Summa Teologica - II-II

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Articolo 4 - Se la temperanza abbia per oggetto solo le concupiscenze e i piaceri del tatto

I-II, q. 60, a. 5; In 3 Ethic., lectt. 19, 20

Pare che la temperanza non abbia per oggetto solo le concupiscenze e i piaceri del tatto.

Infatti:

1. S. Agostino [ De mor Eccl. 1,19 ] scrive che « il compito della temperanza è di reprimere e di sedare le concupiscenze, dalle quali siamo attratti verso le cose che ci allontanano dalla legge di Dio e dalle opere della sua bontà ».

E aggiunge poco dopo che « è ufficio della temperanza disprezzare tutti i piaceri corporei e la gloria mondana ».

Ora, ci allontanano dalla legge di Dio non soltanto le concupiscenze dei piaceri del tatto, ma anche il desiderio degli altri piaceri dei sensi, che pure rientrano nei piaceri corporali; come pure il desiderio delle ricchezze e della gloria mondana, per cui S. Paolo [ 1 Tm 6,10 ] afferma che « l'attaccamento al danaro è la radice di tutti i mali ».

Quindi la temperanza non ha per oggetto le concupiscenze relative ai piaceri del tatto.

2. Il Filosofo [ Ethic. 4,3 ] insegna che « chi è degno di cose piccole e se ne considera degno, è moderato, ma non magnanimo ».

Ora gli onori, grandi o piccoli, di cui egli parla, non sono piacevoli al tatto, ma secondo la conoscenza dell'anima.

Quindi la temperanza non ha per oggetto la sola concupiscenza relativa ai piaceri del tatto.

3. Le cose che appartengono a un unico genere formano per un unico motivo la materia di una data virtù.

Ma tutti i piaceri dei sensi appartengono a un unico genere.

Quindi in ugual modo appartengono alla temperanza.

4. I piaceri spirituali sono più grandi di quelli corporali, come si è detto sopra [ I-II, q. 31, a. 5 ] nel trattato sulle passioni.

Ora, talvolta per il desiderio dei piaceri spirituali alcuni si allontanano dalla legge di Dio e dalla virtù: come ad es. per la curiosità del sapere.

Infatti il demonio promise al primo uomo la scienza, dicendo [ Gen 3,5 ]: « Diventerete come Dio, conoscendo il bene e il male ».

Quindi la temperanza non riguarda soltanto i piaceri del tatto.

5. Se i piaceri del tatto fossero la materia propria della temperanza, bisognerebbe che la temperanza si occupasse di tutti questi piaceri.

Ma ciò non avviene: poiché essa non include, ad es., i piaceri del gioco.

Quindi i piaceri del tatto non sono la materia propria della temperanza.

In contrario:

Il Filosofo [ Ethic. 3,10 ] insegna che la temperanza riguarda propriamente le concupiscenze e i piaceri del tatto.

Dimostrazione:

Come si è già detto [ a. prec. ], la temperanza ha per oggetto la concupiscenza e i piaceri, come la fortezza ha per oggetto il timore e l'audacia.

Ora, la fortezza ha per oggetto i timori e le audacie relativi ai più grandi mali, che minacciano la distruzione della natura, ossia i pericoli di morte.

Quindi anche la temperanza deve avere per oggetto le concupiscenze o desideri dei più grandi piaceri.

E poiché il piacere accompagna le operazioni connaturali, ne segue che i piaceri sono tanto più intensi quanto più naturali sono le operazioni che essi accompagnano.

Ora, le operazioni che per gli animali sono più secondo natura sono quelle con cui viene conservata la natura dell'individuo mediante il cibo e la bevanda, e la natura della specie mediante l'unione del maschio con la femmina.

Quindi la temperanza ha propriamente per oggetto i piaceri relativi ai cibi, alle bevande e alla sessualità.

Ma questi piaceri dipendono dal senso del tatto.

Per cui rimane che la temperanza riguarda i piaceri del tatto.

Analisi delle obiezioni:

1. S. Agostino in quel passo prende il termine temperanza non in quanto indica una virtù speciale con una materia determinata, ma in quanto indica la moderazione di ordine razionale in qualsiasi materia, che è una condizione generale di qualsiasi virtù.

- Si potrebbe però anche rispondere che chi è capace di tenere a freno i piaceri più grandi, a maggior ragione può frenare quelli minori.

Perciò il compito principale e proprio della temperanza è di moderare i desideri relativi ai piaceri del tatto, mentre è suo compito secondario moderare le altre concupiscenze.

2. Il Filosofo nel passo citato applica il termine temperanza alla moderazione relativa alle cose esterne, in quanto cioè uno ha di mira cose a lui proporzionate, e non invece alla moderazione dei sentimenti dell'anima, che sono l'oggetto della virtù della temperanza.

3. I piaceri degli altri sensi si producono nell'uomo diversamente che negli altri animali.

Infatti negli altri animali gli altri sensi non producono un piacere se non in ordine alle sensazioni del tatto: come il leone sente piacere nell'avvistare un cervo, o nel sentirne la voce, a motivo del pasto imminente.

Invece l'uomo sente piacere nelle sensazioni degli altri sensi non solo per questo motivo, ma anche per la loro intrinseca bellezza.

E così la temperanza ha per oggetto i piaceri degli altri sensi, in quanto si riferiscono ai piaceri del tatto, non in maniera principale, ma indirettamente.

Quando invece l'oggetto degli altri sensi è piacevole per la sua bellezza intrinseca, come quando uno si diletta della bella armonia di un suono, allora questo piacere non riguarda la conservazione della natura.

Per cui queste sensazioni non hanno una centralità tale da farle appartenere per antonomasia alla temperanza.

4. Sebbene i piaceri spirituali per la loro natura siano più grandi di quelli corporali, tuttavia non sono percepiti dai sensi con la stessa evidenza.

Per cui non colpiscono con la stessa intensità l'appetito sensitivo, contro i cui impulsi le virtù morali salvaguardano il bene di ordine razionale.

Oppure si può rispondere che i piaceri spirituali sono per loro natura conformi alla ragione.

Per cui non hanno bisogno di un freno se non in casi particolari, cioè quando un piacere spirituale distoglie da un piacere superiore e più doveroso.

5. Non tutti i piaceri del tatto servono alla conservazione della natura.

Perciò non segue che la temperanza abbia per oggetto tutti i piaceri del tatto.

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