Summa Teologica - II-II

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Articolo 6 - Se uno sia tenuto a fare l'elemosina con il suo necessario

Infra, q. 117, a. 1, ad 2; In 4 Sent., d. 15, q. 2, a. 4, sol. 1

Pare che uno non sia tenuto a fare l'elemosina con il suo necessario.

Infatti:

1. L'ordine della carità non va rispettato meno nel campo della beneficenza che in quello dell'affetto interiore.

Ora, chi nell'agire inverte l'ordine della carità commette peccato: poiché l'ordine della carità è nel precetto.

Siccome dunque ciascuno è tenuto ad amare se stesso più del prossimo, pare che pecchi se toglie a se stesso il necessario per darlo ad altri.

2. Chi regala cose che a lui sono necessarie è un dissipatore delle proprie sostanze: il che è proprio del prodigo, come insegna Aristotele [ Ethic. 4,1 ].

Ora, nessun'opera viziosa è da compiersi.

Quindi non si deve fare l'elemosina col proprio necessario.

3.L'Apostolo [ 1 Tm 5,8 ] insegna: « Se qualcuno non si prende cura dei suoi cari, soprattutto di quelli della sua famiglia, costui ha rinnegato la fede, ed è peggiore di un infedele ».

Ma dando via ciò che è necessario a se stessi o ai propri cari uno compromette la cura che deve avere di se stesso e dei suoi.

Perciò chiunque fa l'elemosina con ciò che gli è necessario pecca gravemente.

In contrario:

Il Signore [ Mt 19,21 ] ha detto: « Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi e dallo ai poveri ».

Ora, chi dà ai poveri tutto ciò che possiede non dà solo il superfluo, ma anche il necessario.

Quindi uno può fare l'elemosina anche col necessario.

Dimostrazione:

Il necessario può essere di due specie.

Primo, può trattarsi di un bene senza di cui un dato essere non può sussistere.

Ora, dare l'elemosina con tale necessario è assolutamente proibito: p. es. nel caso in cui uno, trovandosi in necessità, avesse appena di che sostentare se stesso e i propri figli, o altre persone a lui affidate.

Infatti dare l'elemosina con questo necessario equivale a togliere la vita a se stesso e ai propri cari.

- A meno che non si tratti forse del caso in cui, togliendolo a se stesso, uno lo offra a una persona qualificata che è di sostegno alla Chiesa o alla patria: poiché per la salvezza di una tale persona sarebbe lodevole che uno esponesse se stesso e i suoi al pericolo di morte, dovendo il bene comune essere preferito al bene proprio.

Secondo, un bene può essere necessario nel senso che senza di esso non è possibile vivere secondo la condizione o lo stato della propria persona, o delle persone affidate alle proprie cure.

Però i limiti di questo necessario non sono qualcosa di rigidamente definito: poiché con l'aggiunta di molti beni non si può giudicare senz'altro di essere al di là di tale necessario; e con la sottrazione di molte cose rimane ancora possibile vivere secondo il proprio stato.

Ora, fare l'elemosina con questi beni è cosa buona: ma non è di precetto, bensì di consiglio.

Ci sarebbe invece un disordine se uno elargisse dei suoi beni tanto da non poter vivere, con ciò che rimane, secondo il proprio stato, o da non poter compiere i propri doveri: infatti nessuno deve vivere in maniera indecorosa.

Però qui vanno fatte tre eccezioni.

La prima si avvera quando uno muta il proprio stato entrando in religione.

Infatti allora elargendo tutto per amore di Cristo uno compie un'opera di perfezione, passando a un altro stato.

- Secondo, quando i beni di cui uno si priva, sebbene necessari alla sua condizione di vita, possono essere facilmente risarciti senza gravi inconvenienti.

- Terzo, quando capitasse l'estrema necessità di una qualche persona privata, o anche una grande necessità della patria.

In questi casi infatti uno fa bene a trascurare le esigenze del proprio stato per far fronte a una necessità più grave.

E così è facile anche rispondere alle obiezioni.

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