Summa Teologica - II-II

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Articolo 1 - Se la vergogna sia una virtù

III, q. 85, a. 1, ad 2; In 3 Sent., d. 23, q. 1, a. 3, sol. 2, ad 2; In 4 Sent., d. 14, q. 1, a. 1, sol. 2, ad 5; d. 15, q. 2, a. 1, sol. 1, ad 4; De Verit., q. 26, a. 6, ad 16; In 4 Ethic., lect. 17 Ad primum sic proceditur. Videtur quod verecundia sit virtus.

Pare che la vergogna sia una virtù.

Infatti:

1. « Stare nel giusto mezzo secondo la determinazione della ragione » è proprio della virtù: il che appare evidente dalla definizione aristotelica di quest'ultima [ Ethic. 2,6 ].

Ora la vergogna, afferma Aristotele [ ib., c. 7 ], consiste in tale giusto mezzo.

Quindi la vergogna è una virtù.

2. Ogni atteggiamento lodevole o è una virtù o appartiene a una virtù.

Ora, la vergogna è qualcosa di lodevole.

Essa però non è la parte di qualche virtù.

Infatti non è una parte della prudenza: poiché non risiede nella ragione, bensì nell'appetito.

Non è una parte della giustizia: poiché la vergogna implica una passione, mentre la giustizia non riguarda le passioni.

Parimenti non è una parte della fortezza: poiché la fortezza sta nel resistere o nell'affrontare, mentre la vergogna consiste nel fuggire qualcosa.

E neppure è una parte della temperanza: poiché la temperanza ha per oggetto i desideri, o concupiscenze, mentre la vergogna è un certo timore, come notano il Filosofo [ Ethic. 4,9 ] e il Damasceno [ De fide orth. 2,15 ].

Perciò la vergogna non può essere che una virtù.

3. L'onestà, come dice Cicerone [ De off. 1,27 ], si identifica con la virtù.

Ma la vergogna è un elemento dell'onestà: infatti S. Ambrogio [ De off. 1,43 ] scrive che la vergogna « è compagna e familiare della pace dell'anima, e fuggendo l'ostinazione e ogni esagerazione ama la sobrietà, fomenta l'onestà e rispetta le convenienze ».

Quindi la vergogna è una virtù.

4. Un vizio si contrappone sempre a qualche virtù.

Ora, ci sono dei vizi che si contrappongono alla vergogna, cioè la spudoratezza e la vergogna esagerata.

Perciò la vergogna è una virtù.

5. Secondo il Filosofo [ Ethic. 2,1 ], « dagli atti vengono generati degli abiti consimili ».

Ora, la vergogna implica un atto lodevole.

Quindi dalla ripetizione di tali atti viene causato un abito.

Ma l'abito di compiere azioni lodevoli è una virtù, come scrive Aristotele [ Ethic. 1, cc. 12,13 ].

Quindi la vergogna è una virtù.

In contrario:

Il Filosofo [ Ethic. 2,7; 4,9 ] insegna che la vergogna non è una virtù.

Dimostrazione:

Il termine virtù può essere preso in due sensi: in senso proprio e in senso lato.

Propriamente « la virtù è una certa perfezione », come dice Aristotele [ Phys. 7,3 ].

Per cui tutto ciò che è incompatibile con la perfezione, anche se è buono, non raggiunge la natura di virtù.

Ora, la vergogna è incompatibile con la perfezione.

Essa infatti è il timore di cose indecenti, e quindi vituperevoli: poiché secondo il Damasceno [ l. cit. ] « la vergogna è il timore di un atto turpe ».

Ma come la speranza ha per oggetto il bene possibile e arduo, così il timore ha per oggetto un male possibile e arduo, secondo le spiegazioni date nel trattato sulle passioni [ I-II, q. 41, a. 2; q. 42, a. 3 ].

Ora, per chi è perfetto nella virtù nulla di vituperevole e di indecente può considerarsi un male possibile e arduo, cioè difficile da evitarsi; e inoltre costui non compie nulla di indecente, per cui debba temere la vergogna.

Per cui propriamente la vergogna non è una virtù, non raggiungendone la perfezione.

In senso lato però si denomina virtù tutto ciò che di buono si trova negli atti umani e nelle passioni.

E in questo senso si dice talvolta che la vergogna è una virtù, trattandosi di una certa passione lodevole.

Analisi delle obiezioni:

1. « Lo stare nel giusto mezzo » non basta per costituire la virtù, sebbene sia un elemento della sua definizione, ma si richiede inoltre un « abito elettivo » [ Arist. l. cit. nell'ob. ], che operi cioè deliberatamente.

Ora, la vergogna non indica un abito, ma una passione.

E i suoi moti non dipendono da una deliberazione, ma da un impulso passionale.

Quindi essa non raggiunge la natura di virtù.

2. La vergogna, come si è detto [ nel corpo ], è il timore dell'indecenza e del vituperio.

Ora, sopra [ q. 142, a. 4 ] abbiamo visto che il vizio dell'intemperanza è quello più indecente e vituperevole.

Perciò la vergogna riguarda la temperanza più che ogni altra virtù per il motivo, che è l'indecenza, e non per la specie della passione, che è il timore.

Tuttavia nella misura in cui i vizi contrari alle altre virtù sono turpi e riprovevoli, la vergogna può rientrare anche in altre virtù.

3. La vergogna favorisce l'onestà togliendo quanto potrebbe impedirla; essa però non raggiunge la perfezione dell'onestà.

4. Ogni difetto basta a causare un vizio, ma non ogni bene basta a formare una virtù.

Per cui non è detto che tutto ciò che si contrappone direttamente a un vizio sia una virtù.

- Ogni vizio invece si contrappone per la sua origine a qualche virtù.

E così la spudoratezza, derivando da un amore disordinato per cose indecorose, si contrappone alla temperanza.

5. Con la ripetizione dei suoi atti la vergogna causa l'abito della virtù acquisita che fa evitare gli atti indecenti oggetto della vergogna stessa; non produce però altri moti di vergogna.

Tuttavia in forza dell'abito virtuoso acquisito uno viene disposto a vergognarsi maggiormente qualora ce ne fosse il motivo.

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