Summa Teologica - II-II

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Articolo 1 - Se la disperazione sia un peccato

In 2 Sent., d. 43, q. 1, a. 3, ad 1

Pare che la disperazione non sia un peccato.

Infatti:

1. Qualsiasi peccato, assieme all'allontanamento dal bene immutabile, ha la conversione a un bene transitorio, come insegna S. Agostino [ De lib. arb. 1,16.34 ].

Ma la disperazione non ha questa conversione a un bene transitorio.

Quindi non è un peccato.

2. Ciò che nasce da una radice buona non può essere peccato, poiché nel Vangelo [ Mt 7,18 ] si legge che « un albero buono non può dare frutti cattivi ».

Ma la disperazione pare nascere da una radice buona, cioè dal timore di Dio, o dall'orrore per la gravità dei propri peccati.

Quindi la disperazione non è un peccato.

3. Se la disperazione fosse un peccato, lo sarebbe anche per i dannati.

Invece ad essi la disperazione non è imputata a colpa, ma piuttosto è una condanna.

Perciò non è imputata a colpa neppure ai viatori.

Quindi la disperazione non è un peccato.

In contrario:

Ciò che induce gli uomini a peccare non solo è un peccato, bensì un principio di peccati.

Ma tale è appunto la disperazione, come si rileva dalle parole dell'Apostolo [ Ef 4,19 ] contro certuni i quali « nella loro disperazione si sono abbandonati alla dissolutezza, commettendo ogni sorta di impurità con avidità insaziabile ».

Quindi la disperazione non solo è un peccato, ma è un principio di altri peccati.

Dimostrazione:

Come insegna il Filosofo [ Ethic. 6,2 ], la ricerca e la fuga sono nell'appetito ciò che sono nell'intelletto l'affermazione e la negazione; e ciò che nell'intelletto è il vero o il falso, nell'appetito è il bene o il male.

Perciò tutti i moti appetitivi conformi a un'intellezione vera di per sé sono buoni, e tutti i moti appetitivi conformi a un'intellezione falsa di per sé sono cattivi e peccaminosi.

Ora, in rapporto a Dio è vera l'idea che da lui deriva la salvezza umana, e viene concesso il perdono ai peccatori, secondo le parole riferite da Ezechiele [ Ez 18,23 ]: « Io non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva ».

È invece falsa l'opinione che Dio neghi il perdono al peccatore pentito, o che non attiri a sé i peccatori con la grazia santificante.

Come quindi è lodevole e virtuoso il moto della speranza che è conforme alla verità, così è vizioso e peccaminoso l'opposto moto della disperazione, che è conforme a un falso concetto di Dio.

Analisi delle obiezioni:

1. In ogni peccato mortale c'è in qualche modo un allontanamento dal bene immutabile e una conversione a un bene transitorio, però in grado diverso.

Infatti i peccati opposti alle virtù teologali, come l'odio di Dio, la disperazione e l'incredulità, consistono principalmente in un allontanamento dal bene immutabile, poiché le virtù teologali hanno Dio per oggetto, mentre implicano solo indirettamente una conversione al bene transitorio, in quanto l'anima che abbandona Dio è costretta a volgersi ad altre cose.

Invece gli altri peccati consistono principalmente in una conversione a un bene transitorio, e solo indirettamente in un allontanamento dal bene eterno.

Infatti il fornicatore non intende allontanarsi da Dio, ma godere di un piacere carnale a cui consegue l'allontanamento da Dio.

2. Dalla radice della virtù una cosa può derivare in due modi.

Primo, direttamente dalla parte della virtù medesima, cioè come un atto deriva dall'abito rispettivo: e in questo modo da una radice virtuosa non può derivare un peccato: infatti in questo senso S. Agostino [ De lib. arb. 2, cc. 18,19 ] insegna che « nessuno fa un cattivo uso della virtù ».

- Secondo, una cosa può derivare dalla virtù indirettamente od occasionalmente.

E allora nulla impedisce che un peccato derivi da qualche virtù: alcuni, p. es., si insuperbiscono talora delle proprie virtù, come avverte S. Agostino [ Epist. 211 ]: « La superbia tende insidie alle opere buone per mandarle in rovina ».

E in questo modo dal timore di Dio e dall'orrore dei propri peccati può nascere la disperazione, in quanto uno usa male di questi beni prendendone occasione per disperarsi.

3. I dannati non sono in stato di poter sperare per l'impossibilità che hanno di riacquistare la beatitudine.

Perciò in essi la disperazione non è una colpa, ma fa parte della loro dannazione.

Come anche nella vita presente non è un peccato disperare di ciò che non si può o non si deve raggiungere: un medico, p. es., può disperare di guarire un infermo, e chiunque può disperare di raggiungere la ricchezza.

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