Summa Teologica - II-II

Indice

Articolo 2 - Se la disperazione sia possibile senza l'incredulità

In 2 Sent., d. 43, q. 1, a. 3, ad 1

Pare che la disperazione non sia possibile senza l'incredulità.

Infatti:

1. La certezza della speranza deriva dalla fede.

Ora, se rimane la causa non viene eliminato l'effetto.

Quindi uno non può perdere con la disperazione la certezza della speranza se prima non perde la fede.

2. Stimare la propria colpa superiore alla bontà o alla misericordia di Dio equivale a negare l'infinità della misericordia o della bontà divina, il che è un atto di incredulità.

Ma chi dispera stima la propria colpa superiore alla misericordia e alla bontà di Dio, secondo l'espressione di Caino [ Gen 4,13 ]: « Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono ».

Perciò chi dispera è un incredulo.

3. Chi cade in un'eresia già condannata è un incredulo.

Ma chi dispera cade nell'eresia già condannata dei Novaziani, i quali dicono che i peccati commessi dopo il battesimo non vengono perdonati.

Quindi chi dispera pecca contro la fede.

In contrario:

Togliendo ciò che viene dopo non si toglie ciò che viene prima.

Ma la speranza viene dopo la fede, come sopra [ q. 17, a. 7 ] si è detto.

Quindi togliendo la speranza può rimanere la fede.

Perciò non tutti quelli che disperano sono privi della fede.

Dimostrazione:

L'incredulità appartiene all'intelletto, mentre la disperazione appartiene alla volontà.

Ora, l'intelletto è fatto per gli universali, mentre la volontà mira al singolare concreto: infatti il moto delle facoltà appetitive va dall'anima alle cose, che in se stesse sono particolari.

Ora, ci sono alcuni i quali, pur giudicando bene in universale, non si comportano bene quanto ai moti dell'appetito, giudicando falsamente nel caso singolo: poiché, come insegna il Filosofo [ De anima 3,11 ], è necessario passare dal giudizio astratto e universale all'appetito di una cosa particolare attraverso il giudizio particolare; come non si può dedurre una conclusione particolare da un enunciato universale senza servirsi di una proposizione particolare.

Perciò uno, pur avendo la vera fede in astratto, può mancare in un moto dell'appetito riguardante il particolare, una volta che il suo giudizio particolare è stato corrotto da un abito o da una passione.

Chi p. es. commette fornicazione scegliendo tale atto come suo bene in quell'istante, ha un giudizio sbagliato sul fatto particolare, ma conserva in universale una convinzione vera secondo la fede, cioè che la fornicazione è un peccato mortale.

E così può capitare che uno, pur ritenendo in universale il vero giudizio della fede, cioè che nella Chiesa c'è la remissione dei peccati, subisca un moto di disperazione persuadendosi, per una corruzione del giudizio sul particolare, che per lui in quello stato non c'è speranza di perdono.

Ed è così che è possibile la disperazione, senza che venga meno la fede, come pure anche altri peccati mortali.

Analisi delle obiezioni:

1. Per eliminare un effetto non è necessario togliere la causa prima, ma basta togliere la causa seconda.

Si può quindi eliminare il moto della speranza non solo togliendo il giudizio della fede nella sua universalità, che è come la causa prima rispetto alla certezza della speranza, ma anche togliendo il giudizio particolare, che ne è come la causa seconda.

2. Uno sarebbe incredulo se pensasse in universale che la misericordia di Dio non è infinita.

Ma chi si dispera non pensa questo, bensì solo che lui in quello stato, e per quella particolare disposizione, non può sperare nella divina misericordia.

3. Si risponde anche qui che i Novaziani negano in generale che nella Chiesa si compia la remissione dei peccati.

Indice