Summa Teologica - I

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Articolo 7 - Se coloro che vedono Dio nella sua essenza lo comprendano

In 3 Sent., d. 14, q. 1, a. 2, sol. 1; d. 27, q. 3, a. 2; In 4 Sent., d. 49, q. 2, a. 3; C. G., III, c. 55; Verit., q. 2, a. 1, ad 3; q. 8, a. 2; q. 20, a. 5; De Virt., q. 2, a. 10, ad 5; Comp. Theol., c. 106; In Ioan., c. 1, lect. 11; In Ephes., c. 5, lect. 3

Pare che coloro che vedono Dio per essenza lo comprendano.

Infatti:

1. S. Paolo [ Fil 3,12 ] dice: « Mi sforzo di correre per arrivare a comprendere ».

Ma non correva invano, poiché egli stesso dice [ 1 Cor 9,26 ]: « Dunque io corro, ma non come chi è senza meta ».

Quindi egli è arrivato a comprendere; e per la stessa ragione tutti gli altri che a ciò invita dicendo [ ib., v. 24 ]: « Correte anche voi in modo da comprendere ».

2. S. Agostino [ Epist. 147,9.22 ] scrive: « Una cosa è compresa quando è talmente vista nella sua totalità che nulla di essa sfugge a chi vede ».

Ma se Dio è visto nella sua essenza, è visto tutto, e nulla di lui si cela a chi lo vede, essendo Dio semplice.

Quindi chi lo vede per essenza lo comprende.

3. Se uno dicesse: « È visto tutto, ma non totalmente », si ribatte: totalmente si riferisce o al conoscente o al conosciuto.

Ora, ammesso che si riferisca all'oggetto conosciuto, colui che vede Dio per essenza lo vede totalmente poiché, come si è visto [ a. 6, ad 1 ], lo vede così come è.

E anche se ci si riferisce al soggetto conoscente egli vede Dio totalmente, poiché l'intelligenza vedrà l'essenza di Dio con tutto il suo vigore.

Quindi chiunque vedrà Dio per essenza lo vedrà totalmente.

Quindi lo comprenderà.

In contrario:

Sta scritto [ Ger 32,18s Vg ]: « Dio grande e forte, che Ti chiami Signore degli eserciti; grande nel consiglio, incomprensibile nel pensiero ».

Quindi non lo si può comprendere.

Dimostrazione:

È impossibile per qualsiasi intelletto creato comprendere Dio; « raggiungere però con la mente Dio in qualunque maniera è una grande felicità », come dice S. Agostino [ Serm. 117,3.5 ].

Per capire ciò bisogna dunque sapere che comprendere una cosa vuol dire conoscerla alla perfezione.

È conosciuto poi alla perfezione ciò che è conosciuto tanto quanto è conoscibile.

Se quindi ciò che è conoscibile per dimostrazione scientifica fosse tenuto soltanto con un'opinione fondata su ragioni probabili, non sarebbe compreso.

Se p. es. uno sa per dimostrazione che il triangolo ha i tre angoli uguali a due retti, comprende tale verità; uno invece che la accetti come opinione probabile, perché così è affermato dai dotti o dai più, non la comprende, poiché non ha raggiunto il perfetto grado di conoscenza secondo cui la cosa è conoscibile.

Ora, nessun intelletto creato può arrivare a quel perfetto grado di conoscenza dell'essenza divina secondo il quale essa è conoscibile.

E lo si vede in questo modo.

Ogni cosa è conoscibile nella misura in cui è ente in atto.

Dio dunque, il cui essere, come si è già dimostrato [ q. 7, a. 1 ], è infinito, è infinitamente conoscibile.

Ma nessun intelletto creato può conoscere Dio infinitamente.

Infatti un intelletto creato conosce più o meno perfettamente la divina essenza a seconda che è perfuso di un maggiore o minore lume di gloria.

Non potendo quindi essere infinito il lume di gloria ricevuto in qualsiasi intelletto creato, è impossibile che un'intelligenza creata conosca Dio infinitamente.

Quindi è impossibile che comprenda Dio.

Analisi delle obiezioni:

1. La parola comprensione può essere intesa in due modi.

O in senso stretto e proprio, quando una cosa è racchiusa in colui che comprende.

E in questo senso Dio non è compreso in alcun modo né da un'intelligenza, né da qualsiasi altra cosa: poiché essendo infinito non può essere racchiuso da un essere finito, in modo che l'essere finito lo contenga nella sua illimitata infinità.

E di tale comprensione ora si tratta.

- Oppure in un altro modo il termine comprensione è preso anche in un senso più largo, quando indica l'opposto di tendenza.

Chi infatti ha raggiunto qualcuno, quando lo tiene stretto si dice che lo ha preso.

E in questo senso si dice che Dio è preso o compreso dai beati, secondo il detto del Cantico [ Ct 3,4 ]: « L'ho afferrato e non lo lascerò ».

E così vanno intese le citazioni dell'Apostolo.

Intesa dunque così la comprensione è una delle tre doti dell'anima [ beata ], quella che corrisponde alla speranza, come la visione corrisponde alla fede e la fruizione alla carità.

Tra noi infatti non tutto ciò che è visto è già tenuto o posseduto, poiché talora si vedono anche cose distanti o che non sono in nostro potere.

E neppure godiamo di tutte le cose che possediamo, o perché non ci dilettano, o perché non costituiscono il termine ultimo del nostro desiderio, in modo da saziarlo e da quietarlo.

Ma i beati hanno queste tre cose in Dio: poiché lo vedono, e vedendolo lo tengono presente a sé, avendo sempre la possibilità di vederlo; tenendolo poi lo godono, quale ultimo fine che appaga il loro desiderio.

2. Dio è detto incomprensibile non perché qualcosa di lui resti invisibile, ma perché non è visto tanto perfettamente quanto è visibile.

Come quando una proposizione rigorosamente dimostrabile è conosciuta per qualche ragione probabile non è che qualcosa di essa, o soggetto, o predicato, o copula, resti sconosciuto, ma tutta quanta non è conosciuta così perfettamente quanto è conoscibile.

Quindi S. Agostino [ Epist. 147,9.22 ], definendo la comprensione, dice che « un tutto è compreso conoscitivamente quando è visto in maniera tale che nulla di esso sfugga a colui che lo vede; o quando i suoi limiti possono essere abbracciati dallo sguardo »: allora infatti si abbracciano con lo sguardo i limiti di una cosa quando nel modo di conoscerla si arriva all'estremo limite della sua conoscibilità.

3. L'avverbio totalmente si riferisce all'oggetto conosciuto: non già nel senso che la totalità dell'oggetto non cada sotto la conoscenza, ma perché il modo dell'oggetto non è il modo di colui che conosce.

Chi dunque vede Dio nella sua essenza vede in lui che egli esiste infinitamente e che è infinitamente conoscibile.

Questo modo infinito però non gli compete, in modo cioè che lo conosca infinitamente: come uno può sapere per argomenti di probabilità che una proposizione è dimostrabile senza però conoscerne la dimostrazione.

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