Teologia dei Padri

Indice

La caducità dei beni terreni

1. - « Ogni carne è erba »

Devo tratteggiare il prodigio della creazione delle piante, e dare una prova della sapienza creatrice?

Qui nella bellezza dei germogli e lì nel verdeggiare dell'erba si presenta un'immagine della vita umana, si contempla un tratto caratteristico della nostra natura e della nostra condizione, che ne rispecchia quasi l'effigie.

L'erba, il fiore campestre è il simbolo della carne umana, come il fedele interprete della divinità ha espresso con la sua voce dicendo: Grida!

Cosa griderò? Ogni carne è erba e tutta la gloria dell'uomo è come il fiore dell'erba.

L'erba si è seccata e il fiore è caduto: la parola del Signore resta in eterno ( Is 40,6-8 ).

Questa voce umana è un'asserzione divina.

Dio dice: « Grida », ma parla in Isaia.

Questi risponde: « Cosa griderò? ».

E come avesse udito ciò che deve dire, soggiunge: « Ogni carne è erba ».

E veramente: verdeggia infatti la gloria dell'uomo nella carne come verzura: viene ritenuta sublime, ed è umile come l'erba, presto appassisce come un fiore, è caduca come il fieno; produce nella vita molte apparenze di verde, non concretezza di frutti; come un fiore ha la pretesa di rendere gioconda la vita, ma in breve tempo cade come l'erba del prato che inaridisce prima ancor di essere sradicata ( Sal 129,6 ).

Che saldezza può esservi infatti nella carne?

E quale salute può essere in essa duratura?

Oggi vedi un giovanetto forte, fresco, verde nel fiore dell'età, di bell'aspetto, di colore sano; domani ti si presenta col volto e con l'aspetto mutato.

Quegli che il giorno prima ti è sembrato beato per la sua bellezza, il giorno dopo ti appare miserabile per la malattia, disfatto dall'infermità.

I più vengono spezzati dalla fatica o macerati dal bisogno o tribolati dal dolore o disfatti dal vino o debilitati dalla vecchiaia o snervati dai piaceri o illividiti dalla lussuria.

Non è vero forse che l'erba è inaridita e il fiore è caduto?

Un altro può essere nobile, illustre per avi e proavi insigne per le alte cariche occupate dai suoi maggiori, chiaro per uno stemma di antica prosapia, pieno d'amici, stipato di clienti, protetto da destra e da sinistra da guardie del corpo, accompagnato da un codazzo di servi … colpito all'improvviso da qualche grosso guaio, perde tutto, viene abbandonato dagli amici, viene osteggiato dai vicini.

Ecco: è vero che la vita dell'uomo è come l'erba, che inaridisce prima ancor di essere sradicata.

Ed ecco uno che fino a poco fa nuotava nelle ricchezze, volava sulle bocche di tutti per la sua generosità, illustre per incarichi onorifici, potente per cariche importanti, eminente nei tribunali, seduto sempre in un posto riservato, beato agli occhi della gente quando entrava annunciato dalla voce degli araldi; ma all'improvviso, per il mutarsi delle cose, viene tradotto nel carcere in cui egli aveva rinchiusi gli altri, e piange, tra i rei, per l'angoscia della condanna imminente.

Quanti il giorno prima, tra il giubilo della folla plaudente, sono stati condotti a casa da un grosso corteo di popolo, suscitando invidia, e una sola notte ha cancellato lo splendore di quel trionfo!

Un improvviso dolore al fianco ha fatto succedere alla gioia sfrenata il lutto e il pianto!

Così è dunque la gloria dell'uomo: come il fiore dell'erba.

Se viene resa a qualcuno, nulla aggiunge alle sue opere e resta senza frutto.

E quando si perde, svanisce, togliendo all'improvviso all'uomo ogni prestigio, sia quello che lo ricopriva all'esterno, sia quello che lo animava nell'intimo.

Ambrogio, Esamerone, 3,29-30

2. - Vita sulla terra in attesa del cielo

Consideriamo, fratelli, l'amore di chi ci ha chiamati, la beata condizione di lassù e conduciamo una vita degna dell'onore che Dio ci ha dato.

Crocifiggiamoci al mondo e crocifiggiamo il mondo in noi; dedichiamo tutte le nostre cure a vivere quaggiù come si vive in cielo.

Non pensiamo di avere qualcosa di comune con la terra per la ragione che il nostro corpo non è ancora sollevato al cielo: il nostro capo regna già lassù.

Quando il Signore venne per la prima volta sulla terra, assumendo la natura umana, la elevò al cielo affinché, anche prima che voi giungiate lassù, sappiate che non è impossibile vivere sulla terra come in cielo.

Sforziamoci dunque di conservare la nobile nascita che ci è stata conferita sin dall'inizio con il battesimo.

Cerchiamo ogni giorno questo regno eterno e consideriamo tutte le cose presenti come ombra e sogno.

Se un re della terra vi avesse trovato poveri e mendicanti e vi avesse d'improvviso resi suoi figli, voi non pensereste più alla vostra miseria passata, né alla vostra povera dimora di un tempo, anche se qui non esiste una grande differenza tra queste due situazioni.

Non pensate quindi più alla vostra antica condizione, dato che la condizione alla quale siete stati chiamati è, senza confronto, ben più illustre della dignità regale.

Colui che ci ha chiamati è il Signore degli angeli e i beni che vi donerà oltrepassano non soltanto ogni parola ma anche ogni pensiero: non vi fa passare da una terra all'altra, come potrebbe fare un re di quaggiù; vi eleva dalla terra al cielo, da una natura mortale a una immortale e ad una gloria ineffabile che potremo chiaramente conoscere solo quando la possederemo.

Perché dunque voi, che dovete essere ammessi all'eredità di questi beni, continuate a rammentare le ricchezze della terra e vi baloccate ancora dietro ai fantasmi e alle vanità di quaggiù?

Forse non credete che tutte le cose che vediamo sono più vili degli stracci dei mendicanti?

Come potrete essere degni dell'onore al quale siete stati chiamati?

Quale scusa vi resterà, o meglio, quale punizione non meriterete se, dopo aver ricevuto una tale grazia, ritornate al primitivo vomito? ( 2 Pt 2,22 ).

Non sarete puniti semplicemente come è punito un uomo che pecca, ma come un figlio di Dio che si ribella a lui, e l'elevatezza della vostra dignità non servirà che a rendere più terribile il vostro supplizio.

Noi stessi non puniamo allo stesso modo i nostri servi e i nostri figli, anche quando hanno commesso la stessa colpa e soprattutto quando questi ultimi hanno ottenuto da noi grandi favori.

Se Adamo, che Dio aveva posto nel paradiso terrestre, subì tanti mali dopo aver ricevuto tanti onori, e ciò per un solo peccato commesso, come potremo noi ottenere perdono se, dopo aver ricevuto in dono il cielo ed essere stati fatti coeredi con il Figlio unigenito di Dio, abbandoniamo la colomba per seguire il serpente?

Non ci sentiremo dire, come si sentì dire Adamo, sei terra e ritornerai alla terra ( Gen 3,19 ), e neppure coltiverai la terra … ( Gen 4,12 ) o altre parole simili, ma sentiremo pronunziare una sentenza ben più spaventosa, una sentenza che ci condannerà alle tenebre che stanno fuori, alle catene eterne, a farci rodere dal verme che avvelena, e allo stridor di denti.

Chi, dopo tante grazie e tanti favori, non è divenuto migliore, giustamente subirà questi supremi orribili supplizi.

Un tempo Elia aprì e chiuse il cielo, ma ciò non servì ad altro che a fare scendere o a trattenere la pioggia ( 1 Re 17 ).

Dio, invece, ora apre il cielo per farci salire: e non soltanto per far salire voi, ma anche - il che è ancora più grande - perché portiate lassù con voi anche gli altri, tanto grande è la fiducia e il potere che vi dona su tutto quanto è suo.

Dato, dunque, che lassù è la nostra patria, mettiamoci in deposito tutto quanto abbiamo e non lasciamo niente qui sulla terra, nel timore che vada perduto.

Quand'anche voi teniate quaggiù i vostri tesori chiusi da porte, da serrature e da chiavistelli, guardati da cento servi, quand'anche riusciste a evitare i tranelli dei vostri nemici e le insidie di coloro che vi invidiano, anche se la ruggine risparmiasse il vostro denaro e il passar del tempo non portasse alcun danno al vostro oro, ebbene, quand'anche tutto questo accadesse, il che è impossibile, non potreste tuttavia evitare la morte; mai potreste impedire che essa venga a rubarvi in un istante tutte le vostre ricchezze e, magari, a farle passare nelle mani dei vostri nemici.

Ma se voi collocate tutte le ricchezze in deposito nel cielo, le porrete al di sopra di tutte queste sciagure.

In quel luogo non c'è bisogno né di porte, né di serrature, né di catenacci.

La città alla quale siete chiamati è tanto sicura che è un rifugio inviolabile; è tanto inaccessibile alla malvagità e all'invidia, che il vostro deposito non soffrirà in essa alcun danno.

Non è, dunque, cosa degna di gente stravagante e cieca accumulare tutti i propri tesori in un luogo ove facilmente si corrompono e si perdono e non depositarne nemmeno una minima parte lassù, dove non solo rimangono intatti, ma anzi aumentano, soprattutto quando si sa che in quel luogo noi dovremo abitare per sempre?

Da questo atteggiamento deriva la scarsa fiducia che i pagani hanno in noi, in quanto essi esigono da noi la dimostrazione della verità della nostra religione, non tanto a parole ma a fatti.

Quando essi ci vedono occupati a costruirci magnifiche ville, a prepararci giardini e piscine, ad acquistare campi, non possono certo credere che noi ci consideriamo qui in terra come pellegrini che si preparano a partire per un'altra patria.

Se veramente fosse così - dicono i pagani - voi vendereste tutto quanto avete qui e ne inviereste in anticipo il ricavato dove andrete.

Essi traggono queste congetture dai fatti che accadono nel mondo.

Non possiamo dar loro torto, perché, è evidente, i ricchi acquistano case e campi in quelle città e in quei luoghi ove ritengono di dover passare la loro vita.

E noi non facciamo il contrario: cerchiamo, infatti, di possedere con grande smania la terra che fra poco dovremo lasciare e non solo consumiamo il nostro denaro, ma anche il nostro sangue, per acquistare qualche podere e qualche casa in questa terra, sulla quale pur ci consideriamo stranieri.

Non vogliamo dare neppure il superfluo per acquistare il cielo, sebbene sappiamo che potremmo farlo con poco denaro e che, una volta acquistato, potremmo possederlo per l'eternità.

Per questo, uscendo da questa vita poveri e nudi, saremo puniti con il più grave dei supplizi; dovremo, anzi, sottostare a intollerabili pene eterne, non solo per esser vissuti nella totale indifferenza verso i beni celesti, ma anche per aver attirato gli altri nella nostra stessa miseria.

Infatti, quando i pagani vedono che coloro che partecipano a sacramenti così grandi come i nostri sono però attaccati alle cose terrene, a loro volta s'attaccano ad esse ancor più di prima, accumulando così carboni accesi sulla nostra testa.

Se noi spingiamo i pagani a desiderare con maggior ardore le cose terrene - noi che dovremmo insegnar loro a disprezzarle - come potremo essere salvati?

Noi meritiamo, infatti, la condanna in quanto abbiamo contribuito alla perdizione altrui.

Non ricordate che Gesù Cristo dice che ci ha lasciati per essere in questo mondo « il sale e la luce »?

« Sale » per salvare coloro che si perdono, corrotti dalle delizie terrene, e « luce » per illuminare coloro che sono accecati dall'amore per i beni di questo mondo.

Ma se, invece di illuminarli, rendiamo più fitte le tenebre in cui si trovano, e, invece di salvarli dalla corruzione, contribuiamo a corromperli, quale speranza potremo ancora nutrire per la nostra salvezza?

Di certo, fratelli, non ci rimane alcuna speranza e non dobbiamo attendere altro che ci vengano legati i piedi e le mani per essere gettati nell'inferno dove il fuoco ci divorerà, dopo che l'amore per il denaro ci avrà già dilaniati e consumati sulla terra.

Consideriamo tutte queste cose e spezziamo le catene di questo errore che ci tiene prigionieri, per non cadere nelle colpe che ci condurranno immancabilmente ad essere arsi dal fuoco eterno.

Sì, colui che è schiavo del denaro, già in questa vita è sovraccarico di catene e si prepara altre catene ben più pesanti per l'altra vita.

Mentre, al contrario, chi riesce a liberarsi dalla passione dell'oro mentre è su questa terra, sarà libero dalle catene sia qui che nell'altra vita.

Io prego appunto Dio di farci dono di questa libertà e di consolidarci in essa, in modo che, spezzato il giogo pesantissimo dell'avarizia, possiamo trovare ali capaci di elevarci sino al cielo per mezzo della grazia e della misericordia di nostro Signore Gesù Cristo, al quale spettano la gloria e la potenza per i secoli dei secoli. Amen.

Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, 12,4-5

3. - Dolore per la caducità delle cose belle

Dio delle virtù, rivolgici a te, mostraci il tuo viso, e saremo salvi ( Sal 80,4 ).

L'animo dell'uomo si volge or là or qua, ma dovunque fuori di te è affisso al dolore, anche se si affissa sulle bellezze esterne a te e a sé.

Eppure non esisterebbero cose belle, se non derivassero da te.

Nascono e svaniscono: nascendo cominciano, per così dire, a esistere; crescono per maturare, e appena maturate invecchiano fino a morire.

Non tutte invecchiano, ma tutte muoiono.

Nel nascere, dunque, e nel tendere all'esistenza, quanto più rapida è la loro crescita verso l'essere, tanto più frettolosa la loro corsa verso il non essere.

Questa è la loro limitazione, non più di questo hai concesso loro, perché sono parte di altre entità che non esistono tutte simultaneamente, ma tutte, con la loro scomparsa e comparsa, formano l'universo di cui sono parti.

Così, ecco, anche i nostri discorsi si sviluppano fino alla loro conclusione attraverso una successione di suoni, e non si avrebbe un discorso completo, se ogni parola non sparisse per lasciare il posto a un'altra dopo aver espresso la sua parte di suono.

Ti lodi per quelle cose la mia anima, Dio creatore di tutto, ma senza lasciarsi in esse invischiare dall'amore, attraverso i sensi del corpo.

Esse vanno dove andavano per cessare di esistere, e straziano l'anima con passioni pestilenziali, perché il suo desiderio è di esistere e di riposare fra le cose che ama.

Ma lì non può trovare un luogo di riposo, perché le cose non sono stabili.

Fuggono, e chi potrebbe raggiungerle con i sensi della carne, o afferrarle, anche quando sono vicine?

I sensi della carne sono lenti, appunto perché sono della carne, e questa è la loro limitazione.

Bastano ad altri scopi, per cui sono fatti, ma non bastano allo scopo di trattenere le cose che corrono dal debito inizio al debito fine.

Nella tua parola con cui sono create, si sentono dire: « Di qui e fin qui » ( Gb 38,11 ).

Agostino, Le Confessioni, 4,10

4. - La vita è un viaggio dal seno materno alla tomba

Quelli che intraprendono un viaggio, muovono continuamente, nel percorso, un piede avanti all'altro, tanto che il piede fisso al suolo da primo diventa immediatamente secondo per il movimento veloce dell'altro, ed essi giungono così facilmente al termine della strada.

Allo stesso modo, quelli che dal Creatore sono stati introdotti nella vita, subito, sin dall'inizio, ad ogni istante di tempo che toccano, lasciano dietro di sé come ultimo quello che era primo, e giungono così al termine della vita.

Anche la vita presente, dunque, non sembra a voi una via intrapresa, un viaggio suddiviso nelle tappe dalle varie età?

Un viaggio che all'inizio per tutti presenta il travaglio della madre e come termine del percorso mostra il luogo del sepolcro.

Un viaggio che conduce tutti proprio al sepolcro, alcuni prima, altri poi, alcuni dopo che sono passati per tutte le fasi del tempo, altri senza che neppure abbiano indugiato nelle prime tappe della vita.

Dalle altre strade, quelle cioè che conducono da città in città, ci si può allontanare e chi non vuole può far a meno di viaggiare su di esse; ma questa strada, anche se noi volessimo differire il viaggio, ci prende con forza e ci trascina da sé alla meta prefissataci dal Signore.

Non è possibile, o carissimi, che qualcuno sia entrato dalla porta che conduce a questa vita intraprendendone il viaggio, e non ne giunga al termine.

Ciascuno di noi, appena uscito dal seno materno, viene subito afferrato dalla corrente del tempo e travolto, lascia continuamente dietro a sé il giorno vissuto e non può mai tornare all'ieri, anche se lo volesse.

Noi siamo contenti se andiamo avanti, se avanziamo in età, e ce ne rallegriamo come di un guadagno: giudichiamo beato qualcuno, quando da fanciullo diventa uomo e da uomo vecchio: non sappiamo dunque che per noi va sempre perduto tanto tempo quanto ne viviamo, e non ci rendiamo conto che la nostra vita si consuma, per quanto noi la misuriamo sempre da quanto ne è passato e trascorso.

Non pensiamo quanto sia incerto il tempo che vorrà concedere al nostro corso colui che ci ha immessi in questo viaggio, e quando egli aprirà per ciascuno le porte dell'uscita; ogni giorno dobbiamo essere pronti a trasmigrare da quaggiù e aspettare, con occhio fisso, il cenno del Padrone.

Tenete cinti i vostri fianchi - è detto infatti - e accese le vostre lampade, siate come uomini che aspettano il loro padrone quando torni da nozze, per aprigli appena giunge e picchia ( Lc 12,35 ).

Neppure ci garba considerare con attenzione quali carichi in questo viaggio ci siano leggeri e ci sia possibile trasferire insieme a noi, e nell'aldilà restino di nostra proprietà, rendendoci l'esistenza beata; e quali carichi invece siano pesanti e molesti, siano inchiodati alla terra, tali che per loro natura non possono mai essere vera proprietà degli uomini né possono passare per la porta stretta insieme con chi li detiene.

Invece, ciò che si dovrebbe raccogliere, lo abbandoniamo; ciò che si dovrebbe disprezzare, lo raccogliamo; a quello che può diventar una cosa sola con noi, che può essere vero ornamento, sia per l'anima sia per il corpo, noi neppure badiamo; quello invece che ci resta sempre estraneo e che solamente ci impronta di vergogna, ci diamo da fare per accumularlo, lavorando continuamente, affaticandoci invano: proprio come uno che, ingannando se stesso, volesse versare acqua in un'anfora forata.

Credo che sia noto a tutti, anche ai fanciulli, che nulla di quanto ci allieta la vita, per cui i più vanno pazzi, è veramente nostro o lo può diventare: è chiaro che queste cose sono tutti beni estranei, sia a coloro che sembrano goderne, sia a coloro che mai possono avvicinarli.

Basilio il Grande, Omelia contro l'amore per il mondo, 2-3

5. - L'essere mutevole delle cose e l'essere vero di Dio

Nessuna cosa, quale che sia … per quanto sia eccellente, non è veramente se è soggetta a mutamenti.

Essa non è nel vero senso della parola, se ora è e poi non è.

In ogni cosa soggetta a mutamenti, ciò che cambia non è più ciò che era: e se non è più ciò che era, una certa morte è intervenuta, in quanto è morto ciò che era, tanto che ora non è più.

Il colore nero è morto sulla chioma dell'uomo canuto, la bellezza è morta nel corpo stanco del vecchio curvo, morte sono le forze nel corpo malato, morta è l'immobilità nel corpo che cammina, e morto è il camminare nel corpo che sta fermo, morti sono e il camminare e lo stare fermo nel corpo che giace sdraiato, morto è il parlare nella lingua che tace.

Qualunque cosa che muta è ciò che non era: io vedo una certa qual vita in ciò che è, e una certa qual morte in ciò che fu.

Quando di un uomo morto si domanda: dov'è quell'uomo? Si risponde: egli fu.

O Verità, che sola veramente sei!

Infatti in ogni azione e in ogni movimento nostro e, in genere, in ogni moto di ogni creatura, io scorgo due momenti: uno passato e uno futuro.

Cerco il presente, ma non lo trovo: ciò che ho detto ora, non è più, e ciò che dirò, non è ancora.

Ciò che feci, non è più; ciò che farò, non è ancora.

Il tempo che ho vissuto ora, non è più; il tempo che vivrò, non è ancora.

Il passato e il futuro scorgo in ogni moto delle cose: ma nella verità che resta, non trovo né passato né futuro, ma soltanto il presente: un presente incorruttibile come non si trova in nessuna creatura.

Esamina i cambiamenti delle cose, troverai il « fu » e il « sarà »; pensa a Dio e troverai che egli « è », e che in lui non può esservi il « fu » o il « sarà ».

Se anche tu vuoi essere, trascendi il tempo.

Ma chi può trascendere il tempo con le sue sole forze?

Ci innalzi colui che disse al Padre: Voglio che dove sono io siano anch'essi con me ( Gv 17,24 ).

Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, 38,10

6. - Il genere umano è come un fiume

Come il torrente si raccoglie dalle acque pluviali, si gonfia, rumoreggia, corre e correndo defluisce, cioè finisce il suo corso, così è tutto il corso della nostra mortalità.

Gli uomini nascono, vivono, muoiono e, morti questi, ne nascono degli altri, morti i quali a loro volta, ne sorgono ancora: si succedono, si aggiungono, decedono e non rimangono.

Chi resta fermo? Chi non corre? Chi non va a raccogliersi negli abissi, come la pioggia?

Come infatti il fiume si raccoglie d'improvviso dagli acquazzoni, dalle gocce di pioggia, finisce nel mare e non si vede più - come neppure si vedeva prima che si raccogliesse dalla pioggia - così il genere umano si raccoglie dal mistero e defluisce; con la morte ritorna di nuovo nel mistero.

Nel suo corso intermedio rumoreggia e passa.

Agostino, Esposizioni sui Salmi, 110,20

7. - Passa la figura di questo mondo

La sostanza, la realtà del creato non viene distrutta ( è vero e saldo colui che l'ha costituita ), ma passa la figura di questo mondo ( 1 Cor 7,31 ), quello cioè in cui vi è stato il peccato, e nel quale l'uomo è invecchiato.

Per questo la « figura di questo mondo » è temporanea, secondo il volere di Dio che tutto sa …

Quando questa figura se ne sarà passata, quando l'uomo sarà stato rinnovato e sarà maturo per l'incorruttibilità, quando cioè non potrà più invecchiare, allora vi sarà un cielo nuovo e una terra nuova, in cui l'uomo resterà per sempre, sempre conversando con Dio.

Tutto ciò durerà in eterno; per questo dice Isaia: Come infatti il cielo nuovo e la terra nuova che io faccio dura per sempre al mio cospetto, dice il Signore, così durerà la vostra discendenza e il vostro nome ( Is 66,22 ).

Dicono gli anziani che coloro, i quali saranno degni della conversazione celeste, se ne andranno lassù, cioè nei cieli; alcuni godranno le gioie del paradiso, altri gioiranno per la bellezza della città; ovunque si vedrà il Signore, come ciascuno sarà degno di vederlo.

Vi è differenza infatti in quella santa dimora fra chi avrà portato il cento per cento di frutti, chi il sessanta e chi il trenta per cento …

Per questo ha detto il Signore che presso il Padre vi sono molte dimore.

Tutto è proprietà di Dio, il quale prepara per ciascuno il luogo adatto.

Come dice il suo Verbo, il Padre dà a ciascuno i suoi beni a seconda che ciascuno ne è o ne sarà degno.

É questo il triclinio in cui si adageranno coloro che saranno invitati alle nozze.

E questo è l'ordine, la disposizione di coloro che si salveranno - come dicono gli anziani discepoli degli apostoli -.

E nei gradi di questo ordine essi avanzano e accedono per opera dello Spirito al Figlio; per opera del Figlio ascendono al Padre, poiché il Figlio cede al Padre la sua opera, come dice l'Apostolo: Infatti è necessario che egli regni, fino a quando avrà posto tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi.

Alla fine sarà distrutta la morte nemica ( 1 Cor 15,25-26 ).

Nel tempo del regno l'uomo giusto che vivrà sulla terra si dimenticherà ormai della morte.

Ma quando la Scrittura dice che tutto gli sarà soggetto, esclude evidentemente colui che tutto assoggetta.

Quando poi tutto a lui sarà assoggettato, allora egli stesso, il Figlio, si assoggetterà a colui che tutto gli ha assoggettato, affinché Dio sia tutto in tutti ( 1 Cor 15,27-28 ).

Giovanni ha previsto con tutta esattezza la prima risurrezione dei giusti e come essi erediteranno la terra del regno; i profeti hanno parlato in pieno accordo con lui.

Ciò è stato insegnato anche dal Signore, che ha promesso di mescere con i suoi discepoli un nuovo calice nel regno.

L'Apostolo ha proclamato che tutto il creato sarà libero dalla schiavitù della corruzione, per la libertà della gloria che godranno i figli di Dio.

E in tutto ciò e per tutto ciò si manifesta un unico e identico Padre, che ha plasmato l'uomo, che ha promesso ai padri la terra in eredità e che la donerà loro, alla risurrezione dei giusti, adempiendo le sue promesse nel regno del Figlio suo; e donerà loro con bontà paterna i beni che occhio non vide, orecchio non udì e cuore d'uomo mai sospettò ( 1 Cor 2,9 ).

Uno è il Figlio che ha adempiuto la volontà del Padre, uno è il genere umano in cui si realizzano i misteri di Dio, misteri che gli angeli desiderano vedere ( 1 Pt 1,12 ), perché non possono sondare la sapienza divina, sapienza per cui la creatura di Dio giunge a perfezione, conformandosi e unendosi in un solo corpo al Figlio.

La divina progenie, il Verbo primogenito discende nella creatura, nel plasma umano, e viene da questo accolto; la creatura dall'altro lato accoglie il Verbo e ascende a lui, sale al di sopra degli angeli e viene ad essere realmente a immagine e somiglianza di Dio.

Ireneo di Lione, Contro le eresie, 5,36

8. - Instabilità delle cose terrene

Se una ruota è in continuo movimento, è impossibile distinguervi le varie parti della circonferenza: continuamente, per l'intensità della rotazione, le parti inferiori passano in alto e viceversa.

Così l'impeto che sospinge incessantemente le nostre cose manda sotto ciò che è sopra: questo per le ricchezze, per il potere e per tutte le altre realtà: non sono mai fissi nello stesso stato, ma assomigliano alla corrente dei fiumi che mai si ferma.

Cosa dunque vi è di più incerto di esse, che tanto spesso mutano, che prima di apparire spariscono, prima di essere presenti passano?

Per questo anche il profeta, parlando del piacere, delle ricchezze e simili, beffeggia quelli che gli stanno davanti a bocca spalancata, come fossero beni duraturi, dicendo: Le ritennero realtà che restano, e non fuggono ( Am 6,5 ).

Giovanni Crisostomo, Omelie sul nome di Abramo, 4

9. - La morte di ogni giorno e la nostra unità nell'amore di Cristo

Serse, quello strapotente re che demolì montagne e colmò mari, si dice che abbia pianto al vedere da un altipiano una sterminata folla umana e un esercito che non finiva più; fra cento anni - pensava - non sarebbe esistito più nessuno di quelli che gli stavano sotto gli occhi.

Oh, se ci fosse possibile salire su un osservatorio del genere, da cui poter vedere tutta la terra ai nostri piedi!

Ti mostrerei allora le rovine del mondo intero, popoli che si scagliano contro popoli, regni contro regni; persone torturate, altre uccise, altre inghiottite dal mare, altre messe in schiavitù; qui un matrimonio, là un lamento; uomini che nascono, altri che muoiono; chi ha ricchezze da vendere e chi va mendicando; e non soltanto gli uomini dell'esercito di Serse, ma gli uomini di tutto il mondo, che se al presente sono ancora in vita fra poco non ci saranno più.

Ma il tema è troppo grande e un discorso non ce la fa; qualunque cosa dico è sempre inferiore alla realtà.

Torniamo a noi, dunque; caliamo giù dal cielo - per così dire - e vediamo quello che ci interessa.

Ti domando: tu hai avuto la percezione del passaggio dall'infanzia alla fanciullezza, alla giovinezza, alla maturità e alla vecchiaia?

Ogni giorno si muore un po'; ogni giorno subiamo trasformazioni e, malgrado ciò, viviamo con l'illusione di essere eterni.

Queste stesse cose che sto dettando, che vengono scritte e che poi rileggo e correggo, sono tutti momenti che mi restano in meno da vivere.

Ogni punto che l'amanuense segna sulla pagina, è un punto tolto alla curva della mia vita.

Si scrive, si riscrive, le lettere attraversano i mari, e mentre lo scafo traccia solchi nell'acqua, ogni onda che vi si infrange segna un momento in meno alla nostra vita.

L'unico vero guadagno che resta è la nostra unità nell'amore di Cristo.

La carità è paziente, è benigna; la carità non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia … tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta; la carità non viene mai meno ( 1 Cor 13,4.7.8 ); essa vive continuamente nel cuore.

Girolamo, Le Lettere, II, 60,18-19 ( a Eliodoro )

10. - Una bufera è la realtà della vita

Una bufera è la realtà della vita, anzi, più luttuosa di una bufera.

Non produce gelo, pioggia, pozzanghere o fango profondo, ma ciò che è ben peggio: produce l'inferno e i mali dell'inferno.

Come nel freddo intensissimo le membra si irrigidiscono e muoiono, così l'anima intirizzisce nel gelo dei peccati, non compie più ciò che le spetta, irrigidita nel ghiaccio della coscienza.

Quello che è il freddo per il corpo, lo è la cattiva coscienza per l'anima.

Sorge anche la paura. Nessuno infatti è più timoroso di colui che è inchiodato ai beni di questa vita: la sua, è la vita di Caino: ogni giorno è oppresso dal timore.

Ma perché dico timore della morte e del danno, degli intoppi, delle adulazioni, delle cure?

Anche senza di ciò, teme tanti mutamenti.

Il suo forziere è gonfio d'oro, ma la sua anima non è libera del timore della povertà: e giustamente!

Ha gettato la sua àncora su realtà putrescenti e facili a mutare; anche se egli non subisce il naufragio, lo vede negli altri e si sente venire meno: grande è il suo scoraggiamento, il suo timore.

Non solo davanti ai pericoli, ma in ogni altra circostanza costui è spossato: se lo assale il desiderio di ricchezza, non ne reprime l'impeto come un uomo libero, ma come un infimo schiavo fa di tutto, servendo all'avarizia come a una dura padrona; se vede una bella ragazza, ne resta tutto preso e incantato, e la segue come un cane rabbioso, pur dovendo fare proprio il contrario.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla seconda lettera ai Corinti, 7,5

11. - Sii come chi sta su un'alta roccia!

Chi sta su un'alta roccia se ne ride dei flutti, perché li vede infrangersi contro la pietra e subito dissolversi in spuma.

Così chi si dà alla virtù sta su terreno sicuro e non subisce danno dal trambusto delle cose, ma siede in pace e gode la pace nei propri pensieri; comprende che le realtà di questa vita non si distinguono in nulla dalla corrente del fiume.

Scorrono con uguale facilità e impeto.

Come si vedono le onde del mare ora elevarsi in alto e poi subito abbassarsi, allo stesso modo vediamo quelli che non curano la virtù e si danno al male, ora gonfiarsi di superbia, sollevare le ciglia tutti intenti ai beni della vita presente, e poi subito abbattuti e travolti nella povertà estrema.

Alludendo a costoro il beato profeta Davide diceva: Non temere se taluno diviene ricco, se accresce il fasto della sua casa, perché tutto ciò alla morte non lo prenderà seco ( Sal 49,17-18 ).

Giustamente dice: « Non temere »: Non ti turbi, intende, l'abbondanza della sua ricchezza o lo splendore della sua gloria: lo vedrai non molto dopo giacere al suolo, inoperoso, morto, gettato in pasto ai vermi, spogliato di tutto quanto: non potrà portar con sé proprio nulla, ma lascerà tutto quaggiù.

Non lasciarti dunque prendere dall'ansietà vedendo i beni presenti, e non stimare beato colui che tra breve ne sarà privato.

Tale è la felicità presente, tale è la natura delle ricchezze: non accompagnano coloro che da quaggiù trasmigrano: le devono lasciare qui e andarsene nudi e spogli, rivestiti solo dei loro peccati, aggravati solo dal peso delle loro colpe.

Ma per la virtù, nulla di ciò: anche quaggiù ci fa superiori a chi ci insidia, ci rende liberi, ci allieta con una gioia continua e non ci fa sentire il mutare di tutte le cose; e quando ce ne andremo da quaggiù sarà nostra compagna, e soprattutto allora, quando avremo bisogno della sua collaborazione: ci porgerà un grande aiuto in quel giorno tremendo, placando per noi lo sguardo del giudice.

Come al presente rende superiori alle miserie coloro che a lei si applicano, così in futuro li strapperà dai castighi.

E non solo, ma si fa anche nostra mallevadrice di quei beni ineffabili.

Giovanni Crisostomo, Omelie sul Genesi, 23,1

12. - Ricordati che sei mortale!

Fa' attenzione a te stesso ( 1 Tm 4,16 ).

Questo detto - anche se la tua fortuna è splendida e tutto nella vita va per il suo verso - ti sarà utile e come un buon consigliere ti ricorderà la tua realtà umana.

Ma anche quando sarai oppresso dall'avversità risuonerà opportuna al tuo cuore, perché non ti gonfi di superbia e di alterigia, né per la disperazione tu non cada in un abbattimento meschino.

Ti fai bello per la ricchezza, ti vanti per la nobiltà dei tuoi, ti glori per la tua patria, per la bellezza del tuo corpo e per gli onori a te attribuiti?

Fa' attenzione a te stesso, al fatto che sei mortale, che sei terra e in terra ritornerai ( Gen 3,19 ).

Guarda quelli che prima di te vissero in tale splendore.

Dove sono i politici una volta tanto potenti?

Gli oratori imbattibili? I dominatori delle pubbliche assemblee?

Dove sono gli insigni allevatori di cavalli, i condottieri, i satrapi, i tiranni?

Non è tutto cenere? Non è tutto una favola?

Non resta in poche ossa il ricordo della loro vita?

Guarda nelle tombe, se puoi distinguere chi è lo schiavo e chi il padrone, chi il povero e chi il ricco!

Distingui, se ne hai il potere, il prigioniero dal re, il forte dal debole, il bello dal brutto.

Tenendo presente la tua natura, mai ti gonfierai; e terrai presente te stesso, se farai attenzione a te stesso.

Basilio il Grande, Omelia « Fa' attenzione a te stesso », 5

13. - Rivolgiamoci alle realtà durature

I beni di quaggiù passano, durano poco tempo, ma nessuno ci pensa, per quanto tutte le cose ogni giorno lo gridino e innalzino la loro voce.

Le morti precoci, i rovesci di fortuna che si succedono anche mentre siamo vivi, nulla ci insegnano; e neppure le malattie e gli altri malanni.

Non solo nel nostro corpo, ma anche negli stessi elementi si può vedere il continuo mutamento: per ogni età, ogni giorno possiamo meditare la morte e incessantemente, in tutte le cose, l'instabilità si rivela quale elemento caratteristico.

Mai si è fermato l'inverno o l'estate, né la primavera o l'autunno, ma tutto corre, vola e fluisce.

Cosa vuoi che ti dica dei fiori, delle dignità, dei re che ora sono e domani più non sono, e dei ricchi, e degli edifici splendidi, e del giorno e della notte, e del sole e della luna?

Non cala anch'essa? E il sole spesso non sparisce? Non si oscura, e le nubi lo ricoprono?

Cosa mai resta di tutto ciò che vediamo? Nulla.

olo l'anima che è in noi, ma non ci badiamo.

Di tutte le cose che mutano ci prendiamo cura come se restassero; dell'anima che resta per sempre, non facciamo nessun conto, come fosse una cosa che passasse.

Quel tale ha un grande potere? Ma solo fino a domani, e poi anch'egli perirà: tanti furono potenti, e ora non ce n'è più traccia.

La vita è una scena, è un sogno.

Come sul palco, se si toglie l'apparato scenico ogni bellezza sparisce e come al sopraggiungere dei raggi del sole tutti i sogni volano via, così quando verrà il compimento, sia particolare sia universale, tutto si dissolverà e svanirà.

L'albero che hai piantato, rimane; la casa che hai edificata, anch'essa rimane: il costruttore invece e l'agricoltore, sono strappati via, sono distrutti.

E nonostante tutto ciò, noi non ci convertiamo; come se fossimo immortali, apparecchiamo tutto ciò per darci ai piaceri e ai bagordi.

Ascolta quello che dice Salomone, che conosceva per esperienza diretta le presenti realtà: Mi fabbricai palazzi - dice dunque - piantai orti e frutteti, vigne e vasche d'acqua; ammassai oro e argento, mi procurai cantori e cantatrici, greggi e armenti ( Sir 2,4ss ).

Nessuno fu tanto gaudente, nessuno fu tanto glorioso, saggio, potente, nessuno come lui vide tutto succedere secondo i suoi desideri.

E con ciò? Non ne ebbe nessun vantaggio.

Ma che dice dopo tutto ciò? Vanità delle vanità - dice - e tutto è vanità ( Qo 1,2 ): non semplice vanità, ma in sommo grado.

Crediamo a lui, vi scongiuro, che poté avere tanta esperienza; crediamo a lui, e intraprendiamo le opere dove non c'è vanità, dove c'è verità, dove tutto è solido e fisso, dove tutto è costruito sulla pietra, dove non è possibile la vecchiaia né la dipartita, dove tutto è in fiore, dove tutto è rigoglioso, dove nulla invecchia, nulla avvizzisce, nulla si avvicina al tramonto.

Amiamo Dio con sincerità, vi prego: non per timore della geenna, ma per desiderio del regno.

Dimmi, cosa può essere paragonato alla visione del Cristo? Nulla, proprio nulla.

Cosa può essere paragonato al godimento di quei beni?

Non c'è nulla: ed è ovvio: Né occhio vide, né orecchio udì, né mai entrò in mente umana quali cose Dio ha preparato a coloro che lo amano ( 1 Cor 2,9 ).

Quei beni cerchiamo di raggiungere e disprezziamo i beni presenti.

Mille volte di questi ci lamentiamo e diciamo che la vita umana non vale nulla.

Perché ti preoccupi per un nulla? Perché ti assoggetti a tanta fatica per un nulla?

Ma tu vedi palazzi magnifici e la loro vista ti conturba.

Guarda subito il cielo, solleva gli occhi dalle pietre e dalle colonne a quella bellezza lassù, e vedrai che questi non sono altro che lavori di formiche e di zanzare.

Quella vista ti spinga alla saggezza: sollevati alle realtà celesti e da lassù scendi a osservare i bei palazzi: vedrai che non sono altro se non trastulli di bimbi piccini.

Hai notato com'è più leggera, più sottile, più pura e limpida l'aria quanto più salì in alto?

Lassù hanno le loro case, le loro tende quelli che compiono opere di misericordia.

Le case di quaggiù, invece, si dissolveranno al giorno della risurrezione o meglio, prima del giorno della risurrezione; il tempo che passa le manda in rovina, le abbatte, le distrugge.

E anche prima che venga il tempo, spesso quando ancora sono nuove e splendide, il terremoto le prostra o l'incendio le rovina completamente.

Non solo nella vita dell'uomo, ma anche negli stessi edifici vi sono morti immature.

Spesso quelle che appaiono ormai fatiscenti per vecchiaia restano in piedi anche dopo il terremoto; i palazzi invece splendidi, solidi e ancor nuovi, sono stati sconquassati da un semplice fulmine e sono rovinati.

Dio dispone anche questo, credo, affinché non andiamo superbi per le nostre case.

14. - Dio ci dà i beni temporanei e i beni eterni

Chiunque ripone la felicità umana solo in ciò che si può ottenere e godere sulla terra, nello scorrere e nell'abbondare dei beni mondani, è stolto e perverso, perché fa della sinistra la destra.

Erano tali coloro di cui parla il salmo: certo avevano ricevuto da Dio ciò che possedevano, ma solo ciò essi consideravano beatitudine e non desideravano altro …

Viene detta nostra sinistra tutto ciò che possediamo in questo mondo; viene detta nostra destra tutto ciò che di eterno e immutabile Dio ci promette.

Colui poi che ci darà la vita eterna è quegli stesso che consola la nostra vita con questi beni terreni: egli ha fatto la destra e la sinistra …

Anche qualche giusto può avere la felicità di quaggiù, come ad esempio Giobbe; ma Giobbe la considerava come sinistra, non come destra; riteneva per destra solamente la felicità perenne ed eterna di Dio … gioiva nel Signore e si consolò delle perdite per non avere sofferto danno alle ricchezze interiori; aveva il cuore pieno di Dio.

Il Signore ha dato - disse - il Signore ha tolto; è avvenuto come al Signore è piaciuto: sia benedetto il nome del Signore ( Gb 1,21 ).

Questa era la sua destra: lo stesso Signore, la stessa vita eterna, il possesso della luce, la sorgente della vita, lo splendore di ogni splendore: Si inebrieranno per la ricchezza della tua casa ( Sal 36,9 ): questa era la sua destra.

La sua sinistra invece era un semplice aiuto, una consolazione, non la salvezza della sua felicità.

La sua felicità vera e genuina era Dio …

Non è felicità avere figli sani, e figlie belle, i granai pieni, i greggi fiorenti, nessun malanno non dico alle pareti, ma neppure alle siepi; nessuno schiamazzo e tumulto in piazza, ma quiete, pace, abbondanza di tutto in casa, in città?

Non è questa dunque la felicità? Devono allora fuggirla i giusti?

Non hai mai trovato la casa di un giusto ricca di tutto ciò, piena di questa felicità? …

Che diremo? Non è dunque felicità? Lo è, ma è sinistra.

Che significa sinistra? Mortale, temporale, corporea.

Non voglio che tu la fugga, ma neppure che la consideri come destra …

Cosa dobbiamo ritenere per destra? Dio, l'eternità di Dio, gli anni di Dio che non vengono meno, dei quali si dice: e i tuoi anni non hanno fine ( Sal 102,28 ).

Ivi è la destra, ivi deve essere la nostra brama.

Usiamo la sinistra per un certo tempo, ma desideriamo la destra in eterno.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla prima lettera a

15. - Siamo stati liberati dal tempo

Quando giunse la pienezza dei tempi, venne colui che ci liberò dalla schiavitù del tempo.

Liberati dal tempo, arriveremo a quell'eternità dove il tempo non esiste.

Non si dirà più: quando verrà l'ora? Perché il giorno è sempre eterno e non è preceduto da ieri né seguito da domani.

Invece in questo mondo i giorni si susseguono: alcuni vanno, altri vengono; nessuno resta, e i momenti durante i quali noi parliamo si spingono l'un l'altro, e non resta la prima sillaba, affinché possa farsi sentire la seconda.

Da quando abbiamo cominciato a parlare siamo invecchiati, e senza alcun dubbio io sono più vecchio ora di questa mattina, perché niente sta fermo, niente resta fisso nel tempo.

Dobbiamo dunque amare colui per mezzo del quale sono stati creati i tempi, in modo da essere liberati dal tempo, e da poterci stabilire nell'eternità, dove non esiste la mutevolezza dei tempi.

É con un atto di grande misericordia che il Signore nostro Gesù Cristo si è fatto uomo temporale per noi, egli, per mezzo del quale tutti i tempi sono stati creati: si è fatto creatura in mezzo alle cose create, egli per cui mezzo tutto è stato creato: si è fatto ciò che aveva fatto.

É diventato ciò che egli stesso aveva creato: colui che aveva fatto l'uomo si è fatto uomo, affinché non perisse ciò che aveva fatto.

Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, 31,5

16. - La fugacità del tempo

Sono forse eterni gli anni nei quali viviamo noi, o gli anni nei quali sono vissuti i nostri antenati, o quelli nei quali vivranno i nostri posteri?

Lungi da noi il considerarli eterni.

Che cosa rimane di questi anni? Ecco, noi discorrendo diciamo: « Quest'anno … », ma che cosa possediamo di quest'anno, all'infuori dell'unico giorno nel quale siamo?

Infatti, i giorni di questo anno anteriori a quello presente sono già passati e non li abbiamo più; i futuri non sono ancora giunti.

Viviamo giorno per giorno e diciamo: « Quest'anno … ».

Di' piuttosto: « Oggi », se vuoi riferirti a qualcosa di presente.

Che cosa possiedi infatti, ora, di tutto l'anno?

Tutto ciò che di esso è trascorso, ormai non è più; tutto quanto di esso verrà, non è ancora.

Perché dunque dici: « Quest'anno »?

Correggi l'espressione; di': « Oggi ».

Fai bene a dire: ormai dirò: « Oggi ».

Ma, fa' ancora attenzione! Le ore del mattino sono già trascorse, mentre quelle future non sono ancora giunte.

Anche qui correggiti e di': « Quest'ora ».

E di quest'ora che cosa possiedi?

Un certo numero di minuti è già trascorso: i futuri non sono ancora arrivati: « In questo momento », devi dunque dire.

In qual momento? Mentre pronuncio delle sillabe, se ne dico due, la seconda non echeggia se la prima non è passata; e nell'unica sillaba, se essa ha due lettere, non si sente la seconda se la prima non sia già scomparsa.

Che cosa, dunque, possediamo di questi anni?

Questi sono anni mutevoli; dobbiamo pensare agli anni eterni: agli anni che stanno fermi, che non scorrono con l'andare e il venire dei giorni, agli anni dei quali altrove la Scrittura dice, riferendosi a Dio: Ma tu sei sempre lo stesso e gli anni tuoi non hanno fine ( Sal 102,28 ).

Agostino, Esposizioni sui Salmi, 77,8

17. - Ordine e mutamento nelle realtà temporanee

Tutte le realtà temporanee sono poste in un ordine di cose tale che le future non possono succedere alle passate se prima queste non vengono meno, perché solo in questo modo si può esplicare tutta la bellezza, nel suo genere, dei tempi.

É assolutamente assurdo quando diciamo che non dovrebbero venire meno.

Quanto è stato loro dato, tanto agiscono e tanto rendono a colui, a cui devono ciò che sono e quanto sono.

Chi si affligge perché passano, rifletta su un suo discorso, anzi proprio su questo con cui sta lamentandosi, se lo crede giusto e frutto di prudenza.

E se, badando ai suoni del discorso, uno ama tanto una sillaba da non voler che se ne vada per lasciar posto alle altre - mentre tutto il discorso è intessuto di sillabe che se ne vanno e si succedono - lo si considererà colpito da una strana pazzia.

Agostino, Il libero arbitrio, 3,42

18. - Volentieri perdiamo i beni terreni …

Che la cupidigia sia la radice di tutti i mali, lo ha annunciato lo Spirito del Signore per bocca dell'Apostolo ( 1 Tm 6,10 ).

E non crediamo che essa consista solo nella brama dei beni altrui, perché anche quello che sembra nostro è altrui: nulla è nostro, perché tutto è di Dio; anche noi stessi.

Se di fronte a qualche perdita subita ci sentiamo tutti presi da impazienza, siamo caduti in una colpa affine alla cupidigia, perché ci affliggiamo di aver perso ciò che non è nostro.

Bramiamo i beni altrui, quando malamente sopportiamo di aver perduto i beni altrui.

Chi si lascia prendere dall'impazienza anteponendo i beni terreni a quelli celesti, pecca quasi contro Dio stesso: per una semplice cosa terrena, infatti, sconvolge lo spirito ricevuto da Dio.

Volentieri perdiamo dunque i beni terreni, per custodire quelli celesti!

Vada in rovina tutto il mondo, purché io acquisti la pazienza.

Se qualcuno non si propone di sopportare con fermezza qualche piccola perdita, o per furto o per prepotenza o anche per trascuratezza, non so se potrà facilmente, e di cuore, metter la mano ai suoi beni per farne elemosina.

Chi non sa sostenere di lasciarsi operare dagli altri, saprà forse immergere il ferro nel proprio corpo?

La sopportazione nelle perdite è un esercizio di generosità ed elargizione.

Non rincresce donare a colui che non teme di perdere.

E come potrà il possessore di due tuniche darne una al prossimo nudo, se non è disposto anche a offrire il mantello a chi gli toglie la tunica?

E come ci faremo degli amici con il mammona, con le ricchezze, se le ameremo tanto da non sopportarne perdite?

Andremo perduti noi e loro.

Che cosa vogliamo trovare quaggiù, dove dobbiamo perdere?

Lasciamo che i pagani non sappiano sopportare nessun danno, essi che antepongono il denaro all'anima.

Certo, lo fanno: quando per brama di lucro si danno al commercio per mare, redditizio ma pericoloso; quando addirittura in tribunale non dubitano, per denaro, di intraprendere qualsiasi iniziativa pericolosa e condannata, quando si vendono agli spettacoli gladiatori e all'esercito, quando per la strada rubano, come le bestie.

A noi invece, per la diversità che da loro ci stacca, si addice non dare l'anima per il denaro, ma dare il denaro per l'anima, o elargendolo spontaneamente o sopportandone la perdita.

La stessa anima, lo stesso corpo portiamo esposto in questo mondo a ogni ingiuria, e a tali ingiurie ci assoggettiamo con pazienza; ci offenderà tanto dunque la perdita di beni minori?

Sia lontano in un servo di Cristo tale pervertimento che perde la pazienza, pur pronta a sostenere tentazioni maggiori, in semplici frivolezze!

Tertulliano, La pazienza, 7-8

19. - L'inganno delle realtà transitorie

Qui sulla terra siamo come in un teatro; nel teatro, in pieno giorno, voi vedete splendide rappresentazioni.

Entrano molti attori e svolgono la loro recita: hanno il volto coperto da una maschera e così espongono leggende antiche, annunciano vecchie storie.

Un attore diventa saggio, e non lo è; un altro diventa re, e non lo è: ha solo l'aspetto del re, rappresenta il re.

Un altro diventa medico, e non sa curare nessuno: è solo vestito come un medico.

Un altro diventa schiavo, quantunque appartenga agli uomini liberi.

Un altro maestro, anche se non conosce neppure le lettere dell'alfabeto.

Tutti non sono nulla di ciò che appaiono, e quello che sono, non appare.

Quello sembra un medico e non lo è; un altro sembra un saggio perché porta i capelli e la barba come i filosofi; il terzo sembra un soldato perché esteriormente è simile a un soldato; la maschera inganna, ma non può mentire il carattere e lo stato dell'uomo, alla cui realtà corrisponde.

Fino a quando gli spettatori stanno seduti a guardare e dura la recita, le maschere hanno il loro valore; ma quando giunge la sera, lo spettacolo finisce e tutti vanno a casa, allora le maschere vengono tolte via e chi durante la recita era re, si rivela ora forse per un semplice ramaio.

Le maschere sono tolte, l'inganno è finito, la verità si afferma.

Chi nella scena era libero, ora si ritrova fra gli schiavi, là valeva l'inganno, qui la verità.

É giunta la sera, lo spettacolo è finito, la verità si afferma.

Così avviene anche alla fine della vita.

La vita presente è un teatro: la povertà e la ricchezza, il potere e la schiavitù e cose simili, in breve tutte le situazioni di questa vita sono solo una scena; ma questo giorno finirà e verrà quella notte tremenda, o meglio quel giorno tremendo: è notte per i peccatori, è giorno per i giusti.

La recita è finita, le maschere sono tolte, si giudica ciascuno e le sue opere: non ciascuno e le sue ricchezze, o ciascuno e il suo ufficio, o ciascuno e la sua gloria, il suo potere; ma ciascuno e le sue opere.

Vengono giudicati dunque i prìncipi e i re, gli uomini e le donne.

Si chiederà conto della vita e delle buone opere, non se si sono rivestite dignità, se si è vissuti in povertà e bassezza, se si sono subiti disprezzi e tirannie.

Mostrami le tue opere, si dirà: anche se sei schiavo, devono essere nobili come quelle di un uomo libero; anche se sei donna, devono essere virili come quelle degli uomini.

E quando le maschere saranno tolte, apparirà chiaramente chi è ricco e chi è povero.

Come tra di noi qualche volta alla fine dello spettacolo quando sulla piazza qualcuno vede quello che sulla scena era un saggio e ora è un ramaio, non sa nascondere la propria meraviglia e dice: « Ehi! Al teatro non era un saggio? E ora vedo che è un ramaio! Al teatro non era re? E ora vedo che è un uomo dappoco! ».

Ciò avverrà un giorno anche nell'aldilà!

Giovanni Crisostomo, Omelia sul terremoto, 5

20. - « Non ammassate tesori sulla terra »

Non vi ammassate tesori sulla terra.

Ma a che mi serve - voi potreste ancora dirmi - ascoltare ciò che dice Gesù Cristo dato che ormai sono dominato dall'avarizia?

Io vi rispondo che, se perseverate ad ascoltare la parola di Dio, essa vi libererà da questa passione; se invece resterete ancora prigionieri, dovete riconoscere che in voi c'è qualcosa di più e di diverso che una semplice passione.

Chi può infatti desiderare di essere soggetto a una crudele schiavitù, di sottostare a un tiranno, di essere avvinto da pesanti catene, di languire nelle tenebre, di avere l'animo sempre pieno di tumulto e di inquietudini, di sopportare fatiche e di soffrire pene, senza trarne alcun frutto, di custodire i propri beni per altri e spesso, magari, per i propri nemici?

Cosa c'è in tutto questo che un uomo possa desiderare e non fuggire con disgusto?

É forse desiderabile mettere il proprio tesoro in mezzo ai ladri?

Se ami davvero il tuo denaro, collocalo là dove può restare al sicuro, senza essere rubato.

Ma la tua condotta attuale non sembra certo quella di una persona che desidera essere ricca quanto piuttosto schiava, miserabile, sempre nelle seccature e nei dispiaceri.

Se un uomo ti indicasse sulla terra un luogo sicurissimo per custodire il tuo tesoro, non esiteresti a seguirlo anche se ti conducesse in un deserto, e là tu deporresti questo tesoro con piena tranquillità.

Ebbene, non gli uomini, ma Dio stesso ti offre questa sicurezza, non in un deserto, ma in cielo; eppure tu non vuoi ascoltarlo.

Quand'anche i tuoi beni fossero qui in terra completamente al sicuro, non per questo cesseresti di vivere nell'inquietudine.

Potresti infatti non perdere le tue ricchezze, ma non riusciresti certo a liberarti dalla preoccupazione e dal timore di perderle.

Ma quando saranno custodite lassù, non avrai niente da temere.

E non solo il tuo oro sarà perfettamente al sicuro, ma darà frutti.

Il tuo denaro sarà così, nello stesso tempo, un tesoro e una semente.

Anzi, sarà qualcosa di più ancora.

La semente non dura sempre: mentre il tuo oro, così moltiplicato, durerà eternamente.

Il tesoro che tu sotterri quaggiù non germoglia né fruttifica; mentre se lo depositi in cielo, produce frutti che non periranno mai.

Se ora vieni a dirmi che occorre aspettare molto tempo, se lamenti il fatto che la ricompensa che riceverai non ti giungerà subito, ebbene io posso ben mostrarti e dirti quali sono i vantaggi che otterrai già in questo mondo se depositerai in cielo le tue ricchezze.

Ma, senza soffermarmi su questo, mi sforzerò di convincerti dell'inutilità e della falsità del pretesto che adduci, servendomi proprio delle condizioni in cui viviamo in terra.

Quante cose, infatti, tu cerchi di procurarti in questa vita, senza aver mai la possibilità di goderne!

Se qualcuno ti accusasse per questo motivo, gli risponderesti che ti consideri sufficientemente consolato delle tue fatiche, pensando ai figli e ai nipoti.

Se, nella più avanzata vecchiaia, ti metti a costruire splendidi palazzi, che spesso la morte ti impedisce di terminare, se pianti alberi che daranno frutti solo molti anni dopo la tua morte, se acquisti poderi e un'eredità di cui diverrai proprietario solo dopo molto tempo, se, insomma, ti procuri altri simili beni di cui non potrai mai godere i frutti: ebbene, tutto questo lo fai per te, oppure per coloro che saranno vivi dopo di te?

Non è dunque una completa follia non turbarsi in questi casi per il trascorrere del tempo quando esso è la causa che ci priverà della ricompensa delle nostre fatiche, e d'altra parte scoraggiarci e intorpidirci quando si tratta del cielo, per un rinvio che però servirà ad aumentare il tuo guadagno senza che i tuoi beni passino in mano d'altri e servirà a farti godere personalmente tutti i doni che ricevi?

Pensa, inoltre, che questo rinvio non è affatto così lungo.

Il giudizio di Dio è alle porte e non siamo certi che la fine di tutte le cose non venga nell'epoca in cui viviamo; non possiamo essere sicuri che non giunga tra poco il terribile giorno in cui vedremo quel tribunale così temibile e severo.

Numerosi segni si sono già compiuti: il Vangelo è già stato annunziato a quasi tutta la terra, e le guerre, i terremoti, le carestie sono arrivati: quel giorno, perciò, non può essere molto lontano.

Tu dici di non vedere questi segni: ebbene, proprio questa tua incredulità è il segno più grande.

Nessuno, al tempo di Noè, vide segni premonitori del diluvio, che portò la morte in tutto il mondo: mentre gli uomini non pensavano che a divertirsi, a banchettare, a sposarsi e a fare tutte le cose che erano soliti compiere, di colpo furono sorpresi da quella spaventosa inondazione, che fece giustizia di tutti i peccati.

La stessa cosa accadde agli abitanti di Sodoma: mentre vivevano tra le delizie e non avevano il minimo sospetto di quanto stava per capitare loro, proprio in quel momento furono arsi vivi dai fulmini infocati che piombarono su loro.

Ricordandoci di questi esempi, teniamoci sempre pronti a partire da questa vita.

Anche se il giorno della fine comune non fosse così prossimo, il giorno della morte di ciascuno di noi, vecchi e giovani, è sempre alle porte.

In quel momento non sarà più possibile andare a comprare l'olio per accendere le nostre lampade e, nonostante le nostre preghiere, non potremo ottenere il perdono, anche se intercedessero per noi Abramo o Noè, Giobbe o Daniele.

Finché, dunque, ci resta un po' di tempo, dobbiamo usare in anticipo e copiosamente la facoltà di parlare e di chiedere grazie, dobbiamo procurarci olio abbondante e mettere tutto in deposito in cielo.

Se faremo così, nel momento opportuno e quando ne avremo estremo bisogno, ritroveremo e potremo godere di tutti i beni.

Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, 20,5-6

21. - Libertà dello spirito di fronte ai beni caduchi

Che dobbiamo fare, fratelli carissimi, se non lasciare tutto, posporre le cure mondane, assecondare solo i desideri eterni?

Ma tutto ciò è concesso a pochi.

Vorrei esortarvi ad abbandonare tutto, ma non presumo farlo.

Se dunque non potete abbandonare tutte le cose di quaggiù, tenete pure i beni di questo mondo, in modo però che il mondo non tenga voi; che la realtà terrena sia posseduta, e non vi possieda; che i vostri possessi siano sotto il dominio della vostra anima, e non succeda che l'anima vostra, avvinta dall'amore delle cose terrene, sia posseduta dai suoi beni.

La realtà temporanea sia dunque nell'uso, i beni eterni nel desiderio; la realtà temporanea nel viaggio, ma per l'arrivo si desiderino i beni eterni.

Tutto ciò che avviene nel mondo lo si guardi quasi di fianco; ma in avanti siano fissi gli occhi della mente, tutti intenti a contemplare i beni cui perverremo.

Si sradichino dalle radici i vizi, strappandoli non solo dalle opere della mano, ma anche dai pensieri del cuore.

Né la voluttà della carne e l'assillo della curiosità né l'ardore dell'ambizione ci tengano lontani dalla cena del Signore; ma anche le attività oneste che svolgiamo in questo mondo, tocchiamole col nostro spirito, quasi dall'esterno, sicché tutto quel che serve al nostro corpo non opprima minimamente il cuore.

Non osiamo dirvi, dunque, o fratelli, di abbandonare tutto, ma, se volete, voi potete al tempo stesso abbandonare e conservare i beni temporali, se li amministrate in modo che la vostra anima tenda tutta ai beni eterni.

É per questo che l'apostolo Paolo dice: Il tempo è breve: quindi quelli che hanno moglie, vivano come se non l'avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; e quelli che godono, come se non godessero; e quelli che comperano, come se nulla possedessero; e quelli che si servono di questo mondo, come se non ne godessero, perché passa la figura di questo mondo ( 1 Cor 7,29-31 ).

Ha moglie, ma è come se non l'avesse, chi sa renderle il debito coniugale in modo tuttavia da non essere costretto, per lei, ad attaccarsi con tutta l'anima al mondo.

Quel grande predicatore infatti, soggiunge: Chi ha moglie, si dà cura delle cose del mondo: come piacere a sua moglie ( 1 Cor 7,33 ).

Perciò ha moglie, ma è quasi come se non l'avesse, chi cerca di piacere alla sposa in modo da non dispiacere al Creatore.

Piange, ma è come se non piangesse, chi si affligge dei danni terreni consolandosi sempre tuttavia per i guadagni eterni.

Gode, ma è come se non godesse, chi si rallegra dei beni di quaggiù considerando sempre, però, i tormenti eterni, e proprio mentre il suo animo è sollevato dalla gioia, viene continuamente raffrenato dal peso di un provvido timore.

Compra, ma è come non possedesse, chi si premunisce delle cose che dovrà poi usare, prevedendo però con avvedutezza che presto dovrà abbandonarle.

Si serve infine del mondo, ma è come se non ne godesse, colui che si rifornisce esteriormente di tutte le cose necessarie per la vita, e tuttavia non permette che esse gli soggioghino la mente, vuole che gli siano soggette e servano ma senza smuoverlo dal proposito del suo spirito che tende all'alto.

Per coloro che si comportano così, tutte le realtà terrene sono necessità d'uso, non oggetto di desiderio, perché essi si servono di ciò che necessita loro, ma non vogliono avere nulla che comporti peccato.

Anzi, per ciò che hanno, ogni giorno acquistano meriti nuovi; e si allietano più delle opere buone che dei ricchi possessi.

Gregorio Magno, Omelia per la seconda domenica dopo Pentecoste

22. - Viviamo all'estero

Non sai che viviamo all'estero, come stranieri, come emigrati?

Non sai che gli emigrati vengono scacciati quando meno se lo aspettano, quando proprio non ci pensano?

E anche a noi succede così. Per questo tutto ciò che costruiamo, lo lasciamo quaggiù.

Il Signore infatti non permette che ce ne andiamo portando le nostre cose, sia che abbiamo costruito palazzi, sia che abbiamo coltivato campi o comprato schiavi, suppellettili o qualsiasi altra cosa.

E non solo non ti permette di portarti via tutto ciò, ma neppure te ne paga il prezzo: ti ha detto infatti di non edificare, di non fare spese su ciò che è altrui, ma su ciò che è tuo.

Perché dunque trascuri ciò che è tuo e lavori e spendi sul terreno altrui, per perdere così la fatica e la mercede, e subire gli estremi supplizi?

Non facciamolo, vi scongiuro!

Poiché siamo per natura stranieri, siamolo anche per libera elezione, perché non avvenga che lassù siamo stranieri, disprezzati e rifiutati.

Se vorremo essere cittadini quaggiù, non lo saremo né qui né là; se quaggiù resteremo stranieri e da stranieri ci comporteremo, da stranieri vivremo, godremo la sicurezza dei cittadini sia quaggiù che lassù.

L'uomo giusto, infatti anche se non possiede nulla, anche quaggiù vive come se tutto fosse suo e, giunto al cielo, vedrà le sue tende eterne.

Anche quaggiù non sperimenterà il male, perché nessuno può rendere straniero colui che ha per propria patria tutta la terra.

Raggiunta poi la sua vera patria, raggiungerà le vere ricchezze.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla seconda lettera ai Corinti, 16,4

23. - I beni di quaggiù non sono per nulla migliori dei sogni

Non hai visto uomini che sono morti mentre vivevano nel piacere, nell'ubriachezza, nei sollazzi e in tutti gli altri svaghi della vita?

Dove sono ora essi che con tanto sfarzo, con tanto seguito incedevano nella piazza?

Essi, che erano vestiti di seta, che profumavano d'unguenti, che nutrivano parassiti, che frequentavano incessantemente gli spettacoli?

Dov'è ora tutto il loro sfoggio?

Passa la sontuosità dei pranzi, passa la turba dei musicanti, la devozione degli adulatori, il riso smodato, il rilassamento dell'anima, la distrazione della mente, la vita molle, oziosa, inutile!

Dove se n'è andato tutto ciò? Che n'è avvenuto di quei corpi tanto curati, tanto puliti?

Appressati al sepolcro, contempla la polvere, la cenere, i vermi, considera l'orrore di quel luogo e sospira amaramente!

E magari il danno si arrestasse alla polvere!

Rivolgi ora il pensiero dalla tomba, dai vermi, a quel verme che non muore, a quel fuoco che non si spegne, allo stridore di denti, alle tenebre esterne, all'afflizione e all'angustia, alla parabola di Lazzaro e del ricco, che già padrone di tanti beni, già vestito di porpora, non fu più padrone neppure di una goccia d'acqua in mezzo a tante sofferenze!

I beni di quaggiù non sono per nulla migliori dei sogni.

Come i condannati ai lavori nelle miniere o a qualche altra pena peggiore, se tra gli strazi della loro vita amara si addormentano e vedono in sogno di trovarsi tra i piaceri e nel benessere, quando poi si svegliano non sono affatto grati a quei sogni; così quel ricco, dopo le ricchezze godute nel sogno della vita presente, trasmigrato al di là, subì quell'amaro supplizio.

Questo ricorda e, opponendo quel fuoco all'incendio delle passioni che ora ti possiede, lìberati una buona volta dalla loro vampa.

Chi infatti spegne questo fuoco, non subirà la sofferenza di quello; ma chi non riesce a superare questo, più violento subirà quel fuoco, una volta partito di qui.

Quanto tempo vuoi che ti sia concesso per godere della vita presente?

Ritengo che non ti siano lasciati più di cinquant'anni, anche se perverrai all'estrema vecchiaia.

Anzi, neppure questo è certo.

Se non possiamo esser sicuri neppure di vivere fino a questa sera, come possiamo fare affidamento su tanti anni?

E non solo questo ci è oscuro, ma anche il mutamento di fortuna: spesso infatti per quanto si conduca la vita a lungo, essa non è affatto accompagnata dal benessere: questo, appena sopraggiunge, spesso se ne va.

Ma, se vuoi, ammettiamo pure che tu viva tanti anni, che non subisca nessun crollo di fortuna: che cos'è questo di fronte ai secoli infiniti, di fronte a quei tormenti amari insopportabili?

Qua infatti sia il bene, sia il male hanno un termine, ed è velocissimo; là invece l'uno e l'altro si estendono per i secoli immortali.

Giovanni Crisostomo, Lettera a Teodoro, 9

24. - « Tutto è vanità »

Dice l'Ecclesiaste: Vanità delle vanità, tutto è vanità ( Qo 1,2 ).

Ma qualcuno dice: « Se le cose sono vane, se sono vanità, per qual motivo sono state fatte? Se sono opera di Dio, com'è che sono vane? ».

Ci sarebbe molto da dire a riguardo; ma ascolta, carissimo: non perché sono opera di Dio le ha dette vane - non sia mai! -: non è vano il cielo, non è vana la terra - non sia mai! -: non lo è il sole né la luna né le stelle né i nostri corpi: sono tutte cose molto buone.

Ma allora cos'è vano? Ascoltiamo proprio le parole dell'Ecclesiaste: Mi piantai delle vigne, mi feci cantanti e cantatrici, mi feci vasche d'acqua, ebbi greggi e armenti, ammassai oro e argento: e vidi che tutto è vanità ( Qo 2,4 ).

E ancora: « Vanità delle vanità, tutto è vanità ».

Odi anche il profeta che dice: Ammassa tesori, ma non sa per chi li accumula ( Sal 39,7 ).

In questo modo sono « vanità delle vanità » gli splendidi palazzi, l'oro sovrabbondante, le turbe di schiavi che incedono solenni in piazza, la boria e la vanagloria, l'arroganza e l'alterigia.

Tutto questo è vanità, perché non è opera di Dio, ma nostra costruzione.

E come mai è vanità? Perché non ha un fine utile.

Le ricchezze sono vane se si consumano per la boria; ma non sono vane se si distribuiscono ai poveri.

Se le consumi per la gloria, lasciaci vedere in cosa finiscono: obesità, rutti, venti, quantità di escrementi, mal di testa, debolezza corporea, febbre, prostrazione.

Se qualcuno versa acqua in un otre forato, fa un lavoro vano; così chi si dà al piacere versa acqua in un otre perforato.

In altro modo, inoltre, si dice vano ciò da cui si aspettava valore e non lo ha; lo dicono anche vuoto: si parla per esempio di speranze vuote.

Ordinariamente e semplicemente si dice vano ciò che non serve a nulla.

E guardiamo se non sia tale proprio la realtà umana: Mangiamo e beviamo, perché domani moriremo ( 1 Cor 15,32 ).

Che scopo c'è dunque, dimmi? La distruzione.

Ci vestiamo e ci spogliamo: a che fine? Nessuno.

Anche alcuni greci hanno filosofato su di ciò, ma con vanità: hanno messo in mostra una vita dura, ma inutilmente, non mirando a qualche scopo utile, ma alla vanagloria e alla stima delle masse.

E che è la stima delle masse? Un nulla.

Se quelli infatti che rendono onore, periscono, tanto più il loro onore.

Chi rende onore a un altro deve prima essere onorato in se stesso: se non ha onore in sé, come può renderlo a un altro?

Ora noi ricerchiamo l'onore dagli uomini vili e infami, privi di onore, colmi di vergogna.

Ma che onore è mai questo?

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera agli Efesini, 12,1

25. - I beni terreni ci devono elevare ai beni eterni

Come la retta educazione di un singolo, così l'educazione del genere umano, per ciò che si riferisce al popolo di Dio, si articola attraverso vari periodi di tempo, simili alle varie età dell'uomo, perché ci si elevi dalle realtà temporali alla comprensione di quelle eterne, e dalle realtà visibili a quelle invisibili.

Proprio nel tempo in cui le promesse divine riguardavano premi visibili ( l'Antico Testamento ) gli uomini venivano particolarmente esortati ad adorare un solo Dio, perché la mente umana, anche per i benefici terreni di questa vita transitoria, non si sottomettesse a chiunque, ma solo al vero Creatore e Signore dell'anima.

Chi afferma che tutto quanto l'uomo può ricevere dagli angeli o dagli uomini si sottrae al potere dell'unico Onnipotente, è addirittura pazzo.

Il platonico Plotino disputa nel suo trattato Sulla Provvidenza [ cf. Plotino, Enneadi, III, II, 13,18-19: proprio il secondo trattato della terza Enneade reca il titolo perì pronoias ( sulla Provvidenza ) ] e dimostra - argomentando dalla bellezza dei fiorellini e delle foglie - che essa si stende dal sommo Iddio, la cui bellezza è intelligibile e ineffabile, fino a queste realtà basse e terrene; egli sostiene che tutte queste realtà abiette, tutte soggette alla morte e tanto presto da essa travolte, non potrebbero avere la magnifica armonia delle loro forme se non l'avessero attinta là ove risiede per sempre la forma intelligibile e immutabile, che contiene in sé tutte le altre.

Lo ha mostrato il Signore Gesù, dove dice: Considerate i gigli del campo: non faticano né tessono; eppure vi dico che nemmeno Salomone in tutta la sua gloria non fu vestito come uno di questi.

E se l'erba, che oggi esiste e domani viene gettata nel forno, Dio la riveste così, quanto più voi, uomini di poca fede? ( Mt 6,28-30 ).

Ottima cosa dunque è che l'anima umana, malata ancora di desideri terrestri, si abitui ad aspettare da Dio, e da lui solo, anche i beni meschini che desidera per questo mondo, necessari a questa vita terrena e transitoria e certamente spregevoli al confronto dei benefici della vita eterna.

Così, desiderando questi beni, non si allontana dal culto di colui, al quale giungerà con il disprezzo e l'avversione da essi.

Agostino, La città di Dio, 10,14

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