L'ideale cristiano e religioso

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L'ideale riassunto nella pratica

5 - Nella gloria di Dio per mezzo della retta intenzione.

La gloria di Dio: ecco ciò che dobbiamo tutti volere; i santi non avevano altra aspirazione.

Si diceva di S. Alfonso Maria de' Liguori che non avesse in mente che la gloria di Dio.

San Giovanni Batt. de La Salle diceva: " Fate tutte le vostre azioni con la mira a Dio ", cioè per la sua gloria.

S. Ignazio lasciò come divisa alla sua Compagnia " alla maggior gloria di Dio ": A.M.D.G.

Così pure nei messalini dei Benedettini si trova: U.I.O.G.D., e vuol dire " che in ogni cosa si glorifichi Dio ", massima di S. Benedetto.

San Paolo ci esorta a far tutto con questo nobile scopo: " Omnia in gloriam Dei facite " ( 1 Cor 10,31; Col 3,12 ).

Il Signore protesta già nell'Antico Testamento che non darà la sua gloria ad un altro ( Is 42,8 ).

La domanda perciò da tutte le sue creature; essa è così il loro ultimo fine, l'ideale del cristiano.

Tale gloria è, per la stessa ragione che la felicità, un effetto necessario della perfezione della nostra natura.

Per sapere in che consista la gloria di Dio fa d'uopo considerare da prima la gloria che Dio procura a se medesimo.

È infinitamente perfetto.

Questa infinita perfezione è l'oggetto della sua conoscenza e del suo amore.

È la materia della lode eterna e infinita che Dio rende a se medesimo.

Si chiama quindi la gloria materiale intrinseca di Dio.

Invece la lode che provoca, cioè la conoscenza e l'amore che Dio concepisce della sua propria natura, infinitamente perfetta, costituisce la sua gloria formale intrinseca.

Nessuna creatura, come tale, può procurare a Dio una tale gloria.

Ma ve ne ha un'altra: la gloria estrinseca.

Dio ha comunicato alle sue creature una parte della propria perfezione.

L'anima cristiana perfetta riflette mirabilmente la bellezza della SS. Trinità.

Questa perfezione creata è una manifestazione mirabile degli attributi di Dio, è per Lui una gloria materiale estrinseca.

Inoltre l'uomo in stato di grazia conosce ed ama le perfezioni divine che Dio ha fatto brillare nell'universo e particolarmente in lui stesso e in tutte le anime giuste; conosce ed ama soprattutto l'augusta Trinità, e questa amorevole conoscenza è un inno perpetuo di lode a Dio.

Questa lode è la gloria formale estrinseca di Dio.

Essa è limitata, poiché il cristiano, per quanto innalzato dalla grazia, è pura creatura.

Così resta infinitamente al di sotto di quello che Dio merita e pare una gloria indegna di Lui.

Ma anche qui la divina Sapienza ha supplito alla nostra insufficienza per mezzo di nostro Signore Gesù Cristo.

Il cristiano è essenzialmente un membro di Gesù Cristo, l'amore che porta a Dio non è più l'amore e la lode che gli tributa da parte sua, ma l'amore e la lode di Gesù Cristo mistico intero, del Capo Gesù e di tutti i suoi membri.

Ora Gesù Cristo, essendo una Persona divina, comunica all'amore, e quindi alla lode delle creature, un valore infinito in intensità.

E come Gesù Cristo con la sua Chiesa rappresenta ogni creatura, la sua lode è universale, poiché abbraccia quella che tributano o dovrebbero tributare a Dio tutti gli esseri creati.

In Gesù Cristo tutto è divinizzato, tutto prende delle proporzioni infinite e ogni atto soprannaturale di qualsiasi cristiano assume una potenza di lode infinita.

E Dio stesso, vedendo in un'anima perfetta la sua propria immagine, il suo divin Figlio, in cui ha posto tutte le sue compiacenze, rende a se medesimo una gloria infinita.

Così, per mezzo di Gesù Cristo, Dio ottiene da tutte le opere sue una lode infinita, la sola che sia degna della sua infinita eccellenza.

Di qui dobbiamo comprendere la nostra dignità; il valore della minima fra le nostre azioni;

la fedeltà che Dio ha diritto di aspettarsi da noi;

la cura che dobbiamo mettere nel non dissipare neanche un solo istante del tempo che ci è dato per procurare al nostro Dio una gloria infinita;

lo zelo che dobbiamo spiegare per guadagnare delle anime a Dio che cantino le sue lodi;

quali assillanti desideri dobbiamo avere di sempre nuovi progressi nella nostra perfezione, nell'unirci a Gesù Cristo nostro Capo, e nell'offrire a Dio nostro celeste Padre tutte le nostre azioni per Dominum nostrum Jesum Christum con la retta intenzione.

Questa retta intenzione richiede da noi un'attenzione particolare.

In qualunque luogo uno si trovi, senza la purità d'intenzione, non può arrivare alla perfezione cristiana; ma essa è specialmente necessaria alle persone impegnate in uno stato che le obbliga a tendere alla perfezione; non è che per mezzo di questa retta intenzione che esse possono vivere in modo corrispondente alla santità del loro stato.

Quelli che la trascurassero o che vi si portassero con poco ardore, si priverebbero ogni giorno di molte grazie, cadrebbero in un gran numero di colpe, d'infedeltà, e per tale condotta correrebbero rischio di perdersi.

La cosa non è tanto facile; essa esige la rinuncia a se stesso: mille inclinazioni naturali, la dissipazione, le necessità della vita, il commercio della società, le conversazioni anche necessarie ne rendono la pratica ardua.

Per vincere tali difficoltà occorre una grande vigilanza su se stesso.

Applichiamoci dunque con tutto il nostro potere a un esercizio così necessario e nello stesso tempo così difficile.

Ci è stata necessaria certamente l'intenzione più retta e pura quando abbiamo abbracciato lo stato della Congregazione dei Catechisti.

Abbiamo dovuto farlo unicamente per la gloria di Dio, per la nostra santificazione e per quella del prossimo.

Se vi fosse stato difetto su questo punto, possiamo e dobbiamo rimediare ora, col mettere la più santa delle intenzioni e promettere a Dio che vogliamo rimanere nella Congregazione dei Catechisti solo per Lui.

Abbiamo dovuto perseverare sempre nella stessa purità d'intenzione; ma sarebbe ingannare noi stessi se credessimo che questa intenzione generale possa essere sufficiente; occorre che essa si estenda a tutto e che entri nei particolari di tutti i nostri doveri, di tutte le nostre azioni e di tutte le circostanze nelle quali ci troviamo: delle nostre parole, dei nostri desideri, delle nostre affezioni, e anche, se è possibile, di tutte le azioni libere del nostro spirito.

E se ne sente la ragione: è così facile sottrarre nella propria condotta questa intenzione generale; molte intenzioni contrarie si presentano ad ogni istante al nostro spirito; abbiamo tanta tendenza a seguire la natura che se non rinnoviamo frequentemente la nostra intenzione, è assai difficile che le intenzioni generali abbiano abbastanza forza per influire sopra le azioni particolari e che neppure esse possano sussistere a lungo nella loro integrità.

Si deve soprattutto stare ben in guardia per non lasciare entrare nello spirito o nel cuore mire o desideri d'interesse egoistico, di orgoglio, d'ambizione, di risentimento, contro la carità o qualche altra inclinazione poco conforme alla perfezione; perché la minima cosa di tale natura basterebbe per avvelenare tutto il corpo delle nostre azioni.

" Il tuo occhio è la lampada del tuo corpo; se il tuo occhio è semplice, tutto i tuo corpo sarà illuminato " ( Mt 6,23 ).

La nostra intenzione è retta quando esclude tutti i motivi imperfetti e viziosi; quando non si ferma a motivi naturali e umani, quantunque buoni, e che essa è basata su motivi soprannaturali che hanno la grazia per principio e che tendono a Dio come a loro fine.

Ma può avvenire che l'intenzione retta non sia sempre egualmente perfetta.

Perciò dobbiamo avere sempre sinceramente in vista di servire e di piacere a Dio infinitamente buono.

Sia che i Catechisti osservino con fedeltà ciò che il Signore comanda e che non potrebbero trascurare senza allontanarsi dal suo santo servizio, sia che, per conformarsi maggiormente al suo beneplacito, si applichino a ciò che è più gradito agli occhi suoi e camminino nel sentiero spinoso della perfezione evangelica, devono sempre operare in vista della Bontà divina in se stessa; devono servire il Signore e cercare di piacere a Dio per se stesso.

La considerazione delle perfezioni infinite di Dio deve penetrarli talmente da assorbire ogni altra considerazione.

La vista della sua grandezza, della sua bontà, deve fare sul loro spirito e sul loro cuore un'impressione così viva da far loro comprendere quanto Dio meriti, per se stesso, di essere amato, onorato, servito da tutte le creature, e infine devono, coll'orazione mentale, essere accesi per Lui di un amore così puro da sentirsi portati a mettere la loro felicità la loro gloria nel servirlo per Lui stesso senza bisogno di essere eccitati da altri motivi e anche senza prestarvi un'attenzione particolare.

Però, siccome lo stato dell'uomo su questa terra, non gli permette di rimanere a lungo in un grado di elevazione nel quale non ha in vista che il motivo della pura carità, e che il Signore stesso gli fa un dovere delle altre virtù, è necessario che ricorra ad altri motivi meno elevati: non deve rifiutarne nessuno di quelli che sono buoni; vi sono anzi delle occasioni nelle quali può servirsi utilmente di quei motivi che sarebbero meno perfetti in se stessi come quelli presi dal timore dei castighi e dalla speranza della ricompensa.

Ma per quanto è in nostro potere dobbiamo servirci preferibilmente dei motivi che ci avvicinano di più a quello della carità: come quelli dell'amor di Dio per noi e dei benefici segnalati coi quali ci ha prevenuti.

Non basta che i nostri motivi siano puri e che i nostri desideri tendano a Dio, bisogna che questi motivi e questi desideri influiscano sulle nostre azioni e sul nostro modo di parlare; che noi ci applichiamo a quelle azioni che possono essere più gradite a Dio e che ci sforziamo di farle in modo degno di Lui; bisogna che noi operiamo in modo da crescere nella grazia di Dio; che ci occupiamo alla sua santa presenza e che ci uniamo a Lui più strettamente possibile.

Ma invano ci proponiamo questa pratica della retta intenzione per arrivare alla perfezione se non lavoriamo di tutto nostro potere a spogliarci di ogni affetto per le creature.

Qui si tratta di un affetto che sarebbe concentrato nella creatura e che non sarebbe abbastanza regolato; è evidente che un tale affetto sarebbe affatto pregiudizievole alla purità d'intenzione perché lo spirito e il cuore nostro si porterebbe per se stesso verso l'oggetto amato.

E non è forse giusto di spogliarci di un tale affetto sregolato per le creature?

Qual è la creatura che merita d'essere amata per se stessa?

E quelle verso le quali ci portano le nostre inclinazioni naturali che cosa sono esse, nella maggioranza, se non un ammasso di miserie e di corruzione affatto indegno del nostro amore?

Bisogna che ci spogliamo anche di quell'affetto per le creature che noi possiamo amare e che è nostro dovere di amare; bisogna cioè, pur conservando l'amore che ci è comandato d'avere per esse, togliere da noi ciò che vi fosse di meno regolato in detto amore, e purificarlo riferendolo a Dio: è per Iddio, è in Dio che si devono amare, ed è Dio che si deve amare in esse.

Ossia si devono amare perché Dio lo vuole, come Dio lo vuole; non servendoci di esse che per avvicinarci a Dio, per glorificarlo, per mezzo di esse adempiendo le intenzioni per le quali Egli le ha create.

Vale a dire che bisogna considerare in esse ciò che hanno di Dio; vedere in esse l'impronta che Dio vi ha lasciato delle sue perfezioni, riferire a Dio, come all'autore di ogni bene, tutto quello che esse hanno di buono, di bello, di amabile e di utile; ringraziarlo e amarlo come Bontà infinita, della quale tutte le bontà create ci offrono appena la più debole immagine.

In tutto questo noi dobbiamo conformarci alla volontà divina, non solamente non amando le creature che perché Dio vuole che le amiamo, ma anche prendendo questa volontà santissima di Dio per regola e misura del nostro amore per ciascuna delle creature, in modo che se noi potessimo conoscere il posto o l'ordine che ciascuna occupa nel Cuore di Dio, noi le daremmo lo stesso posto nel nostro.

Imitazione di Gesù Cristo, conformità con la divina volontà, beatitudine o felicità nel servire Dio, gloria di Dio con la retta intenzione, divina Carità, tutto ciò costituisce il fine ultimo dell'uomo, il nostro ideale.

La sostanza della cosa resta la stessa, solo le sfumature differiscono.

L'imitazione di Gesù Cristo ci mostra il modello da seguire per raggiungere tale perfezione.

La conformità alla divina volontà ce ne dà il mezzo.

La felicità soprannaturale dell'uomo, la gloria di Dio con la retta intenzione sono la duplice conseguenza di questa perfezione.

La divina Carità solamente ce ne rivela la natura intima, l'essenza.

Così abbiamo un'idea completa di questo ideale cristiano e religioso.

Esso è lo sviluppo integrale e armonico di tutte le nostre facoltà naturali e soprannaturali.

La perfezione di questa natura consiste nell'unirci con tutte le nostre forze, grazie alla Carità che lo Spirito Santo diffonde nelle nostre anime, a Gesù, capo della Chiesa, nell'amare con Gesù Cristo, Dio nostro Padre e Maria nostra madre, nell'avvolgere nella stessa Carità disinteressata tutti gli uomini e l'universo intero.

Il modello di questa divina Carità è Gesù Cristo che vogliamo imitare; la regola è la divina volontà; i suoi effetti naturali sono la felicità dell'uomo e la gloria di Dio.

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