Regole del governo individuale e collettivo dei Catechisti

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Conferenze sui voti

IV Conferenza: Natura ed eccellenza della povertà religiosa

Beati i poveri in spirito ( Mt 5,3 )

Fare il voto di povertà è obbligarsi, con una promessa libera, volontaria e deliberata fatta a Dio, di vivere poveramente; come col voto di castità uno si obbliga a vivere castamente, e col voto di obbedienza a vivere sotto l'obbedienza.

La povertà religiosa è quella che si pratica in virtù di questo voto, specialmente quando gli altri due voti, considerati come essenziali allo stato religioso, vi sono uniti.

Questa povertà suppone e racchiude quella povertà libera e volontaria detta dal Signore povertà di spirito che è collocata in capo alle Beatitudini; ma essa vi aggiunge un nuovo obbligo, quello del voto, ed è per questo che si dice religiosa.

Il punto essenziale, per ben conoscere e determinare con sicurezza in che consiste la natura della povertà religiosa è quello di comprendere che cosa sia vivere poveramente.

Queste parole sembrano chiare, e in realtà lo sono; ma siccome tutto ciò che ci impone un dovere penoso è solito presentarsi al nostro spirito come circondato da una densa nube, conviene chiarire quello che gli spiriti preoccupati possono trovare di oscuro.

Vivere poveramente è vivere come i poveri che hanno solamente quello che è dato loro ogni giorno ovvero ciò che guadagnano giornalmente; è non avere che il necessario; è contentarsi di poco; è non avere al proprio uso cose preziose e ricercate; è, in poche parole, regolare la propria vita su quella di Colui che "essendo ricco, si è fatto povero per causa nostra".

Per amor nostro, perché le ricchezze non costituiscono nessun pericolo per l'Uomo-Dio; ma abbracciò la povertà per causa nostra: cioè per distaccarci dalle ricchezze e darci l'esempio di quello che noi dobbiamo fare; "affinché quelli che si faranno poveri, a suo esempio, diventino ricchi di ogni sorta di beni spirituali" per i meriti della sua povertà.

Questo esempio del nostro Divin Maestro ci dimostra che deve esser per scelta e per effetto della nostra libera volontà che noi dobbiamo vivere così poveramente.

Lo stesso esempio ci dimostra ancora fino a qual punto di perfezione noi possiamo portare questa povertà anche esteriore: "Le volpi hanno le loro tane, dice il Signore, e gli uccelli del cielo i loro nidi; ma il Figlio dell'Uomo non ha dove posare il capo".

Gesù Cristo non solamente come Dio, ma anche come uomo aveva il dominio inalienabile di tutte le cose; ma viveva come se non avesse avuto diritto a nulla, come se avesse nulla.

Fino all'età di trent'anni, visse alle dipendenze di Maria e di Giuseppe, riceveva da essi ogni giorno il poco che gli era necessario per la sua sussistenza.

Nel corso delle sue predicazioni, non aveva nulla di cui usasse come proprio: nessuna casa, nessun mobile, nessuna possessione, nessun vestito che quello che lo copriva.

Riceveva da quelli che lo seguivano ciò che gli era necessario, senza che si preoccupasse per cercarlo.

Uno degli Apostoli era incaricato di ricevere le elemosine, ma nessuno considerava quel denaro come suo proprio.

Più il nostro modo di vivere sarà povero come quello di Gesù Cristo, più la nostra povertà religiosa sarà perfetta, a condizione però che imitando all'esterno Gesù Cristo povero, noi abbiamo nell'interno disposizioni conformi alle sue.

Quelli che vivono in comune imitano la povertà di Gesù di Nazareth; almeno la loro povertà deve essere formata su questo Divin modello.

Sono come in una casa paterna ove senza che abbiano da preoccuparsene si provvede loro ogni giorno ciò che è necessario; ma non devono usare di nulla come se fosse loro, non possano disporre di nulla secondo il loro capriccio e la loro volontà.

La povertà di Gesù Cristo nel tempo della sua predicazione, è quella degli uomini apostolici.2

Di qui si vede che si può praticare in diversi modi, e più o meno perfettamente, la stessa povertà religiosa, quella cioè alla quale si è obbligati per voto.

Questo stesso voto, in quanto al modo di osservarlo, può variare secondo il fine che si propone un Ordine o quello che si proporrebbe un semplice Cristiano in particolare che non appartenga a nessun Ordine.

La maggior gloria di Dio, il vantaggio dei fedeli, il bene generale della Chiesa possono essere i motivi di tale diversità.

L'essenza della povertà religiosa consiste nel rinunciare al potere che uno aveva, o poteva avere, di disporre dei propri beni liberamente e indipendentemente secondo la propria volontà, almeno in quanto tale volontà non abbia nulla di contrario alla legge divina.

Così, per il voto di povertà, si perde tale potere libero; non rimane che un potere ristretto e regolato dal voto; non si può più disporre delle cose delle quali si ha l'uso o anche il dominio di proprietà, che in modo conforme ai Consigli e alle Massime evangeliche.

Quest'obbligo per voto, di conformarsi ai Consigli evangelici nell'uso dei beni temporali, in modo che non si possa operare diversamente senza peccato, è sufficiente perché la povertà sia veramente religiosa; senza questo i Superiori di case religiose e i religiosi missionari fuori del convento, non potrebbero praticarla.

Però siccome il voto di obbedienza è ordinariamente unito a quello di povertà, non si può praticare il voto di povertà se, nell'uso delle cose temporali, non si opera in modo dipendente dalla volontà dei Superiori.

L'uso libero e indipendente dei beni temporali è dunque l'unica cosa assolutamente incompatibile col voto di povertà e non il semplice dominio di proprietà dei detti beni.

Il dominio utile dei propri beni temporali non sarebbe contrario all'essenza del voto di povertà specialmente quando non fosse che in vista della gloria di Dio, del bene della Chiesa, e per la necessità delle circostanze che si conserva tale dominio utile; a condizione però che si rinunci ad ogni uso libero e indipendente degli stessi beni e che tale uso sia ristretto da regole o dalla volontà dei Superiori in modo che sia interamente conforme ai Consigli evangelici: la ragione di queste restrizioni, sta in questo che con esse si è interamente al riparo dai pericoli delle ricchezze.

Con tale dipendenza, e tale conformità ai Consigli del S. Vangelo, il cenobita è povero nel chiostro, e la sua povertà è veramente povertà religiosa, quantunque egli abbia il necessario e goda di una certa agiatezza, perché egli non pretende a nulla e che per conseguenza del suo voto, è o deve essere disposto a contentarsi del puro necessario; si può anche dire che vive poveramente, perché egli riceve ciò che gli è dato ogni giorno come una elemosina e non come un bene al quale abbia nessun giusto diritto, e perché egli non può usare di nulla per movimento della sua propria volontà.

L'uomo apostolico è veramente povero se, dopo essersi spogliato di tutto per amore di Nostro Signore, aspetta ogni giorno la sua sussistenza dalla carità dei fedeli; ma la sua povertà, per quanto perfetta, non sarebbe povertà religiosa se non vi si impegnasse per voto; perché in tal caso sarebbe sempre padrone di fare diversamente, e potrebbe farlo senza peccato.

Un cristiano nel mondo che, per giuste ragioni riguardanti il servizio di Dio, conservasse i suoi beni, sarebbe veramente povero se, nell'uso di essi, si conformasse, per quanto possibile, ai consigli Evangelici, evitando in tale uso di seguire i capricci della propria volontà; ma se è per voto che si regola così, la sua povertà è una povertà religiosa, specialmente se l'uso che può fare dei suoi beni è indicato da certe regole e sottoposto alla volontà di un Superiore.

Non sarebbe, nel caso di questo cristiano povero e religioso, una cosa contraria alla sua professione e al suo voto di povertà, di provvedere alla sua sussistenza, sia col suo lavoro, sia con qualche traffico onesto, se egli vuole contentarsi di ciò che gli è necessario e se è risoluto di impiegare in buone opere ciò che egli può guadagnare in più del necessario, specialmente se egli opera in ciò secondo la volontà di un Superiore.

I primi cristiani, almeno un gran numero di essi, si spogliavano dei loro beni; erano poveri per elezione, potrebbe anche essere per voto; ciò nonostante non si può dubitare che quelli tra loro che vivevano, prima della loro conversione al Vangelo, di qualche mestiere o di qualche traffico, non continuassero ad esercitarlo, e ne traessero la loro sussistenza.

"Che ciascuno dimori nello stato in cui è stato chiamato" ( 1 Cor 7,20 ).

È quasi certo che gli Apostoli avevano rinunciato, anche per voto, ad ogni proprietà.

"Noi abbiamo abbandonato tutto", diceva S. Pietro; "Non ho né oro né argento", diceva lo stesso S. Pietro, eppure, dopo la Risurrezione di Gesù noi vediamo S. Pietro riprendere le reti: ciò non poteva essere che per provvedere il necessario per sé e per i suoi fratelli.

San Paolo, quantunque occupato nei lavori dell'apostolato dice espressamente di sé: "Ho trovato nel lavoro delle mie mani di che provvedere alle necessità mie e di quelli che sono con me" ( At 20,34 ).

Queste citazioni possono bastare per far conoscere in che consista la natura della povertà religiosa e per dimostrare che questa povertà può sussistere nel mondo, anche col dominio dei propri beni, quando questo dominio è legato, quanto all'uso, in virtù del voto di povertà.

Può perfino accadere che questa povertà, nella pratica, sia più vicina a quella dell'Uomo-Dio, e perciò più perfetta.3

ECCELLENZA DELLA POVERTÀ RELIGIOSA.4

La povertà religiosa è stata come divinizzata in Gesù Cristo.

Egli l'ha presa come suo retaggio, e ha sempre dimostrato la più grande predilezione per essa.

La sua nascita, la sua vita, la sua morte ce ne danno le prove più evidenti.

La ricolma di lode e invita ad essa tutti quelli che vogliono unirsi a Lui; non vuole ammettere al suo seguito che dei poveri; sceglie una Madre povera; un Padre Putativo, povero; è tra i poveri che sceglie gli Apostoli; fa ai poveri le più belle promesse.

Gesù Cristo è il Re dei poveri: questa predilezione del Salvatore per la povertà è atta a provarci la sua eccellenza.

Questa povertà è la base della perfezione cristiana e religiosa; è ancora il nostro Divin Maestro che ce lo insegna quando la mette in capo alle beatitudini; "Beati i poveri in spirito", ed è un nuovo carattere della sua eccellenza.

Essa distrugge in noi il regno del peccato; e tale distruzione la compie direttamente riguardo alla concupiscenza degli occhi e l'amore dei beni sensibili che è una delle tre colonne sulle quali appoggia il trono di Satana; essa l'attacca in qualche modo di fronte, e lo rovescia a terra.

Ma essa distrugge anche, sebbene meno direttamente, le altre concupiscenze, togliendo loro ciò che serve ad alimentarle.

Essa aumenta e fortifica in noi tutte le virtù cristiane e principalmente l'umiltà, la dolcezza, la pazienza; essa ce ne dà continuamente l'occasione di praticarne gli atti; ed è certamente perché tale pratica è difficile e ci espone a soffrire molto e ad essere disprezzati che Nostro Signore concede la stessa ricompensa alla povertà in spirito e ai patimenti sofferti per amore della giustizia. (Cioè: il Regno di Dio al presente e non al futuro).5

Questa povertà dà ai giusti una grande rassomiglianza con Nostro Signore; il distintivo della povertà è quello del Salvatore del mondo.

Perciò l'apostolo S. Giacomo vuole: "Che il povero metta la sua gloria in questa rassomiglianza, e che il ricco, al contrario si confonda dell'opposizione che ha con lo stato dell'Uomo-Dio" ( Gc 1,9.10 )

La povertà religiosa è pure una sorgente di vera felicità; essa ci mette al riparo dagli anatemi e dalle maledizioni che il Signore ha tante volte lanciato contro i ricchi;

essa ci preserva da quella moltitudine di desideri vani e pericolosi, dei quali parla l'Apostolo, e dalle reti di Satana che precipitano l'uomo nell'abisso eterno;

essa allontana da noi una moltitudine di sollecitudini, di cure, di rincrescimenti, di rimorsi che come spine lacerano l'anima nostra;

essa dissipa quell'illusione unita alle ricchezze che ci fa vedere la felicità là dove non c'è;

essa ce la indica e ce la fa trovare nel seguire Gesù Cristo;

essa ci rende l'oggetto speciale della sua Divina Provvidenza, e ci assicura il centuplo in questa vita e il possesso della felicità eterna nell'altra: la gioia è sempre, quaggiù, l'eredità dei poveri di Gesù Cristo; la pena e l'affanno inquieto sono l'eredità dei ricchi del mondo.

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2 Fratel Teodoreto ha omesso il paragrafo: "Telle étoit celle … à garder".
3 Fratel Teodoreto ha omesso il paragrafo: "Nous avons maintenant … le voeu qu'on en fait".
4 Il titolo è stato inserito da Fratel Teodoreto.
5 Fratel Teodoreto ha inserito la frase: "Cioè: il Regno di Dio al presente e non al futuro".