Summa Teologica - I-II

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Articolo 3 - Se per la beatitudine si richieda la comprensione

I, q. 12, a. 7, ad 1; In 1 Sent., d. 1, q. 1, a. 1; In 4 Sent., d. 49, q. 4, a. 5, sol. 1

Pare che per la beatitudine non si richieda la comprensione.

Infatti:

1. S. Agostino [ Serm. 117 ] scrive: « Raggiungere Dio con la mente è una grande felicità, ma comprenderlo è una cosa impossibile ».

Quindi la beatitudine è senza la comprensione.

2. La felicità è la perfezione dell'uomo secondo la parte intellettiva, la quale non abbraccia altre potenze all'infuori dell'intelletto e della volontà, come si disse nella Prima Parte [ qq. 79 ss. ].

Ma l'intelletto viene totalmente perfezionato dalla visione di Dio, e la volontà dal godimento di lui.

Quindi non si richiede la comprensione come terzo elemento.

3. La beatitudine consiste in un'operazione.

Ma le operazioni sono determinate secondo gli oggetti, e gli oggetti generici sono due soltanto, il vero e il bene: il vero che corrisponde alla visione, il bene che corrisponde al godimento.

Quindi non si richiede la comprensione come terzo elemento.

In contrario:

L'Apostolo [ 1 Cor 9,24 ] scrive: « Correte in maniera da arrivare a comprendere ».

Ora, la corsa spirituale termina nella beatitudine; infatti egli dice [ 2 Tm 4,7s. ]: « Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede.

Ora mi resta solo la corona di giustizia ».

Quindi la comprensione è richiesta per la beatitudine.

Dimostrazione:

Bisogna determinare i requisiti della beatitudine in base ai rapporti che l'uomo ha con il fine ultimo, poiché la beatitudine consiste nel raggiungimento di tale fine.

Ora, l'uomo è indirizzato verso il fine intelligibile in parte mediante l'intelletto e in parte mediante la volontà.

Con l'intelletto mediante un'iniziale conoscenza imperfetta del fine.

Con la volontà invece secondariamente, sia mediante l'amore, che è il suo primo moto verso l'oggetto, sia mediante le relazioni concrete esistenti tra chi ama e l'oggetto amato, le quali possono essere di tre specie.

Talora infatti l'oggetto amato è presente a chi ama: e in questo caso non è più cercato.

Altre volte invece non è presente ed è impossibile raggiungerlo: e anche in questo caso non viene cercato.

Talora infine è possibile raggiungerlo, ma esso è al di sopra delle capacità di chi vuole raggiungerlo, per cui non è possibile possederlo subito: e questa è la relazione esistente tra chi spera e l'oggetto sperato, ed è l'unica relazione che determina la ricerca del fine.

Ora, ai tre suddetti atteggiamenti corrisponde qualcosa nella beatitudine stessa.

Infatti alla conoscenza imperfetta del fine corrisponde quella perfetta, all'attesa della speranza corrisponde la presenza del fine, e il godimento per il fine già presente è una conseguenza dell'amore, come si è già spiegato [ a. 2, ad 3 ].

Quindi per la beatitudine è necessario il concorso di queste tre cose: della visione, che è la conoscenza perfetta del fine intelligibile, della comprensione, che implica la presenza di questo fine, del godimento o fruizione, che implica l'acquietarsi di chi ama nell'oggetto amato.

Analisi delle obiezioni:

1. Il termine comprensione ha due significati.

O sta a indicare l'inclusione dell'oggetto compreso in colui che lo comprende: e così tutto ciò che è compreso da un essere finito è una realtà finita.

Per cui in tale senso Dio non può essere compreso da alcun intelletto creato.

Oppure la comprensione non indica nient'altro che la presa di possesso di una cosa già raggiunta e presente: come si dice che chi insegue la preda la comprende quando la ha afferrata.

Ed è in questo senso che la comprensione è richiesta per la beatitudine.

2. Come la speranza e l'amore appartengono entrambi alla volontà, poiché spetta a un'identica potenza amare un oggetto e tendere ad esso quando non lo si possiede, così spetta alla volontà sia la comprensione che il godimento, poiché appartiene al medesimo soggetto il possedere una cosa e l'acquietarsi in essa.

3. La comprensione non è un'operazione esterna alla visione, ma indica una certa relazione al fine ormai raggiunto.

Per cui la visione stessa, oppure la cosa vista in quanto è presente, è l'oggetto della comprensione.

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