Summa Teologica - I

Indice

Articolo 1 - Se la verità sia soltanto nell'intelletto

In 1 Sent., d. 19, q. 5, a. 1; C. G., I, c. 60; De Verit., q. 1, a. 2; In 1 Periherm., lect. 3; In 6 Metaph., lect. 4

Pare che la verità non sia soltanto nell'intelletto, ma che sia piuttosto nelle cose.

Infatti:

1. S. Agostino [ Solil. 2,5 ] riprova questa definizione del vero: « il vero è ciò che si vede » perché, se così fosse, le pietre che si trovano nelle viscere della terra non sarebbero vere pietre, dal momento che non si vedono.

Rigetta anche quest'altra: « il vero è ciò che è tale da apparire al soggetto conoscente, quando questi voglia e possa conoscerlo », poiché ne seguirebbe che nulla sarebbe vero se nessuno potesse conoscere.

Così invece egli definisce il vero: « il vero è ciò che è ».

Quindi la verità è nelle cose, non nell'intelletto.

2. Tutto ciò che è vero, è vero in forza della verità.

Se dunque la verità è solo nell'intelletto, nulla sarà vero se non in quanto è conosciuto; ma questo è l'errore di certi antichi filosofi, i quali dicevano che è vero ciò che appare tale.

Al che seguirebbe che affermazioni contraddittorie sarebbero simultaneamente vere, poiché tesi contraddittorie possono apparire simultaneamente vere a più soggetti.

3. Dice Aristotele [ Anal. post. 1,2 ]: « Ciò che causa in altri una data qualità, deve possederla anch'esso, e con intensità maggiore ».

Ora, stando al medesimo Filosofo [ Praed. 3 ], « precisamente dal fatto che una cosa è o non è, deriva che sia vera o falsa un'opinione o un'espressione ».

Quindi la verità è nelle cose piuttosto che nell'intelligenza.

In contrario:

Aristotele [ Met. 6,4 ] dice che « il vero e il falso non sono nelle cose, ma nell'intelletto ».

Dimostrazione:

Come il bene esprime ciò verso cui tende la facoltà appetitiva, così il vero esprime ciò verso cui tende l'intelletto.

Ma tra la facoltà appetitiva e l'intelligenza, o qualsiasi altra potenza conoscitiva, vi è questo divario, che la conoscenza si ha perché il conoscibile viene a trovarsi nel soggetto conoscente, mentre l'appetizione avviene per il fatto che il relativo soggetto si muove verso la cosa desiderata.

Per cui il termine della facoltà appetitiva, che è il bene, è nella cosa desiderata, mentre il termine della conoscenza, che è il vero, è nell'intelligenza stessa.

Ora, come il bene è nella cosa in quanto questa dice ordine alla facoltà appetitiva, e per tale motivo la nozione di bene proviene alla facoltà appetitiva dall'oggetto, per cui questa è detta buona perché tende al bene, così, essendo il vero nell'intelletto in quanto l'intelletto si adegua alla cosa conosciuta, necessariamente la nozione di vero proviene alla cosa conosciuta dall'intelletto, in maniera che la stessa cosa conosciuta si dice vera per il rapporto che ha con l'intelletto.

Ma l'oggetto conosciuto può avere con un intelletto rapporti essenziali o accidentali.

Essenzialmente dice ordine a quell'intelletto dal quale ontologicamente dipende, accidentalmente invece all'intelletto dal quale può essere conosciuto.

Come se dicessimo: la casa comporta una relazione essenziale alla mente dell'architetto, una relazione accidentale invece a un [ altro ] intelletto da cui non dipende.

Ora, una cosa non si giudica in base a ciò che le conviene accidentalmente, ma in base a ciò che le si addice essenzialmente: quindi ogni singola cosa si dice vera assolutamente per il rapporto che ha con l'intelligenza dalla quale dipende.

Quindi i prodotti delle arti si dicono veri in ordine al nostro intelletto: vera si dice infatti quella casa che riproduce la forma che è nella mente dell'architetto, e vere le parole che esprimono un pensiero vero.

Così le realtà naturali si dicono vere in quanto attuano la somiglianza delle specie che sono nella mente di Dio: si dice infatti vera pietra quella che ha la natura propria della pietra, secondo la concezione preesistente nella mente di Dio.

- Quindi la verità è principalmente nell'intelletto e secondariamente nelle cose, per la relazione che esse hanno all'intelletto come al loro principio.

Per tale ragione la verità è stata definita in diverse maniere.

S. Agostino [ De vera relig. 36.66 ] dice che « la verità è la manifestazione di ciò che è ».

S. Ilario [ De Trin. 5,14 ] insegna che « il vero è ciò che dichiara o manifesta l'essere ».

E queste definizioni riguardano la verità in quanto è nella mente.

- Definizione invece della verità delle cose in rapporto all'intelletto è questa di S. Agostino [ De vera relig. 36.66 ]: « La verità è la perfetta somiglianza delle cose con il loro principio, senza alcuna dissomiglianza »; e quest'altra di S. Anselmo [ De verit. 12 ]: « La verità è la rettitudine percettibile con la sola mente »: infatti è retto ciò che concorda col suo principio; e anche questa di Avicenna [ Met. 8,6 ]: « La verità di ciascuna cosa è la proprietà del suo essere, quale le è stato assegnato ».

- La definizione poi: « La verità è l'adeguazione tra la cosa e l'intelletto » [ cf. a. 2, ob. 2 ] si può riferire ai due aspetti della verità.

Analisi delle obiezioni:

1. S. Agostino parla della verità [ ontologica ] delle cose, e dalla nozione di essa esclude ogni relazione col nostro intelletto.

Infatti in ogni definizione si esclude ciò che non è essenziale.

2. Questi antichi filosofi dicevano che la natura non deriva da un'intelligenza, ma dal caso; siccome però, d'altra parte, vedevano che il vero dice rapporto all'intelligenza, erano costretti a far consistere la verità delle cose nel loro rapporto con la nostra mente.

Da cui tutti gli inconvenienti denunciati da Aristotele [ Met. 4, cc. 5,6 ].

Inconvenienti che vengono evitati se si pone che la verità [ ontologica ] delle cose consiste nel loro rapporto con l'intelligenza divina.

3. Sebbene la verità del nostro intelletto sia causata dalle cose, non è però necessario che la verità si trovi primariamente nelle cose, come la sanità non si trova prima nella medicina che nell'animale, poiché è l'efficacia della medicina, e non la sua sanità, che causa la sanità, non essendo un agente univoco.

Analogamente è l'essere della cosa, e non la sua verità, che causa la verità dell'intelletto.

Quindi il Filosofo dice che un'opinione o un'affermazione è vera perché la cosa è, e non perché la cosa è vera.

Indice