Teologia dei Padri

Indice

Le opere di misericordia

1. - Il primato dell'amore

Che cosa è essenziale nella nostra vita?

Compiere miracoli o mantenere un ottimo e perfetto comportamento?

Certamente l'avere una condotta perfetta: da essa traggono occasione anche i miracoli che in essa hanno il loro fine.

Chi dà prova di vita santa attira su di sé il dono divino di compiere azioni miracolose; e chi riceve questo dono lo riceve per migliorare la vita degli altri.

Anche Cristo ha compiuto i miracoli per apparire credibile, attirare a sé gli uomini e introdurre la virtù nella loro vita.

Ed è questo soprattutto che gli sta a cuore: non gli bastarono i prodigi, ma anche minacciò l'inferno e promise il regno: diede le sue leggi nuove e mirabili e tutto operò allo scopo di rendere gli uomini uguali agli angeli.

Ma che dico? Solo Cristo ha fatto tutto a questo scopo?

Dimmi: se qualcuno ti desse il potere di risuscitare i morti nel nome di Gesù oppure di morire per lui, quale di questi due favori sceglieresti? Senza dubbio il secondo.

L'uno è miracolo, mentre l'altro è opera.

Se, del pari ti si offrisse la facoltà di cambiare in oro il fieno, oppure la grazia di disprezzare tutte le ricchezze come fossero fieno, non preferiresti forse quest'ultima cosa?

E sarebbe scelta certamente giusta, perché il disprezzo delle ricchezze può, sopra ogni altra cosa, conquistare gli uomini.

Difatti, se essi vedessero il fieno tramutato in oro, desidererebbero avere anche loro tanto potere, come Simon mago, e la loro brama di ricchezze aumenterebbe ancora di più.

Se invece ci vedessero calpestare e disprezzare il denaro come fieno, già da tempo sarebbero guariti da questa loro malattia.

Vedi, dunque, che niente giova di più agli uomini quanto la vita?

E parlando di vita, non intendo che tu digiuni, che ti prostri sul sacco e sulla cenere, ma che disprezzi le ricchezze proprio come devono essere disprezzate, che mostri amore per il prossimo, che tu dia il tuo pane al povero, domini l'ira, elimini l'ambizione, soffochi ogni sentimento d'invidia.

Questi sono gli insegnamenti che Gesù stesso ha dato, dicendo: Imparate da me che sono mite e umile di cuore ( Mt 11,29 ).

Non invita a imparare da lui a digiunare, anche se potrebbe ricordare i quaranta giorni di digiuno da lui fatti; ma anziché esigere questo, egli vuole che imitiamo la sua mansuetudine e la sua umiltà.

Quando invia i suoi apostoli a predicare, non dice loro di digiunare, ma di mangiare tutto quanto verrà loro offerto ( Lc 10,8 ).

Per quanto concerne però il denaro, vieta loro espressamente di portarne con sé, ordinando di non possedere né oro né argento, né alcun'altra moneta nelle loro borse ( Mt 10,9; Lc 10,4 ).

Dico tutto questo, non perché biasimi il digiuno: Dio mi guardi da simile pensiero.

Anzi l'apprezzo moltissimo.

Ma mi addoloro nel vedere che tu trascuri le altre virtù, ritenendo che basti digiunare per essere salvi, mentre il digiuno, fra tutte le virtù, occupa l'ultimo posto.

Le virtù più eccelse sono la carità, l'umiltà, la misericordia, che precedono e superano anche la verginità.

Se dunque vuoi diventare simile agli apostoli, nulla te lo impedisce.

Basta soltanto praticare queste virtù e non essere in nulla inferiore a loro.

Nessuno dunque ritardi e cerchi scuse, attendendo i miracoli.

Il diavolo s'addolora quando viene cacciato da un corpo; ma si affligge ancor di più quando vede un'anima libera dal peccato.

La sua grande forza, infatti, sta nel peccato.

Per distruggerlo, Cristo è morto.

Il peccato ha portato la morte e ha generato decadenza e caos in tutto.

Se dunque eliminerai il peccato in te, taglierai i legami del demonio, gli schiaccerai la testa, distruggerai tutta la sua forza, metterai in fuga il suo esercito, e allora, sì, opererai il più grande di tutti i miracoli!

E non sono io che affermo questo, ma il beato Paolo; egli infatti, dopo aver detto: Aspirate pure ai carismi più elevati, ma io vi indicherò ancora una via più di ogni altra sublime ( 1 Cor 12,31 ), non parla dei miracoli, ma della carità, radice di ogni bene.

Se noi dunque praticheremo la carità e tutte le virtù che da lei derivano, non avremo affatto bisogno dei miracoli; al contrario, se non metteremo in atto la carità, non trarremo nessun profitto dai miracoli.

Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, 46,4

EMP W-5. - Inno alla carità

O carità, come sei buona e ricca, come sei potente!

Non possiede nulla colui che non possiede te.

Tu hai potuto fare di un Dio un uomo.

Tu hai allontanato - per un poco - dalla sua immensa maestà questo Dio fatto piccolo.

Tu l'hai tenuto prigioniero per nove mesi nel seno della Vergine.

Tu, in Maria, hai ridato a Eva la primitiva integrità.

Tu, nel Cristo, hai rinnovato Adamo.

Tu hai preparato la santa croce per la salvezza del mondo ormai perduto.

Tu hai reso vana la morte, insegnando a Dio il morire.

Quando Dio, il Figlio di Dio onnipotente, è ucciso dagli uomini, è per te che nessuno dei due, cioè il Padre e il Figlio, si muove ad ira.

Tu mantieni la vita del popolo celeste, quando assicuri la pace, custodisci la fede, proteggi l'innocenza, onori la verità, ami la pazienza e ridoni la speranza.

Tu fai di uomini diversi per costume, età e potere, dotati della stessa natura, un solo corpo e un solo spirito.

Tu non permetti che i gloriosi martiri siano distolti dal confessare il loro nome di cristiani da nessun tormento, o nuovo genere di morte, o premio, o amicizia, o sentimento di tenerezza, che strazia più crudelmente di qualsiasi carnefice.

Tu, per vestire colui che è nudo, sei contenta di essere nuda.

Per te la fame è sazietà, se un povero affamato ha mangiato il tuo pane: la tua ricchezza consiste nel destinare in misericordia tutto ciò che hai.

Tu sola non sai che cosa sia farsi pregare.

Tu soccorri senza indugio gli oppressi, in qualsiasi bisogno si trovino, anche a tuo danno.

Tu sei l'occhio dei ciechi, tu il piede degli zoppi, tu il fedelissimo scudo delle vedove.

Tu per gli orfani adempi il ruolo dei genitori, e molto meglio di essi.

Tu non hai mai gli occhi asciutti, perché la misericordia o la gioia te lo impediscono.

Tu ami i tuoi nemici con amore così grande, che nessuno potrebbe distinguere la differenza che c'è tra essi e coloro che ti sono cari.

Dirò di più: tu unisci i misteri celesti agli umani e gli umani ai celesti.

Tu custodisci i divini segreti.

Tu - nel Padre - governi e comandi.

Tu - nel Figlio - obbedisci a te stessa.

Tu esulti nello Spirito Santo.

Tu, poiché sei una nelle Tre Persone, non puoi in nessun modo essere frazionata; nessun raggiro di umana curiosità ti può turbare.

Sgorghi dalla sorgente che è il Padre e ti riversi tutta nel Figlio: ma, pur riversandoti tutta nel Figlio, non ti allontani dal Padre.

Giustamente sei chiamata Dio, perché tu sola guidi la potenza della Trinità.

Zenone di Verona, Omelia sulla fede, speranza e carità, 9

2. - La misericordia è lode di Dio

La grazia sublime di Dio, o carissimi, opera ogni giorno nei cuori cristiani, trasferendo ogni desiderio nostro dai beni terreni a quelli celesti.

Ma anche la vita presente trascorre per dono del Creatore e viene sostenuta dalla sua provvidenza: infatti, colui che ci elargisce i beni temporali è lo stesso che ci promette i beni eterni.

Per la speranza della felicità futura, verso cui corriamo per la fede, dunque, dobbiamo ringraziare Dio di averci innalzato fino ad accogliere questa sua opera preparatrice; ma nello stesso modo per i beni che conseguiamo nel corso di tutti gli anni dobbiamo onorare e lodare Dio che, all'inizio, diede fecondità alla terra, che impose ad ogni seme e ad ogni germoglio la legge della fertilità dalla quale mai si sottraggono; e così in tutte le realtà create resta continuamente operante il governo benigno del Creatore.

Quello dunque che le messi, le viti e gli ulivi producono per il bene dell'uomo, profluisce tutto dalla munificenza della divina bontà, che variando le qualità degli elementi aiuta gli incerti lavori degli agricoltori, tanto che i venti e le piogge, il freddo e il caldo, il giorno e la notte servono alla nostra utilità.

La ragione umana, infatti, non basterebbe a raggiungere l'effetto delle sue opere, se Dio, al nostro quotidiano lavoro di seminagione e di irrigazione, non aggiungesse la crescita.

La pienezza perciò della religiosità e della giustizia esige che anche noi aiutiamo gli altri con i doni che il Padre celeste ci ha misericordiosamente elargito.

Molti sono quelli, infatti, che nulla hanno: né campi né vigne né ulivi; dobbiamo provvedere ai loro bisogni con l'abbondanza che Dio ci ha donato, così che essi benedicano con noi Dio per la fecondità della terra e godano che, ai possessori, siano stati elargiti i beni che essi mettono in comune con i poveri e gli estranei.

Felice è quel granaio, e degno che in lui si moltiplichino tutti i frutti, che serve a saziare la fame dei bisognosi e dei deboli, che serve a sollevare le necessità degli estranei, che allevia i bisogni degli ammalati.

La divina giustizia ha voluto che tutti fatichino e abbiano molestie di ogni specie, al fine di coronare i miseri per la loro pazienza e i misericordiosi per la loro benevolenza.

Leone Magno, Sermoni, 16

EMP I-20. - Il perdono del Padre

Voglio andarmene e ritornare da mio padre ( Lc 15,18 ).

Il figlio prodigo giaceva a terra: quando prende coscienza della sua miseria, quando avverte di trovarsi in una perdizione senza rimedio, vedendosi così immerso nel fango della lussuria, esclama: « Voglio andarmene e ritornare da mio padre ».

Di dove gli viene questa speranza, questa sicurezza, questa fiducia?

Dal semplice fatto che si tratta di suo padre.

« Ho perduto - dice a se stesso - la mia qualità di figlio.

Egli però resta pur sempre padre.

Non sarà un estraneo a intercedere per me presso mio padre: il suo stesso affetto interverrà a commuoverlo per me nel più profondo del suo cuore.

Così egli sarà quasi costretto a generarmi di nuovo con il perdono.

Colpevole, ritornerò dunque da mio padre ».

Ed ecco che il padre, appena vede il figlio, si dimentica della colpa: preferisce essere padre, e perciò non si mostra come giudice, e trasforma immediatamente la sentenza in perdono.

Desidera infatti il ritorno del figlio, non la sua morte …

Gli si gettò al collo e lo baciò ( Lc 15,20 ).

Ecco come il padre giudica e corregge: al figlio che ha peccato, anziché castigarlo, dà un bacio.

L'amore non riesce a vedere la colpa: per questo il padre redime con un bacio il peccato del figlio, lo chiude nel suo abbraccio.

Egli non mette a nudo gli errori del figlio, non lo espone al disonore; si china sulle sue ferite, curandole in modo che non lascino nessuna cicatrice, nessuna traccia.

Beato l'uomo al quale è tolto il peccato e coperto l'errore ( Sal 32,1 ).

Se la condotta di questo giovane ci dispiace, se la sua fuga ci fa orrore, non allontaniamoci a nostra volta da un Padre così misericordioso.

La sola vista di questo Padre basta per mettere in fuga il peccato, per allontanare la colpa e respingere il male e la tentazione.

Ma nel caso che noi fossimo fuggiti da lui dissipando tutti i suoi beni con una vita viziosa; nel caso che avessimo commesso qualche colpa e fossimo caduti nell'abisso senza fondo dell'empietà, ebbene, risolleviamoci una buona volta e ritorniamo a un Padre così buono, incoraggiati dall'esempio del figlio prodigo.

« Suo padre lo vide, si intenerì profondamente e, correndo, gli si gettò al collo e lo baciò ».

Mi domando: davanti a questo, c'è forse spazio per la disperazione?

Che motivo ci sarebbe di mascherarsi o di temere?

A meno che ci faccia paura l'incontro con il Padre, il bacio ch'egli ci offre, l'abbraccio con cui ci stringe a sé; a meno che si pensi che il Padre voglia attirare il figlio a sé per vendicarsi, anziché accoglierlo nel perdono …

Ma questa paura che distrugge la vita e la salvezza è dissipata definitivamente da quello che segue: Il padre disse ai suoi servi: « Presto, tirate fuori il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli al dito l'anello e ai piedi i calzari.

Andate a prendere il vitello grasso e ammazzatelo.

Mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato alla vita, era perduto ed è stato ritrovato » ( Lc 15,22-24 ).

Se questa è la realtà, come possiamo ritardare ancora il nostro ritorno al Padre?

Pietro Crisologo, Sermoni, 2-3

3. - Tutti i sofferenti esigono interessamento

Serviamo i santi.

Ogni fedele è santo in quanto è fedele; anche se laico, è santo: L'uomo non credente è santificato dalla moglie - è detto infatti - e la moglie non credente dal marito ( 1 Cor 7,14 ).

Vedi dunque quale potenza santificatrice ha la fede!

Se vediamo un laico nelle difficoltà, porgiamogli la mano; non siamo solleciti solo per coloro che vivono sui monti, ossia gli eremiti: quelli sono santi per la vita e per la fede; ma anche questi sono santi per la fede, e spesso anche per la vita.

Non avvenga che se vediamo un monaco in prigione, entriamo, se invece vediamo un secolare, non entriamo: anche questi è santo, anche questi è fratello.

« Ma come - si dice - se è impuro e perverso? ».

Ascolta il Cristo che dice: Non giudicate per non essere giudicati ( Mt 7,1 ).

Tu fallo per Dio. Ma che dico?

Anche un pagano, se lo vediamo in difficoltà, dobbiamo beneficare e ogni uomo che si trovi in necessità: molto più dunque un laico fedele.

Ascolta Paolo che dice: Fate del bene a tutti, ma soprattutto ai nostri congiunti nella fede ( Gal 6,10 ).

Eppure non so da dove sia penetrata un'usanza e come si sia affermata: uno va in cerca solo di chi fa vita monastica per fargli del bene, e anche su questi va indagando e dice: « Se non ne è degno, se non è giusto, se non opera prodigi, non stendo la mia mano ».

Ha tolto così all'elemosina la sua parte migliore, e col tempo toglierà tutto.

Ma è elemosina anche quella che si fa ai peccatori, che si fa ai colpevoli.

Anzi, l'elemosina è proprio questo: aver pietà non di quelli che hanno compiuto opere buone, ma di quelli che sono caduti nell'errore.

E perché tu l'apprenda bene, ascolta ciò che dice Cristo con la parabola: Un tale discendeva da Gerusalemme a Gerico, e cadde in mano ai predoni ( Lc 10,30 ), ed essi lo percossero, e lo abbandonarono mezzo morto sulla via.

Per caso transitò sulla strada un levita, e vistolo passò oltre; così anche un sacerdote fece lo stesso e se ne andò.

Alla fine, però, giunse un samaritano e si prese grande cura di lui.

Fasciò le ferite, vi versò olio, lo caricò sull'asino, lo condusse a una locanda e disse all'oste: « Abbi cura li lui e - vedi che generosità! - io ti darò ciò che spenderai ».

Poi Cristo chiede: Chi dunque ti sembra che sia stato suo prossimo?, e il legista gli dice: Chi usò con lui misericordia.

Si sente allora rispondere: Va' dunque e fa' anche tu così ( Lc 10,36-37 ).

Osserva bene com'è la parabola: Cristo non disse che un giudeo operò per un samaritano, ma che un samaritano mostrò tutta quella generosità per un giudeo.

Da ciò impariamo che di tutti dobbiamo preoccuparci allo stesso modo, e non solo dei nostri familiari nella fede, trascurando gli altri.

Così anche tu: se vedi qualcuno che soffre, non indagare oltre: anch'egli ha diritto di essere aiutato, perché soffre.

Se vedi un asino che sta per soffocare, lo alzi senza chiederti di chi sia; tanto più di un uomo non devi indagare di chi sia: è di Dio, sia pagano, sia giudeo.

Anche se è non credente, ha bisogno di aiuto.

Se ti fosse permesso di investigare e giudicare, giustamente faresti questo discorso; ora però la sua sventura non te lo permette.

Infatti, se neppure riguardo ai sani si può indagare, né intromettersi nei fatti altrui, tanto più riguardo a chi soffre.

Da un altro punto di vista: l'hai visto scoppiare di benessere e di gloria per sostenere che è un tristo?

Soffre: e se lo vedi soffrire, non dire che è cattivo.

Quando qualcuno è celebre, lo diciamo giustamente; ma quando nella disgrazia ha bisogno d'aiuto, non dobbiamo dire che è cattivo: sarebbe crudele, disumano e arrogante.

Chi fu più iniquo dei giudei, dimmi? E come li punì Dio?

Giustamente, davvero giustamente; eppure coloro che ne ebbero compassione furono a lui accetti, e punì quelli che gioirono dei loro mali.

Non sopportava nulla per la tribolazione di Giuseppe ( Am 6,6 ), è detto infatti; e ancora: Riscatta coloro che vengono uccisi, non fare economie ( Pr 24,11 ).

Non dice: Indaga e vedi chi sia; eppure quelli che vengono condotti al supplizio per lo più sono malvagi, ma dice semplicemente: « Riscatta », chiunque mai sia.

Questo soprattutto è l'elemosina!

Chi infatti benefica l'amico non lo fa certo per Dio; ma chi benefica uno sconosciuto, opera con purezza solo per Dio.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera agli ebrei , 10,4

4. - Dio è l'autore della beneficenza

Prima di tutti, proprio Dio si mostra a noi come autore delle opere di bontà e misericordia: la creazione della terra, l'ornamento del cielo la successione ordinata delle stagioni, il calore del sole, il freddo del ghiaccio, e tutte le altre cose ad una ad una, non per se stesso - lui non ne ha certo bisogno! -, ma per noi Dio opera incessantemente: coltivatore invisibile del cibo umano, seminatore accorto, irrigatore saggio.

Proprio lui, come dice Isaia ( Is 55,10 ) dà il seme a chi semina e l'acqua dalle nubi: ora la fa piovigginare tranquilla sulla terra, ora inondare impetuosa i solchi.

Ma quando la messe è cresciuta e il verde è passato, allontana le nubi da tutto il cielo e offre il sole libero e splendente, col suo calore e i suoi raggi infuocati, perché le spighe maturino per la mietitura.

Anche la vite fa crescere, per porgere, a suo tempo, bevanda a chi ha sete; e nutre animali di vario genere, perché gli uomini abbiano cibo copioso e perché delle pelli, quelle che hanno la lana, ci servano da vestito, e le altre, per farci le scarpe.

Vedi dunque che il primo a compiere beneficenza è Dio, che in questo modo nutre chi ha fame, dà da bere a chi ha sete e veste chi è nudo come abbiamo detto.

Se poi vuoi sapere come egli cura i sofferenti, ascolta: chi ha insegnato all'ape a fare la cera e insieme con quella il miele?

Chi ha fatto che il pino, il terebinto, il lentisco stillino la loro resina olezzante?

Chi ha creato la terra degli indi, madre di frutti secchi e profumati?

Chi ha prodotto l'olio, rimedio alle fatiche e ai dolori del corpo?

Chi ha dato a noi la conoscenza delle radici e delle piante, e la comprensione delle loro doti?

Chi ha scoperto la medicina, fonte di salute?

Chi ha fatto sgorgare dalla terra le sorgenti d'acque calde, di cui alcune curano le malattie da raffreddamento e umidità, e altre le febbri e le sclerosi?

Ben s'addice dunque l'uso che ho fatto delle parole di Baruc: Lui scoprì ogni arte e scienza e la diede a Giacobbe suo fanciullo, e a Israele suo diletto ( Bar 3,37 ).

Così sono state scoperte arti che usano il fuoco, arti che non lo usano e arti che usano l'acqua; e mille invenzioni e mille metodi, perché nulla manchi a soddisfare i bisogni della vita.

Così Dio, che per primo ha escogitato la beneficenza, è il ricco e cordiale elargitore di tutto ciò che ci è necessario.

Ma noi, che pur da ogni parola della Scrittura siamo ammaestrati a imitare il nostro Signore e padrone - in quanto è possibile a un mortale l'imitazione di lui beato e immortale -, ci accaparriamo tutto a nostro vantaggio, e in parte lo usiamo per la nostra vita, in parte lo riponiamo per gli eredi.

E non facciamo nessun conto degli infelici, non abbiamo nessuna cura dei sofferenti.

Come ci manca ogni senso di misericordia!

Gregorio di Nissa, L'amore per i poveri, 1

5. - Cristo nei poveri

Se chi beffeggia il povero eccita all'ira il suo Fattore ( Pr 17,5 ), onora il Creatore colui che ha ogni cura di una sua creatura.

Quando poi senti: Povero e ricco si sono incontrati: il Signore ha fatto l'uno e l'altro ( Pr 22,2 ), non intendere che abbia fatto l'uno povero e l'altro ricco e tu venga così a vieppiù insorgere contro il povero: non è chiaro che quella distinzione venga da Dio: è detto che l'uno e l'altro sono creature di lui, anche se vi è qualche differenziazione esteriore.

Ciò ti muova alla compassione e alla fraternità e se il primo pensiero ti ha spinto all'orgoglio, quest'altro ti renda umile e più ponderato.

Che dice poi la Scrittura? Chi ha misericordia del povero, fa un prestito a Dio ( Pr 19,17 ).

Chi vorrebbe rifiutare un tale debitore, che a suo tempo renderà il prestito con gli interessi?

E ancora: Con le elemosine e la fede si purificano i peccati ( Pr 15,27 ) …

Credi che l'amore del prossimo non sia per te obbligatorio, ma libero?

Che non sia una legge, ma un consiglio?

Anch'io lo desideravo davvero e ne ero convinto: ma mi atterrisce la mano sinistra ( del Giudice divino ), i capretti, i rimproveri di lui assiso in trono.

E vengono giudicati e posti alla sinistra non perché abbiano rapinato, commesso furti sacrileghi o adulteri, o abbiano perpetrato qualche altra azione interdetta, ma perché non hanno avuto cura di Cristo nei bisognosi.

Perciò, se mi volete ascoltare, o servi di Cristo, o fratelli e coeredi miei, fino a quando abbiamo tempo, visitiamo Cristo, curiamo Cristo, nutriamo Cristo, vestiamo Cristo, ospitiamo Cristo, onoriamo Cristo: non solo a tavola, come alcuni; non con l'unguento prezioso come Maria, non solo col sepolcro, come Giuseppe di Arimatea, né con le cerimonie funebri, come Nicodemo, amico di Cristo a metà; e neppure con l'argento, l'incenso e la mirra, come i magi, a quanto è detto.

Ma poiché il Signore di tutti vuole misericordia e non sacrificio e la vera bontà è superiore a mille agnelli grassi, questa mostriamo a lui nei bisognosi che oggi giacciono a terra prostrati; e questo affinché, quando ce ne andremo di qui, egli ci accolga nei tabernacoli eterni.

Gregorio di Nazianzo, L'amore per i poveri, 36,39-40

EMP X-4. - La misericordia e la beneficenza sono amiche di Dio

Per quanto ogni parola della Scrittura ci educhi a divenire simili al nostro Signore e Creatore, nella misura in cui è possibile a un essere mortale imitare Dio sommamente beato, noi tuttavia facciamo sempre tornare ogni cosa a nostro personale vantaggio e quello che non tratteniamo per le necessità della nostra vita lo riponiamo in serbo per i nostri eredi.

Non si fa nessun conto degli sventurati, non ci si dà minimamente pensiero, con un briciolo d'amore, dei poveri.

Gente incapace di misericordia!

Se qualcuno vede un altro privo di pane, che manca perfino della razione di cibo indispensabile alla vita, non corre subito in suo aiuto con generosità, non gli tende la salvezza, ma lo sta a guardare da lontano, come si guarda un albero dai rami fiorenti, che avvizzisce miseramente per mancanza di acqua.

E tutto questo avviene quando egli personalmente possiede dei beni materiali sovrabbondanti e quando sarebbe in grado di far rifluire, a vantaggio di molti, il soccorso delle sue ricchezze.

Il flusso di una sorgente irriga molte distese campestri che le si aprono attorno: allo stesso modo, l'agiatezza economica di una casa potrebbe essere sufficiente per salvare folle di poveri: a patto però che non si sia preoccupati soltanto di sé o si rifiuti di mettere in comune i propri beni, come pietre che, cadute nello sbocco di una sorgente, ne ostruiscono il fluire delle acque.

Non viviamo soltanto secondo la carne: viviamo un po' anche per Dio …

La misericordia e la beneficenza sono opere gradite a Dio.

Quando tali virtù abitano in un uomo, lo divinizzano; imprimono in lui la somiglianza perfetta del bene, perché sia immagine dell'Essenza prima, santa e superiore a ogni intelligenza …

Perciò voi tutti, che siete stati creati esseri ragionevoli e possedete l'intelligenza, maestra e interprete delle realtà divine, non lasciatevi sedurre dalle realtà effimere.

Cercate di acquistarvi ciò che non delude mai chi ne entra in possesso.

Segnatevi dei limiti nell'uso dei beni della vita.

Non tutto è vostro: fatene parte con i poveri, i prediletti di Dio.

Tutto è di Dio, il nostro Padre comune.

E noi siamo fratelli, perché abbiamo la stessa origine.

Per dei fratelli, la cosa migliore e più equa è avere in sorte la loro eredità secondo parti uguali.

Ma se, in una suddivisione ingiusta, uno o due usurpano la porzione migliore, gli altri, almeno, ne ricevano una parte.

Se qualcuno poi volesse assolutamente essere padrone di tutto, escludendo i fratelli anche dalla terza o quinta parte, questi sarebbe un crudele tiranno, un barbaro intrattabile, una bestia insaziabile …

Serviti perciò dei beni materiali, ma non abusarne.

Gregorio di Nissa, L'amore per i poveri, 1

EMP W-20. - Il Cristo nei miseri e nei piccoli

Allorché si disprezza il povero, è Cristo che si disprezza; perciò la colpa è enorme.

Lo stesso Paolo ha perseguitato il Cristo perseguitando i suoi, ed è per questo ch'egli si sente dire: Perché mi perseguiti? ( At 9,4 ).

Ogni qualvolta facciamo l'elemosina, studiamoci di aver le stesse disposizioni d'animo come se dessimo al Cristo stesso, poiché le sue parole sono più degne di fede dei nostri stessi occhi.

Quando vedi un povero, ricordati dunque di quelle parole con cui il Cristo ti rivela che è lui che tu puoi soccorrere.

Poiché anche se ciò che appare non è lui, tuttavia, sotto quella forma, è lui stesso che mendica e che riceve.

Tu arrossisci, allorché senti che il Cristo è mendicante!

Arrossisci piuttosto di non dare nulla allorché egli mendica.

Lì è la vergogna, lì è la pena e il castigo.

Se egli mendica, lo fa per amore, e dobbiamo commuoverci; ma il non dare, è una crudeltà da parte tua.

Se tu non credi che, trascurando un fratello in miseria, è il Cristo che tu trascuri, dovrai pur crederlo quando ti farà comparire in mezzo ai suoi e dirà: Qualunque cosa non avete fatto a uno di questi piccoli, non l'avete fatta a me ( Mt 25,45 ).

Giovanni Crisostomo, Commento al vangelo di san Matteo, 88

A che serve ornare di vasi d'oro la mensa del Cristo, se proprio lui muore di fame?

Comincia col rifocillarlo quand'è affamato, allora potrai decorare la sua tavola con il superfluo.

Dimmi: se vedendo qualcuno privo del sostentamento indispensabile, tu lo lasciassi con la sua inedia e andassi ad abbellire la sua tavola con vasi d'oro, te ne sarebbe egli riconoscente?

O non piuttosto indignato?

O ancora, se vedendolo vestito di cenci e intirizzito per il freddo, tu lo lasciassi senza vesti per erigergli delle colonne d'oro, pretendendo in tal modo di onorarlo, non direbbe che ti prendi scherno di lui e con la più raffinata ironia?

Confessa a te stesso che così tu agisci verso il Cristo, allorché egli va pellegrino, straniero e senza riparo, e tu, senza riceverlo, decori i pavimenti, le pareti e i capitelli delle colonne.

Tu appendi lampadari con catene d'argento, e quando egli è incatenato, tu non vuoi andare a consolarlo.

Non dico questo per riprovare questi ornamenti, ma affermo che bisogna fare una cosa senza omettere l'altra; anzi, che bisogna iniziare da questa, dal soccorrere il povero.

Giovanni Crisostomo, Commento al vangelo di san Matteo, 50

Fra voi qualcuno forse dirà: se mi fosse dato di poter ospitare san Paolo, lo farei con grande premura.

Ed ecco che ti è possibile accogliere in casa tua il Signore di san Paolo, e tu non lo vuoi!

Chiunque accoglierà un piccolino come questo, in nome mio, accoglie me, dice Gesù ( Mt 18,5 ).

Più il fratello è piccolo, più il Cristo è presente in lui.

Chi riceve un personaggio lo fa spesso per vanagloria; ma chi riceve un povero lo fa unicamente per amore di Cristo.

Giovanni Crisostomo, Omelia 45 ( sugli Atti degli apostoli )

6. - Esortazione alla beneficenza

Anzitutto, o carissimi, è cattivo contro se stesso colui che non è buono verso gli altri, e nuoce alla sua anima colui che non soccorre l'anima altrui per quanto gli è dato.

Unica è la natura dei ricchi e dei poveri e, fra tutto il resto dell'umana fragilità, nessuna felicità e nessuna salute è sicura, perché non esiste chi non debba temere che possa succedere a lui ciò che è successo ad altri.

La natura umana si riconosca mutabile e caduca in tutti gli uomini e dimostri affetto sociale verso tutto il genere umano: pianga con chi piange, gema con i gemiti di chi soffre, divida i propri beni con i bisognosi, si pieghi sugli ammalati, fra i suoi cibi calcoli la parte degli affamati e senta raggelare se stessa nella nudità di chi trema per il freddo.

Quegli, infatti, che allevia la miseria temporale di chi soffre, sfugge il supplizio eterno di chi pecca.

Con preveggenza e pietà dunque, o carissimi, i santi padri hanno disposto che alcuni giorni, in tempi diversi, siano dedicati ad eccitare la devozione del popolo fedele a una colletta pubblica nella Chiesa - perché tutti coloro che sono nella necessità ricorrono soprattutto alla Chiesa -, e dalle possibilità dei molti abbia luogo una raccolta volontaria e santa che serva alle spese necessarie, a cura dell'autorità ecclesiastica …

E poiché Dio ama l'elargitore ilare ( 2 Cor 9,7 ), nessuno s'imponga più di quanto la sua sostanza gli permette: ciascuno sia giudice equo tra sé e il povero; la misericordia lieta e sicura allontani ogni diffidenza e chi soccorre i bisognosi sappia che offre a Dio tutto ciò che offre.

Di tutte le offerte, che certamente non saranno identiche, il merito può essere identico se, pur nella diversa quantità donata da ciascuno, non sarà mai minore la pietà.

Dio infatti, che non ha preferenze personali, accoglie egualmente il dono del ricco e quello del povero, perché egli sa ciò che ai singoli ha dato e ciò che non ha dato, e nel giorno della ricompensa non giudicherà solo il valore dell'offerta, ma anche l'intima disposizione della volontà,

Leone Magno Sermoni, 11

7. - La beneficenza serve alla propria anima

É certo che ciascuno di noi fa del bene alla propria anima tutte le volte che soccorre con misericordia i bisogni altrui.

La nostra beneficenza, dunque, o carissimi, deve essere pronta e facile, se crediamo che ciascuno di noi doni a se stesso ciò che elargisce ai bisognosi.

Cela il suo tesoro nel cielo colui che ciba Cristo nel povero.

Riconosci in ciò la benignità e l'economia della divina pietà: ha voluto che tu sia nell'abbondanza affinché per te l'altro non sia nel bisogno, e per il servizio della tua buona opera tu liberi il povero dalle necessità e te stesso dalla moltitudine dei tuoi peccati.

O mirabile provvidenza e bontà del Creatore che ha voluto riporre in un solo atto l'aiuto per due!

Domenica prossima, dunque, vi sarà la colletta.

Esorto e ammonisco la vostra santità che tutti voi vi ricordiate dei poveri e di voi stessi e, secondo la possibilità delle vostre forze, voi vediate Cristo nei bisognosi, Cristo che tanto ci ha raccomandato i poveri, da attestare che in essi noi vestiamo, accogliamo e cibiamo lui stesso.

Leone Magno, Sermoni, 6

8. - Amore alla povertà o, almeno, ai poveri

Se non tutti possono adempiere la parola del Signore: Vendete quel che possedete ( Lc 12,33 ), tuttavia ciò che soggiunse, cioè: « Date elemosina » è possibile per tutti, se c'è la buona volontà; è facile per tutti, se non c'è cupidigia feroce; è salutare per tutti, se ferve l'amore: deve dunque essere comune a tutti, affinché a tutti possa venir donata l'eterna felicità.

Chi dunque ha ricevuto dal Signore tanta virtù da disprezzare per amore del regno dei cieli tutto ciò che è nel mondo, venda quello che ha e lo dia ai poveri.

Ma chi non ha ancora tanta virtù, faccia elemosina con ciò che ha, in quanto gli è possibile.

La sua buona volontà operi tanto, quanto gli concede la sua facoltà.

L'uomo perfetto stia ai primi posti nella virtù, l'uomo imperfetto raggiunga almeno i secondi.

Quello se ne renda gloriosamente degno, questo sia lodevolmente largo.

Quello sia amante ardentissimo della povertà, questo sia piissimo consolatore dei poveri.

Questo abbia quali patroni presso Dio i poveri, mentre quello gode di averli consorti nella virtù.

Questo si comporti in modo che quando il Signore verrà a giudicare possa sedere tranquillo, quello si comporti in modo di assidersi alla sua destra per giudicare anche lui.

Quello faccia in modo da possedere per sempre i tabernacoli eterni, questo faccia in modo di essere da quello accolto.

In tal senso, infatti, ci ammonisce il Signore dicendoci: Con l'iniqua mammona fatevi degli amici che vi accolgano nelle tende eterne ( Lc 16,9 ).

Per il bene di tutti noi, dunque, o fratelli, è necessario che nessuno sia pigro nelle buone opere, nessuno sia sterile, nessuno per amore dei beni presenti disprezzi i futuri, nessuno, disprezzando le cose eterne, badi in modo errato alle cose terrene, nessuno preferisca il corporeo allo spirituale, nessuno anteponga le realtà terrene a quelle celesti.

Il nostro tesoro, o fratelli, riponiamolo nel cielo, affinché anche il nostro cuore possa essere nel cielo.

Necessariamente, infatti, dove è il tesoro del nostro amore ivi si trova anche l'affetto del nostro cuore.

Per questo la Verità dice: Dove sarà il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore ( Mt 6,21 ).

Per accumulare tesori in cielo, dunque, amiamo le realtà celesti.

Vuoi sapere dove tu raccogli i tuoi tesori? Bada ciò che ami.

Vuoi sapere ciò che ami? Bada ciò che pensi.

Avverrà così che dal tuo amore tu conoscerai il tuo tesoro, e comprenderai il tuo amore indagando i tuoi pensieri.

Fulgenzio di Ruspe, Prediche, 1,7-8

EMP X-8. - Amare i poveri

Il primo comandamento è il maggiore, fondamento della Legge e dei profeti è l'amore che, mi sembra, dà la più grande prova di sé nell'amore dei poveri, nella pietà e compassione verso il prossimo.

Nulla fa onore a Dio quanto la misericordia, poiché nulla gli è più affine, lui che la misericordia e la verità precedono ( Sal 89,15 ) e che preferisce la misericordia alla giustizia ( Os 8,6 ).

Nulla quanto la benevolenza verso il prossimo attira la benevolenza dell'amico degli uomini: la sua ricompensa è giusta, egli pesa e misura la misericordia.

A tutti i poveri dobbiamo aprire il cuore, e anche a tutti gli infelici, quali che siano le loro sofferenze.

Questo è l'intimo significato del comandamento che ci impone di rallegrarci con coloro che sono nella gioia e di piangere con coloro che piangono ( Rm 12,15 ).

Essendo noi stessi degli uomini, non è forse opportuno che siamo benevoli verso gli uomini?

Vegliamo sulla salute del prossimo con altrettanta premura che sulla nostra, sia esso sano o malato.

Poiché noi formiamo un sol corpo in Cristo ( Rm 12,15 ): ricchi o poveri, schiavi o liberi, sani o infermi.

Per tutti non v'è che un solo capo, principio di tutto: il Cristo.

Ciò che le membra del corpo sono l'una per l'altra, ognuno di noi lo è per ciascuno dei suoi fratelli, e tutti lo sono per tutti.

Non bisogna dunque trascurare né abbandonare coloro che sono caduti prima di noi in uno stato di infermità in cui tutti possiamo cadere.

Piuttosto che rallegrarci d'essere in buona salute, è molto meglio compatire le disgrazie dei fratelli …

Sono fatti a immagine di Dio come noi e, nonostante la loro apparente miseria, hanno custodito meglio di noi la fedeltà di tale immagine.

In essi, l'uomo interiore ha rivestito il Cristo stesso e hanno ricevuto le stesse caparre dello Spirito ( 2 Cor 5,5 ).

Hanno le stesse leggi, gli stessi comandamenti, gli stessi patti, le stesse assemblee, gli stessi misteri, la stessa speranza.

Cristo è morto anche per essi, colui che toglie i peccati del mondo ( Gv 1,29 ).

Partecipano all'eredità celeste, essi che furono privati di molti beni quaggiù Sono i compagni delle sofferenze di Cristo, lo saranno della sua gloria …

La natura umana ci impone di aver compassione degli altri.

Insegnandoci la solidarietà nelle necessità, ci inculca il rispetto e l'amore agli uomini.

Gregorio Nazianzeno, L'amore per i poveri, 4-6.14-15

9. - Durante il digiuno esaminiamo il nostro comportamento

Nei giorni santi del digiuno compiamo più abbondanti le opere di misericordia alle quali sempre dobbiamo dedicarci: Siamo misericordiosi verso tutti, ma soprattutto verso chi ci è familiare nella fede ( Gal 6,10 ).

Imitiamo così, nella stessa distribuzione delle elemosine, la bontà del Padre celeste che fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi, e fa scendere la pioggia sui giusti e gli ingiusti ( Mt 5,45 ).

Per quanto dunque si debba sovvenire anzitutto alla povertà dei fedeli, dobbiamo aver misericordia anche per i travagli di quelli che ancora non hanno accolto il Vangelo, perché in tutti gli uomini dobbiamo amare la natura comune.

Questa deve renderci benigni anche verso coloro che per un motivo qualsiasi ci sono soggetti, soprattutto se rinati per la stessa grazia e redenti con lo stesso riscatto del sangue di Cristo.

Abbiamo in comune con loro l'essere stati creati a immagine di Dio e non siamo da loro distinti né per la nostra origine carnale né per la nascita spirituale.

Lo stesso Spirito ci santifica, della stessa fede viviamo, agli stessi sacramenti ci avviciniamo.

Non disprezziamo quest'unità, non ci sia vile tanta unione; anzi, ci renda ancor più miti il fatto che noi traiamo vantaggio dalla loro soggezione e che insieme con loro siamo soggetti al Signore nella stessa servitù.

Se qualcuno di loro, dunque, ha offeso gravemente il padrone, ne goda l'indulgenza in questi giorni di riconciliazione.

La misericordia allontani la severità, il perdono distrugga la vendetta.

Nessuno resti in custodia, nessuno stia rinchiuso in prigione, perché il nostro Dio ha promesso la sua misericordia a questa condizione: sappia che sono rimessi i suoi peccati colui che ha perdonato le colpe altrui.

Allontaniamo dunque, carissimi, ogni pretesto di contesa, calpestiamo ogni stimolo all'inimicizia.

Cessi l'odio, sparisca ogni invidia, tutte le membra di Cristo si stringano nell'unità dell'amore: Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio ( Mt 5,9 ); e non solo figli, ma anche eredi, ed eredi di Cristo ( Rm 8,17 ).

Leone Magno, Sermoni, 41,3

10. - Offri con gioia i tuoi doni

Non basta fare opere di misericordia, ma le si devono fare con larghezza e senza tristezza d'animo; o meglio, non solo senza tristezza, ma con letizia, con gioia: non è lo stesso non essere tristi e gioire.

Proprio questo voleva ottenere con grande cura l'Apostolo, scrivendo ai Corinti: Chi scarsamente semina, scarsamente mieterà; e chi semina con larghezza, con larghezza mieterà ( 2 Cor 9,6 ); soggiungendo poi, per creare uno stato d'animo retto: Non di malavoglia o per forza ( 2 Cor 9,7 ).

Queste due disposizioni devono essere presenti in chi compie opere di misericordia: la generosità e la gioia.

Perché gemi quando fai elemosina? Perché ti rattristi compiendo opere di misericordia, e rinunzi così al frutto della tua opera buona?

Se sei triste, non sei misericordioso, ma rozzo e insensibile.

Così rattristato, come potrai alleviare chi è nel dolore?

É desiderabile che, porgendogli tu con gioia il dono, egli non sospetti nulla di male; dato infatti che nulla sembra tanto umiliante agli uomini come ricevere dagli altri, se tu non elimini ogni sospetto con una gioia smisurata, mostrando di ricevere piuttosto che dare, opprimi chi riceve il tuo dono piuttosto che sollevarlo.

Per questo l'Apostolo dice: Chi fa opere di misericordia, le compia con gioia ( Rm 12,8 ).

Chi ricevendo un regno si mostra afflitto?

Chi raccogliendo la remissione dei peccati resta accasciato?

Non pensare dunque alla spesa, ma al guadagno che te ne deriva.

Infatti se chi semina si rallegra, anche se semina nell'incertezza, tanto più colui che coltiva il campo del cielo.

Così, anche dando poco, darai molto; come invece pur dando molto, ma con tristezza, riduci a poco il tuo molto.

In tal modo anche la vedova con due monetine diede più di molti talenti: il suo animo era generoso.

« Ma come è possibile - si obietta - che chi vive in libertà estrema e dà tutto il suo, lo faccia di buon animo? ».

Interroga la vedova, e senti come, e impara che non è la povertà a creare l'angustia, ma la libera volontà che può fare una cosa e tutto il contrario; anche nella povertà è possibile essere magnanimi e nella ricchezza gretti d'animo.

Per questo l'Apostolo richiede che si dia del proprio con semplicità, che si facciano opere di misericordia con gioia, che si stia al comando con sollecitudine.

Vuole infatti che aiutiamo i bisognosi non solo col denaro, ma anche con le parole, con le opere, col corpo e con tutto il resto.

Giovanni Crisostomo, Commento alla lettera ai Romani, 22,1-2

11. - Fa' ciò che puoi!

Nel suo amore per gli uomini, il Signore non ha voluto aprire una sola via di salvezza.

Non ha detto che chi non renderà il cento per uno si perderà, ma che si salverà anche chi farà fruttare il seme al sessanta e anche al trenta per uno.

Egli ha così disposto per rendere facile la salvezza.

Tu non puoi conservare la verginità? Ebbene, sposati e vivi onestamente nel matrimonio.

Non riesci a rinunziare a tutti i tuoi beni e a farti povero? Fa' elemosina con ciò che possiedi.

Le tue ricchezze ti schiacciano come un insopportabile peso? Dividile a metà con Cristo.

Non vuoi donargliele tutte? Donagli la metà o almeno la terza parte.

Egli è tuo fratello e coerede: consideralo anche qui in terra tuo coerede.

Tutto quanto donerai a lui, lo darai in effetti a te stesso.

Non senti cosa dice il profeta: Non disprezzare quanti hanno lo stesso tuo sangue ( Is 58,7 )?

Se non ti è lecito disprezzare i tuoi parenti, tanto meno il Signore che, oltre alla potestà che ha su di te, possiede anche nei tuoi confronti il diritto di parentela e molti altri forti vincoli.

Senza avere ricevuto niente da te, ti ha fatto partecipe dei suoi beni, incominciando a dimostrarti per primo la sua ineffabile generosità.

Non sarà dunque il colmo dell'ingratitudine e della stoltezza se neppure con tale dono diventerai misericordioso, se non offrirai nulla in cambio di tale grazia e non darai le cose minime per quelle grandi che hai ricevute?

Egli ti ha fatto erede del cielo e tu in cambio non gli offri nulla di quanto possiedi qui in terra.

Egli, senza nessun merito da parte tua, ti ha perdonato anche quando eri suo nemico; e tu ora non dai nulla in cambio di chi ti ama e benefica?

In realtà, ancor prima di ringraziarlo per il regno e per tutti gli altri benefici, non sarebbe giusto rendergli grazie per il fatto stesso che egli fa tali doni?

Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, 45,2

12. - Dio si lascia placare dall'elemosina

Mai, fratelli dilettissimi, la divina ammonizione è ammutolita o ha cessato, nelle Scritture sante sia del vecchio che del nuovo patto, di incitare sempre e ovunque il popolo di Dio alle opere di misericordia; alta si è elevata l'esortazione dello Spirito Santo, imponendo a chiunque è illuminato dalla speranza del regno celeste di fare elemosine.

Dio comanda, ordina a Isaia: Grida con forza e non smettere.

Alza la tua voce come una tromba, annuncia al mio popolo i suoi peccati e alla casa di Giacobbe i suoi delitti ( Is 58,1 ); ed egli, dopo aver loro imposto di esecrare i loro peccati, gettato loro in volto, con tutto l'impeto del suo sdegno, i loro delitti, dopo aver dichiarato che era loro impossibile soddisfare al loro male per quanto si dessero alle preghiere, alle orazioni e ai digiuni, che non potevano placare l'ira di Dio neppure rotolandosi nella polvere col cilicio, mostra alla fine che solo dalle elemosine Dio si lascia placare; e conclude: Spezza con chi ha fame il tuo pane e ospita i poveri, privi di tetto, in casa tua.

Se vedi uno nudo, vestilo, e non disprezzare chi è della tua stessa stirpe.

Allora rifulgerà all'improvviso il tuo splendore e i tuoi abiti sorgeranno; ti precederà la giustizia e lo splendore di Dio ti circonderà.

Allora chiamerai e Dio ti esaudirà; mentre ancora starai parlando ti dirà: « Eccomi qui » ( Is 58,7-9 ).

Le stesse parole di Dio hanno indicato i rimedi per propiziare Dio e il magistero divino ha insegnato ciò che devono fare i peccatori; a Dio si soddisfa con le opere della giustizia; i peccati si cancellano con i meriti della misericordia.

Leggiamo presso Salomone: Rinchiudi la tua elemosina nel cuore del povero, ed essa supplicherà per te la liberazione da ogni male ( Sir 29,15 ), e ancora: Chi chiude le orecchie per non udire il misero, invocherà Dio, ma non ci sarà chi lo esaudisca ( Pr 21,13 ).

Non può infatti meritare la misericordia di Dio chi non è misericordioso né può ottener alcunché con la preghiera dalla divina bontà, chi non si mostra umano di fronte alla preghiera del povero.

Anche nei salmi lo Spirito Santo lo dichiara e attesta dicendo: Beato chi ha cura del povero e del misero: il Signore lo libererà nel tempo avverso ( Sal 41,2 ).

Memore di questi precetti Daniele diede al re Nabucodonosor, angosciato per il terrore di un sogno funesto, la ricetta per impetrare l'aiuto divino e allontanare ogni male; disse: Perciò, o re, ti piaccia il mio consiglio: redimi i tuoi peccati con le elemosine, le tue ingiustizie con le opere di misericordia verso i poveri, e Dio sopporterà le tue colpe ( Dn 4,24 ).

Ma il re non gli diede ascolto e subì tutte le avversità e i malanni visti in sogno: eppure li avrebbe potuti evitare e uscirne illeso, se avesse redento i suoi peccati con le elemosine.

Lo attesta anche l'angelo Raffaele; per esortare all'elemosina larga e generosa, dice: É buona l'orazione con il digiuno e l'elemosina, perché l'elemosina libera dalla morte e cancella da se stessa i peccati ( Tb 12,8 ).

Mostra che le nostre preghiere e i nostri digiuni possono molto meno se non sono aiutati dalle elemosine, e che le suppliche sole hanno ben poco valore impetratorio se non vengono colmate dall'aggiunta delle opere, dei fatti.

Negli Atti degli apostoli ciò viene comprovato con i fatti, e un evento ivi narrato dimostra che l'elemosina libera non solo dalla seconda, ma anche dalla prima morte.

Quando Tabita, già tutta dedita alle opere buone e alla elemosina, si ammalò e morì, Pietro fu chiamato presso il cadavere di lei.

Giunse sollecito, per il suo zelo apostolico, e lo circondarono, piangenti e supplicanti, le vedove, mostrandogli i vestiti, i mantelli e tutto ciò che da quella avevano ricevuto, supplicandolo per la defunta non a parole, ma con le opere.

Pietro sentì che si poteva impetrare ciò che quelle chiedevano e che non sarebbe mancato alle vedove l'aiuto di Cristo, perché in loro egli stesso era stato vestito.

Messosi dunque a pregare ginocchioni, offrendo al Signore, quale buon avvocato delle vedove e dei poveri, preci a nome loro, voltandosi verso il cadavere che giaceva già lavato sul feretro disse: Tabita, sorgi nel nome di Gesù Cristo ( At 9,40 ).

E non mancò di prestare subito il suo aiuto a Pietro colui che nel Vangelo aveva promesso di esaudire tutto ciò che gli fosse stato chiesto nel suo nome.

La morte è sospesa, lo spirito ritorna, e fra l'ammirazione e lo stupore di tutti quel corpo ricominciò a vivere, si rianimò e tornò alla luce di questo mondo.

Tanto poterono i meriti della misericordia, a tanto valsero le opere buone.

Colei che aveva elargito alle vedove gli aiuti per vivere, meritò di ritornare a vivere per la supplica delle vedove.

Perciò nel Vangelo il Signore, maestro della nostra vita e guida alla salvezza eterna, per donare la vita al popolo dei credenti e mantenerla in eterno a quelli che già l'hanno, fra i suoi comandamenti divini e precetti celesti nulla ripete e impone tanto spesso, quanto che ci dedichiamo a fare elemosine, che trascuriamo i possessi terreni e nascondiamo nel cielo i nostri tesori: Vendete le vostre cose e fate elemosina ( Lc 12,33 ), e ancora: Non vogliate nascondervi tesori sulla terra dove la tignola e la ruggine distruggono e dove i ladri scavano e rubano.

Ammassate i vostri tesori nel cielo, dove né la tignola né la ruggine distruggono e dove i ladri non scavano.

Dove infatti sarà il tuo tesoro ivi sarà anche il tuo cuore ( Mt 6,19-21 ).

E volendo mostrare la perfezione più alta nell'osservanza della legge dice: Se vuoi essere perfetto va', vendi tutte le tue cose e dalle ai poveri, e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni, e seguimi ( Mt 19,21 ).

Cipriano, Le opere buone e le elemosine, 4-8

13. - L'elargizione viene giudicata dagli intimi sentimenti

Nella beneficenza, se non è uguale la possibilità di tutti, deve essere pari la pietà: la beneficenza dei fedeli, infatti, non viene misurata dall'importanza dell'elargizione, ma dalla misura della benevolenza.

Anche i poveri, perciò, abbiano il loro guadagno in questo commercio di misericordia e tolgano dalla loro sostanza, per quanto piccola, qualcosa che non li rattristi, per sostentamento dei bisognosi.

Il ricco sia più abbondante nel dono, ma il povero non gli sia inferiore nell'animo.

Per quanto, infatti, si spera un maggior raccolto da quantità maggiore di semente, può avvenire tuttavia che anche da una seminagione ridotta ne derivino molti frutti di giustizia.

Il nostro giudice è giusto e verace e non defrauda nessuno della mercede dei suoi meriti.

Perciò vuole che noi abbiamo cura dei poveri affinché, nell'esame della ricompensa futura, Cristo Dio nostro ci possa elargire la misericordia promessa ai misericordiosi.

Leone Magno, Sermoni, 8

14. - Solo il cielo conosca la nostra misericordia

Quando fai elemosina, non suonare la tromba davanti a te come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle vie, per essere glorificati dagli uomini!

In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro mercede! ( Mt 6,2 ).

Avete sentito come il Signore definisce l'elemosina fatta tra la folla, nelle piazze e ai crocicchi: non è voluta per sollievo dei poveri, ma per acquistare il favore degli uomini: chi fa così, mostra di vendere la propria misericordia, non di donarla.

Dobbiamo fuggire questa ipocrisia, o fratelli, dobbiamo fuggirla, perché è schiava della gloria e non allevia la verecondia dei poveri, ma la accentua, essa ricerca la pompa vana della propria lode fra i gemiti dei miseri, amplia la propria reputazione col dolore dei poveri, diffonde la propria fama per la miseria di chi domanda.

Ma qualcuno dirà: Dunque tra la folla, nelle piazze e nei crocicchi si deve negare misericordia?

Non si deve distribuire cibo? Certo, in ogni luogo e in ogni tempo bisogna fare opere buone, distribuire cibo e coprire nudità; ma nel modo con cui ci ha insegnato l'autore della misericordia, che cioè la nostra misericordia sia nota non alla terra, ma al cielo; non presentata agli uomini, ma a Dio.

Anche nelle piazze e nei crocicchi la pietà conserva il proprio segreto; al contrario è piazza, è crocicchio il luogo segreto in cui l'ipocrita opera non in segreto.

Fratelli, il Signore così ammonendoci, incolpa l'animo, non i luoghi; l'intenzione, non le opere; le brame, non il dono: rimprovera chi elargisce per la propria fama, non per la fame del povero; giudica non dove fai e quanto fai, ma come fai, perché Dio misura i fatti dal cuore, non dalle mani; e dall'intenzione, non dal luogo determina la qualità delle tue opere.

Vuole che la misericordia si compia solo davanti a lui perché egli solo è rimuneratore e testimone della misericordia; infatti egli dice: Ebbi fame, e mi deste da mangiare ( Mt 25,35 ).

Egli vuole che nei poveri noi doniamo a lui stesso, e chi vuole che a sé si doni intende rendersi personalmente debitore del dono; e chi vuole rendersi personalmente debitore del dono, vuole che nulla vada perduto per chi dona. Dio chiede poco, ma renderà molto.

Perciò, o uomo, se nel povero tu fai un prestito a Dio, non cercare gli uomini quali testimoni: la sua fedeltà non ha bisogno di arbitri.

Colui che nulla dà senza mediazione diffida della fedeltà di chi riceve; chi non si fida del debito altrui, fa arrossire di vergogna il debitore.

Perciò, o uomo, se dai a Dio, da' in segreto: così quello che darai non ti sarà di peso, ma di onore.

Colui che ti rende ricco viene a te nel povero, affinché tu non esiti a rendere a lui quello che hai ricevuto, avendoti egli gratuitamente concesso quel che tu possa dare.

Pietro Crisologo, Sermoni sul Vangelo di san Matteo, 11

15. - Se hai donato a Dio, non aspettarti lodi

In questo monte [ Natron ] abitò anche il beato Pambo, maestro del vescovo Dioscoro e dei fratelli Ammonio, Eusebio ed Eutimio, e anche di Origene, nipote di Draconzio; fu un uomo illustre e ammirabile.

Questo Pambo dunque compì molte belle azioni ed ebbe varie doti eccezionali; fra gli altri suoi grandi successi, in questo particolarmente si dimostrò superiore: disprezzava l'oro e l'argento, come ci impone la parola del Signore.

A questo riguardo, ecco cosa mi narrò la beata Melania: « Appena io giunsi da Roma ad Alessandria, il presbitero addetto all'ospitalità mi parlò delle virtù di Pambo e mi condusse da lui nell'eremo; e a lui io portai oggetti d'argento per il peso di trecento libbre, supplicandolo di voler prender parte ai miei beni.

Ed egli, - diceva Melania - standosene seduto e continuando a intrecciare rami, mi benedisse a gran voce dicendo: « Il Signore ti ricompensi ».

Poi soggiunse al suo amministratore Origene: « Prendili e distribuiscili a tutti i fratelli in Libia e nelle isole: quei monasteri ne hanno bisogno più degli altri ».

E gli prescrisse di non dare di quei beni a nessuno in Egitto essendo questa una regione ricca.

E io - continuava Melania - me ne stavo aspettando che mi benedicesse, mi glorificasse o almeno mi dicesse una parola di lode per un tale dono.

Ma non udii da lui assolutamente nulla, allora gli dissi: « Signore, perché tu sappia quanto è, sono trecento libbre d'argento ».

Ed egli, neppure alzando la testa né badando alla cassa con gli oggetti, mi rispose: « Colui a cui l'hai portata, o figlia, non ha bisogno di saperne da te il peso. Lui infatti che pesa i monti e mette i boschi sulla bilancia ( Is 40,12 ), quanto meglio conoscerà la quantità di questo argento.

Se lo avessi dato a me avresti fatto bene a dirmene il peso; ma poiché l'hai offerto a Dio, il quale non disprezzò neppure le due monetine della povera vedova, ma anzi la stimò più di tutto, taci!

« Così operava la grazia del Signore - concluse Melania - quando visitai quel monte ».

Palladio di Elenopoli, Vita dei santi padri, 10

16. - Rinvio delle opere di misericordia a dopo la fine della vita

Quale scusa plausibile della loro tirchieria tirano in ballo coloro che non hanno figli?

« Non vendo i miei beni e non li do ai poveri, perché ne ho bisogno io per vivere ».

Così dunque il Signore non è tuo maestro, né il Vangelo indirizza la tua vita, ma tu poni legge a te stesso.

Osserva in che pericolo cadi pensando così.

Se, infatti, ciò che il Signore ci ha comandato come necessario tu lo sopprimi come impossibile, non fai altro che proclamarti più intelligente del legislatore.

« Godrò dei miei beni finché vivrò, e dopo la fine della vita farò eredi delle mie sostanze i poveri; per iscritto, per testamento li indicherò padroni del mio avere ».

Quando non sarai più tra gli uomini, allora amerai gli uomini; quando ti vedrò morto, dirò che amerai il prossimo!

Grande sarà il merito della tua liberalità, perché giacendo nel sepolcro, dissolvendoti in terra, sarai magnanimo, sarai largo nello spendere!

Ma dimmi: la ricompensa che tu esigi, a che tempo si riferisce: a quello della vita o a quello dopo la morte?

Eppure nel tempo in cui vivevi, abbandonandoti alle passioni e ai piaceri della vita, non potevi neppure sopportare la vista dei poveri; e quando sarai morto, cosa farai?

Quale ricompensa sarà dovuta alle tue opere?

Mostra le opere, ed esigi la mercede!

Nessuno si mette a contrattare quando il mercato è finito; nessuno è premiato se giunge quando la gara è terminata, e nessuno è ritenuto un eroe se arriva quando la guerra è cessata.

Ed è chiaro che dopo la fine della vita non è più possibile compiere opere di pietà.

Eppure tu ti impegni, bianco su nero, di compiere allora opere buone; ma chi ti annuncerà il momento della tua dipartita?

Chi ti garantirà un dato genere di morte?

Quanti sono stati portati via da casi violenti, e per la sofferenza non hanno potuto neppure pronunciare una parola!

Quanti sono stati resi incoscienti dalla febbre!

Perché aspetti dunque un tempo in cui, come avviene per lo più, non sarai padrone neppure dei tuoi pensieri?

Notte profonda, malore opprimente, e nessuno che ti aiuti; e chi mira alla tua eredità sarà pronto e predisporrà tutto per il suo utile, rendendo inefficaci i tuoi voleri.

Allora, guardando qua e là, vedendo la solitudine che ti circonda, comprenderai la tua sconsideratezza; piangerai la pazzia di aver riposto l'osservanza della legge per quel tempo, in cui la lingua non ti obbedisce più, e la mano tremante è già scossa da contrazioni, tanto che né a voce né per scritto puoi indicare il tuo pensiero.

E anche se tutto fosse scritto apertamente, fosse annunciato a chiara voce, una semplice parola aggiunta sarebbe sufficiente a cambiare il tuo pensiero: un sigillo falsificato, due o tre testimoni corrotti, trasferirebbero ad altri tutta la tua eredità.

Perché dunque inganni te stesso, disponendo male ora della tua ricchezza per i piaceri della carne e ripromettendoti per il futuro ciò di cui non sarai più padrone?

Come ti dimostra questo discorso, è una decisione abietta questa: « Vivendo, mi prenderò ogni diletto; morendo, farò ciò che è prescritto ».

Ma Abramo ti dirà: Hai già avuto il bene nella tua vita ( Lc 16,25 ).

La via stretta e angusta non può riceverti, se non deponi il peso delle ricchezze.

Te ne sei dipartito portando questo peso, e non l'hai gettato via, come ti era comandato.

Basilio il Grande, Omelia contro i ricchi, 8-9

17. - Ordine e controllo nella liberalità

É chiaro che ci deve essere un controllo nella liberalità, perché la beneficenza non diventi inutile.

Ci si deve attenere a una certa rigidità, soprattutto da parte dei sacerdoti, perché si dispensi non secondo la petulanza, ma secondo la giustizia.

Non ci si guarderebbe, altrimenti, dalla smoderatezza nelle richieste.

Vengono giovani forti, viene gente che non ha nessun motivo di girovagare, e vogliono annientare i beni dei poveri, rendere vana ogni spesa; non contenti del poco, chiedono sempre di più, e cercano di avallare con i vestiti le loro pretese, e simulando falsi natali aumentano continuamente le loro richieste.

Se qualcuno presta facilmente loro fede, esaurisce ben presto i beni riservati per il sostentamento dei poveri.

Vi sia controllo dunque nella beneficenza, perché i poveri non se ne tornino a mani vuote e perché il sostentamento dei miseri non si trasformi in un bottino degli imbroglioni.

La misura sia tale, che non si manchi di umanità e si sovvenga alle necessità.

Molti simulano debiti: si esamini la verità.

Molti piangono di essere stati spogliati e derubati: ne faccia fede o il fatto o la conoscenza della persona, perché si possano aiutare con più larghezza.

A chi è stato allontanato dalla Chiesa, si dia la sua parte se non ha possibilità di sostentarsi.

Chi sa così controllarsi, non è avaro con nessuno, è largo con tutti.

E non dobbiamo solo prestare l'orecchio per udire le voci di chi supplica, ma dobbiamo anche considerarne con gli occhi le necessità.

Chi fa del bene ascolta più la debolezza che la voce del povero.

L'importunità di chi continua a vociferare, è vero, ottiene di più; ma l'impudenza non trionfi sempre.

Si deve vedere chi non ti vede; si deve ricercare chi ha vergogna di farsi vedere.

Ti si presenti anche chi è chiuso in carcere; si faccia udire all'affetto del tuo cuore anche colui che, per la malattia, non può farsi udire alle tue orecchie.

Quanto più il popolo ti vedrà operare il bene, tanto più ti amerà.

Conosco molti sacerdoti che più hanno dato, e più hanno avuto; infatti, chiunque vede un buon operaio del Signore, affida a lui le sue offerte da dispensare nel suo ministero, sicuro che la propria misericordia giungerà veramente al povero: nessuno vuole che i propri beni giovino se non ai poveri.

Ma chi vede un dispensatore smoderato, o un altro troppo spilorcio, disprezza l'uno e l'altro, quello cioè che dissipa con erogazioni superflue il frutto della fatica altrui, e quello invece che se lo nasconde in borsa.

Come pertanto ci vuole un controllo nella beneficenza, così ci vuole anche uno sprone: il controllo, perché tu possa ogni giorno beneficare e non sottragga alla necessità indulgendo alla larghezza; lo stimolo, perché il denaro frutta di più nel cibo del povero che nella borsa del ricco.

Bada bene di non rinchiudere nei tuoi scrigni la salute del misero e di non seppellirvi, come fossero tombe, la vita del povero.

Ambrogio, I doveri, 2,76-78

18. - Lode dell'unione domestica e dell'ospitalità cristiana

Nella lettera ai Corinti Paolo diceva: Salutatemi Aquila e Priscilla, con la Chiesa che è in casa loro ( 1 Cor 16,19 ).

E scrivendo su Onesimo dice: Paolo a Filemone e alla cara Appia, e alla Chiesa che è in casa tua ( Fm 1-2 ).

Anche vivendo nel matrimonio è possibile essere esemplare e generoso.

Ecco, anche costoro vivevano in matrimonio, e risplendevano assai, sebbene la loro professione non fosse affatto illustre: erano fabbricanti di tende.

Ma la loro virtù copriva tutto ciò, e li rendeva splendidi più del sole.

Non nuoceva loro né il mestiere, né la vita coniugale, ma mostravano veramente l'amore che Cristo ha richiesto: Nessuno infatti ha un amore più grande - ha detto - di colui che dà la vita per i suoi amici ( Gv 15,13 ).

E attuarono quello che è il distintivo dei discepoli [ di Cristo ]: presero la croce e lo seguirono.

Se fecero questo per Paolo, quanto più per Cristo avrebbero dato prova di coraggio!

Ascoltino questo i ricchi e i poveri! Se quelli, che vivevano con il lavoro delle loro mani e dirigevano il laboratorio, mostrarono tanta larghezza da rendersi spesso utili alle Chiese, che scusa avranno mai i ricchi che disprezzano i poveri?

Essi non risparmiarono neppure la propria vita per piacere a Dio, e tu sei tirchio di un po' di denaro e spesso non badi alla tua anima?

O forse che quei coniugi si mostrarono così col maestro e non invece con i discepoli?

Neppure questo si può dire: anche le comunità dei cristiani provenienti dal paganesimo, dice Paolo, erano loro riconoscenti.

Eppure erano giudei, ma avevano una fede tanto sincera che servivano con tutto l'animo anche quelli che erano stati pagani.

Così bisogna che siano le donne: adorne non con trecce, con oro o con vesti sontuose ( 1 Tm 2,9 ), ma con queste belle azioni.

Quale regina mai, dimmi, risplendette così?

E quale mai viene celebrata come questa moglie di un fabbricatore di tende?

É sulla bocca di tutti, non per dieci, non per cento anni, ma fino alla parusia del Cristo e tutti la celebrano per queste sue azioni, che la ornano più del diadema regale.

Cosa è maggiore o semplicemente uguale che essere la difesa di Paolo che aver salvato, con proprio pericolo, il maestro del mondo?

Vedi di quante regine si tace, e come ovunque, invece, si loda questa moglie di un tendaio, insieme col suo uomo; vedi come la gloria di questa donna percorre la terra tutta, quanta ne illumina il sole: i persi, gli sciti, i traci e quelli che abitano gli estremi confini della terra celebrano la saggezza di questa donna e la proclamano beata.

Quante ricchezze, quante corone e porpore tu stesso non getteresti via volentieri, purché a te si rendesse questa testimonianza?

E nessuno potrebbe dire che, vivendo in tanti pericoli ed elargendo tanto denaro, non si curassero della predicazione apostolica, perché proprio per questo Paolo li chiama collaboratori e colleghi di missione.

Egli, vaso d'elezione, non si perita di chiamare propria collaboratrice una donna, ma anzi se ne fa un vanto: non bada al sesso, ma incorona il buon proposito.

Quale ornamento mai è simile a questo?

Dove sono ora le ricchezze di cui fate ovunque sfoggio, o l'avvenenza del vostro volto?

Dove la gloria vana? Impara che l'ornamento della donna non è quello che circonda il corpo, ma quello che abbellisce l'anima e che non le sarà mai tolto: non quello che è posto nello scrigno, ma quello che è riposto nei cieli.

Guarda il loro lavoro di predicazione, la loro corona di martirio, la loro liberalità col denaro, il loro amore per Paolo, il loro affetto per il Cristo; confronta ciò con le tue disposizioni: la tua competizione con donne di malaffare, le tue contese per un po' di paglia, vedrai allora chi furono quelle e chi sei tu.

O meglio, non confrontarti solo, ma imita queste donne e deposto il peso della vanità ( altro non è il lusso nel vestire ), ornati con i vezzi del cielo e impara come poterono rendersi tali Priscilla e i suoi.

Come dunque? Per due anni ospitarono Paolo; e quei due anni cosa produssero nella loro anima?

« Ma che sarà di me - si dice - che non ho Paolo con me ».

Se vuoi, hai qualcosa di più perfetto che loro: non fu infatti la vista di Paolo che produsse ciò in loro, ma le parole di Paolo.

Orbene: qualora tu lo voglia, hai Paolo, hai Pietro, hai Giovanni e tutto il coro dei profeti con gli apostoli che discorrono incessantemente con te.

Prendi dunque i libri di questi personaggi beati, leggi continuamente i loro scritti e potranno fare di te ciò che fecero di quella moglie di un tendaio.

Ma che dico Paolo? Se lo vuoi, hai con te lo stesso Padrone di Paolo: tramite la bocca di Paolo egli stesso ti parla.

Inoltre, puoi ottenere ciò anche in un altro modo: qualora tu accolga i santi, qualora tu serva quelli che credono in lui.

E quando essi se ne andranno, avrai molti bei ricordi di pietà.

Infatti, anche la tavola su cui ha mangiato un santo, la sedia su cui si è seduto, e il letto su cui si è sdraiato riempiono di commozione chi l'ha ospitato, anche quando lui se n'è andato …

Pensando a ciò e considerando la fortezza d'animo di quelle donne e la loro saggezza, calpesta la vanità mondana, il lusso nel vestire, la magnificenza degli ori, il profumo degli unguenti; lascia andare gli atteggiamenti vezzosi, il comportamento molle e l'incedere studiato, e rivolgi tutta la tua cura all'anima e accendi la tua mente di desideri celesti.

Se questo amore si impossesserà di te, riguarderai come pattume e fango e ti riderai di ciò che ora sembra meraviglioso: non è possibile che una donna adorna di opere spirituali ricerchi queste ridicolaggini!

Getta via dunque tutte queste cose, pur tanto desiderate dalle donne di mondo, dalle danzatrici e dalle suonatrici di flauto, e tuo vestito sia la saggezza, l'ospitalità, la cura per i santi, la compunzione, la preghiera continua.

Sono ornamenti migliori dei panni intessuti d'oro più splendidi delle pietre preziose e delle collane di perle: ti rendono accetta agli uomini e ti procurano un premio grande presso Dio.

Questo è l'ornamento della Chiesa, quello dei teatri; questo è degno dei cieli, quello dei cavalli e dei muli; con quello si ornano i corpi mortali, questo rifulge solo nell'anima virtuosa, in cui abita Cristo.

Con questo vezzo dunque orniamoci e saremo lodati ovunque anche noi, e piaceremo al Cristo nei secoli dei secoli. Amen.

Giovanni Crisostomo, Commento alla lettera ai Romani, 31,3-4

19. - Una donna che fu esempio di ospitalità cristiana

Chi più di lei ha messo a disposizione dei devoti la propria casa quale rifugio dolce e ospitale?

E più ancora: chi li ha mai accolti con tanto onore e tanta religiosa cortesia?

Inoltre, chi ha mostrato più calma nei dolori e più compassione per i sofferenti?

Chi ha porto con più liberalità la mano ai bisognosi?

Tanto che oso lodarla applicando a lei le parole di Giobbe: La sua porta era aperta per chiunque veniva, lo straniero non restava fuori.

Era occhio per i ciechi, piede per gli zoppi, madre per gli orfani ( Gb 31,32 ).

Che si può dire più della sua pietà per le vedove, che le ha ottenuto il privilegio di non esser chiamata vedova?

Il suo focolare era il rifugio di tutti i parenti poveri; i suoi beni erano di tutti i bisognosi, come se fossero appartenuti a loro.

Distribuì, diede ai poveri ( Sal 112,9 ); e dato che le divine promesse sono certe e non ingannano, molti beni si è posta in serbo nei forzieri di lassù, e spesso ha accolto Cristo nei poveri da lei beneficati.

E ciò che è più bello, non dava più importanza alle apparenze che alla verità e - come conviene - coltivava di nascosto la pietà per colui che vede le cose nascoste.

Ha tolto tutto al principe di questo mondo trasferendolo nei forzieri sicuri: nulla ha lasciato alla terra se non il corpo: tutto ha barattato con la speranza di lassù: una sola ricchezza ha lasciato ai suoi bimbi: il ricordo e l'ambizione di giungere a tanta virtù.

Gregorio di Nazianzo, Discorso funebre per la sorella Gorgonia, 12

EMP I-4. - « Lo riconobbero nell'atto di spezzare il pane »

« Lo riconobbero nell'atto di spezzare il pane » ( Lc 24,35 )

Due discepoli facevano strada insieme e parlavano dei Signore pur non credendo in lui: ed ecco che egli apparve loro ma sotto sembianze che non poterono riconoscere.

Il Signore rese visibile ai loro occhi di carne proprio quello che si agitava nel loro intimo, davanti allo sguardo del loro cuore incredulo.

I discepoli infatti erano interiormente divisi tra il dubbio e l'amore: il Signore quindi appariva ed era loro presente, ma non si faceva riconoscere.

A questi uomini che parlavano di lui, egli offrì la sua presenza, ma nascose il suo vero volto, perché nell'intimo erano pervasi dal dubbio.

Rivolse loro la parola e li rimproverò perché erano tardi a capire.

Rivelò il senso dei misteri della sacra Scrittura che lo riguardavano, ma, siccome per la loro fede egli non era altro che un pellegrino, finse di dover proseguire la sua strada …

Nell'agire così, la Verità - che è semplice - non cadde certamente nella doppiezza, ma si manifestò agli occhi del loro corpo proprio quale era già nella loro mente.

Questi discepoli, che non lo amavano ancora come Dio, dovevano essere messi alla prova, per vedere se potevano amarlo almeno come pellegrino.

La Verità stessa li accompagnava nel loro cammino, e perciò non potevano certo essere lontani dalla carità: lo invitarono quindi a fermarsi con loro come si fa con un pellegrino.

Ma perché diciamo: « lo invitarono », mentre l'espressione che usa la Scrittura è: Lo costrinsero ( Lc 24,29 )?

Senza dubbio questo esempio ci insegna a invitare i pellegrini a casa nostra: non solo, ma a invitarli con insistenza.

I due discepoli dunque dispongono la mensa, offrono il cibo e, quel Dio che non avevano riconosciuto mentre spiegava la sacra Scrittura, lo riconoscono nell'atto di spezzare il pane.

Non furono quindi illuminati mentre ascoltavano i precetti di Dio: lo furono invece nei compierli, perché sta scritto: Non quelli che ascoltano la legge sono giusti presso Dio; quelli che la osservano saranno giustificati ( Rm 2,13 ).

Qualcuno vuole dunque comprendere gli insegnamenti che ha ascoltato?

Metta immediatamente in pratica quello che ha già potuto capire.

Ecco, il Signore che non è stato riconosciuto mentre parlava, si è lasciato riconoscere mentre era a mensa.

Siate solleciti dunque, fratelli carissimi, nell'offrire l'ospitalità, amate le opere di carità.

Paolo ci parla di essa quando dice: Perseverate nell'amore fraterno e non dimenticate l'ospitalità, perché per mezzo suo alcuni ospitarono degli angeli, senza saperlo ( Eb 13,1 ).

E Pietro aggiunge: Praticate a vicenda l'ospitalità senza mormorare ( 1 Pt 4,9 ).

Per questo lo stesso Maestro afferma: Fui pellegrino e mi accoglieste ( Mt 25,35 ) …

E quando verrà per giudicare, dirà: Quello che avete fatto al più piccolo fra i miei, l'avete fatto a me ( Mt 25,40 ) …

E nonostante questo, noi siamo così pigri a offrire l'ospitalità!

Pensate, fratelli miei, alla grandezza di questa virtù.

Ricevete quindi Cristo alla vostra mensa per poter essere accolti al banchetto eterno.

Offrite ospitalità a Cristo come a un pellegrino e non sarete considerati nel giorno del giudizio come pellegrini sconosciuti, ma sarete accolti nel regno come familiari.

Gregorio Magno, Omelia 23

20. - L'ospitalità degli uccelli

Si dice che le cicogne viaggino a schiere chiuse, ovunque intendono recarsi, e sempre insieme se ne vanno, soprattutto verso l'oriente; si muovono compatte quasi come soldati in ordine di battaglia.

Lo crederesti un esercito con le sue insegne: tutte mantengono il loro posto sia ai lati, sia in testa.

Le cornacchie le conducono e le dirigono, e le seguono come schiere alleate; si ritiene che esse diano battaglia agli uccelli nemici, addossandosi una guerra altrui con proprio danno.

E ne è indizio il fatto che per un po' di tempo non si trova nessuna cornacchia nei luoghi ove transitano le cicogne, e anche che, tornando ferite, dicono chiaramente con la voce del loro sangue, e con altri indizi, di aver subìto un grave conflitto.

Ma chi mai stabilì per esse il castigo per la diserzione?

Chi prescrisse il supplizio da infliggersi a chi abbandona l'esercito, che nessuna di loro cerca di sottrarsi alle torme dei loro ospiti, ma compiono tutte a gara il loro compito di guide?

Imparino gli uomini a osservare i doveri dell'ospitalità e apprendano dagli uccelli ciò che si debba dare, quale onore religioso si debba prestare agli ospiti, per il bene dei quali le cornacchie non si sottraggono neppure al proprio pericolo personale.

Noi invece chiudiamo la porta agli altri, mentre per loro gli uccelli danno la propria vita; li allontaniamo dai nostri tetti, mentre essi partecipano con loro al sommo pericolo; e spesso li combattiamo, mentre gli uccelli combattono per loro.

Ambrogio, Esamerone, 5,53-54

21. - Cura per gli ammalati, i disoccupati e gli infelici

Dobbiamo avere cura per il corpo del prossimo, non meno che ciascuno per il proprio, sia che goda salute, sia che venga consunto dalla malattia.

Tutti infatti siamo una cosa sola nel Signore ( Rm 12,5 ), sia il ricco sia il povero, sia lo schiavo sia il libero, sia il sano sia l'ammalato: e unico è il capo di tutti, da cui tutto deriva: Cristo.

E ciò che le membra sono l'una all'altra, ciascuno di noi deve esserlo per ciascun altro, e tutti per tutti.

Perciò non dobbiamo disprezzare o non curarci di quelli che prima di noi cadono malati, e non dobbiamo rallegrarci per la salute del nostro corpo più di quanto non soffriamo per la poca salute dei fratelli.

Dobbiamo anzi ritenere che questa è l'unica salvezza per la nostra carne e la nostra anima: la carità verso di loro.

Riflettiamo a queste cose!

Alcuni sono degni di commiserazione semplicemente per la loro povertà: ma forse, o il tempo, o il lavoro, o un amico, o un parente, o una buona occasione possono cambiare la loro situazione.

Altri sono non meno miserevoli, anzi ben di più, in quanto non hanno la possibilità di lavorare e di aiutarsi e sono privi perciò del necessario per la vita; per essi il timore dell'impotenza è sempre maggiore che la speranza di stare bene; perciò poco li aiuta la speranza stessa, che è l'unica medicina per gli sventurati.

Oltre alla povertà, vi è un secondo male, la malattia; è il più detestabile e gravoso dei mali, che viene da molti augurato in primo luogo nelle maledizioni.

Il terzo male consiste in questo: non poter essere né visitati e neppure riguardati, ma essere fuggiti, essere oggetto di nausea e addirittura di orrore; per costoro, peggiore della malattia stessa è l'impressione di essere odiati per la propria disgrazia.

Non posso parlare senza lacrime delle sofferenze di costoro e mi commuovo solo ricordandole: abbiate anche voi questi sentimenti, e unite lacrime alle lacrime.

Certo, partecipano a questo dolore - lo so - quelli tra i presenti che amano Cristo, che amano i poveri e Dio, e che hanno ottenuto da Dio d'essere misericordiosi.

Anche voi siete testimoni di questo dolore!

Gregorio di Nazianzo, L'amore per i poveri, 8-9

22. - É bello e salutare visitare gli orfani e le vedove, i poveri e gli ammalati

É bello e salutare visitare gli orfani e le vedove, in particolare quelle povere e aggravate da figli; ma soprattutto i nostri familiari nella fede che sono in bisogno: la loro vita splende e riluce agli occhi dei servi di Dio che sono veramente al servizio della verità.

Ed è anche conveniente e bello che i fratelli in Cristo visitino quelli che sono tormentati dagli spiriti cattivi, usino per loro esorcismi effondendo, come conviene, preghiere accette a Dio, non con un discorso elegante, copioso, ben impostato e ben preparato - andando cioè a caccia della fama di eloquenza e facendo sfoggio della propria memoria -: quelli che agiscono così vengono paragonati a un bronzo sonante o a un cembalo squillante ( 1 Cor 13,1 ); e con tutte le loro parole non giovano a coloro che esorcizzano anche se con parole terribili suscitano negli astanti il timore.

Infatti, non agiscono con fede retta e secondo l'insegnamento del Signore che ha detto: Questo genere di demoni non si caccia se non per mezzo dell'orazione e del digiuno ( Mt 17,20 ).

E parla di un'orazione incessante, attenta, l'orazione cioè di chi supplica e invoca Dio con letizia di cuore, con somma vigilanza e castità, senza odio e malignità.

Rechiamoci dunque dal fratello o dalla sorella ammalati e visitiamoli come si conviene, senza inganno, senza desiderio di guadagno, senza strepito né chiacchiere, senza rivestirci di una falsa pietà e senza superbia; ma con lo spirito umile e sommesso di Cristo.

Gli esorcismi si svolgano nel digiuno e nell'orazione, non facendo sfoggio di dottrina, non con discorsi eleganti e studiati, ma dando veramente prova di aver ricevuto da Dio la grazia delle guarigioni.

Voi dunque, a cui è stato detto: Gratis avete ricevuto: gratis date ( Mt 10,8 ) perseverate incessantemente, con costanza, nei digiuni, nelle preghiere, nelle veglie e nelle altre vostre belle opere, a gloria di Dio.

Mortificate le azioni della carne con la virtù dello Spirito Santo.

Chi agisce così, è un tempio dello Spirito Santo, caccia i demoni e Dio lo aiuta, perché è un'azione veramente bella soccorrere in tal modo gli ammalati.

E grande sarà la ricompensa riservata a coloro che servono nella fede i fratelli con i doni che Dio ha loro concesso.

Pseudo-Clemente, Alle vergini, 12

23. - Dovere di sovvenire anche agli estranei

Non si devono affatto approvare coloro che scacciano dalla città gli estranei, li allontanano proprio nel tempo in cui dovrebbero aiutarli, li estromettono dalla vita della città, negano loro i beni prodotti dal suolo per tutti, spezzano rapporti comuni ormai consolidati.

Con quelli che avevano prima comuni diritti, non vogliono più dividere i sussidi necessari.

Le fiere non cacciano le fiere, e l'uomo allontana l'uomo.

Le bestie ritengono comune a tutti il vitto offerto dalla terra.

Esse aiutano gli individui della propria specie, e l'uomo li combatte; egli che non dovrebbe considerare estraneo a sé tutto ciò che in qualche modo è umano.

Quanto più retto il modo di agire di un prefetto dell'Urbe!

Mentre la fame tormentava la città e, come avviene in questi casi, il popolo chiedeva che si allontanassero gli stranieri egli, già avanzato in età e più di ogni altro preoccupato, data la sua carica, convocò i cittadini più ricchi e più in vista e chiese loro di decidere pubblicamente, ricordando quanto fosse grave allontanare gli stranieri e come sia togliere all'uomo la propria umanità negare il cibo a chi muore di fame.

Non sopportiamo che i cani restino digiuni presso la nostra tavola, e ne allontaniamo gli uomini.

Ricordò quanto fosse inutile la morte di tanti popoli oppressi dalla carestia, e quanto fosse inutile per la città che morissero tanti uomini, i quali prima le erano di aiuto o nella produzione di beni di consumo o nel loro commercio.

A nessuno giova la fame altrui: si possono protrarre i giorni tutt'al più, non togliere il bisogno.

Anzi, con la morte di tanti lavoratori, con la sparizione di tanti agricoltori, ne avrebbe sofferto per sempre il vettovagliamento.

Noi dunque allontaniamo e non vogliamo nutrire nella carestia questi che ci hanno sempre nutrito; e quanti sono i servizi che in questo stesso tempo essi ci prestano!

Non di solo pane vive l'uomo ( Dt 8,3 ).

Sono la nostra famiglia, sono nostri parenti: rendiamo loro ciò che abbiamo ricevuto.

Ma temiamo che il bisogno ci opprima.

Anzitutto la misericordia non è mai un danno, ma un aiuto.

Poi le vettovaglie necessarie per loro, compriamole a prezzo d'oro, facendo una colletta.

Se questi vengono a mancarci, pensiamo forse di trovare altri agricoltori?

Quanto è più facile mantenere che comprare i lavoratori!

E dove potrai un giorno trovarli, come potrai rimpiazzarli?

E aggiungi, se pur li trovi, che non li conosci, che sono di costumi diversi, che puoi calcolarne il numero, non puoi certo calcolarne la laboriosità.

Non aggiungo altro. Si fece una colletta, si comprò il frumento.

Così non diminuirono le scorte della città e si poterono mantenere gli stranieri.

E quanto valse agli occhi di Dio l'opera di quel vecchio santo quanta gloria gli procurò davanti agli uomini!

Davvero fu benemerito del suo ufficio, perché poté dire all'imperatore, mostrandogli tutto il popolo della provincia: Tutti questi io ti ho conservato; essi vivono per l'interessamento del tuo senato, la tua curia li ha strappati dalla morte.

Quanto più utile ciò di quanto avvenne recentemente a Roma: furono cacciati dalla città, pur così grande, anche quelli che tanti anni avevano in essa trascorsi; se ne andarono piangendo con i loro figli.

E si pianse la loro partenza, come se fossero stati cittadini.

Furono interrotti rapporti di anni, furono stroncate parentele!

Eppure ci si aspettava un anno fertile.

Solo alla città l'approvvigionamento di frumento era per il momento difficile.

Ci si poteva aiutare, se si fosse chiesto frumento agli itali, i cui figli invece si allontanavano.

Nulla è più vergognoso che allontanare qualcuno come estraneo, cacciare via direi quasi il proprio fratello.

Perché cacci chi si nutre del suo? Perché allontani chi nutre te stesso?

Tieni lo schiavo, e cacci il fratello? Ricevi il frumento, e non ne serbi il ricordo?

Esigi il vitto, e non ne sei grato? Che sconcezza e inutilità in tutto ciò! Come può essere utile ciò che è sconveniente?

Ambrogio, I doveri, 3,45-50

24. - Esortazione alla pietà per i lebbrosi

Ci sta davanti agli occhi uno spettacolo terribile e miserando, al quale non possono credere se non quelli che lo vedono: sono uomini morti e vivi, per lo più mutilati nelle membra del corpo, dei quali non si può sapere chi fossero e ove abbiano tratto origine; sono piuttosto sventurati ruderi di uomo: devono richiamare alla altrui memoria il padre, la madre, i fratelli e il loro luogo di origine per essere riconosciuti: « Io sono il tale », e « la tale è mia madre » e « ecco il mio nome » e « tu sei mio amico, una volta ti ero intimo! ».

Fanno così, perché non hanno più una loro fisionomia che li faccia riconoscere.

Sono uomini devastati, privati dei beni, della parentela, degli amici e dello stesso corpo: uomini che soli fra tutti hanno di se stessi pietà e insieme odio che non sanno se piangere più gli arti che più non hanno o gli arti che loro restano: quelli sono stati distrutti dalla malattia, questi sono abbandonati alla malattia; quelli sono andati perduti miseramente, questi si sono conservati più miseramente ancora: quelli sono morti prima della tomba, per questi non vi è chi darà loro una tomba.

Anche l'uomo più buono, infatti, e più misericordioso è assolutamente insensibile per costoro: solo nel loro caso ci dimentichiamo che anche noi siamo carne e che siamo cinti da un corpo miserabile; e siamo tanto lontani da curare i nostri parenti, che riteniamo unica salvezza dei nostri corpi abbandonarli e sfuggirli.

E quantunque pur ci si avvicini a un cadavere ormai vecchio che forse già puzza, per quanto si trasportino i corpi fetenti degli animali irragionevoli e si sopporti di restarne completamente sporchi, questi ammalati li fuggiamo con tutte le nostre forze - quanto è disumano! -, e quasi non sopportiamo di respirare con loro la stessa aria.

Chi è più sincero del padre? Chi è più compassionevole della madre?

Ma anche per costoro la natura stessa ha dei limiti; il padre per questo suo figlio che ha generato, che ha allevato, che ha ritenuto nella vita come la propria pupilla, per cui ha pregato molto e spesso Iddio, piange sì ( quando viene colpito dalla lebbra ), ma insieme lo allontana: in parte costretto, e in parte volentieri.

E la madre ricorda i dolori del parto, si sente dilaniare le viscere, e lo chiama miseramente e lo piange, vivo davanti a sé, come fosse morto: « Povero figlio - dice - di una madre sfortunata, che la malattia amaramente divide da me!

Figlio misero, figlio ormai sconosciuto, figlio che ho nutrito per i deserti e i monti!

Vivrai con le belve, ti rifugerai tra le rupi e solo gli uomini più santi ti vedranno! ».

E grida, facendo proprie le tristi parole di Giobbe: Perché sei stato formato nel seno della madre, perché appena uscito dal ventre non sei perito e la morte non è andata a pari passo con la tua nascita?

Perché non te ne sei andato prima del tempo, prima di gustare i mali della vita?

Perché sei stato accolto sulle ginocchia?

Perché sei stato allattato al seno, dovendo tu condurre una vita più grave della morte? ( Gb 3,11-12 ).

Dice così e versa un torrente di lacrime, e vorrebbe abbracciare l'infelice, ma teme le carni del figlio come un nemico.

Tutto il popolo contro loro inveisce e li perseguita, eppure non sono colpevoli, ma solo sfortunati.

Eppure si abita insieme con gli assassini, con gli adulteri; non solo si divide il tetto, ma anche la mensa e si contratta anche con chi ha compiuto il male; ma ci si ritrae con orrore dalla sofferenza di uno che non ha commesso nulla di male, come fosse un delitto.

Il crimine è più stimato di questa malattia: abbracciamo la crudeltà come nobiltà, e disprezziamo la compassione come vergogna.

Vengono cacciati dalle città, vengono cacciati dalle case, dalle piazze, dai raduni, dalle strade, dalle feste, dai banchetti - oh dolore! - dall'acqua stessa: non per loro scorrono le sorgenti, comuni agli altri uomini, e non si ammette che i fiumi lavino la loro sporcizia.

Ma il fatto paradossale è che noi li allontaniamo come una maledizione, eppure perché non ci rechino danno, li costringiamo a ritornare a noi, non concedendo loro casa, né cibo necessario, né cura per le loro ferite, né panni che possono coprire, in quanto è possibile, la loro malattia.

Per questo vanno in giro giorno e notte, privi di tutto, nudi, senza casa mostrando il loro male e ricordando la loro situazione di prima, implorando a gran voce il Creatore, usando le membra gli uni degli altri per quelle di cui sono privi, elevando canti che muovono a misericordia, chiedendo un po' di pane o un po' di cibo o qualche panno logoro per coprire il pudore e lenire le ferite.

É buono con loro non chi soddisfa i loro bisogni, ma chi non li caccia crudamente.

Molti di loro non sfuggono per vergogna le assemblee, ma piuttosto spinti dalla necessità vi si cacciano dentro; parlo delle assemblee pubbliche e sacre che noi abbiamo escogitato per la salute dell'anima, radunandoci o per celebrare un mistero o per glorificare pubblicamente i martiri della verità, al fine di imitare nella pietà quelli le cui lotte celebriamo.

Per la loro disgrazia, si vergognano degli uomini, pur essendo uomini anch'essi, e vorrebbero venir completamente sepolti dalla notte e dalle tenebre, sui monti, tra i dirupi e le foreste, eppure irrompono in mezzo alle assemblee, quale peso miserabile, e degno di lacrime.

E forse non senza ragione fanno così, presentandosi a noi quasi monumento vivente della nostra debolezza per ammonirci di non attaccarci a nessun bene presente e visibile, come fosse realtà stabile.

Alcuni di loro si precipitano tra di noi per sentir la voce umana, che tanto bramano; altri per vedere visi umani e altri ancora per raccogliere, tra quelli che si divertono, qualche misero aiuto a sopravvivere, e tutti, tutti per trovare un conforto esponendo i loro lutti.

Chi non si sente spezzare il cuore ai loro lamenti che si innalzano come un canto doloroso?

Chi può sopportarne l'ascolto? Chi sostenerne la vista?

Giacciono insieme, tristemente uniti dalla malattia, e ciascuno narra agli altri qualcosa dei suoi mali per averne compassione; e sono gli uni agli altri un aggravamento del male, infelici per il morbo e più infelici ancora per la commiserazione.

Li circonda un triste scenario di gente come loro, addolorata, ma per poco tempo.

Alcuni si buttano ai piedi degli uomini, incuranti del sole e della polvere, e anche del freddo crudele, della pioggia e dei venti impetuosi che li sferzano, e ne sarebbero calpestati, se non che solo toccarli appena ci inorridisce.

Ai canti dall'interno dei templi risponde fuori il gemito delle loro suppliche e le voci mistiche eccitano un lamento miserevole.

Ma perché dovrei esporre tutta la loro disgrazia a gente che celebra una festività?

Forse muoverei anche voi a lacrime se vi esponessi con vivezza tutto il loro stato, e il dolore supererebbe la festa.

Vi dico questo, perché non mi è stato mai finora possibile persuadervi che il dolore è superiore alla gioia, la mestizia alla letizia, e le lacrime alle risa sguaiate.

Questa è dunque la sorte dei lebbrosi, e anzi molto più triste di quanto ho detto.

Eppure secondo Dio sono nostri fratelli, anche se non lo vorreste; hanno avuto la nostra stessa natura, sono stati plasmati con la stessa creta con cui siamo stati fatti all'inizio, strutturati con ossa e nervi come noi, ricoperti di carne e pelle simile a tutti, come dice in un suo passo il santo Giobbe ( Gb 10,11 ), filosofando sui mali della vita e mettendo a nudo la nostra natura sensibile.

O meglio, se dobbiamo dir ciò che più conta, hanno ricevuto come noi la stessa immagine [ divina ], e forse la conservano meglio di noi, anche se i loro corpi si sono corrotti; hanno rivestito lo stesso Cristo secondo l'uomo interiore e per la loro fede hanno ricevuto come noi lo stesso pegno dello Spirito; con noi sono stati fatti partecipi della legge, della dottrina, dei Testamenti, delle assemblee, dei misteri, della speranza; anche per loro è morto Cristo, che toglie il peccato di tutto il mondo; con noi sono eredi della vita di lassù, anche se il loro è stato quaggiù un fallimento: sono sepolti con Cristo e con Cristo risorgeranno, in quanto con lui soffrono per essere con lui glorificati ( Rm 8,17 ).

E noi, che abbiamo ottenuto in sorte il nome grande e nuovo perché ci nominiamo da Cristo, noi gente santa, sacerdozio regale, popolo eletto ( 1 Pt 2,9 ), tutto dedito alle opere buone e salutari, noi discepoli di Cristo mite e misericordioso, che ha portato le nostre debolezze, che ha umiliato se stesso fino alla nostra creta, che per noi ha abbracciato la povertà di questa carne e di questa tenda terrestre, che per noi si è reso debole e sofferente per renderci ricchi con la divinità, noi dunque che abbiamo ricevuto tanto esempio di misericordia e compassione, cosa penseremo di costoro e cosa faremo?

Li disprezzeremo? Passeremo oltre?

Li abbandoneremo come morti, come oggetti abominevoli, come i serpenti e le bestie più feroci?

No, mai, o fratelli! Ciò non è da noi, pecorelle del Cristo, del pastore buono che riconduce quella errante, ricerca quella smarrita e rinforza quella indebolita!

E ciò è contrario anche alla natura umana, che ha posto in noi la legge della compassione, e dalla stessa infermità ci insegna la pietà e la misericordia.

Mentre essi soffrono all'aperto, noi abitiamo case splendide, adorne di marmi molteplici, splendenti d'oro e d'argento, di mosaici e di varie pitture che attraggono gli occhi e li ingannano?

E queste le abitiamo e altre ne edifichiamo.

E per chi? Forse non per i nostri eredi, ma per estranei e sconosciuti; ed essi forse neppure ci amano, ma, quel che è peggio, ci detestano e invidiano.

I lebbrosi rabbrividiscono fra cenci ruvidi e laceri, e fors'anche sono privi di questi; e noi ci pavoneggiamo in vestiti molli e fluenti, in tessuti di lino e di seta vaporosa, e mostriamo più che decoro, indecenza - chiamo così tutto ciò che è superfluo e inutile -; e altri ne chiudiamo nei bauli, preoccupazione inutile e sciocca, bottino per le tarme e il tempo che tutto consuma?

Manca loro anche il nutrimento necessario.

Qui c'è orgia, là c'è miseria.

Giacciono davanti alle nostre porte, sfiniti e affamati, cui il corpo non offre più neppure la possibilità di chiedere; privi della voce per lamentarsi, delle mani per protenderle a supplicare, dei piedi per avvicinarsi ai ricchi, del fiato per intonare il loro lamento.

E il male peggiore lo ritengono il più lieve, perché sono grati agli occhi solo quando non vedono più il proprio strazio!

Essi vivono così, e noi, con sommo splendore e pomposità, dobbiamo giacere su letti alti, elevati, tra coperte magnifiche, neppure da toccare, irritandoci se udremo una voce sola.

E il nostro pavimento deve profumare di fiori, spesso fuori stagione, e la nostra tavola deve olezzare di unguenti, dei migliori, dei più preziosi, per effeminarci ancor di più.

E devono esser presenti gli adolescenti, alcuni per decoro, disposti in bell'ordine, con le chiome sciolte e femminee e rasi con ogni cura, adorni più di quanto convenga a occhi pudichi; altri che reggano le coppe con le punte delle dita, con tutta l'eleganza e la sicurezza possibili; e altri ancora che con i graticci muovano artificiosamente l'aria sulla testa e con il vento prodotto dalle loro mani rinfreschino la mole della nostra carne.

E oltre a tutto ciò, la nostra mensa deve essere piena di carni e tutti gli elementi devono approvvigionarci con splendore l'aria, la terra, l'acqua; e le magie dei cuochi e dei gastronomi devono addirittura opprimerci e tutti devono gareggiare nel blandire al sommo il nostro ventre ingordo e ingrato, peso grave di iniquità, bestia insaziabile e infida, che ben presto sarà rovinato dai cibi che assimila.

I lebbrosi sono contenti di saziarsi con acqua, noi invece con calici di vino fino all'ubriachezza, e anche oltre l'ubriachezza, almeno per i più intemperanti; e un vino lo rimanderemo indietro, l'altro lo approveremo per il suo profumo, su di un terzo filosofeggeremo: è un danno non aggiungere al vino locale uno straniero di gran nome, quasi come tiranno.

Splendidi dunque, magnifici più del necessario dobbiamo essere o almeno apparire, come se ci vergognassimo di non venire ritenuti cattivi, servi del ventre e anche del basso ventre!

Perché queste cose, o amici e fratelli? Perché abbiamo anche noi l'anima ammalata e di una malattia molto più grave di quella del corpo!

E mi consta che l'una malattia è involontaria, l'altra deriva invece dalla libera elezione; l'una termina con la vita, l'altra ci segue anche quando migreremo; per l'una siamo compatiti, per l'altra odiati, almeno dalle persone intelligenti

Perché non aiutiamo la natura, fin che ne abbiamo tempo?

Perché non copriamo le miserie della carne, noi che pur siamo carne?

Perché ci abbandoniamo ai piaceri tra tante sventure di fratelli nostri?

Non avvenga mai che io sia ricco mentre loro sono nel bisogno; che io sia in buona salute, se non per soccorrere alle loro piaghe; che io abbia cibo e vestito in abbondanza né che io riposi sotto un tetto, senza porgere loro un pane e donare loro una veste, in quanto possibile, e accoglierli in casa.

Invece noi dobbiamo o rinunciare a tutto per Cristo, per seguirlo veramente portando la sua croce ed elevarci leggeri al mondo di lassù, liberi, da nulla attratti al basso, per guadagnare Cristo al posto di tutto quanto, esaltati per l'umiltà e arricchiti per la povertà, oppure dobbiamo spartire i nostri beni con Cristo perché così i nostri averi siano santificati in quanto rettamente posseduti e partecipati ai bisognosi.

Infatti, mi è concesso seminare, ma gli altri debbono con me godere del frutto.

Gregorio di Nazianzo, L'amore per i poveri, 10-18

25. - L'esempio di Basilio

É bello avere misericordia, nutrire i poveri, recare aiuto all'infermità umana.

Esci un poco dalla città, e vedrai la città nuova, il rifugio della pietà, il tesoro dei ricchi, dove non solo il superfluo degli averi, ma anche il necessario del sostentamento è stato riposto per esortazione di Basilio; e sono liberi da tignole, non allettano i ladri, sfuggono l'ostilità mossa dall'invidia e la corruzione arrecata dal tempo.

Ivi la malattia viene sopportata con serenità, la disgrazia viene ritenuta beatitudine e la compassione viene stimata.

Che sono mai per me di fronte a ciò le sette porte di Tebe e quelle d'Egitto le mura di Babilonia, la tomba di Mausolo in Caria, e le piramidi e l'immensa statua bronzea di Colosso e i templi tanto grandi e belli, che ormai più non sono, e tutto ciò che gli uomini ammirano e tramandano nelle storie: che non hanno reso ai loro costruttori se non un po' di gloria?

A me sembra ben più mirabile questa breve strada per la salvezza, questo breve accesso al cielo.

Ai nostri occhi non si presenta più lo spettacolo terribile e miserando di uomini morti prima della morte, finiti ormai nella maggior parte delle membra del corpo, scacciati dalle città, dalle case, dalle piazze, dalle sorgenti, dai loro stessi cari, riconoscibili meglio per nome che per aspetto; e non si presentano più a coppia o in gruppo nelle processioni o nei raduni, ottenendo più odio che pietà per il loro male: innalzando canti lamentevoli, se pur a qualcuno resta la voce.

Ma perché devo ricordare tutto questo male, se la parola non si adegua al dolore?

Più di ogni altro Basilio ci ha persuasi che noi, uomini, non dobbiamo disprezzare gli uomini, non dobbiamo infierire contro Cristo, unico capo di tutti, per la nostra crudeltà verso quelli; ma dobbiamo beneficare noi stessi nella disgrazia altrui e fare a Dio il prestito della nostra misericordia, perché abbiamo bisogno di misericordia.

Per questo egli, nobile, figlio di nobili, tanto celebre, non disdegnò di onorare la malattia anche con le labbra e abbracciò costoro come fratelli; non per una gloria vana, come qualcuno potrebbe credere - chi era più di lui libero da questa passione? -, ma per farsi modello, con la sua serenità, di come avvicinare i corpi per curarli: esortandoci cioè a parole e anche col silenzio.

E non si comportò in città in un modo e fuori, in campagna in un altro: ma a tutti i capi del popolo propose la gara nella generosità e nella magnanimità.

Si curassero gli altri dei cuochi, delle tavole splendide, delle raffinatezze e delle leccornie, e dei carri splendidi e delle vesti soffici e profluenti; Basilio, degli ammalati, di curar le ferite, di imitare Cristo, che sanò la lebbra non solo con le parole, ma anche con le opere.

Gregorio di Nazianzo, Panegirico di Basilio il Grande, 63

26. - Come l'imperatrice Placilla ( moglie di Teodosio il Grande ) ebbe cura degli ammalati

La dignità imperiale non l'esaltò, ma più l'infiammò di amore divino; la grandezza del beneficio ricevuto ne stimolò l'affetto per il Benefattore.

Subito si prese gran cura dei mutilati nel corpo, degli ammalati in tutte le membra; e non servendosi di domestici o di guardie del corpo, ma delle proprie mani; recandosi nei loro tuguri e porgendo a ciascuno il necessario.

Visitava anche gli ospizi delle chiese, curava gli ammalati a letto, da se stessa, toccando le pentole, gustando la zuppa, porgendo il piatto, spezzando il pane, imboccando, lavando i calici e compiendo tutto il resto che si ritiene compito degli schiavi e delle schiave.

E a coloro che cercavano di impedirle questo suo lavoro personale diceva: « Sì, alla dignità imperiale conviene distribuire l'oro; ma io offro la mia opera in riconoscenza a colui che mi ha elargito la dignità imperiale ».

E al marito ripeteva continuamente: « Devi sempre ricordarti, o marito, ciò che eri una volta e ciò che sei ora: tenendo continuamente presente questo, non sarai ingrato al tuo Benefattore, ma svolgendo con rettitudine il tuo ufficio imperiale onorerai colui che te l'ha dato ».

Teodoreto di Ciro, Storia ecclesiastica, 5,19

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