Teologia dei Padri

Indice

L'insegnamento di Cristo

1. - La tradizione degli apostoli, fondamento della nostra fede

Non da altri abbiamo conosciuto l'economia della nostra salvezza se non da coloro tramite i quali ci è giunto il Vangelo.

Quel che prima hanno predicato e poi, per volontà di Dio, ci hanno tramandato nelle Scritture, sarebbe stato il fondamento e la colonna della nostra fede.

Non è lecito asserire che essi abbiano predicato prima di aver raggiunto la gnosi perfetta, come osano dire alcuni che si gloriano di correggere gli stessi apostoli.

Infatti, dopo la risurrezione di nostro Signore da morte e dopo che furono rivestiti della virtù dello Spirito Santo disceso dall'alto, ricevuta ogni grazia e la gnosi perfetta, si diffusero su tutta la terra annunciando i benefici elargitici da Dio, proclamando agli uomini la pace celeste, possedendo sia tutti insieme sia ciascuno da solo, il Vangelo di Dio

Così Matteo scrisse tra gli ebrei, nella loro lingua, il suo Vangelo; mentre Pietro e Paolo lo predicavano a Roma e fondavano quella Chiesa.

Dopo la loro dipartita, Marco, discepolo e interprete di Pietro, ci tramandò per iscritto la predicazione di Pietro; Luca invece, seguace di Paolo, redasse in un libro il Vangelo annunciato da Paolo.

Poi anche Giovanni, discepolo del Signore, che aveva riposato sul petto, anch'egli pubblicò il suo Vangelo, mentre stava ad Efeso nell'Asia.

Tutti costoro ci tramandarono che vi è un solo Dio, creatore del cielo e della terra, preannunciato dalla legge e dai profeti; e che vi è un solo Cristo, Figlio di Dio.

E se qualcuno non la pensa come loro, disprezza i soci del Signore, disprezza lo stesso Cristo Signore, disprezza il Padre e si condanna da solo, opponendosi alla propria salvezza e rifiutandola.

Ireneo di Lione, Contro le eresie, 3,1

2. - Solo dopo la risurrezione del Signore gli apostoli poterono comprendere tutta la verità

Sembra che per molto tempo anche Pietro abbia osservato le usanze giudaiche conformi alla legge di Mosè: non aveva ancora imparato da Gesù ad elevarsi dalla legge intesa secondo la lettera alla legge intesa secondo lo spirito.

Sono gli Atti degli apostoli che ce lo insegnano.

Il giorno dopo che l'angelo di Dio era apparso a Cornelio imponendogli di mandare qualcuno a Ioppe da Simone detto Pietro, costui verso l'ora sesta, salì sul terrazzo della casa, a pregare.

E avendo fame, bramò di prendere cibo; mentre glielo apparecchiavano, vide una visione.

Vide aprirsi i cieli e venire giù qualcosa di simile a un grande lenzuolo, che veniva calato a terra per i quattro capi; e c'era dentro ogni sorta di quadrupedi, di rettili della terra e di uccelli dell'aria.

E sentì questa voce: Alzati Pietro, uccidi e mangia!

Ma Pietro disse: Mai, o Signore, perché non ho mai mangiato nulla di profano e impuro.

E di nuovo a lui la voce: Non dire profano quello che Dio ha purificato! ( At 10,9-15 ).

In tutto ciò vedi come Pietro viene presentato osservante delle consuetudini giudaiche riguardo agli animali puri e impuri.

Dal seguito si apprende che ebbe bisogno di una visione per rendere partecipe degli insegnamenti della fede Cornelio, che non era di stirpe israelita, e i suoi familiari ( At 10,17ss ).

Era infatti ancora giudeo, viveva secondo le tradizioni giudaiche e disprezzava quelli che erano fuori del giudaismo.

Anche Paolo nella lettera ai Galati attesta che Pietro, quando arrivò Giacomo, per timore dei giudei cessò di mangiare con i cristiani di origine pagana: Si separò da loro per timore di quelli che provenivano dalla circoncisione ( Gal 2,12 ).

E lo stesso fecero anche gli altri cristiani di origine giudaica e Barnaba.

Era naturale che gli apostoli mandati a predicare ai giudei non si allontanassero dai riti giudaici quando quelli che erano reputati le colonne, porsero a Paolo e a Barnaba le loro destre in segno di comunione, perché essi si recavano tra i circoncisi e quelli annunziassero il Vangelo ai pagani ( Gal 2,9 ).

Ma perché dico che gli evangelizzatori dei circoncisi si sottrassero e si separarono dai pagani?

Anche lo stesso Paolo si fece giudeo con i giudei ( 1 Cor 9,20 ), per conquistare anche loro.

Per questo motivo, come sta scritto negli Atti degli apostoli, anch'egli portò la sua offerta al tempio: per persuadere i giudei di non aver apostatato dalla legge ( At 21,26 ).

Se Celso sapesse tutto ciò, il giudeo che egli fa parlare non apostroferebbe i fedeli provenienti dal giudaismo con queste parole: « Cosa è accaduto, o cittadini, che avete abbandonato la legge dei padri e, sedotti da quel tale di cui abbiamo or ora parlato, vi siete lasciati ingannare in modo veramente ridicolo e avete disertato le nostre file per accettare un altro nome e un'altra vita? ».

Giacché siamo giunti col discorso su Pietro e sugli apostoli che insegnarono il cristianesimo a quelli che provenivano dalla circoncisione, non ritengo fuori luogo citare qui e spiegare un detto di Gesù, desunto dal Vangelo di Giovanni.

Sta scritto dunque che egli disse: Molte cose ho ancora da dirvi, ma per ora non ne siete capaci.

Quando però verrà quello Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera: non vi parlerà da sé, ma dirà tutto quello che avrà udito ( Gv 16,12-13 ).

Ci chiediamo a questo punto che cosa siano le « molte cose » che Gesù aveva da dire ai suoi discepoli e di cui essi erano incapaci.

Io rispondo: probabilmente perché gli apostoli erano giudei, educati ad accettare alla lettera la legge mosaica, per questo Gesù doveva dire loro quale fosse la vera legge, e quali le « realtà celesti », a cui immagine e ombra si svolgeva il culto giudaico, adombrate dalla legge sui cibi e le bevande, sulle feste, noviluni e i sabati.

Erano molte le cose che Gesù doveva dire loro; ma vedeva che è molto difficile togliere dall'anima le concezioni quasi connaturate e subentrate fin dall'infanzia e di cui si è persuasi che sono divine e che rinunciarvi è empietà; vedeva che è difficile, nell'eccesso della conoscenza secondo Cristo cioè secondo la verità, considerare tutto ciò come sterco e danno ( Fil 3,8 ) e persuadere a ciò gli ascoltatori; perciò aspettò un tempo più opportuno, dopo la sua passione e la sua risurrezione.

É vero infatti che l'aiuto prestato loro quando non era tempo, quando non avrebbero potuto accoglierlo, avrebbe potuto sconvolgere la loro fede in Gesù, che ritenevano già Messia e Figlio del Dio vivente.

Si osservi se questa non è una spiegazione accettabile del passo.

Molte cose ho ancora da dirvi, ma per ora non ne siete capaci ( Gv 16,12 ).

Sono molte infatti nella legge le cose che devono essere esposte e interpretate in senso spirituale; ma non ne erano ancora capaci i discepoli, nati ed educati nel giudaismo.

Poiché le osservanze giudaiche avevano solo un significato simbolico, mentre la verità sarebbe stata loro insegnata dallo Spirito Santo, per questo, credo, è detto: Quando però verrà quello Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera ( Gv 16,13 ), quasi dicesse: alla verità di quelle osservanze, con cui credevate di prestare a Dio il culto vero, mentre ne erano solo un simbolo.

Poi, come aveva promesso Gesù, venne lo Spirito della verità su Pietro e gli disse, riferendosi ai quadrupedi, ai serpenti della terra e ai volatili del cielo: Alzati Pietro, uccidi e mangia ( At 10,13 ).

E venne su di lui che era ancora tutto preso dalla superstizione, tanto che alla voce divina rispose: « Mai, o Signore, perché non ho mai mangiato nulla di profano e d'impuro! ».

Gli fu allora insegnata la dottrina dei cibi veri e spirituali, con le parole: « Non dire profano quello che Dio ha purificato! ».

Dopo quella visione lo Spirito di verità guidò Pietro in tutta la verità e gli disse molte cose che non era capace di comprendere allorché Gesù viveva con lui ancora nella carne.

Origene, Contro Celso, 2,1-2

3. - La successione apostolica è la prova dell'ortodossia

Può essere che ci siano eresie, le quali osino rifarsi all'età apostolica, sì da parer insegnate dagli apostoli per essere nate sotto di loro.

Si può replicare ad esse: mettano fuori dunque le carte di nascita delle loro Chiese; sciorinino i cataloghi dei loro vescovi, mostranti sin dal principio la loro successione, sì da far vedere che quegli che fu il primo vescovo ricevette l'investitura e fu preceduto da uno degli apostoli o almeno da un uomo apostolico, che con gli apostoli avesse avuto costanti rapporti.

Questo è il modo col quale le Chiese apostoliche esibiscono i propri titoli: così la Chiesa di Smirne mostra che Policarpo fu collocato su quella sede da Giovanni; così quella di Roma fa vedere che Clemente vi fu ordinato da Pietro; e così pure le altre esibiscono i vescovi che, costituiti nell'episcopato dagli apostoli, sono per loro i veicoli della semente apostolica.

Può essere che gli eretici architettino una tradizione simile: che cosa non si fanno lecito, dopo aver bestemmiato Dio?

Ma anche se costruissero una tradizione simile, non farebbero un passo innanzi, ché basterà sempre mettere a fronte alla dottrina loro quella degli apostoli, per mostrare come la loro sia diversa e contraria, e quindi non derivi da un apostolo, e neppure da un maestro apostolico.

Difatti come gli apostoli non insegnarono dottrine diverse tra loro, così gli uomini apostolici non divulgarono dottrine contrarie agli apostoli, a meno d'ammettere che essi una cosa avessero appresa e un'altra predicata.

A questa stregua, hanno la loro confutazione anche in quelle Chiese che, se pur non vantano per fondatore un apostolo o un uomo apostolico, per essere di molto posteriori - e tuttodì se ne fondano altre -, tuttavia in quanto concordano in una medesima fede si possono considerare apostoliche non meno delle antiche, a cui sono fatte consanguinee in forza della dottrina.

Sono questi i due caratteri delle nostre Chiese; e tutte le eresie sono sfidate, a questa stregua, a provare come possano sostenere delle pretese d'origine apostolica.

Ma tale origine non hanno, né possono mostrare d'essere ciò che non sono: e perciò non sono accolte nella pace e nella comunione delle Chiese, le quali siano in qualunque modo apostoliche: e non possono essere apostoliche appunto per la diversità della fede.

Tertulliano, La prescrizione contro gli eretici, 32

4. - Fiducia nella semplicità degli evangelisti

Noi ci fidiamo della sincerità di coloro che composero i Vangeli, perché ne indoviniamo la pietà e la conoscenza dei fatti che si rivelano dai loro scritti, mentre non vi si trova traccia di alterazione, di inganno, di invenzione o sofisticazione.

Il loro animo non aveva imparato ciò che insegna la scaltra arte sofistica dei greci, con la sua forza persuasiva e le sue sottigliezze, né l'oratoria che fa mostra di sé nei tribunali; siamo persuasi perciò che non erano in grado di escogitare gli argomenti capaci per se stessi di produrre la fede e la vita conforme alla fede.

Io credo poi che Gesù proprio per questo motivo volle che tali uomini fossero i maestri della sua dottrina, perché cioè non vi fosse spazio per il sospetto di abilità sofistica nel persuadere e perché fosse chiaro, per chi ha intelligenza, che la sincerità dei sacri scrittori - unita, per dir così, a tanta semplicità - fu avvalorata da una forza divina che otteneva molto di più di quanto sembra possano ottenere la ricchezza nel parlare, la struttura del discorso, la fedeltà alle divisioni e alle regole dell'arte greca.

Origene, Contro Celso, 3,39

5. - Annuncio del Vangelo nella forza di Dio

A coloro che con intelligenza e senza prevenzioni riescono a considerare l'opera degli apostoli di Gesù, risulta chiaro che per una forza divina essi insegnarono il cristianesimo e riuscirono ad assoggettare gli uomini alla parola di Dio.

Non possedevano infatti la forza del parlare e l'ordine dell'esposizione richiesti dalle arti dialettica e retorica dei greci, per soggiogare gli uditori.

Io ritengo che, se Gesù avesse eletto e usato per il ministero della sua dottrina uomini sapienti secondo l'opinione della massa e atti a pensare e a esprimersi come piace alla moltitudine, giustamente sarebbe sorto il sospetto che egli si fosse servito del metodo proprio dei fondatori di qualche scuola filosofica, e non si sarebbe così manifestato il compimento della promessa che la sua dottrina sarebbe stata divina.

La sua parola, il suo annuncio sarebbero consistiti « nell'arte persuasiva della sapienza » che si fonda sulle frasi e sull'esposizione, e la nostra fede, precisamente come la fede dei filosofi di questo mondo nelle loro teorie, si sarebbe basata sulla « sapienza degli uomini », e non sulla « potenza di Dio » ( 1 Cor 2,5 ).

Ora, chi mai, vedendo pescatori e gabellieri, che non avevano studiato neppure i primi elementi delle lettere - così ce li rappresenta il Vangelo, e Celso li crede sinceri quando parlano della loro ignoranza - parlare della fede in Gesù così pieni di coraggio non solo ai giudei, ma annunciare lui con successo anche agli altri popoli, non si chiederà donde loro provenga tanta forza di persuasione?

Non era infatti del tipo che agisce sulla massa.

Chi non direbbe dunque che Gesù abbia riempito di divina potenza le sue parole rivolte agli apostoli: Venite dietro me, e vi farò pescatori di uomini ( Mt 4,19 )?

A questa potenza allude anche Paolo, come abbiamo ricordato sopra, dicendo: E la mia parola e il mio annuncio non si basano sulle parole persuasive della sapienza umana, ma sulla manifestazione dello spirito e della potenza, perché la nostra fede non consiste nella sapienza degli uomini, ma nella potenza di Dio ( 1 Cor 2,4-5 ).

Infatti secondo le predizioni che leggiamo nei profeti, che preannunciarono la predicazione del Vangelo, il Signore diede la parola agli annunciatori della buona novella con grande potenza, il Signore delle potenze del diletto ( Sal 68,12 ), anche perché si adempia la profezia che dice: Veloce corre la sua parola ( Sal 147,15 ).

Vediamo infatti che già in ogni regione è pervenuta la voce degli apostoli di Gesù e ai confini della terra la loro parola ( Sal 19,5 ).

Per questo coloro che ascoltano la parola annunciata con forza, si riempiono di forza, che si manifesta nel loro animo, nella loro vita e nel combattere fino alla morte per la verità.

Origene, Contro Celso, 1,62

EMP I-17. - Gesù parla ancora oggi nelle nostre assemblee

Quando leggi che Gesù insegnava nelle sinagoghe, onorato da tutti ( Lc 4,15 ), sta attento a non considerare fortunate soltanto le persone che potevano ascoltarlo, ritenendoti escluso dal suo insegnamento.

Se la Scrittura è la verità, allora Dio non ha parlato soltanto una volta nelle riunioni degli ebrei, ma parla ancora oggi nella nostra assemblea.

E non solo qui, ma anche nelle altre assemblee di tutto il mondo, Gesù insegna e cerca strumenti con cui trasmettere il suo insegnamento.

Pregate perché egli trovi anche me preparato e disposto a servirlo con la parola …

Oggi Gesù è « onorato da tutti » ben più che nel tempo in cui era conosciuto in una regione soltanto.

Venne a Nazaret, dove era stato allevato, e di sabato, come era solito fare, entrò nella sinagoga e si alzò in piedi a leggere.

Gli fu dato il libro del profeta Isaia.

Egli lo aperse e trovò il passo dove era scritto: Lo Spirito del Signore è sopra di me, perché egli mi ha consacrato con l'unzione ( Lc 4,16-18 ).

Non è semplice caso che Gesù abbia aperto il libro proprio al capitolo della profezia che lo riguardava: anche questo faceva parte del disegno di Dio.

Dal momento che il Vangelo dice che un passero non cade nella rete se il Padre non lo vuole ( Lc 12,6 ) e che i capelli del capo sono tutti contati ( Lc 12,7 ), bisogna pensare che la scelta del libro di Isaia e la lettura di un testo che riguarda proprio il mistero di Cristo non avvenga per capriccio o per caso, ma per un disegno provvidenziale di Dio.

Consideriamo ora il senso delle parole di Isaia e l'applicazione che Gesù ne fa a se stesso nella sinagoga.

Mi ha mandato - dice - a portare ai poveri la buona novella.

I poveri sono i pagani: questi infatti erano poveri, perché non possedevano assolutamente niente, né Dio, né leggi, né profeti, né giustizia o altre virtù.

Per questo Dio l'ha mandato ai poveri come messaggero: per annunciare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi il recupero della vista ( Lc 4,18 ) …

Infatti la sua parola e la predicazione della sua dottrina rendono la vista ai ciechi …

Gesù chiuse il libro, lo consegnò al ministro, poi sedette.

Gli occhi di tutti, nella sinagoga, erano fissi su di lui ( Lc 4,20 ).

Anche ora, nella nostra assemblea, purché lo vogliate, i vostri occhi possono fissare il Salvatore.

Quando dal più profondo del cuore ti volgi a contemplare la Sapienza, la Verità, il Figlio unico di Dio, i tuoi occhi vedono Gesù.

Beata l'assemblea di cui la Scrittura attesta che gli occhi di tutti erano fissi su di lui!

Come vorrei che la nostra assemblea ricevesse una simile testimonianza: che tutti, catecumeni e fedeli, donne, uomini e bambini, avessero gli occhi dell'anima fissi su Gesù!

Quando vi sarete rivolti a lui e lo contemplerete, la sua luce renderà il vostro volto più luminoso, e allora potrete dire: Hai lasciato su di noi il tuo segno, la luce del tuo volto, o Signore ( Sal 4,7: Vulg. ).

Origene, Omelia 32 ( su san Luca )

6. - I quattro Vangeli e i loro simboli

Le piaghe del mondo, nel quale viviamo, sono quattro, e quattro sono gli spiriti cattolici; la Chiesa poi è disseminata su tutta la terra, mentre sua colonna e fondamento è il Vangelo, che è spirito di vita.

É evidente perciò che essa abbia quattro colonne, che spirano ovunque l'incorruttibilità e vivificano gli uomini.

É chiaro da ciò, che il Verbo artefice di tutto, che è assiso sui cherubini e che tutto in sé contiene, rivelandosi agli uomini ci ha dato un Vangelo quadriforme, ma costituito da un solo Spirito.

Così Davide, pregando che egli venisse, diceva: Tu che siedi sopra i cherubini, rivelati! ( Sal 80,2 ).

E anche i cherubini hanno quattro volti, e i loro volti sono immagini degli uffici di Cristo.

Dice la Scrittura: Il primo animale è simile al leone: caratterizza il suo ufficio di re e condottiero; invece il secondo è simile al vitello: indica il suo ufficio sacrificale, il suo ordine sacerdotale; il terzo animale ha la faccia d'uomo: descrive così apertamente la sua venuta in quanto uomo; infine il quarto è simile all'aquila che vola ( Ap 4,7 ): manifesta la grazia dello Spirito che vola nella Chiesa.

I Vangeli, in cui è presente Cristo Gesù, corrispondono in pieno a tutto ciò.

Uno infatti narra la sua potente e gloriosa generazione dal Padre dicendo: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e Dio era il Verbo.

E tutto per mezzo suo è stato fatto, e senza di lui nulla è stato fatto ( Gv 1,1-2 ).

E al pari della sua persona, questo Vangelo è pieno di suprema certezza.

Il Vangelo secondo Luca, che è di carattere sacerdotale, incomincia con il sacrificio offerto a Dio dal sacerdote Zaccaria; già allora si preparava, infatti il vitello ingrassato, da uccidere per il ritrovamento del figlio minore.

Matteo invece narra la generazione di lui in quanto uomo scrivendo: Libro della generazione di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo; e ancora: Così avvenne la generazione del Cristo ( Mt 1,1.18 ).

Questo Vangelo è dunque di forma umana: dall'inizio alla fine Gesù vi appare nel suo umile sentire e nella sua mite umanità.

Marco invece comincia dallo spirito profetico che scende dall'alto sugli uomini: Inizio del Vangelo …

Come è stato scritto in Isaia profeta … ( Mc 1,1 ); ci mostra così un'immagine alata e sublime.

Continua poi con un annuncio conciso e presago, perché il suo carattere è profetico.

Ma anche lo stesso Verbo di Dio aveva parlato ai patriarchi vissuti prima di Mosè, nella sua gloria e nella sua divinità: a quelli vissuti sotto la legge aveva presentato il suo ordine sacerdotale e ministeriale; poi infine, fattosi uomo, ha diffuso su tutta la terra il dono celeste dello Spirito, proteggendoci sotto le sue ali.

Qual è dunque l'ufficio del Figlio di Dio, tale è la forma degli animali; e quale è la forma degli animali, tale è il carattere del Vangelo.

Quadriformi sono gli animali, quadriforme è il Vangelo, quadriforme è l'ufficio del Signore.

Per questo sono stati stipulati quattro patti con tutto il genere umano: il primo, dopo il diluvio, con Noè con l'arcobaleno; il secondo con Abramo tramite la circoncisione; il terzo con Mosè mediante la legge; il quarto, infine, è quello che rinnova l'uomo e ricapitola tutto in sé: è il patto del Vangelo, del nostro Signor Gesù Cristo che sublima gli uomini e li eleva fino al regno celeste.

Ireneo di Lione, Contro le eresie, 3, 11,8

7. - Attendibilità dell'antica tradizione cristiana

Le cose di allora le rammento meglio di quelle recenti.

Infatti ciò che si apprende nella fanciullezza viene a formare un tutt'uno col nostro animo e cresce con esso: perciò ti potrei dire perfino il luogo in cui il beato Policarpo si sedeva per parlare, e come cominciava, e come entrava in argomento; e anche la vita che conduceva, l'aspetto del suo corpo; i discorsi che teneva alle masse; come narrava dei suoi rapporti familiari con Giovanni e con gli altri che avevano visto il Signore dei quali ricordava le parole e tutto ciò che da quelli aveva udito riguardo al Signore, ai suoi miracoli e alla sua dottrina.

Tutto ciò Policarpo lo aveva appreso da testimoni oculari del Verbo della vita, e lo annunciava in piena armonia con le Scritture.

Queste cose che allora, per misericordia di Dio, diligentemente ascoltai, le conservo nella memoria, impresse non sulla carta ma nel mio cuore; e sempre con la grazia di Dio le rimedito profondamente.

Posso testimoniare davanti a Dio che se quel presbitero beato e apostolico avesse udito quello che tu insegni, sarebbe uscito in un grido, si sarebbe turato gli orecchi e avrebbe detto, come era solito: « O buon Dio, a che tempi mi hai serbato! Che cosa mi tocca sopportare! », e sarebbe fuggito da quel luogo dove, seduto o in piedi, avesse udito tali discorsi.

Lo possono chiaramente dimostrare anche le lettere che inviò alle Chiese vicine per confermarle, o ad alcuni dei fratelli per ammonirli e spronarli.

Ireneo di Lione, Lettera a Florino, in Eusebio, Storia ecclesiastica, 5,20

8. - Annuncio della fede con la parola e con lo scritto

Il Salvatore stesso, distribuiti i suoi averi ai servi, secondo la capacità di chi riceve - capacità che aumenta con l'esercizio - tornato all'improvviso ne chiese loro conto.

Mentre approvò i servi che, « fedeli nel poco », avevano aumentato il suo denaro, promettendogli di dare loro « potere su molto » e disponendo che entrassero « al godimento del Signore », a quello invece che aveva nascosto il denaro a lui affidato per farlo fruttare e gli restituiva tanto quanto aveva avuto: « Servo cattivo - disse - e infingardo.

Dovevi portare il mio denaro ai banchieri; così al mio ritorno avrei guadagnato ciò che mi spetta ».

Per questo motivo il servo inutile « sarà gettato fuori nelle tenebre » ( Mt 25,14-30 ).

Anche Paolo dice: Tu dunque prendi forza nella grazia che è in Cristo Gesù, e gli insegnamenti da me avuti, in presenza di molti testimoni, trasmettili a uomini fidati, capaci di ammaestrare anche gli altri ( 2 Tm 2,1-2 ).

E ancora: Sforzati di presentarti a Dio in tutta lealtà, da operaio che non ha di che vergognarsi, che dispensa rettamente la parola della verità ( 2 Tm 2,15 ).

Se dunque due annunciano la Parola, uno con lo scritto, l'altro a voce, non saranno forse tutt'e due approvati, avendo tutt'e due resa operante la fede per mezzo dell'amore ( Gal 5,6 ).

La colpa è di colui che non ha scelto il meglio: Dio non ne è responsabile.

Così è compito degli uni prestare a interesse la parola, compito degli altri metterla alla prova e accoglierla o no: la decisione sta in loro stessi.

Ma l'attività di chi annuncia reca sempre un messaggio, ed è sempre utile, sia che operi per mezzo della mano [ con lo scritto ], sia che operi per mezzo della lingua.

Chi semina nello Spirito, dallo Spirito mieterà la vita eterna.

Non stanchiamoci nel fare il bene ( Gal 6,8-9 ).

Chi, per divina provvidenza, si imbatte nel messaggio, ne ha un cumulo di beni sommi: l'inizio della fede, l'ardore per una vita santa, l'impulso verso la verità, lo slancio nella ricerca, la traccia alla conoscenza; in breve ottiene i mezzi per salvarsi.

Quelli invece che sono stati rettamente educati nella dottrina della verità, ne hanno il viatico per la vita eterna e si sollevano alati nel cielo.

Per questo l'Apostolo dice, in modo meraviglioso: Mostrandoci sempre quali ministri di Dio, come poveri, ma che arricchiscono molti; come gente che nulla ha, ma che tutto possiede.

La nostra bocca è aperta per voi! ( 2 Cor 6,4.10 ).

E scrivendo a Timoteo dice: Ti scongiuro davanti a Dio, davanti a Cristo Gesù e agli angeli eletti, di osservare queste norme senza prevenzioni e di nulla fare per parzialità ( 1 Tm 5,21 ).

L'uno e l'altro, dunque, devono esaminare se stessi: l'uno, se è degno di parlare o di lasciare scritti; l'altro, se ha meritato di ascoltare e leggere …

Se dunque la messe è molta, ma gli operai pochi ( Mt 9,37 ), dobbiamo davvero pregare perché ci vengano mandati operai in grande copia.

Duplice è il lavoro su questo campo: senza lo scritto e con lo scritto.

Ma, in un modo e nell'altro, l'operaio del Signore semina il nobile frumento, fa crescere le spighe e miete, mostrandosi così vero agricoltore di Dio.

Lavorate non per il cibo che perisce - dice il Signore - ma per il cibo che rimane per la vita eterna ( Gv 6,27 ).

Per cibo si intende sia il pane, sia la parola.

E davvero: Beati gli operatori di pace ( Mt 5,9 ), che correggono con l'insegnamento quelli che nella loro vita errabonda vengono combattuti dall'ignoranza, e li trasferiscono nella pace che consiste nella parola e nella vita secondo Dio, e nutrono con la distribuzione del pane coloro che hanno sete di giustizia ( Mt 5,6 ).

Anche le anime infatti hanno il loro cibo proprio, le une si nutrono con la conoscenza e la sapienza, le altre si pascono della filosofia greca, di cui, come nelle noci, non tutto si può mangiare.

Chi pianta e chi irriga sono servi di colui che dà la crescita, e nel loro ministero sono una cosa sola; ciascuno però riceverà la propria mercede secondo la propria fatica.

Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edificio di Dio ( 1 Cor 3,8-9 ).

Clemente Alessandrino, Stromata, 1,3-7

9. - Confronto tra i filosofi e la sacra Scrittura

I filosofi non sembra che abbiano avuto altro fine nel loro studio che scoprire come si debba organizzare la propria vita per raggiungere la beatitudine.

Ma perché vi fu tanto dissenso tra discepoli e maestri, e tra i condiscepoli a vicenda, se non perché, essendo uomini, si diedero a questa ricerca con sentimenti umani e raziocinio umano?

Per quanto abbia interferito in ciò la ricerca della gloria, per la quale ciascuno desidera essere considerato più sapiente e più acuto dell'altro e non seguace delle idee altrui, ma autore delle proprie convinzioni e opinioni, tuttavia concedo che non pochi, o forse molti di loro si allontanarono dai loro maestri e dai loro colleghi precisamente per amore della verità, per combattere in difesa di ciò che ritenevano verità, sia che fosse tale, sia che non lo fosse.

Cosa infatti può fare, da dove può partire e verso dove può avviarsi l'umana infelicità per raggiungere la beatitudine, se la divina autorità non la regge?

Ma i nostri sacri autori, i cui scritti non invano formano e terminano il canone delle sacre lettere, non discordano tra di loro da nessun punto di vista.

Giustamente perciò, quando essi scrivevano i loro libri e Dio parlava loro o per bocca loro, non solo pochi individui, nelle scuole e nei ginnasi, loquaci nelle dispute dottrinali, hanno creduto in loro, ma tante e tanto grandi folle, nelle campagne e nelle città, fra i dotti e gli ignoranti …

Vi è forse in questa città, dimora dei demoni, un qualche fondatore di scuola filosofica tanto approvato che chiunque abbia un'opinione da lui diversa o contraria sia per ciò stesso condannato?

Ad Atene non erano forse famosi gli epicurei, i quali sostenevano che i fatti umani non meritano di essere curati dagli dèi, e insieme gli stoici che, convinti del contrario, sostenevano che essi sono retti e difesi dall'aiuto e dalla protezione degli dèi? …

In pubblico, sotto il porticato celebre e notissimo, nei ginnasi, nei giardini, nei luoghi pubblici e privati, tutti combattevano per difendere la loro opinione: alcuni asserivano che vi è un solo universo, altri che ve ne sono innumerevoli; e l'universo, poi, per alcuni ha avuto inizio, per altri non lo ha avuto; per alcuni perirà, per altri esisterà in eterno; alcuni sostengono che viene mosso da una mente divina, altri, dal caso e dalla sorte; alcuni, che le anime sono immortali, altri che sono mortali; e di quelli che le ritengono immortali, alcuni sostengono che trasmigrano negli animali, e altri lo negano; e di quelli che le ritengono mortali, alcuni pensano che muoiano immediatamente dopo il corpo, altri che vivano ancora un poco, o un po' di più, non però in eterno; alcuni pongono il sommo bene nel corpo, altri nell'anima, altri nell'uno e nell'altra, e altri aggiungono all'anima e al corpo anche i beni esterni; alcuni ritengono che si debba sempre prestare fede ai sensi corporei, altri, non sempre, e altri, mai.

Quale popolo mai, quale senato, quale autorità o dignità pubblica di questa città empia ha pensato mai di giudicare queste e altre incalcolabili discordanze dei filosofi, alcune approvarle e accoglierle, altre disapprovarle e ripudiarle?

Non ha invece raccolto alla rinfusa, indiscriminatamente, nel proprio seno tante controversie, tante umane opinioni così disparate, pur non trattandosi di campi e di case o di qualche altro valore pecuniario, ma di quelle realtà per le quali si vive nella beatitudine o nella miseria?

E se vi è stata detta qualche verità, con la stessa licenza è stato detto il falso; proprio per questo non senza ragione una tale città ha ricevuto la mistica denominazione di Babilonia: Babilonia infatti significa « confusione » …

Invece quella gente, quel popolo, quella città, quella repubblica, cioè quegli israeliti a cui sono stati affidati i detti di Dio, non confusero assolutamente i falsi profeti con i profeti veri, attribuendo loro pari diritti; riconoscevano e ritenevano come autori veri delle sacre lettere quelli che si accordavano tra loro senza la minima divergenza.

Questi erano per loro i filosofi, cioè gli amanti della sapienza, questi erano per loro i sapienti, i teologi, i profeti, i maestri di probità e di pietà.

Chiunque ha sentito ed è vissuto secondo i loro insegnamenti, ha sentito ed è vissuto non secondo gli uomini, ma secondo Dio, che per mezzo di quelli ha parlato.

E se essi hanno proibito il sacrilegio, Dio lo ha proibito; se da essi è stato detto: Onora tuo padre e tua madre ( Es 20,12 ), Dio lo ha comandato.

Se è stato detto: Non commettere adulterio, non perpetrare omicidio, non rubare ( Es 20,13-19 ) e altre cose simili, non si è trattato di parole pronunciate da bocca umana, ma di oracoli divini.

Tutto quello che alcuni filosofi poterono intuire di vero tra i loro errori, e di cui cercarono di persuadere gli altri con laboriose dispute, cioè che Dio ha creato questo mondo e che lo governa con somma provvidenza, come pure le loro rette idee sull'onestà della virtù, sull'amore di patria, sulla fedeltà all'amicizia, sulle buone opere e su tutto ciò che comportano i retti costumi - quantunque non conoscessero il fine a cui dovevano tendere e a che si dovesse riferire tutto ciò - da voci profetiche, cioè divine, anche se per opera di uomini, tutte queste verità furono proposte in quella città al popolo e non furono inculcate con le dispute e le argomentazioni; e ciò, perché chi le veniva a conoscere, paventasse di disprezzare non l'intelligenza dell'uomo, ma la parola di Dio.

Agostino, La città di Dio, 18,41

10. - La inerranza delle Scritture canoniche

Lo confesso apertamente: solo a quei libri della Scrittura già designati come canonici ho imparato ad attribuire l'onore e il riguardo, di credere con somma fermezza che mai il loro autore abbia errato nello scrivere.

E se in tali scritti inciampo in un passo che sembra contrario alla verità, non dubito neppure un istante che o la trascrizione abbia qualche menda o l'interprete non abbia saputo rendere l'originale, oppure che io non abbia capito affatto.

Ma quando leggo gli scritti di tutti gli altri autori, quantunque insigni per santità e dottrina, non ritengo senz'altro di aver la verità, perché essi la pensano così; ma solo perché riescono a persuadermi che la loro opinione non si allontana dal vero in base all'autorità degli autori canonici o in base a un ragionamento plausibile.

Agostino, Le Lettere, I, 82,3 ( a Girolamo )

11. - Cura nello scrivere

Ireneo scrisse anche il libro Dell'Ogdoade, nel quale manifesta di aver toccato la prima generazione dopo gli apostoli.

Proprio qui, alla fine del libro, abbiamo trovato una sua annotazione molto efficace, che riteniamo di dover inserire nella nostra Storia.

Essa dice: « Scongiuro te, che trascriverai questo mio libro, per il Signore nostro Gesù Cristo e per la sua gloriosa parusia, nella quale egli verrà a giudicare i vivi e i morti, che tu raffronti ciò che hai trascritto e lo corregga diligentemente, rifacendoti all'esemplare che hai copiato; trascriverai anche questo scongiuro, e lo porrai nella tua copia! ».

Utile avvertimento per lui che lo diede e per noi che lo riportiamo, perché teniamo sempre presente questo magnifico esempio di scrupolosa esattezza di quegli uomini antichi e veramente santi!

Eusebio, Storia ecclesiastica, 5, 20,1-3

12. - Metodo per giungere alla verità della fede cattolica

La sacra Scrittura, per la sua stessa sublimità, non viene interpretata da tutti nello stesso senso: uno ne spiega i detti in un modo, l'altro in un altro; sembra quasi di poterne dedurre: tanti uomini, tante sentenze …

Ma per questo, per tante tortuosità di vario errore, è necessario che la linea interpretativa degli scritti profetici e apostolici sia guidata dalla norma del senso ecclesiale e cattolico.

Nella stessa Chiesa cattolica dobbiamo curare con grande attenzione di attenerci a ciò che è stato creduto ovunque, sempre e da tutti: ciò infatti che è veramente e propriamente cattolico, per lo stesso significato e la stessa forza della parola, comprende universalmente tutto.

Ma ciò avverrà solo se ci atterremo all'universalità, all'antichità e al consenso.

Ci atteniamo all'universalità se professiamo come vera solo la fede che tutta la Chiesa professa su tutto l'orbe; ci atteniamo invece all'antichità se non ci allontaniamo dalle concezioni che i nostri santi predecessori e padri hanno chiaramente professato; e ci atteniamo infine al consenso, se, all'interno delle dottrine antiche, seguiamo il parere di tutti, o almeno di quasi tutti, i vescovi e i maestri.

Che farà dunque il cristiano cattolico, se qualche piccola parte della Chiesa si stacca dall'universale comunione di fede?

Che cosa, se non anteporre a un membro appestato e corrotto la salute di tutto il corpo?

E che, se qualche nuovo contagio cerca di invadere non solo una particella della Chiesa, ma tutta la Chiesa insieme?

Anche allora avrà cura di attenersi alle dottrine antiche, che certo non possono venire sedotte da inganno di novità.

Ma se anche in queste si scova l'errore di due o tre uomini, o addirittura di una città o di una provincia?

Avrà allora cura di preporre alla presunzione o all'ignoranza di pochi, se vi sono, le decisioni conciliari della Chiesa universale.

Ma se si affaccia una dottrina su cui non si trova nulla di simile?

Allora si metterà all'opera per consultare, esaminare e confrontare tra di loro le opinioni degli antichi, e precisamente di coloro che, pur in tempi e luoghi diversi, costanti nella comunione e nella fede dell'unica Chiesa cattolica divennero, in materia, un'autorità.

Tutto ciò che egli troverà essere stato sostenuto, scritto e difeso non da uno o da due soli, ma da tutti, nello stesso senso, chiaramente, con frequenza e continuità, sappia che anch'egli lo deve credere senza dubbio alcuno.

Vincenzo di Lérins, Commonitorio, 2-3

EMP L-5. - Il progresso del dogma

Un progresso della religione ci può essere nella Chiesa di Cristo?

Certamente, e un progresso molto grande.

Chi infatti potrebbe avere così poca fiducia negli uomini ed essere tanto esigente con Dio da tentare di negarlo?

A condizione però che si tratti veramente di un progresso nella fede e non di un cambiamento.

É caratteristico del progresso, che ogni realtà si sviluppi intrinsecamente, mentre il cambiamento implica il passaggio di una data cosa a qualcos'altro di diverso.

Occorre dunque che in ciascuno e in tutti, in ogni uomo come in tutta la Chiesa, l'intelligenza, la scienza e la sapienza crescano e progrediscano intensamente, nel corso delle età e delle generazioni.

Ora questo progresso deve compiersi tuttavia secondo la sua propria natura e cioè nello stesso senso, secondo gli stessi dogmi e lo stesso pensiero.

La vita religiosa delle anime imiti la maniera di crescere del corpo, le cui parti, pur crescendo e sviluppandosi con gli anni, restano tuttavia sempre le stesse.

C'è molta differenza tra la prima adolescenza e l'età matura: ma in seguito quelli che sono stati giovani diventeranno vecchi.

Uno stesso individuo si trasforma nella statura e nell'aspetto, ma rimane sempre uno e identico nella natura e nella persona.

Le membra dei neonati sono minuscole e quelle dei giovani grandi, ma si tratta sempre delle stesse membra.

Il loro numero è uguale tanto nei bambini che negli adulti: e se ve ne sono alcune che appaiono a un'età più matura, tuttavia erano già esistenti potenzialmente nell'embrione.

Quindi nei vecchi non c'è niente di diverso da quello che, già in germe, era nei bambini.

Non vi può essere perciò il minimo dubbio: è questa la norma di ogni autentico progresso, questo il modo di crescere regolare e armonioso.

Il progredire degli anni completa sempre nei più grandi quelle parti del corpo che erano già state abbozzate dalla sapienza del creatore nei piccoli.

Se poi un essere umano viene ad assumere un aspetto diverso da quello proprio alla sua specie, se il numero delle sue membra aumenta o diminuisce, necessariamente l'intero corpo muore o diventa mostruoso o per lo meno s'indebolisce.

Così è bene che anche i dogmi della religione cristiana seguano questa legge di crescita, in modo da consolidarsi col passare degli anni, svilupparsi a loro tempo e approfondirsi nel corso delle generazioni …

I nostri padri anticamente hanno seminato nel campo della Chiesa il buon grano della fede: sarebbe illogico e ingiusto che noi, loro discendenti, raccogliessimo il subdolo errore della zizzania al posto della pura verità del frumento seminato.

Piuttosto dal momento che la natura dei primi chicchi non è diversa da quella degli ultimi, è logico e normale che raccogliamo il frutto del buon grano che è il dogma e che proviene dalla crescita della dottrina seminata.

Così quando qualcuno di quei primi semi si sviluppa col passare del tempo e ora viene fertilizzato e cresce, niente tuttavia si cambia della caratteristica propria del seme.

Vincenzo di Lérins, Commonitorio, 1,23

13. - La verità in tutta la Scrittura

Come la folgore guizza da oriente e riluce fino ad occidente, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo ( Mt 24,27 ).

Dobbiamo sapere anche questo: non è vero che in un passo delle Scritture appare la folgore della verità, mentre per un altro passo ciò non si può asserire; al contrario, lo si può asserire per ogni passo delle Scritture, sia della legge, sia dei profeti, sia degli evangelisti, sia degli apostoli.

Guizza dunque da oriente questa folgore della verità, cioè dal sorgere di Cristo, e appare fino all'economia della sua passione, che è il suo tramonto.

A tale folgore dunque è simile la venuta del Figlio dell'uomo, cioè del Verbo di verità …

E la Chiesa soltanto non sottrae a questa « folgore » né una parola né un pensiero, ma non vi aggiunge anche null'altro.

Origene, Commento al Vangelo di san Matteo, 47

14. - La dottrina di Cristo è sublime e attuabile

É superflua l'indagine per stabilire il luogo ove ogni evangelista ha scritto il suo Vangelo; cercherò invece di dimostrarvi, nel corso della mia predicazione, che essi non sono in contrasto l'uno con l'altro.

Quando si fa loro carico di apparenti contraddizioni, sembra che si voglia imporre ad essi di servirsi sempre delle stesse espressioni e delle medesime parole.

Potrei qui citare parecchi scrittori, molto fieri della loro eloquenza e del loro sapere, che hanno composto varie opere sulla stessa materia, le quali non solo sono diverse tra loro, ma sono addirittura in contrasto l'una con l'altra.

C'è differenza, infatti tra esprimersi diversamente e dire cose completamente opposte.

Ma non mi soffermo a parlare di loro: Dio mi guardi dal fondare l'apologia degli evangelisti sulle stravaganze di costoro.

Non voglio certo servirmi della menzogna per stabilire la verità.

Ma vorrei chiedere come avrebbe potuto una dottrina piena di contraddizioni essere accettata e creduta in tutto il mondo tanto da prevalere sulle altre; e come avrebbero potuto gli evangelisti conquistarsi il rispetto, l'ammirazione e la fiducia di tutti gli uomini con discorsi contrastanti.

Si sa del resto che essi avevano molti testimoni, come molti nemici e avversari, della dottrina che diffondevano.

Sta di fatto che essi non scrivevano tenendosi in disparte dal mondo e non nascondevano nessuna delle verità che scrivevano.

Al contrario, essi giravano da ogni parte, per terra e per mare, parlando a tutti; leggevano allora, come noi leggiamo oggi, questi libri al cospetto dei loro nemici.

Ebbene, nessuno si è mai scandalizzato della loro dottrina.

E a ragione si è verificato questo, dato che la forza e la virtù di Dio stesso li accompagnava e faceva fare loro tutto quanto compivano.

Se non fosse stato così, come avrebbero potuto un pubblicano, un pescatore e altri uomini illetterati annunziare verità così elevate?

Essi parlavano e scrivevano, con meravigliosa sicurezza e con forza persuasiva, di misteri di cui gli antichi filosofi non erano riusciti neppure a formarsi la più piccola idea: e hanno chiarito questi misteri non soltanto durante la loro vita, ma anche dopo la loro morte e non a due o a venti persone e neppure a cento o a mille o a diecimila, ma a città, a popoli, a stirpi intere, ai greci e ai barbari, sul mare e sulla terra, nei centri abitati come all'interno dei deserti.

Non solo, ma essi annunziavano realtà che superano del tutto la natura umana.

Allontanandosi dalle cose terrestri, parlavano soltanto di cose di cielo, riportando a noi un'altra vita e un altro modo di vivere.

Essi annunziavano, sì, una ricchezza e una povertà, una libertà e una servitù, una vita e una morte, un mondo e una società: ma tutte queste realtà erano cambiate, rinnovate.

Essi erano ben lontani sia da Platone, che aveva tracciato l'idea della sua ridicola repubblica, sia da Zenone, come da qualsiasi altro dei filosofi, che avevano elaborato progetti di governi e che avevano voluto fare i legislatori.

Non c'è che da leggere le opere di costoro per convincersi che tutti furono ispirati dal demonio, nemico della purezza e dell'onestà, tiranno della nostra natura, il quale ha diffuso nel loro spirito tenebre tali da sconvolgere l'ordine delle cose.

Infatti se si considera il loro voler mettere in comune le mogli, condurre nelle palestre fanciulle nude a spettacolo degli uomini, autorizzare matrimoni clandestini, mischiare insieme e capovolgere ogni cosa, abbattere i limiti della natura stessa, che altro si può dire se non che tutte queste loro proposte, che violano le leggi naturali, erano di fatto invenzioni del demonio?

E la natura stessa ci rende testimonianza, respingendole con orrore e rifiutandosi persino di sentirne parlare.

E, malgrado questo, quei filosofi avevano allora la libertà di scrivere simili cose, senza temere persecuzioni, né pericoli, né opposizioni; in piena sicurezza si sforzavano, anzi, di far accettare le loro tesi a molti, servendosi di tutti gli artifici dell'eloquenza.

Il Vangelo, al contrario, è stato annunziato da pescatori, perseguitati, flagellati, esposti a ogni pericolo: eppure è stato accolto con il massimo rispetto sia dai sapienti come dagli ignoranti, dagli uomini liberi come dagli schiavi, dai soldati e dai principi, dai greci come dai popoli barbari.

E non si può dire che la dottrina degli apostoli sia stata universalmente accolta con tanta facilità per il suo basso livello o per la sua semplicità, dato che, al contrario, essa è infinitamente più sublime di tutti i sistemi dei filosofi.

Né l'idea, né il nome stesso della verginità, della povertà cristiana, del digiuno e degli altri più elevati aspetti della nostra morale, sono mai stati nella mente dei sapienti del paganesimo.

Questi primi scrittori cristiani non condannavano soltanto i desideri malvagi e le cattive azioni, ma anche gli atteggiamenti scorretti, le parole superbe, le risa smodate, e spingevano la loro sollecitudine sino a regolare i dettagli della vita, controllando il modo di trattare gli altri, il modo di camminare e di parlare, e propagarono in tutta la terra la pianta della verginità.

Essi sono riusciti a ispirare agli uomini idee e sentimenti di Dio e delle cose celesti, che nessuno dei sapienti pagani era riuscito neppure a immaginare dentro di sé.

Di fatto come avrebbero potuto essere capaci di intendere queste verità quegli adoratori di serpenti, di mostri, di animali vili e orribili?

Ebbene, le realtà così elevate che gli apostoli hanno annunziato, sono state accolte e ritenute con fede: esse fioriscono e si moltiplicano giorno per giorno, mentre le vane idee dei filosofi si cancellano e periscono, scomparendo più facilmente che le tele dei ragni, in quanto sono opera del demonio.

Infatti, al di là dell'impudicizia che li disonora, i loro scritti sono avvolti da tanta oscurità che non si può intenderli senza una grande fatica.

Non c'è niente di più ridicolo del modo di procedere dei filosofi, che riempiono interi volumi per spiegare cos'è la giustizia e al tempo stesso fanno scomparire l'argomento di cui parlano sotto la loro inesauribile facondia e in una fitta oscurità.

Quand'anche avessero qualcosa di buono da dire, la loro prolissità finirebbe per renderla del tutto inutile alla vita degli uomini.

Se, infatti un contadino o un muratore o un marinaio o un qualsiasi artigiano che guadagna la sua vita col lavoro delle sue mani, volesse imparare da questi filosofi che cosa è la giustizia, egli dovrebbe abbandonare il suo mestiere e le sue normali occupazioni; e così, dopo aver passato parecchi anni prima di apprendere qualcosa, anzi senza aver appreso nulla di utile, correrebbe il rischio di morire di fame per aver voluto imparare a vivere bene.

Non c'è niente di simile a questo nei precetti del Vangelo.

Gesù Cristo ci insegna ciò che è giusto, onesto, utile, e tutte le virtù, in pochissime parole, chiare, comprensibili a tutti, come quando dice: In due comandi si riassumono la legge e i profeti ( Mt 22,40 ), cioè nell'amore verso Dio e nell'amore verso il prossimo; oppure, quando ci dà questa norma di vita: Fate agli altri tutto ciò che voi volete ch'essi facciano a voi.

Sta in questo la legge e i profeti ( Mt 7,12 ).

Non c'è contadino, né schiavo, né donna semplice, né fanciullo, né persona di limitata intelligenza che non riesca a comprendere facilmente queste parole: nella loro chiarezza, infatti, è il segno della verità, e l'esperienza ha dimostrato questo.

Tutti hanno compreso queste norme divine: non solo, ma le hanno messe anche in pratica nelle città, in mezzo alle piazze, sulle vette delle montagne.

É' là che potete trovare abbondante sapienza; è là che si possono vedere splendere cori d'angeli in corpi umani e la vita del cielo fiorire sulla terra.

Eppure sono stati dei pescatori a insegnarci questo nuovo modo di vivere.

Essi non hanno avuto bisogno di educare gli uomini fin dall'infanzia, come fanno appunto i filosofi, e non hanno neppure prescritto l'apprendimento delle virtù a una data età: essi hanno insegnato agli uomini di tutte le età.

Gli insegnamenti dei filosofi sono giochi fittizi da ragazzi a confronto dell'insegnamento degli apostoli, che è verità vitale.

Il luogo che i nostri santi dottori hanno scelto per la loro scuola è il cielo e Dio stesso è il maestro dell'arte che in essa si insegna e il legislatore delle leggi di quel luogo.

E i premi di questa accademia non sono rami d'ulivo o corone d'alloro, né l'onore di partecipare a un banchetto al Pritaneo [ ad Atene era il luogo dove, a spese dello stato, venivano offerti banchetti a chi si era distinto in qualche disciplina ], né statue di bronzo, cose troppo vane e troppo vili.

Il premio è una vita senza fine e la gloria di divenire figli di Dio, di essere associati agli angeli, di essere al cospetto del trono di Dio, di vivere eternamente insieme a Gesù Cristo.

Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, 1,4-5

15. - « Non mi vergogno del Vangelo »

Non mi vergogno del Vangelo ( Rm 1,16 ).

Che dici, Paolo? Avresti dovuto dire: Me ne glorio, me ne vanto, ne vado superbo!

Non parli così, ma dici ciò che è da meno: « Non me ne vergogno ».

Non usiamo dire così delle realtà più insigni.

Cos'è dunque quello che Paolo dice?

Perché si esprime così egli che si gloria più del Vangelo che dello stesso cielo?

Scrivendo infatti ai Galati dice: Non mi sia dato di gloriarmi se non nella croce del Signore nostro Gesù Cristo ( Gal 6,14 ).

Perché qui dunque non dice: « Mi glorio », ma: « Non mi vergogno »?

I romani erano tutti presi dalle cose di questo mondo; dalla ricchezza, dal potere, dalle vittorie e dai loro imperatori: li consideravano come dèi.

Come dèi, anzi, li chiamavano e li veneravano in templi, con altari e sacrifici.

A costoro, tanto amanti del fasto, Paolo doveva annunciare Gesù, ritenuto figlio di un falegname, cresciuto in Giudea, nella casa di una povera donna, Gesù che non aveva guardie del corpo, che non era circondato di ricchezze, anzi, che era stato condannato ed era morto tra dei ladroni, dopo aver subìto molte altre ignominie.

É probabile che essi ne sentissero non poca vergogna, non sapendo ancora nulla degli eccelsi misteri del cristianesimo.

Per questo Paolo dice: « Non mi vergogno », insegnando così a loro di non vergognarsene; sapeva infatti che se avessero ottenuto ciò, presto sarebbero giunti al punto di gloriarsene.

Anche tu dunque, se senti qualcuno che ti dice: « Adori quel crocifisso? », non vergognartene, non abbassare gli occhi, ma piuttosto gloriatene e vantatene: con occhio sereno, a fronte alta confessalo apertamente.

Se ti chiedesse ancora: « Adori quel crocifisso? », tu rispondigli: « Sì, ma non è un adultero, un parricida, un assassino dei propri figli - tali sono tutti i loro dèi -; ma per mezzo della croce ha chiuso la bocca ai demoni e ne ha annientato i mille sortilegi ».

Per noi la croce è opera di ineffabile misericordia, simbolo di molta provvidenza.

E a quelli che si vantano della loro eloquenza e si fanno grandi per la sapienza terrena, Paolo dice: Da tempo ho mandato alla malora tali sillogismi; vengo a predicare la croce e non me ne vergogno: è la potenza di Dio per la salvezza ( Rm 1,16 ).

Giovanni Crisostomo, Commento alla lettera ai Romani, 3,6

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