Summa Teologica - II-II

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Articolo 1 - Se la mollezza si contrapponga alla perseveranza

Infra, a. 2; In 7 Ethic., lect. 7

Pare che la mollezza non si contrapponga alla perseveranza.

Infatti:

1. Nel commentare quel testo di S. Paolo [ 1 Cor 6,9s ]: « Né adulteri, né molli, né sodomiti », ecc., la Glossa [ interlin. ] spiega: « molli, cioè passivi» , ossia effeminati.

Ma ciò si contrappone alla castità.

Quindi la mollezza non è un vizio contrario alla perseveranza.

2. Il Filosofo [ Ethic. 7,7 ] scrive che « la delicatezza è una specie di mollezza ».

Ora, la delicatezza rientra nell'intemperanza.

Quindi la mollezza non si contrappone alla perseveranza, ma piuttosto all'intemperanza.

3. Il Filosofo [ ib. ] aggiunge che « è propria della mollezza la passione per il gioco ».

Ma tale esagerazione si contrappone all'eutrapelia, che è una virtù avente per oggetto « i piaceri del gioco » [ Ethic. 4,8 ].

Quindi la mollezza non si contrappone alla perseveranza.

In contrario:

Aristotele [ Ethic. 7,7 ] ha scritto che « al molle si contrappone l'uomo perseverante ».

Dimostrazione:

Come si è detto sopra [ q. 137, aa. 1,2 ], il valore della perseveranza consiste nel fatto che non ci si allontana dal bene nonostante la sopportazione prolungata di cose difficili e faticose, al che si contrappone direttamente il fatto che uno facilmente abbandoni il bene per qualche obiezioni a cui non si sente di resistere.

E ciò costituisce la mollezza: infatti molle è quanto cede facilmente al tatto.

Ora, una cosa non è considerata molle perché cede a un urto violento: infatti anche le muraglie cedono sotto i colpi delle macchine da guerra.

Quindi chi cede a delle pressioni molto gravi non è considerato un molle: per cui il Filosofo [ l. cit. ] scrive che « se uno è vinto da piaceri o da dolori forti e violenti non c'è da meravigliarsi, bensì da scusare, se tenta di resistere ».

D'altra parte è risaputo che il timore dei pericoli è più pressante della brama dei piaceri; Cicerone [ De off. 1,20 ] infatti afferma: « Non è credibile che sia vinto dal piacere chi non si lascia vincere dal timore; e che sia vinto dalle delizie chi è rimasto vincitore nei travagli ».

Però l'attrattiva del piacere è più forte della ripulsa esercitata dalla sua privazione: poiché la mancanza del piacere è una pura negazione.

Perciò, secondo il Filosofo [ l. cit. ], molle è propriamente colui che abbandona il bene per il dolore causato dalla mancanza di qualche soddisfazione, cedendo a un debole impulso.

Analisi delle obiezioni:

1. La mollezza di cui abbiamo parlato può essere prodotta da due cause.

Primo, dall'abitudine: quando infatti uno è abituato ai piaceri, difficilmente sa sopportarne la privazione.

Secondo, dalle predisposizioni naturali: poiché alcuni sono di animo incostante per la debolezza della loro complessione, per cui il Filosofo [ l. cit. ] li paragona alle donne.

Perciò coloro che sono impressionabili come le donne sono denominati molli, cioè effeminati.

2. Al piacere fisico si contrappone la fatica: ed è per questo che le imprese faticose ostacolano tanto i piaceri.

Ora, quelli che non sanno resistere alla fatica e a quanto può menomare il piacere sono detti delicati; si legge infatti nel Deuteronomio [ Dt 28,56 ]: « La donna più delicata, che per la sua mollezza non si sarebbe cimentata a posare in terra la pianta del piede », ecc.

Perciò la delicatezza è una specie di mollezza.

Propriamente però la mollezza teme la mancanza dei piaceri, mentre la delicatezza fugge le cause stesse che impediscono il piacere, cioè la fatica e altre cose del genere.

3. Nel gioco si possono considerare due cose.

Primo, il divertimento: e da questo lato la passione del gioco si contrappone all'eutrapelia.

Secondo, si può considerare il rilassamento, o lo svago, che si contrappone alla fatica.

Come quindi alla mollezza spetta la ripugnanza a sopportare la fatica, così appartiene ad essa anche la brama eccessiva dello svago dei giochi, o di qualunque altro tipo di svago.

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