Teologia dei Padri

Indice

Le singole professioni

1. - Ciascuno compia il suo ufficio nel regno di Dio

Ciascuno di noi, discepoli del Verbo, deve compiere uno degli uffici stabilitoci dal Vangelo.

In questa grande casa che è la Chiesa, non solo vi sono vasi d'ogni genere, d'oro e d'argento, di legno e di coccio, ma anche molte professioni.

La casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente, accoglie cacciatori, viandanti, architetti, muratori, agricoltori, pastori, atleti e soldati.

Questa breve frase: Fa' attenzione a te stesso ( 1 Tm 4,16 ), si addice a tutti, perché a ciascuno dà coscienza della sua opera e dà diligenza nel proprio ufficio.

Se cacciatore, sei mandato dal Signore che ha detto: Ecco, invio molti cacciatori che daranno loro la caccia su tutti i monti ( Ger 16,16 ).

Bada dunque con cura che non ti sfugga la selvaggina: cioè cattura con la parola della verità quelli che si sono rinselvatichiti nei vizi e portali al Salvatore.

Se viandante, sei simile a colui che pregava: Dirigi i miei passi ( Sal 119,133 ).

Bada a te, di non deviare sulla strada, di non volgerti a destra o a sinistra: procedi sulla via maestra.

L'architetto getti il fondamento incrollabile della fede, che è Gesù il Cristo.

Il muratore badi a come edifica: non legno, fieno o paglia, ma oro, argento, pietre preziose.

Se sei pastore, bada di non trascurare nulla di ciò che ti impone la tua arte pastorale: Di che si tratta?

Ricondurre la pecora errante, fasciare la ferita, curare l'ammalata.

Se agricoltore, scava intorno al fico infruttuoso e getta dentro ciò che aiuta la feracità.

Se soldato, prendi parte al travaglio del Vangelo ( 2 Tm 1,8 ), combatti la buona battaglia contro gli spiriti del male, contro le passioni della carne, e rivestiti di tutta l'armatura di Dio: non lasciarti coinvolgere dalle faccende mondane, per piacere a colui che ti ha scelto per la sua milizia.

Se sei atleta, bada a te stesso, di non trasgredire qualche legge sportiva.

Infatti: Nessuno è premiato se non gareggia lealmente ( 2 Tm 2,5 ).

Imita Paolo e corri e lotta e attacca; tu, come un bravo pugile, abbi saldo lo sguardo della fede; proteggi con le mani le parti vulnerabili e tieni l'occhio fisso sull'avversario.

Nelle corse, slanciati in avanti: gareggia in modo da raggiungere il premio; nella lotta, attacca gli avversari invisibili.

Questa frase vuole che per tutta la vita tu sia così: non abbattuto, non assonnato, ma sobrio e vigile, padrone di te.

Non mi basterebbe il giorno se volessi esporre tutti gli uffici di coloro che collaborano al Vangelo del Cristo e insieme la forza del precetto che a tutti si addice: « Fa' attenzione a te stesso! ».

Basilio il Grande, Omelia « Fa' attenzione a te stesso, 4-5 »

2. - Compiere i doveri professionali è opera spirituale

Sta scritto: Lavorate con le vostre mani ( At 20,35 ).

Dove sono quelli che pretendono solo opere spirituali?

Vedi come Paolo toglie loro ogni pretesto e ogni sofisticheria dicendo: « Con le vostre mani ».

Forse con le mani si digiuna, o si veglia? o si dorme per terra? Nessuno lo direbbe.

Eppure Paolo parla proprio delle opere spirituali: ed è realmente un'opera spirituale adempiere con zelo i propri doveri professionali e procurare il necessario col proprio lavoro; anzi, nessuna lo è come questa.

Perché possiate comportarvi con decoro ( 1 Ts 4,12 ).

Vedi in che modo si rivolge loro.

Non dice: « Perché non vi comportiate con indecenza, mendicando », ma tacitamente esprime la stessa cosa, porgendola però con più soavità, per stimolarli ma non aggravarli troppo.

Se infatti tra di noi ci si scandalizza di chi agisce così, tanto più i pagani trovano mille pretesti per accusarci e rimproverarci, quando un uomo sano, capace di bastare a se stesso, lo vedono mendicare e aver bisogno degli altri.

Perciò ci chiamano mercanti di Cristo: e per questo il nome di Dio viene bestemmiato ( Rm 2,24 ).

Tuttavia nulla di ciò ricorda loro l'Apostolo, ma solo quello che principalmente può toccarli: l'indecenza.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla prima lettera ai Tessalonicesi, 6,1

3. - In ogni stato possiamo vivere virtuosamente oppure perderci

Non hai un maestro virtuoso? Ma se hai il Maestro vero, quello che solo dobbiamo chiamare maestro!

Da lui impara: egli ha detto: Imparate da me, che sono mite ( Mt 11,29 ).

Non far conto dunque su un altro maestro, ma su di lui solo e sulla sua dottrina: da qui prendi l'esempio; hai un'immagine sublime: alla stregua di quella conforma te stesso.

Mille sono le figure di vita virtuosa proposte nelle Scritture, fatti avanti, se vuoi, quasi dopo il Maestro, tra i discepoli.

Uno fu insigne per la povertà, l'altro per le ricchezze, come ad esempio Elia per la povertà, Abramo per le ricchezze: tra le due strade, procedi su quella che ritieni più facile e adatta a te.

E così, uno rifulse per il matrimonio, l'altro per la verginità, come Abramo nel matrimonio ed Elia nella verginità: dove vuoi, procedi: l'una e l'altra via conducono al cielo.

E uno per il digiuno, come Giovanni, l'altro senza digiuno, come Giobbe.

Costui inoltre aveva la cura della moglie, dei figli, delle figlie e della casa, e possedeva molte ricchezze; l'altro invece non possedeva se non un mantello di pelo.

Ma perché dico solo casa, ricchezze e denaro, dato che è possibile conseguire la virtù anche a chi vive sul trono?

Si converrà certo che il palazzo reale è pieno di faccende, molto più di una casa privata; eppure Davide rifulse nella dignità regale, e la porpora e la corona non lo distrassero; e a un altro fu affidata la cura di un popolo intero - parlo di Mosè - e in situazioni ben più gravi delle nostre.

Allora infatti era maggiore la licenza, perciò tanto maggiori le difficoltà.

Hai visto chi si è affermato nella ricchezza e chi nella povertà, chi nel matrimonio e chi nella verginità.

Osserva ora il contrario: sia nelle nozze sia nella verginità, sia nelle ricchezze sia nella povertà ci si è perduti.

Così nelle nozze molti si sono rovinati, come Sansone - quantunque non a causa delle nozze, ma per sua libera elezione -; nella verginità invece, per esempio, le cinque vergini ( stolte ); nelle ricchezze, il ricco che disprezzava Lazzaro; nella povertà, mille anche oggi si dannano.

E posso mostrarti molti che si sono rovinati vivendo sul trono, governando un popolo.

Ma vuoi invece vedere qualcuno che si è salvato nella vita militare? Guarda Cornelio.

E nell'amministrazione di una casa?

Guarda l'eunuco della regina di Etiopia.

Dappertutto dunque la ricchezza, se ne usiamo in modo retto, non ci è di rovina; altrimenti, tutto ci danneggia: il regno, la povertà, i possessi.

Certo, se uno è vigilante, nulla può danneggiarlo.

Dimmi: ha recato danno la prigionia? Nient'affatto.

Pensa a Giuseppe, fatto schiavo e salvato per la sua virtù; pensa a Daniele, ai tre fanciulli prigionieri, a quanto più risplendettero poi.

La virtù rifulge ovunque, è invincibile e nulla può incatenarla.

E perché parlo solo di povertà, di prigionia e schiavitù?

Né la fame, né le ferite, né la malattia possono recar danno - e la malattia è ben peggiore della schiavitù -.

Un esempio è Lazzaro, un esempio è Giobbe, un esempio è anche Timoteo di frequente oppresso dalle infermità.

Vedi dunque che nulla può sovrastare la virtù?

Né la ricchezza, né la povertà, non il comandare, non l'essere comandato, non l'avere molte responsabilità; né la malattia né l'oscurità né l'esilio: lasciando indietro, sulla terra, tutto ciò, essa raggiunge il cielo.

Solo che l'anima sia generosa, nulla può impedirle di essere virtuosa; quando infatti chi opera è valido, nessuna cosa esteriore può incepparlo.

Così anche nelle arti: se l'artista ha pratica, è costante, conosce a fondo l'arte, la possiede anche se gli sopraggiunge una malattia, la possiede anche se è povero, sia che abbia tra le mani lo strumento, sia che non lo abbia, sia che lavori o non lavori, nulla diminuisce la sua arte: l'abilità infatti è dentro di lui.

Così anche l'uomo virtuoso tutto dedito a Dio: se lo getta nella ricchezza, mostra la sua virtù; e ugualmente se lo getta nella povertà, come nella malattia o nella salute, nella gloria o nell'ignominia.

Gli apostoli non passarono attraverso tutto?

Per la gloria - sta scritto - e il disprezzo; per la fama e la diffamazione ( 2 Cor 6,8 ).

Ecco cosa rende atleti: essere pronti a tutto.

Questa è la natura della virtù.

Se dunque dici: « Non mi è possibile assumere il governo di tanti: ho bisogno di vivere da solo », tu insulti la virtù: da tutti può esser posseduta e ovunque risplendere, purché sia nell'anima.

C'è carestia? C'è abbondanza?

In ogni circostanza essa mostra la propria forza, come dice Paolo: So vivere nell'abbondanza e sopportare il bisogno ( Fil 4,12 ).

Si doveva lavorare? Non se ne vergognò, ma lavorò per due anni.

Si doveva sopportare la fame? Non si perse d'animo e non dubitò.

Si doveva morire? Non si scoraggiò: in tutto mostrò il suo animo generoso e la sua arte.

Imitiamo costui, dunque, e non avremo motivo di tristezza.

Cosa infatti, dimmi, poteva rendere triste un uomo simile? Nulla.

E fino a che nessuno ci strapperà questa virtù, saremo i più felici di tutti gli uomini; anche quaggiù, non soltanto lassù.

Ammesso che il virtuoso abbia moglie, abbia figli, ricchezze e grande fama: resta con tutto ciò virtuoso, togligli tutto, e sarà ancora virtuoso, senza lasciarsi abbattere per la tribolazione né gonfiare per la prosperità.

Come uno scoglio, sia che il mare infuri, sia che regni la bonaccia, resta sempre ugualmente immobile, né spezzato dai flutti né danneggiato dalla bonaccia, così l'anima salda sta sicura nella bonaccia e nella tempesta.

E come i fanciulli sulla nave si turbano tutti, mentre il pilota sta seduto immobile e ride guardando il loro affanno e divertendosi, così l'anima saggia, mentre tutti gli altri al mutarsi degli eventi si agitano oppure ridono fuori tempo, resta immobile, seduta quasi alla sbarra, al timone della pietà.

Dimmi perciò: cosa potrà mai turbare l'anima devota?

La morte? Ma la considera principio di una vita migliore.

La povertà? Sa che fa progredire sulla via della virtù.

La malattia? Non le dà nessun peso quando si presenta.

Ma perché dico la malattia? Né l'affanno né il sollievo: ha già anticipato in sé la tribolazione.

O forse l'ignominia? Ma tutto il mondo le è crocifisso.

O la perdita dei figli? Ma non la teme, perché è assolutamente certa della risurrezione.

Cosa dunque può abbatterla? Nulla assolutamente.

O forse la ricchezza può innalzarla? No: sa che il denaro è un nulla.

O la gloria? É convinta che ogni gloria umana è come fiore di fieno.

O il piacere? Ha sentito Paolo dire che colei che vive nel piacere, è già morta, pur vivendo ( 1 Tm 5,6 ).

Dunque, se né si gonfia né si abbatte, cosa si può paragonare a questa salute?

Non altrettanto capita alle altre anime le quali mutano più spesso del mare e del camaleonte.

Perciò la loro condizione è veramente ridicola: le vedi ora ridere, ora piangere, ora piene di preoccupazione, ora eccessivamente rilassate.

Non per altro motivo Paolo dice: Non conformatevi a questo secolo ( Rm 12,2 ), poiché la nostra vita si svolge già nel cielo, ove non c'è mutamento.

Giovanni Crisostomo, Commento alla lettera ai Filippesi, 13,3-4

4. - Ciascuno secondo il proprio dono

Noi tutti siamo un solo corpo in Cristo e, individualmente, membra gli uni degli altri ( Rm 12,5 ).

Gli uni guidano e comandano, gli altri vengono guidati e obbediscono.

Ora, anche se le due parti non svolgono la stessa attività - poiché guidare ed essere guidati non è certo la stessa cosa -, tuttavia esse sono una cosa sola in relazione all'unico Cristo, unite e avvinte per mezzo dello stesso Spirito.

E come tra gli inferiori vi è grande distinzione, perché differiscono tra di loro per dottrina, per pratica e per età, allo stesso modo anche tra i superiori c'è una differenza non piccola; e lo spirito dei profeti è subordinato ai profeti ( 1 Cor 14,32 ): lo dice Paolo, non avere dubbi.

E alcuni Dio li ha posti nella Chiesa - dice ancora - anzitutto come apostoli, poi come profeti, in terzo luogo come pastori e maestri ( 1 Cor 12,28 ): i primi, per la verità; gli altri, per adombrarla; i terzi, per distribuirne equamente i vantaggi e l'illuminazione.

Uno è lo Spirito, ma non uguali sono i doni divini, perché diversi sono i vasi che accolgono lo Spirito.

A uno è concesso, per mezzo dello Spirito, il linguaggio della sapienza e della scienza;

a un altro il linguaggio della conoscenza o della rivelazione,

a un altro la fede ferma che esclude ogni dubbio,

a un altro ancora l'operare prodigi e miracoli;

a un altro la grazia di curare, di soccorrere, cioè sorreggere;

a un altro la grazia di governare, cioè di educare, la carne;

il parlare in varie lingue, il dono di interpretarle ( 1 Cor 12,8-10 ): grazie maggiori e grazie minori, in proporzione alla fede.

Quest'ordine rispettiamo, fratelli, quest'ordine osserviamo.

Uno sia orecchio, uno lingua, uno mano, uno qualche altra cosa.

Questo insegni, quello impari, quell'altro ancora operi il bene con le sue mani, per avere a che dare ai bisognosi, ai poveri.

Uno comandi e guidi, l'altro si santifichi nell'obbedienza e l'altro ancora insegni con modestia.

I profeti parlino a due o a tre, uno dopo l'altro, e uno interpreti.

Se un altro poi ha un'illuminazione, il primo gli faccia luogo.

Chi impara, con subordinazione; chi elargisce, con ilarità; chi amministra, con alacrità.

Non tutti abbiamo il dono della lingua, che è più alla portata; non tutti siamo apostoli, non tutti profeti, non tutti interpretiamo.

É cosa grande parlare di Dio?

Ma è cosa più grande purificare se stessi per Dio, perché nell'anima iniqua non entra la saggezza.

E ci si comanda di seminare in giustizia, e raccogliere frutto di vita eterna, per essere illuminati dalla luce della conoscenza divina.

Anche Paolo vuole che noi, per amore di Dio, siamo da lui riconosciuti e per questa conoscenza ammaestrati; e reputa questa via alla conoscenza, migliore delle teorie che gonfiano.

É grande cosa insegnare? Però imparare è più sicuro.

Perché ti fai pastore, mentre sei pecora? Perché diventi testa, che sei piede?

Perché ti affanni per comandare, che sei posto tra la truppa?

Perché perseguiti i guadagni grandi, ma incerti, del mare, mentre è possibile coltivare senza pericolo la terra, anche se i guadagni sono minori?

Se sei un uomo secondo Cristo, se hai senso esperimentato, e la luce della tua fede è fulgida, parla della sapienza di Dio, che si annuncia tra i perfetti ed è celata nel mistero; e ciò, a tempo opportuno e quando ti si affida.

Che hai infatti da te che non ti sia stato dato, che tu non abbia ricevuto?

Se poi sei ancora giovane e hai l'animo debole, se non sei atto ad avviarti a tali eccelse mete, renditi come uno degli abitanti di Corinto, nutriti di latte ( 1 Cor 3,2 ).

Perché cerchi il cibo solido che il tuo corpo non riceve se per sua debolezza non riesce a prendere cibo?

Parla se hai qualcosa di meglio del silenzio - sai che si loda il saper frenare le labbra ( Pr 10,19 ) - e ama star zitto quando il silenzio è meglio della parola; inoltre, ama ora parlare, ora ascoltare, questo lodare, quello criticare, ma senza amarezza.

Voi, fratelli, non conoscete l'ardua situazione in cui viviamo noi, seduti con tanta pompa su questa sede episcopale, e che a voi tutti dettiamo ciò come legge.

E forse neppure fra noi molti sanno - fatto deplorevole! - come presso Dio ogni pensiero, ogni parola e ogni azione venga posta sulla bilancia; e non solo presso Dio, ma anche per lo più presso gli uomini.

Essi sono lenti a giudicare se stessi, ma veloci a indagare sul prossimo; più facilmente condonerebbero agli altri le azioni più gravi che a noi le più lievi, e, se sono ignoranti, più facilmente accusano noi d'empietà che se stessi di poca istruzione.

Voi non sapete quale dono di Dio sia tacere, non esser costretti mai a parlare, poter scegliere questo ed evitare quello a proprio piacere e poter disporre personalmente sia di parlare, sia di tacere.

Gregorio di Nazianzo, Discorso sulla moderazione nel disputare, 11-14

5. - Ciascuno compia il servizio a cui è stato chiamato

Che gli sposi di mutuo consenso e per un certo tempo ( 1 Cor 7,5 ) si dedichino alla preghiera, è una bella scuola di mortificazione; Paolo ha aggiunto però « di mutuo consenso », perché qualcuno non sciolga il matrimonio, e « per un certo tempo », perché non avvenga che il coniuge, ritenendo obbligatoria tale continenza, non scivoli forse nel peccato e astenendosi dal proprio coniuge non cada in desiderio di altri.

Per lo stesso motivo ha detto anche che chi ritiene indecoroso mantenere in casa una figlia vergine è bene che la faccia sposare ( 1 Cor 7,36 ).

Il proposito di ciascuno, sia di chi ha scelto il celibato, sia di chi si è unito in matrimonio per procreare figli, deve restare saldo né mai inclinare al peggio.

Se uno è capace di aumentare il rigore della vita, si procurerà in Dio una gloria maggiore vivendo, con purezza e intelligenza, nella continenza; ma se, per una fama maggiore, avrà oltrepassato la misura che si è scelta, perderà la speranza.

Infatti, come il celibato, così anche il matrimonio ha le proprie funzioni e i propri servizi, che interessano il Signore; parlo cioè della cura per i figli e per la moglie.

Occasione per vivere perfetti nel matrimonio, come è giusto, è proprio quella che costituisce la caratteristica dell'unione coniugale: mostrare cura di tutti nella propria casa.

Per questo Paolo dice ancora che bisogna costituire vescovi coloro che in casa propria si sono esercitati a presiedere anche a tutta la Chiesa ( 1 Tm 3,4-5 ).

Dunque, ciascuno compia il proprio dovere nel servizio in cui è stato chiamato, per essere libero in Cristo e ottenere la mercede dovuta al suo servizio.

Clemente Alessandrino, Stromata, 3,79

6. - Formazione culturale e cristianesimo

É possibile che le parole di Paolo nella prima lettera ai Corinti, rivolte ai greci tanto gonfi di superbia per la sapienza greca, abbiano spinto alcuni a ritenere che la nostra fede escluda i sapienti.

Ma chi ritiene ciò ascolti come Paolo, biasimando certi uomini sciocchi, dica che essi non sono affatto sapienti nelle realtà spirituali, invisibili ed eterne, perché, preoccupandosi solo delle realtà sensibili e riponendo tutto in esse, sono solo « sapienti del mondo ».

Così tra le molte dottrine, quelle che pongono al primo posto la materia e i corpi, sostenendo che tutto è materia e che tutte le realtà esistenti non sono null'altro che materia e negando l'esistenza di ogni realtà ritenuta invisibile o incorporea, egli dice appunto che sono la sapienza del mondo, sapienza inutile e vuota, sapienza di questo secolo.

Le dottrine invece che sollevano l'anima dalle realtà di quaggiù alla beatitudine di Dio e a quello che viene detto il suo regno, che insegnano a disprezzare come transitorie tutte le realtà sensibili e visibili e a preoccuparsi di quelle supersensibili, a contemplare quelle invisibili, queste dottrine egli dice che sono la sapienza di Dio.

Nel suo grande amore per la verità, Paolo dice di alcuni sapienti greci che alla verità giunsero: Conosciuto Dio, non lo onorarono come Dio né gli furono riconoscenti ( Rm 1,21 ).

Attesta che essi conobbero Dio, ma dichiara contemporaneamente che ciò non avvenne senza influsso di Dio, dato che scrive: Perché Dio lo rivelò loro ( Rm 1,19 ).

E credo che alluda a coloro che dalle realtà visibili si innalzano a quelle spirituali, quando scrive: Le realtà invisibili di Dio fin dalla creazione del mondo vengono contemplate dall'intelletto attraverso le cose da lui fatte: la sua eterna potenza, cioè, e la sua divinità, e così essi sono inescusabili, perché conosciuto Dio non lo glorificarono come Dio né gli furono riconoscenti ( Rm 1,20-21 ).

Forse anche dal passo: Considerate la vostra elezione, o fratelli!

Tra di noi, non sono molti i sapienti secondo la carne, non sono molti i potenti, non sono molti i nobili; ma ciò che è stolto nel mondo ha eletto Dio per svergognare i sapienti; e ciò che è ignobile e disprezzato ha eletto Dio, e ciò che semplicemente non è, per ammonire quello che è: e perché così ogni carne non meni vanto al suo cospetto ( 1 Cor 1,26-29 ); forse anche da questo passo, dunque, alcuni sono stati spinti a ritenere che alla nostra fede non venga nessun proselita veramente colto o sapiente o prudente.

A questo riguardo diciamo che egli non dice: « Nessuno è sapiente secondo la carne », ma: « Non molti sono sapienti secondo la carne ».

Ed è chiaro che caratterizzando le proprietà di quelli che sono detti vescovi Paolo abbia scritto quale appunto il vescovo debba essere, ordinando che sia anche il maestro, e che debba essere capace di confutare i contraddittori per chiudere la bocca, con la sua sapienza, ai chiacchieroni e seduttori ( Tt 1,9-11 ).

E come all'episcopato si preferisce chi è sposo di una sola donna a chi ha contratto nozze due volte, l'uomo irreprensibile a chi ha contratto qualche censura, chi è sobrio a chi non lo è, chi è saggio a chi non è saggio, chi è modesto a chi anche solo un poco è immodesto, così Paolo vuole che chi viene elevato all'episcopato sia colto, sia in grado di rispondere ai contraddittori ( 1 Tm 3,2; Tt 1,9 ).

Celso può dunque giustamente accusarci di aver detto: « Non venga a noi nessuno che sia colto, nessuno che sia saggio, nessuno che sia intelligente »?

Venga invece chi è colto, chi è saggio e intelligente, se lo vuole, ma non di meno venga a noi anche chi non è colto, chi non è istruito, chi non è molto intelligente, chi è piccolo.

La nostra fede promette di guarire anche costoro, rendendo tutti degni di Dio.

É falso anche che i maestri della fede divina vogliano convincere solo « gli sciocchi, gli ignobili, gli inesperti, gli schiavi, le donne, i fanciulli ».

Anche costoro, certamente, la nostra dottrina chiama a sé, per renderli migliori, ma chiama anche quelli che si differenziano molto da essi, perché Cristo è il Salvatore di tutti gli uomini, ma soprattutto dei fedeli ( 1 Tm 4,10 ), sia intelligenti, sia semplici, e di fronte al Padre, egli è propiziazione per i nostri peccati; e non solo per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo ( 1 Gv 2,2 ).

É inutile dopo ciò voler ribattere alle parole di Celso, così formulate: « Che male c'è essere colto, essersi dedicato alle migliori dottrine, essere intelligente o almeno sembrarlo?

Forse questo impedisce di conoscere Dio?

O non è piuttosto a ciò utile, e non è precisamente per questo che uno può più facilmente conseguire la verità? ».

Certo, essere colto non è male: l'istruzione è la via alla virtù; quantunque neppure i sapienti pagani annovererebbero tra le persone colte quelli che seguono dottrine perverse.

Chi mai non converrebbe che dedicarsi alle dottrine migliori non sia bene?

Ma quali mai sono le dottrine migliori secondo noi, se non quelle che sono vere e che portano alla virtù?

Che uno poi sia intelligente è certo bello; ma non certo il semplice sembrare intelligente, come afferma Celso.

Non impedisce dunque la conoscenza di Dio, ma piuttosto le giova l'essere colto, il dedicarsi alle dottrine migliori ed essere intelligente.

Origene, Contro Celso, 3,47-49

7. - Vocazione regale dell'agricoltore

Si può notare che alcuni mestieri imitano la dignità imperiale; soprattutto l'agricoltura.

Il contadino infatti è quasi il dominatore supremo delle piante: alcune le pota e le recide, altre le fa crescere e le cura; fa come i governatori saggi, i quali puniscono e tolgono di mezzo i malvagi che danneggiano gli altri, e promuovono i migliori, i più capaci.

Per questo anche la Scrittura paragona i governanti ai viticoltori.

Che importa se le piante non alzano la loro voce come nella città quelli che soffrono?

Con tutto il loro aspetto mostrano quasi l'ingiustizia subita, quando, soffocate dalle erbacce, appassiscono.

Come la legge punisce l'iniquità, così anche quest'arte corregge la terra cattiva, le piante rinselvatichite o degenerate.

E tutto ciò che vi è nei costumi umani, lo troveremo anche qui: asprezza, mollezza, viltà, temerità, incostanza; piante che estendono rigogliosamente la loro chioma in modo inopportuno, a danno delle vicine; piante sofferenti e angustiate; ad esempio quando i cespugli si innalzano a danno delle piante vicine, quando altre piante infruttuose si innalzano e impediscono la crescita di quelle che stanno sotto.

Come per i comandanti, per i re c'è sempre chi danneggia e combatte il loro potere, così anche per l'agricoltore: animali selvatici, avversità atmosferiche, grandine, ruggine, piogge e siccità e simili.

Avvengono perché tu abbia incessantemente fissa la tua speranza in Dio.

Gli altri mestieri sussistono anche per la diligenza umana; per questo mestiere invece è decisiva soprattutto l'opera di Dio, da cui dipende tutto, quasi senza esclusione alcuna.

Infatti, se ha bisogno delle piogge, se ha bisogno del succedersi delle stagioni, al di sopra di tutto ha bisogno della sua provvidenza: Né infatti chi semina né chi irriga è qualcosa, ma Dio che dà la crescita ( 1 Cor 3,7 ).

E vi troviamo anche morte e vita, parti e fecondità, come tra gli uomini.

E chi è reciso, chi porta frutto, chi muore, chi, morto, si alza di nuovo in alto: così in modo vario e sapiente la terra ci parla della risurrezione.

Quando infatti la radice porta il frutto, quando il seme germoglia, non si tratta di risurrezione?

Quanta provvidenza e quanta saggezza da parte di Dio elargita a quest'arte di dominare la terra: come lo può notare chi osserva i particolari!

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla seconda lettera ai Corinti, 15,4

8. - Lavoro manuale e devozione

Il tuo lavoro è manuale? Seduto all'opera, canta i salmi.

Non vuoi cantarli con la bocca? Fallo con la mente: il salmo è una grande compagnia.

Non dovrai sottometterti a nulla di tremendo, ma nel tuo laboratorio potrai sedere come in un monastero; non è infatti l'idoneità del luogo, ma l'impegno dei costumi che ci ottiene la pace dell'anima.

Anche Paolo non subì danni alla propria virtù quando si applicò al suo mestiere, nella bottega.

Non dire perciò: Come potrò darmi alla meditazione, che sono un lavoratore, che sono povero?

Ma proprio per questo tanto più lo puoi: per noi, alla pietà è più acconcia la povertà che la ricchezza, il lavoro che l'ozio; anzi, i soldi sono un vero impedimento per chi non sta accorto.

Quando si deve lasciar perdere l'ira, spegnere l'invidia, reprimere la passione, quando si devono offrire preghiere, mostrare benignità, mansuetudine, modestia e amore, è forse mai d'impedimento la povertà?

Per compiere ciò, non è necessario distribuire denaro, ma mostrare volontà retta.

Per l'elemosina in particolare c'è bisogno di ricchezze, ma anch'essa maggiormente riluce nella povertà: colei infatti che offrì due monetine ( Lc 21,2-4 ) era la più povera di tutti, ma tutti superò.

Giovanni Crisostomo, Istruzione ai catecumeni, 2,4

9. - Lo schiavo è schiavo di Cristo

Non solo l'uomo, la donna e i figli, ma anche la virtù degli schiavi conferisce al buono stato e al benessere delle case.

Per questo il beato Paolo non ha trascurato neppure questa parte; ma vi giunge per ultimo, perché è ultima nella considerazione in cui è tenuta.

Molte cose dice anche a loro, e non solo come ai figli, ma con maggior compiutezza: le promesse che loro rivolge non sono per quaggiù, ma per il futuro.

Sapendo, egli dice, che se ciascuno compie il male o il bene, altrettanto riceverà dal Signore ( Ef 6,8 ).

E già insegna loro a meditare: infatti, se nella stima sono inferiori ai figli, nell'animo sono loro superiori.

Voi, schiavi, obbedite ai padroni terreni ( Ef 6,5 ): subito però erige l'anima afflitta, subito la consola.

Non affliggerti - dice - che sei inferiore alla moglie e ai figli: la schiavitù è solo un nome: il loro dominio si estende solo al corpo, è temporaneo e breve; e tutto ciò che è terreno, presto finisce.

Con timore e tremore continua; vedi che il timore richiesto dagli schiavi non è uguale a quello della donna?

Là diceva semplicemente: La moglie, che abbia timore del marito ( Ef 5,33 ), mentre qui si esprime con più intensità; dice: Con timore e tremore.

In semplicità di cuore come a Cristo, soggiunge immediatamente.

Che dici, o beato Paolo? É un fratello, ha gli stessi privilegi, appartiene allo stesso corpo; anzi è fratello non solo del suo padrone, ma del suo Dio e ne ha tutti i vantaggi, e tu dici: « Obbedite ai padroni terreni con timore e tremore »!

Ma lo dico proprio per questo, risponde.

Se comando ai liberi di essere soggetti gli uni agli altri nel timore di Dio - come ha detto sopra: Soggetti gli uni agli altri nel timore di Dio ( Ef 5,21 ) -, se ordino alla moglie di aver timore del marito quantunque anche lei sia a lui simile, tanto più ai servi: non è affatto mancanza di nobiltà, anzi è la nobiltà più alta saper di essere inferiori, saper essere modesti e cedere al prossimo; anche i liberi sono soliti obbedire ad altri liberi con timore e tremore.

« In semplicità di cuore » dice poi; e dice bene, poiché è possibile obbedire con timore e tremore, ma non per affetto, bensì così, come si può.

Sono molti quelli che, vicini ai loro padroni, sotto sotto cercano di procurare loro del male.

Proprio per togliere di mezzo questa cattiveria dice: In semplicità di cuore, come al Signore.

Non servendo per esser visti, quasi per piacere agli uomini, ma come schiavi di Cristo, facendo di cuore la volontà di Dio e servendo con rettitudine come al Signore e non come a uomini ( Ef 6,5-7 ).

Vedi di quante parole ha avuto bisogno per impiantare una massima tanto bella: quel « con rettitudine » cioè e « di cuore »!

L'altro - lo vediamo - molti lo prestano ai loro padroni, parlo cioè del « timore e tremore », e le minacce dei padroni servono assai a ottenerlo.

Mostra invece - egli dice - di prestare il tuo servizio come schiavo di Cristo, e non di un uomo, fa' che la tua opera sia veramente tua, non frutto della necessità.

Infatti la Scrittura suggerisce e insegna a colui che subisce un'offesa da un altro come renderla un'opera buona personale, frutto della propria scelta.

Chi schiaffeggia una guancia, non lo fa certo spinto dall'intenzione di chi è percosso, ma dalla propria cattiveria.

Eppure cosa dice la Scrittura? Porgigli anche l'altra ( Mt 5,39 ), e mostra così di non avere sostenuto contro voglia neppure il primo ceffone.

Così chi si offre con generosità agli oltraggi, fa suo ciò che non era suo, non solo sopportando d'essere schiaffeggiato, ma offrendo anche l'altra guancia.

Questa poi è una prova di grande saggezza cristiana, mentre il semplice sopportare, forse è dimostrazione di paura.

Non hai già mostrato in passato di saper sopportare per saggezza cristiana?

Allora anche adesso mostra di sopportare volentieri pure la schiavitù; e non per piacere agli uomini, perché chi lo fa, non è servo di Cristo; il servo di Cristo non cerca di piacere agli uomini.

E chi vuol piacere agli uomini, se è servo di Dio?

E chi può essere servo di Dio, se vuol piacere agli uomini?

Servendo di cuore - dice Paolo - e con affezione ( Ef 6,6-7 ); e fa bene a dire così: è possibile infatti servire con semplicità e senza inganno, ma non con tutte le proprie forze, adempiendo solo lo strettamente necessario; proprio per questo dice « di cuore », non per necessità; volontariamente e non per forza.

Se servi così, non sei schiavo: cioè liberamente, con affezione, di cuore, per Cristo.

In questo modo era schiavo anche Paolo, egli, pur libero, gridava: Non annunciamo infatti noi stessi, ma Cristo Gesù Signore; e noi come schiavi vostri per amore di Gesù ( 2 Cor 4,5 ).

Vedi dunque che toglie ogni senso di viltà alla tua schiavitù.

Se uno viene depredato e offre altro denaro a chi glielo toglie, non lo si pone fra i rapinati, ma fra gli elargitori; non fra chi subisce affronti, ma fra chi compie azioni buone: con la sua generosità copre di vergogna l'altro più di quanto ne riceva per la rapina.

Così anche nel nostro caso: offrendo se stessi, si appare veramente d'animo grande e mostrando di non sentire la propria spogliazione si commuove l'animo altrui.

Dunque per Cristo serviamo ai padroni, ben sapendo - dice Paolo - che chiunque farà del bene, lo riceverà dal Signore, sia schiavo, sia libero ( Ef 6,8 ).

É ben verosimile che allora vi fossero molti padroni infedeli che non avevano nessun ritegno e non ricompensavano gli schiavi per la loro obbedienza: vedi in che modo Paolo li ha consolati, perché non avessero nessun dubbio in una ricompensa, perché confidassero pienamente in un premio.

Come infatti chi riceve del bene se non lo rende ai suoi benefattori fa sì che Dio sia loro debitore, così anche i padroni, se non ti hanno reso il bene che tu loro hai fatto, te lo renderanno maggiore: faranno sì che Dio sia tuo debitore.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera agli Efesini, 22,1-2

10. - L'obbedienza dello schiavo

E ora, qualche parola agli schiavi.

Non ritenere, caro amico, di servire a un uomo, ma a Dio, al cui Vangelo tu fai onore; farai tutto con soggezione, obbedendo al padrone e sopportandone l'ira e gli sdegni.

Pensa che non a lui tu fai un piacere, ma che adempi la disposizione di Dio: così sopporterai tutto con facilità.

Come lo dico sempre, anche ora lo ripeto: se compiamo le opere spirituali, pure ciò che serve alla vita presente avrà il suo seguito.

Infatti uno schiavo molto affezionato, molto mansueto, non solo sarà approvato da Dio e incoronato di splendore, ma lo stesso suo padrone, da lui beneficato, anche se fosse una belva anche se fosse di pietra, disumano e crudele, lo loderà, lo ammirerà, lo preferirà a tutti, lo preporrà agli altri; e questo anche se il padrone fosse pagano.

La Scrittura ordina allo schiavo di mostrarsi tale anche se i padroni fossero pagani; se volete, posso addurvene un esempio.

Giuseppe fu venduto al capo-cuoco; egli era di fede diversa dagli egiziani, eppure che fece il capo-cuoco?

Vedendo che il giovinetto era virtuoso, non pensò alla diversità di religione, ma prese ad amarlo, a prediligerlo, ad ammirarlo; gli dette ogni autorità sugli altri, tanto che gli affari di casa sua nessuno li conosceva come lui.

Giuseppe era quasi un secondo padrone, anzi era più padrone dello stesso padrone, perché costui non conosceva i propri affari come invece li conosceva Giuseppe.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera a Tito, 4,4

11. - Da dove trae origine la schiavitù

Iddio non ha riguardi personali ( Ef 6,9 ).

Non credere - intende dire Paolo - che ciò che avviene a uno schiavo, Dio lo lasci passare, trattandosi di uno schiavo.

Le leggi umane conoscono questa differenza di condizione, proprio perché sono umane; ma la legge del Padrone comune non conosce assolutamente tale distinzione, perché è la legge di tutti quelli che operano il bene, la legge che a tutti loro assegna la medesima ricompensa.

Se qualcuno poi chiedesse da dove trae origine la schiavitù e per quale motivo si è introdotta nella vita umana - so infatti che molti chiedono queste cose e volentieri le apprendono -, io vi dico: è stata l'avarizia a partorire la schiavitù, sono state la durezza e l'insaziabilità.

Noè non aveva schiavi, né Abele né Set e neppure i loro prossimi successori.

Il peccato ha dato origine a questa situazione.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera agli Efesini, 22,2

12. - La vita militare

Non credere che nessuno possa piacere a Dio se si è dato alla vita militare.

La conduceva anche Davide, al quale il Signore rese una sì splendida testimonianza.

La condussero molti giusti in tutti i tempi.

Per esempio il centurione che disse al Signore: Non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di' solo una parola e il mio servo sarà sano!

Perché anch'io sono uomo soggetto all'autorità e ho soldati sotto di me, e dico a questo: va', ed egli va; a quello: vieni, ed egli viene, e al mio servitore: fa' questo, ed egli lo fa.

Per questo il Signore disse di lui: In verità vi dico che non ho mai trovato tanta fede in Israele ( Mt 8,8-9 ).

Era dedito alla vita militare anche Cornelio, al quale fu mandato un angelo che gli disse: Cornelio, le tue elemosine sono piaciute al Signore e le tue preghiere sono state ascoltate ( At 10,4 ).

Gli dette poi l'avviso di mandar qualcuno dall'apostolo Pietro per saper da lui cosa doveva fare.

E mandò subito un soldato timorato di Dio dall'apostolo per pregarlo di recarsi da lui.

Erano dediti al servizio delle armi anche quei soldati che si erano recati a ricevere il battesimo da Giovanni, il santo precursore del Signore, e amico dello Sposo, del quale proprio il Signore dice: Tra i nati di donna non è sorto nessuno più grande di Giovanni Battista ( Mt 11,11 ).

Quando gli chiesero ciò che dovevano fare, egli rispose loro: Non vessate alcuno con estorsioni e false denunzie, e contentatevi delle vostre paghe! ( Lc 3,14 ).

Comandando dunque loro di accontentarsi delle loro paghe, certo non proibì loro il mestiere delle armi.

Certo, è più alta davanti a Dio la dignità di coloro che abbandonano per lui il mondo e lo servono in perfetta continenza e purità.

Ma l'Apostolo dice anche: Ciascuno ha dal Signore il suo dono: chi in un modo chi in un altro ( 1 Cor 7,7 ).

Altri dunque combattono per voi contro i nemici invisibili, con la preghiera; voi combattete per loro contro i barbari visibili, con la spada.

Oh, vi fosse in tutti una sola fede!

Allora ci sarebbe meno da combattere e si vincerebbe più facilmente il diavolo con i suoi angeli!

Ma in questa vita è necessario che i cittadini del regno dei cieli siano provati dalle tentazioni tra gli infedeli e gli empi, affinché la loro fede sia esercitata e messa alla prova come l'oro nel crogiolo ( Sap 3,6 ); perciò non ci è dato, prima del tempo, di vivere solo in compagnia dei santi e dei giusti, per meritare di ricevere questo premio a suo tempo.

Quando perciò indossi le armi per combattere, pensa anzitutto che anche le forze del tuo corpo sono dono di Dio.

E devi allora ricordarti che i doni di Dio non possono essere usati contro di lui.

La parola data, infatti, si deve mantenere anche verso il nemico contro il quale si fa guerra; quanto più deve essere mantenuta verso l'amico per il quale si combatte!

La pace deve essere nella volontà e la guerra solo una necessità, affinché Dio ci liberi dalla necessità e ci conservi nella pace!

Infatti non si cerca la pace per provocare la guerra, ma si fa la guerra per ottenere la pace.

Anche in guerra sii amante della pace e, con la tua vittoria procura ai vinti il bene della pace.

Beati gli operatori di pace - dice il Signore - perché saranno chiamati figli di Dio ( Mt 5,9 ).

Ora, se la pace umana è tanto dolce a causa della salvezza temporale dei mortali, quanto più è dolce la pace con Dio a causa della salvezza eterna degli angeli!

Sia pertanto la necessità e non la volontà il motivo per togliere di mezzo il nemico che combatte.

Allo stesso modo che si usa la violenza con chi si ribella e resiste, così deve usarsi misericordia con chi è ormai vinto o prigioniero, soprattutto se non c'è da temere, nei suoi riguardi, che turbi la pace.

Agostino, Le Lettere, II, 189,4-6 ( a Bonifacio )

13. - Ogni stato ha la sua pena

Per i contadini le fatiche dell'agricoltura non sono una novità, per i marinai la burrasca in mare non giunge inaspettata, per i braccianti non è insolito il sudore d'estate; così per coloro che hanno scelto di vivere piamente, le tribolazioni di questo mondo non sono impreviste.

A ogni stato di cui ho parlato va unita la sua pena, che ogni professione ben conosce; pena che non va eletta per se stessa, ma per fruire dei beni aspettati.

Le speranze infatti, che mantengono e accompagnano tutta la vita degli uomini, alleviano la difficoltà a ciascuno insita.

Tra quelli che faticano per raccogliere i frutti della terra, o per i beni mondani, alcuni restano completamente ingannati nelle loro speranze: costoro godono dei beni sperati solo nell'immaginazione.

Ma anche quelli che hanno visto i fatti avverarsi secondo il loro volere, è necessaria una nuova speranza, poiché la prima trascorre e appassisce ben presto.

Solo a quelli che si affaticano per la pietà, l'inganno non annulla la speranza, la conclusione non rovina le fatiche, poiché, certo e immutabile li accoglie il regno dei cieli.

Non vi turbi perciò la calunnia mendace, non vi spaventi la minaccia dei potenti; non vi rattristi la derisione o l'oltraggio dei vostri cari né tantomeno la riprovazione di quelli che pongono ogni cura a rivolgere lodi simulate - che sono l'esca più forte per ingannarci - fino a quando la parola di verità ci assisterà.

Contro tutto ciò combatterà la retta ragione, chiamando quale avvocato e difensore il Maestro della pietà, il Signore nostro Gesù Cristo, patire per il quale è dolce e morire un guadagno ( Fil 1,21 ).

Basilio il Grande, Le Lettere, 18 (a Macario e Giovanni)

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