Summa Teologica - I-II

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Articolo 1 - Se ogni tristezza sia cattiva

In 3 Sent., d. 15, q. 2, a. 2, sol. 1, ad 3; In 4 Sent., d. 49, q. 3, a. 4, sol. 2

Pare che ogni tristezza sia cattiva.

Infatti:

1. S. Gregorio di Nissa [ Nemesio, De nat. hom. 19 ] scrive: « Ogni tristezza è un male per sua natura ».

Ora, ciò che è male per sua natura è un male sempre e dovunque.

Quindi ogni tristezza è cattiva.

2. Quello che tutti, compresi i virtuosi, fuggono, è un male.

Ora tutti, compresi i virtuosi, fuggono la tristezza: poiché, come dice Aristotele [ Ethic. 7,11 ], « sebbene l'uomo prudente non cerchi di godere, tuttavia cerca di non essere contristato ».

Quindi la tristezza è un male.

3. Come il male fisico è oggetto e causa del dolore fisico, così il male spirituale è oggetto e causa della tristezza spirituale.

Ma ogni dolore fisico è un male del corpo.

Quindi ogni tristezza spirituale è un male dell'anima.

In contrario:

Il rattristarsi del male si contrappone al compiacersi nel male.

Ma la compiacenza nel male è cattiva: infatti alcuni vengono biasimati dalla Scrittura [ Pr 2,14 ] perché « godono nel fare il male ».

Quindi la tristezza del male è buona.

Dimostrazione:

Una cosa può essere considerata buona o cattiva in due modi.

Primo, assolutamente parlando e per se stessa.

E in questo senso ogni tristezza è un male: infatti l'angoscia dell'appetito umano per la presenza del male si presenta come qualcosa di cattivo, poiché viene così ostacolata la quiete dell'appetito nel bene.

Secondo, una cosa può essere considerata buona o cattiva [ ipoteticamente ], in forza della presupposizione di un'altra: come si considera cosa buona la vergogna presupposto il compimento di un atto vergognoso, come nota Aristotele [ Ethic. 4,9 ].

Quindi, supposto un fatto rattristante e doloroso, è cosa buona che uno si rattristi e si addolori del male presente.

Se infatti non si rattristasse o non si dolesse mostrerebbe o di non sentire, o di non stimare quel fatto come ripugnante: e l'una e l'altra cosa è certamente cattiva.

Quindi è un bene, supposta la presenza del male, che ne segua la tristezza o il dolore.

E questo è quanto dice S. Agostino [ De Gen. ad litt. 8,14.31 ], il quale scrive: « È ancora un bene che uno si dolga del bene perduto: se infatti nella natura non fosse rimasto qualcosa di buono, nella pena non ci sarebbe dolore per alcun bene perduto ».

Ora, poiché in morale gli enunciati hanno per oggetto i singolari, a cui appartengono le operazioni, le cose che sono buone ipoteticamente vanno considerate buone: come un atto ipoteticamente volontario viene giudicato volontario, secondo quanto dice Aristotele [ Ethic. 3,1 ] e come sopra [ q. 6, a. 6 ] abbiamo dimostrato.

Analisi delle obiezioni:

1. S. Gregorio Nisseno [ ossia Nemesio ] parla della tristezza o dolore dal punto di vista del male che affligge, non dal punto di vista del soggetto che lo sente e ne prova ripulsa.

- Da quel lato infatti tutti fuggono i dolori in quanto fuggono il male: non fuggono però la percezione e la ripulsa del male.

- E lo stesso si dica per il dolore fisico: infatti la sensazione e la ripulsa del male fisico dimostrano la bontà della natura.

2. 3. Sono così risolte anche la seconda e la terza obiezioni.

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