Summa Teologica - I-II

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Articolo 2 - Se la tristezza possa essere un bene onesto

Infra, q. 59, a. 3; III, q. 15, a. 6, ad 2, 3; q. 46, a. 6, ad 2

Pare che la tristezza non possa essere un bene onesto.

Infatti:

1. Ciò che conduce all'inferno si contrappone al bene onesto.

Ora, stando a S. Agostino [ De Gen. ad litt. 12,33.62 ], « sembra che Giacobbe temesse di finire non nella pace dei beati, ma nell'inferno dei peccatori se si fosse lasciato turbare da una tristezza troppo forte ».

Quindi la tristezza non può presentarsi come un bene onesto.

2. Il bene onesto implica la lode e il merito.

Ma la tristezza diminuisce la lode e il merito: infatti l'Apostolo [ 2 Cor 9,7 ] scrive: « Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel cuore, non con tristezza né per forza ».

Quindi la tristezza non è un bene onesto.

3. S. Agostino [ De civ. Dei 14,15 ] scrive che « la tristezza ha per oggetto le cose che accadono contro il nostro volere ».

Ora, non volere le cose che attualmente avvengono significa avere una volontà contraria alle disposizioni di Dio, dalla cui provvidenza dipendono tutti i fatti che avvengono.

Poiché dunque la conformità della volontà umana con quella divina è richiesta per la rettitudine del nostro volere, come sopra [ q. 19, a. 9 ] abbiamo detto, sembra che la tristezza si opponga alla rettitudine della volontà.

E così non può essere un bene onesto.

In contrario:

Tutto ciò che merita il premio della vita eterna è un bene onesto.

Ma tale è la tristezza, poiché sta scritto [ Mt 5,5 ]: « Beati gli afflitti, perché saranno consolati ».

Quindi la tristezza è un bene onesto.

Dimostrazione:

L'aspetto che la rende buona permette alla tristezza di essere un bene onesto.

Infatti la tristezza è una cosa buona in quanto percezione e ripulsa del male, come si è detto [ a. 1 ].

Ora, queste due cose nel dolore fisico dimostrano la bontà della natura, dalla quale nasce la percezione del senso e la ripulsa naturale per ciò che nuoce e provoca il dolore.

Invecenella tristezza interiore la conoscenza del male spesso dipende dal retto giudizio della ragione, e l'avversione verso il male dipende dalla volontà ben disposta che lo detesta.

Ora, ogni bene onesto deriva appunto da queste due cose, cioè dalla rettitudine della ragione e della volontà.

Quindi è evidente che la tristezza può essere un bene onesto.

Analisi delle obiezioni:

1. Tutte le passioni devono essere regolate secondo la regola della ragione, che è la radice del bene onesto.

Ma tale regola è trasgredita dalla tristezza esagerata, di cui parla S. Agostino.

Quindi tale tristezza si allontana dalla nozione di bene onesto.

2. Come la tristezza per il male proviene da una volontà e da una ragione retta, che detestano il male, così la tristezza per il bene proviene da una ragione e da una volontà perverse, che detestano il bene.

Quindi questa seconda tristezza viene a infirmare il merito e la lode del bene onesto: come quando uno fa l'elemosina con tristezza.

3. Certe cose che avvengono attualmente non avvengono perché Dio le vuole, ma perché le permette: p. es. i peccati.

Quindi la volontà che si ribella al peccato proprio o altrui non è in disaccordo con la volontà di Dio.

- Invece i castighi capitano nella realtà proprio perché Dio li vuole.

Tuttavia per la rettitudine della volontà non si richiede che l'uomo li ami per se stessi, ma solo che non si ribelli all'ordine della divina giustizia, come sopra [ q. 19, a. 10 ] abbiamo spiegato.

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