche questo: dato che le ricchezze sono esterne all'anima e le passioni le sono interne - e dato che se l'anima ne usa bene si mostra buona, se invece male, cattiva -, colui che ci comanda di rinunciare a ciò che abbiamo, ci fa rinunciare alle ricchezze, con la cui distruzione pur restano le passioni, o piuttosto alle passioni, con la cui sparizione le ricchezze diventano veramente utili?

Ora, chi ha rinunciato alla ricchezza mondana può essere ancora ricco di passioni, per quanto non abbia più la materia per realizzarle; giacché l'inclinazione alla ricchezza compie la sua opera, preme e infiamma la mente con le sue brame abituali.

Nulla dunque gli è giovato che da ricco si sia fatto povero, perché è ricco di passioni.

Non ha rigettato ciò che doveva gettare, ma qualcosa di indifferente; si è privato di ciò che poteva servirgli ma, proprio per la mancanza di beni esteriori, ha dato fuoco alla materia innata della malvagità.

Si deve dunque rinunciare a ciò che abbiamo di veramente dannoso e non a ciò che può essere anche utile, se si sa rettamente usare.

Ed è utile ciò che si usa con intelligenza, con saggezza e con pietà.

Si allontani dunque ciò che è nocivo; ma ciò che è esterno non fa danno.

Così il Signore stabilisce l'uso delle cose esteriori, comandando di rinunciare non alle cose necessarie per la vita, ma a ciò per cui di esse si usa male: cioè le malattie e le passioni dell'anima.

L'abbondanza di passioni, quando vi è, porta a tutti la morte; quando invece svanisce, porta la salvezza; da essa bisogna mondare l'anima, cioè renderla libera e povera, e poi ascoltare il Salvatore che dice: Vieni, seguimi! ( Mc 10,21 ).

Allora egli stesso diventa la via per chi è puro di cuore; nell'anima impura, invece, non penetra la grazia di Dio.

Ed è impura l'anima ricca di passioni, gravida di molti amori mondani.

Ma chi ha possedimenti, oro, argento e case, e li ha come doni di Dio e serve con essi Dio, che glieli ha elargiti, per la salvezza degli uomini; e sa di possederli più a pro dei fratelli che per sé; ed è superiore a ciò che ha; e non è servo di ciò che possiede; e non lo porta sempre il cuore e non ne fa il termine e il limite della propria vita, ma si applica continuamente a qualche opera buona, divina; e, se è necessitato, sa spogliarsene, sa sostenerne con animo lieto anche la perdita, proprio come l'abbondanza: un uomo simile viene definito beato dal Signore, viene proclamato povero di spirito ( Mt 5,3 ), degno di ereditare il regno dei cieli.

Non certo chi non sa vivere se non da ricco.

Clemente Alessandrino, Qual è il ricco che si salverà?, 11-16

9. - Anche il ricco può entrare nel regno di Dio

I primi saranno ultimi, e gli ultimi primi ( Mc 10,31 ).

É un detto molteplice per sensi e interpretazioni, ma non richiede spiegazione al momento.

Si riferisce infatti non solo ai possidenti, ma semplicemente a tutti gli uomini che hanno aderito alla fede.

Ma per ora soprassediamo; per l'argomento che ci siamo proposti credo non ci sia bisogno se non mostrare questo: il Salvatore, ai ricchi, proprio per la loro ricchezza e l'abbondanza di possedimenti, non ha affatto precluso né sbarrato la salvezza purché siano atti e pronti ad assoggettarsi ai comandamenti di Dio, a stimare la loro vita più dei beni presenti e con occhi fissi guardino il Signore, proprio come si guarda un buon nocchiero, per vedere ciò che vuole, ciò che comanda, quale cenno, quale segno convenuto dia ai suoi marinai, dove e in qual punto stabilisca di andare a porre l'àncora.

Che colpa ha chi con l'attenzione e la parsimonia prima di accettare la fede ha raccolto mezzi sufficienti per la vita?

E non è ancor meno colpevole chi subito, fin da quando ebbe da Dio l'anima, fu da lui posto nella casa di possidenti, in una famiglia benestante, potente cioè per mezzi, superiore per ricchezze?

Piuttosto, se qualcuno, ricco per nascita e non per propria elezione, fosse escluso dalla vita, soffrirebbe ingiustizie da Dio che l'ha fatto nascere: sarebbe stato coronato di benessere terreno, ma privato della vita eterna.

E perché dunque la ricchezza avrebbe dovuto pullulare dalla terra se è autrice e distributrice di morte?

Se qualcuno ben provvisto di beni è capace di piegare la propria arroganza, sa essere misurato e sobrio, ricercare Dio solo, a Dio aspirare, con Dio vivere, costui è povero per la legge, è libero, invincibile, sano, non è ferito dalle ricchezze.

Ma se non è così, allora è più facile che un cammello entri per la cruna di un ago che un ricco raggiunga il regno di Dio ( Mc 10,25 ) …

Imparino dunque i benestanti che non devono trascurare la propria salvezza, come se già fossero condannati, e che d'altra parte non devono gettarla a mare né giudicarla come insidiatrice e nemica della vita; ma che devono apprendere in che modo e come si deve usare la ricchezza per procurarsi la vita.

Clemente Alessandrino, Qual è il ricco che si salverà?, 26-27,1

10. - Usare bene delle ricchezze non è biasimevole

La ricchezza, l'oro e l'argento non sono del diavolo, come credono alcuni, infatti dell'uomo di fede è tutto il mondo delle ricchezze, di chi non ha fede, invece, neppure un soldino ( Pr 17,6: LXX ).

Dio poi dice chiaramente per mezzo del profeta: Mio è l'oro e mio l'argento, e a chi voglio lo dono ( Ag 2,9; Lc 4,6 ).

Usane dunque bene, e il denaro non è da biasimare; ma quando tu usi male ciò che è bene, e non vuoi che sia biasimata la tua condotta, rivolgi empiamente il biasimo contro il Creatore.

É possibile che qualcuno sia giusto proprio per le ricchezze: Ebbi fame e mi deste da mangiare ( Mt 25,35 ), certamente usando il denaro; Ero nudo e mi copriste ( Mt 25,36 ), evidentemente col denaro.

Vuoi sapere in che modo le ricchezze possono diventare la porta del regno dei cieli?

Vendi ciò che hai, è detto, e dallo ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli ( Mt 19,21 ).

Dico queste cose contro gli eretici che condannano le ricchezze, i possessi e i corpi.

Non voglio dunque che tu sia servo delle ricchezze, ma neppure che le consideri come nemiche, perché ti sono state date da Dio per il tuo servizio.

Non dire dunque mai che le ricchezze sono del diavolo.

Cirillo di Gerusalemme, Catechesi battesimale, 8,6-7

11. - L'avarizia è male, non il denaro

Sebbene l'abbondanza delle ricchezze rechi con sé molte sollecitazioni al male, si trovano tuttavia in esse anche inviti alla virtù.

Ma senza dubbio la virtù non ha bisogno di sussidi, e l'offerta del povero è certamente più degna di lode che la generosità del ricco.

Comunque, coloro che vengono condannati dall'autorità della sentenza di Cristo, non sono coloro che possiedono le ricchezze, ma coloro che non sanno usarle bene.

Infatti, come il povero è più degno di lode quando dona di buon animo e non si lascia fermare dalla minaccia della miseria, poiché non si ritiene povero se ha quello che basta alla sua condizione, così tanto più degno di rimprovero è il ricco che dovrebbe, almeno, rendere grazie a Dio di tutto quello che ha ricevuto, non tenere nascosto e inutilizzato quanto ha avuto per l'utilità di tutti, e non covare i suoi tesori seppellendoli sotto terra.

Non è dunque la ricchezza che è condannata, ma l'attaccamento ad essa.

Ebbene, quantunque l'avaro per tutta la vita faccia la guardia inquieta, un gravoso servizio di sentinella - pena questa che non trova l'eguale -, per conservare, in un continuo e angoscioso timore di perderlo, ciò che servirà ai piaceri degli eredi, tuttavia, dato che le preoccupazioni dell'avarizia e il desiderio di ammassare si nutrono di una sorta di vana felicità, chi ha avuto la sua consolazione in questa vita presente, ha perduto la ricompensa eterna.

Ambrogio, Commento al Vangelo di san Luca, 5,69

12. - Posizione del cristiano di fronte al possesso

Il Pastore mi disse: « Voi, servi di Dio, sapete bene che vivete in esilio, e che la vostra città è lontana da questa in cui ora vi trovate.

Se dunque conoscete la vostra città, quella in cui dovrete un giorno abitare, perché vi procurate qui campi, costruzioni sontuose, case e dimore superflue?

Chi si procura tutto ciò per la presente città, mostra di non pensare a un ritorno in patria.

Stolto, indeciso, infelice uomo! Non sai che tutte queste cose sono altrui, sono soggette al potere straniero?

L'autorità di questa città può dirti: Non voglio che tu continui ad abitare nella nostra città: allontanatene, perché tu non sei soggetto alla nostra legge.

Tu dunque, che qui possiedi campi, case e altri beni, quando verrai cacciato, che te ne farai del campo, della casa, dei beni che ti sei procurato?

Ed è giusto che l'autorità di questo paese ti dica: O osservi le nostre leggi o esci dal nostro paese!

Tu dunque, suddito della tua patria legge, che farai?

Per amore dei tuoi campi, delle tue sostanze, rinuncerai alla tua cittadinanza e ti farai suddito della legge di questa città?

Guarda che è pericolosa questa rinuncia, perché se poi vorrai tornare nella tua città non ne sarai accolto, anzi, ne sarai cacciato, per aver rinunciato ai diritti civili.

Attento perciò! Abiti in terra straniera: non procacciarti nulla più di quello che ti basta.

Inoltre, sta' pronto - nel caso che l'autorità di questa città ti voglia espellere per inosservanza della sua legge - a partire e a tornare alla tua città e assoggettarti, senza ostilità, alla sua legge, esultandone di gioia.

« Attenti voi che servite il Signore e lo avete nel vostro cuore! Compite le opere di Dio memori dei suoi comandamenti e delle promesse che ci ha fatte.

Abbiate fiducia! Egli manterrà le promesse se voi osservate la sua legge; invece di acquistar campi, liberate anime oppresse nella misura che ciascuno può; soccorrete le vedove e gli orfani, non dimenticatevi di loro; investite in questi campi e in queste case tutte le vostre ricchezze e i vostri beni ricevuti da Dio.

Per questo infatti il Padrone vi ha voluto ricchi, perché prestiate a lui questo servizio.

É molto saggio l'acquisto di questi campi, di questi possedimenti, di queste case, che tu ritroverai nella tua città quando vi ritornerai.

Quest'investimento è bello e santo; non dà preoccupazioni o timori, ma è pieno di serenità e letizia.

Non fate l'investimento che fanno i pagani: è funesto per voi, servi di Dio.

Fate l'investimento vostro caratteristico che vi dona tanta sicurezza.

Non usate frodi né toccate beni altrui, anzi, non desiderateli neppure, perché è male desiderare la roba d'altri.

Compi il tuo dovere, e sarai salvo ».

Erma, Il Pastore, Allegoria 1

13. - I giudizi di Dio

Lazzaro, il mendico, giace pieno di piaghe davanti alla porta del ricco.

In questo fatto Dio ha attuato due suoi giudizi.

Il ricco avrebbe avuto forse qualche scusa se Lazzaro, povero e ulceroso, non fosse giaciuto davanti alla sua porta, se fosse stato lontano, se la sua miseria non gli fosse stata continuamente sotto gli occhi.

Viceversa, se il ricco fosse stato lontano dal povero, questi avrebbe dovuto tollerare nell'animo una tentazione minore.

Ma Dio pose il povero piagato precisamente davanti alla porta del ricco sfondato: con questo unico e identico fatto, aumentò, per la visione del povero, il cumulo dei castighi del ricco crudele, e mise alla prova ogni giorno il povero con la visione del ricco.

Pensate quante tentazioni dovette sopportare nel proprio animo questo povero, ricoperto di piaghe, mentre, bisognoso di cibo, non aveva neppure la salute e vedeva davanti a sé il ricco scoppiare di benessere, tutto immerso nei piaceri!

Vedeva se stesso tormentato dal dolore e dal freddo, l'altro gioire, vestito di bisso e di porpora; si vedeva oppresso dalle piaghe, e vedeva l'altro abbondare di ogni bene; vedeva sé tanto bisognoso, e l'altro tanto egoista.

Quale tumulto di tentazioni, fratelli miei, si agitava nel cuore del povero!

Egli sarebbe stato afflitto abbastanza dalla povertà, anche se fosse stato sano; e sarebbe stato afflitto abbastanza dalla malattia anche se avesse avuto i mezzi necessari.

Ma affinché il povero fosse messo alla prova, lo oppressero insieme la povertà e la malattia.

E per di più vedeva il ricco procedere accompagnato da amici e servitori, mentre nella sua malattia e nel suo bisogno nessuno lo visitava.

Che nessuno gli fosse vicino, infatti, lo attestano i cani, che leccavano liberamente le sue ferite.

Con un solo fatto, dunque, Dio onnipotente mostrò due suoi giudizi: permise che il povero Lazzaro giacesse davanti alla porta del ricco, e così l'empio ricco aumentasse la propria condanna, mentre il povero tentato aumentasse la propria ricompensa.

Quegli vedeva ogni giorno colui di cui non aveva pietà, questi vedeva ogni giorno colui che era per lui occasione di prova.

Due cuori quaggiù, e lassù uno che guardava: ne preparava uno alla gloria esercitandolo nella tentazione e aspettava di punire l'altro, tollerandone l'iniquità.

Il Vangelo continua: E avvenne che il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo.

Morì anche il ricco e fu sepolto nell'inferno ( Lc 16,22 ).

Ed ecco che questo ricco, in preda al tormento, cerca quale avvocato colui di cui in questa vita non aveva avuto pietà.

Infatti il Vangelo soggiunge: Ed elevando gli occhi mentre era tra i tormenti, vide da lontano Abramo e Lazzaro nel suo seno.

E gridando disse: « Padre Abramo, abbi pietà di me, e manda Lazzaro a bagnar la punta del dito nell'acqua per rinfrescarmi la lingua, perché io spasimo in questa fiamma! » ( Lc 16,23-24 ).

Come sono altissimi i giudizi di Dio!

Come è severa e precisa la ricompensa delle azioni buone e di quelle cattive!

Sopra è stato detto che in questa vita Lazzaro bramava le briciole di pane che cadevano dalla mensa del ricco, e nessuno gliele dava; ora si dice che il ricco, nel suo tormento, brama che Lazzaro gli faccia cadere dalla punta del dito una goccia d'acqua in bocca.

Da qui, o fratelli, da qui comprendete quanto sia rigido il giudizio di Dio!

Questo ricco che non volle dare neppure i minimi avanzi della sua mensa al povero piagato, ora nell'inferno giunge a chiedere il minimo: chiede infatti una goccia d'acqua colui che negò una briciola di pane.

Ma con grande timore si deve soppesare ciò che dice la risposta di Abramo: Figliolo, ricordati che tu avesti i beni in vita, mentre Lazzaro ebbe dei mali. Quindi ora lui è consolato e tu soffri ( Lc 16,25 ).

Davanti a queste parole, fratelli miei, c'è bisogno più di timore che di commento.

Forse fra i presenti ve ne sono alcuni che hanno ricevuto dei beni esteriori a questo mondo.

Dovete aver timore, dovrei dire, dello stesso dono esteriore, che non vi sia stato dato in ricompensa per le vostre buone azioni e il giudice, che vi ha ricompensato quaggiù, vi allontani dalla mercede del bene interiore, che cioè l'onore e le ricchezze siano non aiuto alla virtù, ma ricompensa della fatica. Infatti con le parole: « Avesti i beni in vita » si indica che nel ricco vi fu qualcosa di buono, per cui ne ebbe i beni di questa vita.

Dicendo invece che Lazzaro ebbe dei mali, si mostra chiaramente che in lui vi fu qualcosa di male da purgare.

Ma il male di Lazzaro fu purificato dal fuoco della miseria, mentre il bene del ricco fu ricompensato con la felicità di questa vita passeggera.

Quello fu afflitto e mondato con la povertà, questi ricompensato e scacciato per l'abbondanza.

Voi tutti, dunque, che in questo mondo avete dei beni, se vi ricordate di aver compiuto del bene, abbiate il timore che questa prosperità a voi concessa non ne sia la ricompensa.

E se vedete che tutti i poveri commettono delle azioni degne di riprensione, non disprezzateli.

Non disperate di loro, perché forse la fornace della povertà sta purificando in loro ogni traccia di pravità.

Abbiate timore di voi, invece, che pur avendo compiuto qualche azione cattiva, ne è seguita una vita prospera.

Per ciò che riguarda i poveri, pensate che la loro povertà, quale maestra severa, ne tormenta la vita per farli giungere alla rettitudine.

Gregorio Magno, Omelia per la III domenica di quaresima

14. - Ricchezza esteriore e povertà interiore

Dio vuole un culto disinteressato, un amore gratuito, cioè un amore puro.

Non vuole essere amato perché dà qualcosa diverso da sé, ma perché dà se medesimo.

Chi invoca Dio per diventare ricco, non invoca Dio; invoca ciò che desidera venga a lui.

Che cosa significa, infatti « invocare », se non chiamare verso di sé?

Chiamare a sé, questo è invocare.

Quando dici: « Dio, dammi le ricchezze », non vuoi che venga a te Dio; vuoi che vengano a te le ricchezze.

Tu invochi quello che vuoi venga a te.

E se davvero tu invocassi Dio, egli verrebbe a te e sarebbe la tua ricchezza.

Ma tu in realtà preferisci avere la cassaforte piena e vuota la coscienza, mentre Dio riempie i cuori, non i forzieri.

A che ti servono le ricchezze esteriori, se ti urge internamente la miseria?

Agostino, Esposizioni sui Salmi, 53,8

15. - L'amore per il denaro è peggiore dell'amore carnale

La costumatezza non consiste solo nell'astenersi dall'impudicizia, ma nell'essere puro anche dalle altre passioni.

Pertanto, anche chi ama il denaro non è costumato.

Come infatti l'impudico ama i corpi, così l'avido ama la ricchezza; anzi, questi è ancor più scostumato, perché è minore la forza che lo trascina.

Così viene detto incapace non l'auriga che non riesce a dominare un cavallo impetuoso e sfrenato, ma quello che non riesce ad assoggettarne uno estremamente mansueto.

« E che? », si dirà, « l'amore per il denaro è da meno dell'amore carnale? ».

É chiaro a tutti, e lo si può dimostrare con molte ragioni: anzitutto, perché il desiderio sessuale sorge in noi per necessità; e ciò che sorge per necessità si può correggere evidentemente, solo con molta fatica: è radicato nella natura.

In secondo luogo, perché gli antichi non fanno gran conto del denaro, gran conto invece fanno delle donne per la loro pudicizia; e se uno vive con la moglie secondo la legge fino alla vecchiaia, nessuno mai lo biasima; invece tutti biasimano chi non fa altro che ammassare ricchezze.

Molti filosofi estranei [ al cristianesimo ] disprezzarono il denaro, nessuno le donne: questo amore è dunque più tirannico.

Ma dato che parliamo per la Chiesa, non portiamo esempi di gente estranea, bensì quelli della Scrittura.

Questo uomo beato [ Paolo ] lo ritiene quasi un precetto, dicendo: Se abbiamo cibo e vestito, siamone contenti ( 1 Tm 6,8 ); e riguardo alle mogli: Non negatevi l'un l'altro se non di comune accordo, e poi ritornate ancora insieme ( 1 Cor 7,5 ).

Spesso puoi notare che impartisce disposizioni sui rapporti coniugali: permette che si goda di questo piacere, e ammette le seconde nozze; dà grande importanza a questa faccenda e non castiga mai per questo motivo.

Paolo invece condanna ovunque chi è cupido di danaro.

Anche Cristo ha impartito molte disposizioni riguardo alle ricchezze, per farci fuggire questa peste; non così invece circa l'astensione dalla donna.

Ascolta ciò che dice del denaro: Se uno non rinuncia a tutto ciò che possiede … ( Lc 14,33 ); e in nessun luogo dice: « Se qualcuno non rinuncia alla donna »; sapeva quanto ciò sarebbe stato oppressivo.

E il nostro beato [ Paolo ] dice: É onorata l'unione matrimoniale, il letto immacolato ( Eb 13,4 ).

Mai invece dichiara onorata la preoccupazione di ammassare ricchezze; al contrario scrive a Timoteo: Ma quelli che vogliono arricchirsi cadono in una tentazione, in un laccio e in molte bramosie inutili e dannose ( 1 Tm 6,9 ).

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera a Tito, 5,2

16. - Contro l'usuraio che presta denaro

Il Signore ci ha dato una chiara disposizione quando disse: A chi vuole da te un prestito, non voltare le spalle ( Mt 5,42 ).

Ma l'avaro, quando vede un uomo che per il bisogno gli si getta in ginocchio, lo supplica - e a quale abiezione non si assoggetta con le opere e con le parole! - non ha pietà di chi soffre senza colpa, non ne considera la comune natura, non si lascia smuovere dalle preghiere, ma resta inflessibile e implacabile: non cede alle suppliche, non si piega alle lacrime, ma persiste nel diniego.

Giurando e augurandosi del male, afferma di non avere assolutamente denaro, anzi di andare in cerca egli stesso di chi gliene presti, e sforzandosi di rendere credibile la sua menzogna coi giuramenti, si guadagna così lo spergiuro, quale funesta aggiunta alla sua disumanità.

Ma non appena colui che chiede il prestito menziona gli interessi e parla di pegni, allora solleva le ciglia, sorride e forse ricorda addirittura l'amicizia tra i loro padri, chiamandolo compagno e amico: « Guarderemo - gli dice - se mai abbiamo da parte un po' di denaro.

In effetti, c'è un deposito di un amico: ce l'ha affidato a interesse.

Egli però ha stabilito un tasso gravoso, ma noi ti condoneremo certamente qualcosa e te lo daremo a un tasso minore ».

Con questa messa in scena, con tali parole blandisce e alletta il misero, e, dopo averlo legato con un contratto scritto, se ne va, privandolo, pur nella sua gravosa indigenza, anche della libertà.

Assoggettandosi infatti all'obbligo di interessi che non è in grado di pagare, ha accettato una schiavitù volontaria per tutta la vita.

Ma dimmi: cerchi danaro e guadagno dal povero?

Se avesse potuto renderti più ricco, avrebbe forse battuto alla tua porta?

É venuto per trovare aiuto, ha trovato un nemico.

Ha cercato un rimedio, ha incappato nel veleno.

Sarebbe stato tuo dovere alleviare la miseria di quell'uomo, e tu invece ne aumenti l'indigenza, cercando di ricavare tutto il possibile dalla miseria.

Come se un medico, recandosi dagli ammalati, invece di guarirli, togliesse loro anche quel poco di forza vitale che resta: così tu fai della sventura dei miseri un'occasione di guadagno.

E come gli agricoltori bramano la pioggia perché si moltiplichino le sementi, così tu desideri il bisogno e la miseria degli uomini, perché il denaro ti sia più produttivo.

Non sai che rendi tanto maggiore la massa dei tuoi peccati, quanto più pensi di aumentare la tua ricchezza per mezzo dell'usura?

Basilio il Grande, Omelia contro gli usurai, 1

17. - Degna fine di un usuraio

Vi era un uomo in questa città ( non ne dico il nome, perché mi guardo di tirarlo per nome sulla scena, essendo egli morto ), il cui mestiere era prestare danaro e guadagnare gli interessi della detestabile usura.

Dominato da questa passione dell'avarizia, era tirchio anche nelle proprie spese, come fanno gli avari: non poneva cibi sufficienti sulla sua tavola, non mutava abito regolarmente o secondo la necessità, non dava ai figli il necessario per vivere, e non andava al bagno, perché aveva paura di pagare i tre oboli.

Di una cosa sola era sempre preoccupato: come aumentare il numero delle sue ricchezze.

E non riteneva nessuno custode fidato della sua borsa: né figlio né servo né banchiere né chiave né sigillo: perciò nascondeva il suo denaro in buchi nella parete, che ricopriva esteriormente di malta, e teneva il suo tesoro nascosto a tutti, trasferendolo incessantemente da luogo a luogo e da parete a parete, pensando con questo mezzo ingegnoso di celarlo a tutti.

All'improvviso decedette da questa vita senza aver detto a nessuno dei familiari dove l'oro fosse sepolto.

E fu sepolto anche lui e guadagnò solo di venire nascosto sotto terra.

I suoi figli, sperando di diventare per tanta ricchezza i più illustri nella città, cercarono ovunque, chiesero a tutti, esaminarono gli schiavi, scavarono i pavimenti delle case, ispezionarono le pareti, si introdussero spesso nelle abitazioni dei parenti e dei vicini, smossero ogni pietra, come si dice, ma non trovarono neppure un soldo.

Ora vivono senza casa, senza eredità, nella miseria, e ogni giorno accumulano maledizioni sulla stoltezza del padre.

Era questo un vostro amico, un vostro compagno, o usurai!

Ebbe una fine degna dei suoi costumi, un miserabile sensale, tormentato dal dolore e dalla fame.

Ammucchiò in eredità per se stesso la pena eterna, e per i suoi figli la povertà.

Gregorio di Nissa, Contro gli usurai

18. - Scomunica contro quelli che si impossessano dei beni dei profughi

In tempo di calamità, quando gli uomini erano in lutto e quando alcuni erano stati fatti prigionieri e altri si erano fatti schiavi per i propri cari o per la rovina dei loro beni, dei tali ebbero il coraggio di considerare quel tempo occasione di guadagno: un comportamento empio, da uomini invisi a Dio, anzi, addirittura odiati da Dio, che superò ogni misura.

Perciò ci parve bene di bandire costoro, cioè di scacciarli pubblicamente dalla Chiesa e separarli dalla moltitudine dei fedeli; e questo perché non venisse su noi tutti, per causa loro, l'ira di Dio; e soprattutto sui superiori, se non investigassero né si curassero di tali fatti …

Non avvenne forse che quando Acar, figlio di Zara, peccò contro ciò che era stato consacrato a Dio, l'ira divina scese su tutta la comunità d'Israele?

Lui solo peccò, ma non fu il solo a morire nel suo peccato.

E noi dobbiamo considerare sacro a Dio quello che non è nostro, ma altrui, e che pur potrebbe esserci utile in questo tempo.

Ciò che prese Acar era bottino; e anche ciò che presero quelli era bottino; Acar si impossessò di beni dei nemici, questi invece di beni dei fratelli, procacciandosi un lucro rovinoso …

Nessuno inganni se stesso, come se si trattasse di cose trovate: neppure con ciò che si trova è lecito arricchirsi.

Dice infatti il Deuteronomio: Se vedi smarriti sulla via il vitello o la pecora del tuo fratello, non devi scansarli, ma restituirli subito al tuo fratello.

Che se il tuo fratello non sta vicino a te e non lo conosci, accoglierai gli animali in casa tua e staranno presso di te finché il tuo fratello non venga a cercarli, e allora glieli restituirai; così pure farai col suo asino, e così farai col suo mantello; così farai insomma con qualunque oggetto smarrito dal tuo fratello e da te ritrovato ( Dt 22,1-3 ).

Così il Deuteronomio. Nell'Esodo poi non solo se si trova l'animale del fratello, ma anche del nemico: Restituiscilo, è detto, e rimenalo a casa del suo padrone ( Es 23,4 ).

Se dunque non è lecito trarre guadagno dalle cose del proprio fratello o del proprio nemico, il quale, in pace, conduce una vita serena e di quelle non se ne dà cura, quanto più non lo è delle cose di chi è colpito dalla sventura, di chi fugge il nemico ed è costretto ad abbandonare tutto!

Gregorio il Taumaturgo, Lettera canonica, 2-4

19. - « Non attaccare il cuore alle ricchezze! »

Vedi solo l'oro, pensi solo all'oro; è il tuo sogno quando dormi, è la tua occupazione quando sei sveglio.

Come chi vaneggia non vede oggetti reali, ma il frutto delle sue passioni, così la tua anima, ossessa dal demone dell'oro, vede solo e ovunque oro e argento.

Preferisci veder l'oro che il sole; vorresti che tutto si tramutasse in oro, e ogni tuo pensiero, e ogni tuo affetto è orientato ad esso.

Cosa non escogiti e non intraprendi per l'oro?

Il frumento diventa per te oro, il vino si trasforma in oro, la lana la muti in oro; ogni occupazione, ogni affare ti procura oro.

L'oro produce se stesso, perché si accresce con l'usura.

Eppure non sarai mai sazio e le tue brame non cesseranno mai.

Ai bambini golosi ordiniamo spesso di non saziarsi con le loro leccornie, perché l'uso smoderato non rechi loro la nausea.

Ma per chi è avido di ricchezze ciò non avviene mai: più ne riceve, più ne brama.

Se la ricchezza affluisce, non attaccarci il cuore ( Sal 62,11 ).

Tu invece imprigioni questo flusso, e sbarri le uscite.

Esso diventa come il mare, che fa poi?

Fracassa gli sbarramenti e, pieno da traboccare, distrugge i granai del ricco, ne abbatte al suolo i magazzini.

Egli ne costruirà di più grandi? Non è certo neppure che egli non debba lasciarne i resti abbattuti al suo erede; presto infatti può essere rapito, prima ancora che i nuovi granai siano costruiti, secondo i suoi avidi progetti.

Il ricco ha trovato la fine che corrisponde al suo animo perverso.

Ma voi, se mi seguite, aprirete tutte le porte dei vostri magazzini e baderete che la ricchezza ne esca il più possibile.

Un gran fiume si riversa, in mille canali, sul terreno fertile: così per mille vie tu fa' giungere la ricchezza nelle abitazioni dei poveri.

Come una fontana dà acqua sempre più pura se da essa si attinge, mentre l'acqua imputridisce se non la si usa, così è la ricchezza che giace inutile; ma se si muove e corre, diventa fruttuosa, utile alla comunità.

Che lode a te si innalza da parte di quelli che soccorri, una lode che tu neppure sospetti!

E che lode avrai dal giusto giudice, di cui non puoi dubitare!

Basilio il Grande, Omelia contro l'avidità, 4-5

EMP X-1. - Non accumulare tesori per se stessi

Sta' ben attento che a te non capiti la stessa fine del ricco stolto.

Questa parabola è stata scritta perché cerchiamo di non diventare simili a lui.

Prendi esempio, uomo, dalla terra e, come lei, porta il tuo frutto, per non apparire inferiore a lei che è inanimata.

La terra produce i frutti, alimentandoli con i suoi succhi, non per il proprio vantaggio, ma per servire te.

Tu invece, quando fai della beneficenza, in definitiva raccogli per te stesso, perché i frutti delle opere buone tornano a vantaggio di chi le compie.

Hai dato qualcosa a chi aveva fame? Quello che hai dato diventa veramente tuo e ti ritorna moltiplicato.

Come il grano, caduto a terra, torna in guadagno per chi semina, così anche il pane deposto nel seno del povero rende col tempo un frutto copioso.

Che il termine della tua mietitura sia per te l'inizio della semina celeste, come dice la Scrittura: Seminate per voi secondo giustizia ( Os 10,12 ).

Per qual motivo, quindi, ti inquieti e ti tormenti, lottando con fango e mattoni per chiudere sotto chiave i tuoi beni?

Il buon nome vale più delle grandi ricchezze ( Pr 22,1 ).

Se dai molto valore ai beni materiali per la considerazione che ispirano, rifletti quanto più vantaggioso sia, per acquistar gloria, l'essere chiamato padre di migliaia di fanciulli, che non l'avere nella borsa migliaia di stateri.

Che tu lo voglia o no, dovrai lasciare quaggiù le tue ricchezze; invece, porterai via con te, davanti al Signore, il tuo amore per le opere buone.

Allora tutta la moltitudine dei tuoi beneficati, attorniandoti davanti ai Giudice di tutti, ti chiamerà padre, benefattore e con tutti quei nomi che indicano l'amore per gli uomini.

Non vedi che, per l'onore di un momento, per gli applausi e l'acclamazione del popolo, c'è della gente che sperpera le proprie ricchezze, nei teatri, negli spettacoli di lotta e di pugilato, per i mimi, per le lotte degli uomini con gli animali, che a qualcuno destano nausea?

E tu, da parte tua, saresti così avaro a fare delle spese, quando stai per entrare in una gloria tanto grande?

Dio stesso ti approverà. Gli angeli acclameranno di gioia, tutti gli uomini che esistono dalla creazione del mondo ti diranno beato.

La gloria eterna, la corona di giustizia, il re dei cieli saranno la tua ricompensa per aver distribuito con saggezza dei beni perituri …

Quanta riconoscenza dovresti avere per chi ti ha fatto del bene!

Quanto dovresti essere lieto e raggiante per l'onore di non essere tu a disturbare le porte degli altri, ma perché sono gli altri che si ammassano presso le tue!

Tu ora sei tutto triste e scontroso ed eviti ogni incontro, per paura che, in qualche modo, ti si costringa a tirar fuori dalle mani la minima cosa.

Sai dire una sola parola: « Non ho niente, non ti darò niente perché sono povero ».

Veramente, sei proprio un poveretto, manchi davvero di qualsiasi bene: povero di amore, povero di fede in Dio, povero di speranza eterna.

Basilio il Grande, Omelia sulla parola di Luca, 12,18: « Demolirò » ( passim )

19a. - I beni secondo i ricchi

Ti mostrerò allora quelle cose che l'ignoranza del mondo stima per beni.

Vedrai che anche qui c'è da starsene alla larga.

Ecco, sotto a quelli che tu credi siano onori, o alte cariche, o abbondanza di ricchezze, o potenza militare, o luccichio di porpora nei magistrati, o potestà piena nei prìncipi, sotto a tutto questo si nasconde il virus d'un male che accarezza; l'apparenza allegra e ridente della nequizia cela l'inganno e dietro la seduzione sta una calamità latente.

É come un veleno che a bersi sembra una gradevole bevanda perché con astuzia e frode si è dato un sapore dolce ai succhi mortiferi: ma una volta trangugiato, si è bevuta la morte …

Anche quelli che tu consideri ricchi, essi che continuano ad aggiungere poderi a poderi ed estendono sempre più al largo la loro proprietà davvero interminabile cacciando via dai confini i poveri, essi che sono carichi al massimo di oro e di argento e vivono tra montagne di fortune che accumulano o sotterrano, anche loro, tra i propri averi, sono nel tormento e nella trepidazione al pensiero che un ladro possa devastarglieli, o che un nemico li saccheggi o che l'invidia ostile di qualcuno più ricco non lo inquieti con liti e calunnie.

Un tal uomo non può mangiare nella tranquillità, né prender sonno.

Sospira a tavola, benché beva in coppe gemmate.

E pur affondando poi in un letto morbido il suo corpo afflosciato dal gran mangiare, in mezzo a quelle piume non riesce a dormire.

Quel disgraziato non capisce che s'è addossato un supplizio meraviglioso; che è tenuto in catene dall'oro; e che, più che possederle, le ricchezze, ne è posseduto.

Ed ecco - quale detestabile cecità dell'anima e che densa caligine quella di una folle cupidigia! - pur potendosi svincolare e liberare di tutti questi pesi, continua a stare più dietro ai suoi beni crescenti, continua ad attaccarsi ostinatamente ai tesori accumulati che gli procurano tanta sofferenza.

Questa gente non largheggia coi clienti; non dà niente ai bisognosi.

Chiamano denaro proprio quello che con assidua fatica custodiscono sotto chiave a casa come fosse denaro di un altro, da cui non tirano fuori uno spicciolo né per gli amici, né per i figli, e neppure per se stessi.

Possiedono solo per questo, perché non possieda un altro.

E - guarda l'ironia delle parole! - chiamano un bene ciò che usano solo per fare del male.

Cipriano di Cartagine, A Donato, 11-12

20. - La vera ricchezza

La ricchezza si deve usare in modo degno e distribuire agli altri con generosità, non con sordidezza o arroganza.

E non si deve torcere l'amore al bello in egoismo, in insolenza e volgarità, perché anche di noi non si dica: « Il suo cavallo vale quindici talenti, il suo fondo, il suo schiavo, il suo oro valgono altrettanto; lui invece non vale più di tre soldi di bronzo ».

Togli all'improvviso alle donne i loro ornamenti e ai padroni i loro servi: troverai che non differiscono in nulla da schiavi comperati: sia nell'incedere, sia nell'aspetto, sia nel parlare sono in tutto simili agli schiavi.

Anzi, da essi si distinguono soprattutto per il fatto che sono più deboli degli schiavi, perché sono cresciuti molto più vulnerabili dalle malattie.

Si deve dunque continuamente ripetere questa magnifica dottrina: l'uomo buono, giusto e moderato, accumula in cielo i suoi tesori; egli, che ha venduto i beni terreni e li ha dati ai poveri ha trovato un tesoro indistruttibile, ove non c'è né tignola né ladro.

É veramente beato, per quanto sia piccolo, debole e sconosciuto: la sua ricchezza è in effetti la più grande.

Se egli fosse più ricco di Cinira [ mitico primo re di Cipro, padre di Adone ] o di Mida [ nome di alcuni re di Frigia dell'epoca pre-greca ( VIII secolo a.C. ) e dell'ultimo della dinastia, caduta intorno al 680 a.C. per l'invasione dei cimmeri; con questo Mida stoico si connettono varie leggende: la più nota è quella che Mida avesse avuto da Dioniso, a cui aveva ricondotto Sileno smarritosi, la facoltà di mutare in oro tutto ciò che toccava, sicché stava per morire di fame e di sete, finché un bagno nel Pattolo, che porterebbe da allora pagliuzze d'oro, lo liberò dal pericolo ], ma fosse ingiusto e altezzoso, come colui che si avvolgeva nella porpora e nel bisso e disprezzava Lazzaro, sarebbe misero, vivrebbe nelle pene, e non avrebbe poi la vita.

La ricchezza mi sembra simile a un serpente; quando non si sa come afferrarlo senza averne danno, lo si prende, per evitare il pericolo, in fondo alla coda: ma esso si avvinghia intorno alla mano e morde.

Anche per le ricchezze vi è il pericolo che esse, a seconda che si trattino con perizia o senza perizia, si attorciglino, si aggrappino e mordano.

Ma se qualcuno ne sa usare con saggezza e magnanimità, cantando l'inno incantatore del Verbo, dominerà la bestia e resterà illeso.

Del resto, a quanto pare, non consideriamo abbastanza che è ricco solo chi possiede veri valori.

Ma un vero valore non sono le gemme, non l'argento, non le vesti o la bellezza del corpo, ma la virtù …

Una ricchezza più grande non si dà.

Vere ricchezze sono dunque la giustizia e la sapienza, più preziose di ogni tesoro; una ricchezza che non aumenta col possesso di animali e di terreni, ma viene donata da Dio; una ricchezza che non viene derubata - l'anima sola è il forziere in cui viene custodita -, un possesso che è il migliore per il suo possessore e che rende realmente felici gli uomini.

Chi giunge al punto di non desiderare ciò che non è in nostro potere e di ottenere tutto ciò che desidera - perché con le sue preghiere ottiene da Dio ciò cui egli tende con animo santo - come non possiederà costui tutto, dato che possiede un tesoro che mai viene meno, cioè possiede Dio?

Clemente Alessandrino, Il pedagogo, 3, 34,1-36,3

21. - É ricco chi disprezza la ricchezza

Quando mostreremo di disprezzare i beni della terra, allora Dio ci donerà anche i beni terreni, e non prima, perché il riceverli non ci leghi maggiormente ad essi, che tanto già vi siamo legati.

Lìberati prima dalla schiavitù, egli ci dice, e poi ricevili, perché tu li possegga non più come schiavo, ma come padrone.

Disprezza la ricchezza e sarai ricco, disprezza la gloria e sarai glorioso.

Disprezza la vendetta contro i nemici e la otterrai: disprezza il riposo e l'avrai; anzi l'avrai non come un vinto e uno schiavo, ma come un libero.

É come con i bambini piccoli: se uno desidera un gioco, ad esempio una palla o qualcosa di simile, noi lo nascondiamo con cura, perché egli non venga distolto da ciò che è necessario; ma quando lo disprezza e più non lo desidera, glielo lasciamo liberamente, sapendo che non gliene verrà più danno alcuno, perché il suo desiderio non lo distoglie più da ciò che è necessario.

Così anche Dio: quando vede che noi non desideriamo più le cose di quaggiù, ce ne lascia liberamente usare: le possediamo infatti come uomini fatti, come liberi, e non più come fanciulli.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera agli ebrei , 25,2

22. - Le case dei cieli

Costruiamo case per abitarle, non per trarne vanto.

Ciò che è maggiore del bisogno è superfluo e inutile.

Calza un sandalo più grande del piede: non lo sopporterai, perché ti impedisce di camminare.

Così anche una casa più grande del bisogno ti impedisce nel tuo viaggio verso il cielo.

Vuoi costruire case splendide e grandi? Non te lo proibisco, ma non sulla terra: costruisci abitazioni nei cieli, perché ti sia dato accogliervi gli altri: abitazioni che mai verranno meno …

Quelli che pongono ogni loro impegno ad abbellire la loro casa e, ricchi di beni esteriori, disprezzano quelli interiori, trascurano la loro anima, lasciandola vuota, sudicia, piena di ragni.

Se, invece, non curando i beni esterni, pongono ogni attenzione al loro spirito e lo ornano in ogni modo, l'anima di questi uomini sarà dimora di Cristo; e avere Cristo inquilino, cosa mai ci può essere di più bello?

Vuoi essere ricco? Abbi per amico Dio e sarai il maggior benestante.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulle statue, 2,5-6

23. - I tesori duraturi

L'animo pio e casto gode tanto di essere riempito dal possesso del Signore, da non desiderare nessuna gioia al di fuori di lui.

É verissimo infatti ciò che il Signore dice: Dov'è il tuo tesoro, ivi è anche il tuo cuore ( Mt 6,21 ).

Cosa è il tesoro dell'uomo, se non l'ammasso dei suoi frutti, il raccolto delle sue fatiche?

Quello che ciascuno semina, poi miete; quale è il lavoro di ciascuno, tale è la ricompensa; ove è gioia e diletto, il cuore indirizza le sue cure.

Ma molti sono i generi di ricchezza e vari sono i motivi di gioia.

Per ciascuno è un tesoro l'affetto delle sue brame; ma se si tratta di brame terrene, non rendono beati, ma miseri.

Quelli invece che hanno il gusto delle cose di lassù, non di quelle terrene, che sono tutti intenti non ai beni transitori, ma a quelli eterni, hanno nascosto il loro possesso incorruttibile in ciò che dice il profeta: É giunto il nostro tesoro e la nostra salvezza dal Signore: la sapienza, l'osservanza e la pietà.

Questi sono i tesori della giustizia ( Is 33,6: LXX ).

Queste virtù, con l'aiuto della grazia di Dio, rendono celesti anche i beni terreni: molti usano quale strumento di pietà le ricchezze giustamente ereditate o in altro modo acquistate.

E distribuendo a sostentamento dei poveri i beni, che possono essere anche esuberanti, si ammassano delle ricchezze che mai perderanno, perché ciò che destinano nelle elemosine è sicuro da ogni perdita.

Giustamente, dunque, costoro hanno il cuore là ove è il loro tesoro: è una vera beatitudine, infatti, adoperarsi perché tali ricchezze crescano senza timore che vadano perdute.

Leone Magno, Sermoni, 92,3

24. - Il possesso terreno nulla conta

Dio ha voluto che i beni temporali fossero distribuiti variamente fra tutti: perché, se li avesse dati soltanto ai buoni, avrebbe potuto farsi strada nei cattivi l'idea che, in tanto si deve onorare Dio, in quanto ci si guadagna; per contro, se li avesse dati soltanto ai malvagi, certi buoni avrebbero nella loro debolezza temuto di convertirsi, per non perdere tali beni.

Esistono, infatti, anime ancora deboli e poco preparate alle esigenze del regno di Dio; e Dio, nostro agricoltore, deve cibare anche costoro …

Sono dati dunque indistintamente ai buoni e ai cattivi.

E ancora, se fossero tolti soltanto ai buoni, identico come sopra sarebbe il timore dei deboli e non si convertirebbero a Dio.

Se per contro fossero tolti soltanto ai malvagi, ci si potrebbe lusingare che questa sola sia la pena con cui essi vengono puniti.

Quando dunque Dio dà ai buoni certi beni, è per consolarli nel pellegrinaggio; quando li dà ai malvagi, è per ammonire i buoni a desiderare altre cose, che non si posseggono in comune con i malvagi.

E ancora, quando egli vuole, toglie ai buoni tali beni, e ciò fa perché essi controllino le loro forze e scoprano, coloro che prima forse ignoravano se stessi, se sono in grado di dire: Il Signore ha dato, il Signore ha tolto; come al Signore è piaciuto, così è successo.

Sia benedetto il nome del Signore! ( Gb 1,21 ).

Ecco un'anima che seppe benedire il Signore, e, nutrita con pioggia abbondante, diede frutti di benedizione: « Il Signore ha dato, il Signore ha tolto! ».

Ha tolto il dono accordato, ma non il donatore.

Benedetta l'anima dell'uomo semplice!

Non sta attaccata alle cose terrene né giace a terra con le ali invischiate, ma, spiegando tutto lo splendore delle virtù nelle due ali del duplice amore, esulta nell'aria libera.

Vede esserle stato tolto ciò che calpestava, non ciò su cui si appoggiava, e tranquilla dice: « Il Signore ha dato, il Signore ha tolto; come al Signore è piaciuto, così è stato fatto. Sia benedetto il nome del Signore! ».

Ha dato e ha tolto; colui che ha dato resta, anche se ha tolto ciò che aveva dato. Sia benedetto il suo nome!

Per questo, dunque, tali cose sono tolte ai buoni.

Ma qualche debole potrebbe forse ragionare così: Quando io disporrò di tanta virtù, quanta ne aveva il santo Giobbe? …

Osserva che i beni sono tolti anche ai cattivi.

Perché rimandi ancora la tua conversione?

Ciò che temi di perdere da buono, forse lo perderai anche se rimarrai cattivo.

Solo che, se lo perderai da buono, avrai al tuo fianco, come consolatore, colui che te lo ha tolto.

Il forziere si sarà vuotato dell'oro, ma il cuore sarà ancora pieno di fede.

All'esterno potrai essere povero, ma nell'intimo sei ricco: porti con te ricchezze che non perderai, anche se tu uscissi nudo dal naufragio.

Se è vero che, anche da cattivo, puoi perdere i tuoi beni, non sarebbe meglio che la disgrazia ti capitasse da buono? …

É meglio per te che tu perda da buono i beni avuti da Dio, ma conservi Dio stesso.

Agostino, Esposizioni sui Salmi, 67,3

25. - Se vuoi essere ricco diventa povero

Disprezza la ricchezza, se vuoi avere ricchezza; se vuoi diventar ricco, diventa povero.

Questi sono i paradossi di Dio: non vuole che per la tua propria applicazione, ma che per suo dono tu ti faccia ricco.

Lascia a me questo pensiero - dice -; tu occupati delle cose spirituali, per poter così comprendere la mia potenza: fuggi la schiavitù e il giogo derivante dalle ricchezze.

Fino a quando resterai ad esse attaccato, sarai povero; ma quando le disprezzerai, diventerai doppiamente ricco, sia perché affluiranno a te da ogni dove, sia perché non avrai bisogno di ciò di cui i più hanno bisogno.

Non è infatti il possedere molte cose che caratterizza il ricco, ma il non avere bisogno di molte cose; tanto che, fino a quando è stretto dal bisogno, persino il re non si distingue per nulla dal povero: la povertà consiste nell'aver bisogno degli altri, e così anche il re in questo senso è povero, perché ha bisogno dei sudditi.

Ma non è così per chi è crocifisso ( con Cristo ): non ha bisogno di nulla e per sostentarsi gli bastano le mani: A me infatti - è detto - e ai miei compagni, provvedettero queste mie mani ( At 20,34 ).

Così Paolo; e diceva anche: Siamo come non avessimo nulla e possediamo tutto ( 2 Cor 6,10 ); lui, che era stato ritenuto un Dio dagli abitanti di Listra.

Se vuoi ottenere i beni del mondo, desidera il cielo; se vuoi godere dei beni di quaggiù, disprezzali.

Cercate prima il regno dei cieli - è detto infatti - e tutto questo vi sarà aggiunto ( Mt 6,33 ).

Perché ammiri le piccolezze? Perché resti a bocca aperta di fronte a ciò che non è degno di nessun conto?

Fino a quando sarai povero? Fino a quando sarai un pezzente?

Eleva gli occhi al cielo, pensa alla ricchezza di lassù, disprezza l'oro, comprendi in che consista veramente la sua utilità.

Solo al presente dura questa utilità, solo nella vita di quaggiù, che è insussistente come un granello di sabbia o, meglio, come una goccia di fronte a un abisso insondabile.

Così è questa vita di fronte alle realtà future.

Questo non è un possesso, ma un uso; e non ne siamo padroni.

E come sarebbe possibile? Quando tu spiri, o lo voglia o non lo voglia, gli altri si prendono tutto ciò che hai, ma anch'essi poi lo cedono agli altri, e quelli ad altri ancora.

Tutti siamo forestieri e il padrone di casa è forse piuttosto un inquilino della sua stessa casa: spesso infatti quando egli esala l'ultimo spirito, rimane invece l'affittuario, che più di lui si gode la casa.

E se è vero che costui paga l'affitto, anche il padrone però ha pagato per primo l'affitto: l'ha costruita con tanta fatica e tante preoccupazioni.

Il possesso è una semplice parola; in realtà noi tutti siamo padroni di beni altrui, e sono nostri solo quelli che abbiamo mandato avanti; ma quelli che restano quaggiù, non sono nostri, bensì dei viventi; anzi, spesso ci abbandonano mentre siamo ancora in vita.

Sono beni nostri solo le belle opere spirituali, l'elemosina e la bontà.

Gli altri invece vengono detti « beni esterni » anche dai pagani; sono infatti fuori di noi.

Facciamo dunque che siano dentro di noi!

Non possiamo partircene prendendo le nostre ricchezze, ma possiamo andarcene con le nostre elemosine: o meglio, mandiamole avanti, perché ci preparino un posto nelle dimore eterne.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla prima lettera a Timoteo, 11,2

26. - Il retto uso della ricchezza

« Perché non useremo ciò che Dio ha foggiato? »; e ancora: « E' a mia disposizione, perché non ne godrò? »; e: « Per chi è stato creato, se non per noi? ».

Ecco espressioni di gente che è perfettamente all'oscuro della volontà di Dio.

Anzitutto le cose necessarie, come l'acqua e l'aria, egli le somministra apertamente a tutti; ma le cose che non sono necessarie, le ha celate nella terra e nell'acqua.

Appunto per questo le formiche scavano l'oro, i grifi conservano l'oro e il mare cela le perle.

Ma voi vi prendete cura inutile di ciò che non conviene.

Ecco, tutto il cielo è spalancato, ma non cercate Dio; mentre l'oro nascosto e le pietre, che pur determinano la condanna a morte, tra noi si vanno scavando.

Così però vi opponete anche alla Scrittura, perché essa proclama chiaramente: Cercate prima il regno dei cieli, e tutto questo vi sarà aggiunto ( Mt 6,33 ).

Ma se tutto vi è stato donato, se di tutto siete provveduti e se tutto vi è permesso - dice l'Apostolo -, però non tutto conviene ( 1 Cor 10,23 ).

Dio ha condotto la nostra stirpe umana alla comunione, dando per primo le sue cose ed elargendo a tutti gli uomini in comune, come aiuto, il suo Logos, e facendo tutto per tutti.

Tutte le cose sono perciò un bene comune e i ricchi non ne pretendano più degli altri.

Dire: « Ne ho a disposizione e me ne sopravvanza: perché non me la godrò? » non è né umano né sociale.

Ecco invece la prova dell'amore: « Ne ho a disposizione, perché non ne darò ai poveri? ».

Un uomo così, che adempie il precetto « amerai il prossimo tuo come te stesso » è perfetto.

Questa è la vera gioia, il tesoro saggiamente accumulato.

Ma le spese per le proprie voglie vane non contano come spese, ma come perdite.

Dio - lo so bene - ci ha dato il potere di usare dei beni ma solo fino a quanto è necessario e ha voluto che l'uso sia comune.

É assurdo che uno se la spassi e molti vivano in miseria.

Beneficare molti, quanto è più glorioso che avere una splendida abitazione!

Spendere per gli uomini, quanto è più intelligente che spendere per le pietre e per l'oro!

E avere amici decorosi, quanto è più utile del decoro di gingilli inanimati!

Quando mai i terreni saranno più utili della benevolenza?

Clemente Alessandrino, Il pedagogo, 2,119,2-120

EMP I-49. - Buon uso del potere

E il diavolo lo condusse su un monte altissimo, e gli mostrò tutti i regni del mondo nello spazio di un istante ( Lc 4,5 ).

Ben a proposito in un istante vengono mostrate tutte le cose della terra e degli uomini.

Qui infatti non viene indicata tanto la rapidità della visione, quanto la fragilità di una potenza caduca: davvero, in un istante, tutto passa, e spesso gli onori del mondo se ne vanno prima d'essere giunti.

Che vi può essere in questo mondo che abbia lunga durata, quando i secoli stessi non hanno che una breve estensione?

Ci viene insegnato qui a resistere all'impeto della vana ambizione, dal momento che ogni dignità terrena è soggetta al potere del diavolo, inconsistente e vuota di utilità.

Ma come può avvenire che qui il diavolo dia il potere, mentre tu altrove leggi che ogni potere viene da Dio ( Rm 13,1 )?

Forse qualcuno può servire a due padroni, o ricevere il potere da due? C'è dunque una contraddizione?

Niente affatto: sta' certo, ogni cosa viene da Dio.

E invero, senza Dio non c'è il mondo, perché il mondo è stato fatto per mezzo di lui ( Gv 1,10 ); ma, sebbene sia stato fatto da Dio, le opere del mondo sono malvagie, perché il mondo è in mano al Maligno ( 1 Gv 5,19 ): l'ordinamento del mondo proviene da Dio, le opere del mondo provengono dal Maligno.

Nello stesso modo il potere viene da Dio, ma l'ambizione del potere dal Maligno …

É bene dunque usare del potere, ricercare un incarico?

É bene se lo si riceve, non è bene se lo si strappa.

Tuttavia distingui anche questo stesso bene; perché altro è il buon uso secondo il mondo, altro quello della perfetta virtù; è bene infatti che il vivo desiderio di conoscere Dio non sia ostacolato da alcuna occupazione.

Poiché sebbene vi siano molti beni, tuttavia una sola è la vita eterna: e la vita eterna consiste in questo, che conoscano te solo vero Dio, e colui che hai inviato, Gesù Cristo ( Gv 17,3 ).

Perciò il massimo bene è la vita eterna, di cui è Dio il rimuneratore.

Adoriamo quindi il solo nostro Dio e Signore, serviamo a lui solo, affinché ci ricompensi con doni ricchissimi; fuggiamo tutto ciò che è soggetto ai potere del diavolo, affinché come un cattivo tiranno non usi contro coloro che troverà nel suo regno la crudeltà del potere che gli è stato concesso.

Il potere non viene dunque dal diavolo, ma è soggetto alle insidie del diavolo.

E ciò nondimeno, non si tratta di cattivo ordinamento dei poteri per il fatto che i poteri sono soggetti al male.

Così, è bene cercare Dio, ma qualche errore e sofisma può insinuarsi nella ricerca.

Se chi cerca Dio è spesso tentato dalla debolezza della sua carne e dai limiti della sua intelligenza, quanto più lo sarà chi cerca il mondo.

Questa ambizione è più dannosa perché si diventa carezzevoli per farsi dei meriti.

Spesso l'ambizione rende colpevoli coloro che nessun vizio aveva potuto allettare, che la lussuria non aveva potuto corrompere, che l'avarizia non aveva potuto piegare.

Essa si procura i favori di chi sta al di fuori, porta il pericolo di dentro; prima diventa serva per poi dominare gli altri.

Si inchina all'ossequio per essere onorata e, mentre ambisce di salire più in alto, si finge umile poiché nel potere ciò che si vede è solamente quello che sta in superficie; infatti si comanda con le leggi agli altri, ma si serve a se stessi,

Ambrogio, Commento al vangelo di san Luca, 4,28-31

EMP X-9. - A tutti Dio distribuisce equamente i suoi doni

Amici e fratelli miei, non siamo economi cattivi dei beni che ci sono stati affidati, per non sentirci dire: « Vergognatevi, voi che trattenete gli altrui beni; imitate la giustizia di Dio e non vi saranno più poveri ».

Non affatichiamoci per ammassare e tenere in serbo allorché altri sono sfiniti dalla fame; così non meriteremo il rimprovero amaro e la minaccia del profeta Amos: State a sentire voi che dite: quando passerà il mese, per vendere le merci, il sabato per aprire i magazzini del grano? ( Am 8,5 ) …

Imitiamo la legge sublime e primaria di Dio che fa sorgere il suo sole sopra i cattivi e sopra i buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti ( Mt 5,45 ).

Egli rende padroni di immense pianure, di sorgenti, di fiumi, di foreste tutti coloro che vivono sulla terra.

Per tutte le specie di uccelli crea l'atmosfera, e l'acqua per gli animali acquatici.

Per la vita di tutti, fornisce in abbondanza le risorse fondamentali che non possono essere né accaparrate dai forti, né misurate da leggi, né delimitate da barriere; ma egli le dispensa a tutti in modo che nulla manchi a nessuno.

Così Dio afferma l'uguaglianza nella natura mediante la giusta distribuzione dei suoi doni, così egli mostra la ricchezza della sua bontà.

Gli uomini, invece, allorché ammassano oro, argento, vesti tanto lussuose quanto inutili, diamanti e cose simili che provocano le guerre, la discordia e la tirannia, sono presi allora da folle arroganza, sbarrano il cuore alle sofferenze dei fratelli e non acconsentono neppure a concedere ad essi un po' del superfluo perché abbiano di che vivere.

Meschina aberrazione! Nemmeno sono capaci di comprendere che povertà e ricchezza, condizione libera - come si dice - e stato servile, come altre categorie analoghe, si formarono tardi nelle comunità umane ed esplosero come epidemie contemporaneamente al peccato di cui esse erano le conseguenze, ma al principio non fu così ( Mt 19,8 ).

Al principio, il Creatore lasciò l'uomo libero e signore di sé, tenuto a un unico comandamento e ricco delle delizie del paradiso.

Dio voleva questo per tutto il genere umano nato dal primo uomo.

Libertà e ricchezza dipendevano dall'osservanza di un solo comandamento.

La violazione di esso ebbe come conseguenza la vera povertà e la schiavitù.

Da quando gelosia e dispute sono esplose per la maliziosa tirannia del serpente che ci seduce con il piacere e che spinge i più forti contro i più deboli, la famiglia umana si è lacerata in nazioni estranee le une alle altre.

L'avarizia ha soppiantato la naturale generosità e si è servita della legge per dominare con la forza.

Tu però, considera l'uguaglianza originaria e non le divisioni successive, la legge del Creatore e non quella dei potenti.

Aiuta la natura per quanto puoi, onora la libertà delle origini, rispetta la tua persona, proteggi la tua razza contro il disonore, soccorrila nelle infermità, sostienila nella povertà …

Non cercare di distinguerti dagli altri se non per la tua bontà.

Fatti Dio per gli infelici, imitando la divina misericordia.

Gregorio Nazianzeno, L'amore per i poveri, 24-26

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