Summa Teologica - I-II

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Articolo 1 - Se il peccato possa menomare i beni di natura

I, q. 48, a. 4; In 2 Sent., d. 30, q. 1, a. 1, ad 3; d. 34, q. 1, a. 5; In 3 Sent., d. 20, a. 1, sol. 1, ad 1; C. G., III, c. 12; De Malo, q. 2, a. 11

Pare che il peccato non possa menomare i beni di natura.

Infatti:

1. Il peccato dell'uomo non è più grave del peccato del demonio.

Ma come insegna Dionigi [ De div. nom. 4 ], i beni naturali rimangono integri nei demoni dopo il peccato.

Perciò il peccato fa diminuire i beni naturali dell'uomo.

2. L'alterazione di un elemento posteriore non incide sugli elementi che lo precedono: infatti pur mutando gli accidenti, rimane identica la sostanza.

Ma la natura precede le azioni volontarie.

Avvenuto quindi il disordine nelle azioni volontarie con il peccato, non per questo viene alterata la natura, così che i suoi beni vengano menomati.

3. Il peccato è un atto, mentre la menomazione è una passione.

Ora, nessun agente è paziente nell'atto stesso in cui agisce, mentre può capitare che sia agente in un senso e paziente in un altro.

Quindi chi pecca non sminuisce col peccato i beni della sua natura.

4. Nessun accidente agisce sul proprio soggetto: poiché il paziente è un ente in potenza, mentre quanto sostenta un accidente è già un ente in atto secondo tale accidente.

Ma il peccato ha come soggetto il bene di natura.

Quindi il peccato non sminuisce questo bene: sminuire infatti è un certo agire.

In contrario:

Come dice il Vangelo [ Lc 10,30 ], « un uomo discendendo da Gerusalemme a Gerico », cioè, secondo l'esegesi di S. Beda [ Glossa ord. ], cadendo nel peccato, « viene spogliato dei doni gratuiti e ferito in quelli naturali ».

Quindi il peccato fa diminuire i beni di natura.

Dimostrazione:

Col nome di beni della natura umana si possono intendere tre cose.

Primo, i princìpi costitutivi della natura con le proprietà che ne derivano, come le potenze dell'anima e altre simili cose.

Secondo, anche l'inclinazione alla virtù è un certo bene di natura, poiché l'uomo riceve dalla natura, come si è già visto [ q. 51, a. 1; q. 63, a. 1 ], tale inclinazione.

Terzo, per bene di natura si può intendere il dono della giustizia originale, che nella persona del primo uomo fu offerto a tutta la natura umana.

Ora, il primo di questi beni di natura non viene né distrutto né diminuito dal peccato, mentre il terzo fu eliminato totalmente dal peccato del progenitore.

Il bene di natura che sta nel mezzo invece, cioè l'inclinazione naturale alla virtù, viene diminuito dal peccato.

Infatti gli atti umani producono una certa inclinazione ad atti consimili, come si è visto [ q. 50, a. 1 ].

Ora, per il fatto che uno si porta verso uno dei contrari, decresce la sua inclinazione verso l'opposto.

Essendo quindi il peccato il contrario della virtù, per il fatto che uno pecca decresce quel bene di natura che è l'inclinazione alla virtù.

Analisi delle obiezioni:

1. Dionigi, come è chiaro dal suo testo, parla dei beni di natura del primo tipo, che sono « l'essere, il vivere e l'intendere ».

2. Sebbene la natura preceda l'atto volontario, tuttavia ha un'inclinazione verso di esso.

Perciò in se stessa la natura non cambia col variare dell'atto volontario; cambia però la sua inclinazione rispetto al termine.

3. L'azione volontaria procede da diverse potenze, alcune delle quali sono attive e altre passive.

Dal che deriva che le azioni volontarie possono causare o togliere qualcosa nell'uomo che agisce, come si è spiegato sopra [ q. 51, a. 2 ] trattando della generazione degli abiti.

4. Un accidente non può agire come causa efficiente sul proprio soggetto; può però agire in esso come causa formale, cioè come la bianchezza rende bianca la parete in cui si trova.

E in questo senso nulla impedisce che un peccato faccia diminuire i beni della natura: purché si tratti di quella menomazione che si riduce al disordine dell'atto.

Invece rispetto al disordine del soggetto agente bisogna dire che tale menomazione è possibile in quanto nelle azioni dell'anima intervengono elementi attivi ed elementi passivi: l'oggetto sensibile, p. es., muove l'appetito sensitivo, e l'appetito sensitivo dà un'inclinazione alla ragione e alla volontà, come sopra [ q. 77, aa. 1,2 ] si è visto.

E da qui nasce il disordine: non nel senso che un accidente agisca sul proprio soggetto, ma in quanto l'oggetto agisce sulla potenza e una potenza sull'altra, provocandone il disordine.

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