Summa Teologica - II-II

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Articolo 5 - Se siano convenientemente elencate le figlie della vanagloria

Supra, q. 21, a. 4; q. 37, a. 2; q. 38, a. 2; q. 105, a. 1, ad 2; q. 112, a. 1, ad 2; infra, q. 138, a. 2, ad 1; De Malo, q. 9, a. 3

Pare che non sia giusto affermare che le figlie della vanagloria sono la disobbedienza, la millanteria, l'ipocrisia, la contesa, la caparbietà, la discordia, la pretesa di novità.

Infatti:

1. La millanteria, secondo S. Gregorio [ Mor. 23,6; 31,45 ], è tra le specie della superbia.

Ora, non è la superbia che nasce dalla vanagloria, come nota lo stesso autore [ Mor. 31,45 ], ma piuttosto è il contrario.

Quindi la millanteria non va inclusa tra le figlie della vanagloria.

2. Le contese e le discordie nascono specialmente dall'ira.

Ma l'ira è un vizio capitale distinto dalla vanagloria.

Quindi tali vizi non nascono dalla vanagloria.

3. Il Crisostomo [ In Mt hom. 71 ] afferma che « la vanagloria è sempre cattiva, ma specialmente nella filantropia », cioè nelle opere di misericordia.

Ora, queste non sono cose nuove, ma consuete tra gli uomini.

Quindi non va specificata tra le figlie della vanagloria la pretesa di novità.

In contrario:

S. Gregorio [ Mor. 31,45 ] assegna alla vanagloria le sette figlie predette.

Dimostrazione:

Le figlie di un vizio capitale, come si è già visto [ q. 118, a. 8 ], sono quei vizi che sono fatti per essere ordinati al suo fine.

Ora, stando alle cose già dette [ aa. 1,4 ], il fine della vanagloria è la manifestazione della propria eccellenza.

E ad essa l'uomo può tendere in due modi.

Primo, direttamente: o con le parole, e allora abbiamo la millanteria, o con i fatti, e allora, nel caso che questi siano veri e degni di una certa ammirazione, abbiamo la pretesa di novità, poiché la novità è fatta per attirare lo sguardo degli uomini, mentre se sono finti abbiamo l'ipocrisia.

- Secondo, uno può cercare la manifestazione della propria eccellenza indirettamente, mostrando di non essere da meno di un altro.

E ciò può farsi in quattro modi.

Primo, rispetto all'intelligenza: e allora abbiamo la pertinacia, con la quale uno si appoggia al proprio parere rifiutando di accettare un parere migliore.

Secondo, rispetto alla volontà: e allora abbiamo la discordia, quando non si vuole abbandonare il proprio volere per accordarsi con altri.

Terzo, rispetto alle parole: e allora abbiamo la contesa, quando uno litiga ad alta voce con un altro.

Quarto rispetto ai fatti: e allora abbiamo la disobbedienza, quando uno non vuole eseguire il comando dei superiori.

Analisi delle obiezioni:

1. La millanteria, come si è già spiegato [ q. 112, a. 1, ad 2 ], è tra le specie della superbia per la causa interiore che la produce, ossia per l'arroganza.

In se stessa invece la millanteria esterna è ordinata talora al guadagno, ma più spesso alla gloria e all'onore, come dice Aristotele [ Ethic. 4,7 ].

Ed è così che nasce dalla vanagloria.

2. L'ira non causa la discordia e la contesa se non in quanto è accompagnata dalla vanagloria: cioè per il fatto che uno considera onorifico per sé il non cedere al volere o alle parole di un altro.

3. La vanagloria nell'esercizio della beneficenza è riprovata per la mancanza di carità che si rivela in chi preferisce la vanagloria al bene del prossimo.

Non si rimprovera invece qualcuno quasi che nel fare l'elemosina presuma di fare qualcosa di nuovo.

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