Summa Teologica - III

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Articolo 3 - Se la penitenza restituisca l'uomo alla dignità precedente

In 3 Sent., d. 31, q. 1, a. 4, sol. 1, ad 2; In 4 Sent., d. 14, q. 1, a. 5, sol. 1, ad 3; d. 19, q. 1, a. 3, sol. 2, ad 2; d. 37, q. 2, a. 2, ad 4

Pare che la penitenza non restituisca l'uomo alla dignità precedente.

Infatti:

1. A commento delle parole di Amos [ Am 5,1s ]: « È caduta la vergine d'Israele », la Glossa [ ord. ] spiega: « Il profeta non nega che essa possa risorgere, ma che possa risorgere vergine: poiché la pecora, una volta smarrita, anche se viene riportata sulle spalle del Pastore non ha mai tanta gloria quanta ne ha quella che non si smarrì mai ».

Quindi con la penitenza non si può ricuperare la dignità precedente.

2. S. Girolamo [ Decr. di Graz. 1,50,30 ] afferma: « Coloro che non hanno custodito la dignità della loro vita divina, si accontentino di salvare la loro anima: poiché tornare al grado di prima è una cosa difficile ».

- E il Papa Innocenzo [ ib., can. 60 ] scrive che « i canoni di Nicea escludono i penitenti anche dagli uffici più umili dei chierici ».

Perciò con la penitenza l'uomo non può ricuperare la dignità che aveva in precedenza.

3. Prima del peccato uno ha la possibilità di salire a un grado superiore.

Ma ciò non viene concesso al penitente dopo il peccato, poiché in Ezechiele [ Ez 44,10.13 ] si legge: « I leviti che si sono allontanati da me non si avvicineranno più a me per servirmi come sacerdoti ».

Da cui la disposizione del Concilio di Lerida inserita nei canoni del Decreto [ l. cit. ]: « Coloro che addetti al servizio dell'altare hanno ceduto d'improvviso alla fragilità della carne, e per la misericordia di Dio se ne sono pentiti, riprendano i loro posti nelle funzioni sacre, però non vengano promossi a uffici superiori ».

Quindi la penitenza non restituisce l'uomo alla sua dignità precedente.

In contrario:

Nella medesima distinzione del Decreto [ ib. can. 16 ] viene riferito il seguente testo di S. Gregorio: « Dopo una degna soddisfazione, crediamo che uno possa riprendere la sua dignità ».

E nel Concilio di Agde [ can. 2 ] fu decretato: « I chierici contumaci, per quanto la loro dignità lo permette, devono essere puniti dai loro vescovi: cosicché dopo essere stati corretti dalla penitenza rientrino in possesso del loro grado e della loro dignità ».

Dimostrazione:

L'uomo col peccato viene a perdere una duplice dignità: una presso Dio, l'altra presso la Chiesa.

Presso Dio egli perde una duplice dignità.

Una principale, per cui « era considerato tra i figli di Dio » [ Sap 5,5 ] a motivo della grazia.

E questa dignità viene recuperata con la penitenza.

Al che si accenna nella parabola evangelica del figliol prodigo [ Lc 15,22 ], al quale dopo il pentimento il padre comanda che vengano restituiti « il vestito più bello, l'anello e i calzari ».

Perde poi una dignità secondaria, cioè l'innocenza: della quale nella parabola evangelica ricordata si gloriava il figlio maggiore con quelle parole [ Lc 15,29 ]: « Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando ».

E questa dignità il penitente non può ricuperarla.

-Talora però egli ricupera qualcosa di più grande.

Poiché, come scrive S. Gregorio [ In Evang. hom. 34 ], « coloro che considerano le loro defezioni da Dio, ricompensano con i guadagni successivi le perdite precedenti.

Quindi di essi si fa più festa in cielo: poiché anche il comandante, nel combattimento, ama quel soldato che, tornato indietro dopo aver tentato la fuga, incalza coraggiosamente il nemico, più di quello che non ha mai voltato le spalle al nemico, ma nemmeno ha compiuto qualche grande atto di coraggio ».

Inoltre col peccato un uomo può perdere la sua dignità presso la Chiesa, rendendosi indegno di esercitare quei compiti che sono inerenti alla dignità ecclesiastica.

E questa è proibito riacquistarla in determinati casi.

Primo, poiché alcuni non fanno penitenza.

Da cui le parole di S. Isidoro, riferite dal Decreto [ di Graz. 1,50,28 ]: « I canoni prescrivono di riabilitare nel loro grado gerarchico coloro che hanno soddisfatto per le loro colpe, e le hanno confessate.

Coloro invece che non si sono emendati dal peccato non devono ottenere né il loro grado, né la grazia della comunione ecclesiastica ».

- Secondo, poiché alcuni ne fanno penitenza con poco impegno.

Da cui le parole dei Canoni [ ib., can. 29 ]: « Quando nei chierici penitenti non si riscontra né la compunzione dell'umiltà, né l'assiduità nella preghiera, nei digiuni o nelle buone letture, possiamo arguire con quanta negligenza si comporterebbero se tornassero alle loro dignità precedenti ».

- Terzo, nel caso che uno abbia commesso un peccato a cui è annessa qualche irregolarità.

Da cui il canone del Concilio tenuto dal Papa Martino [ ib., can. 8 ]: « Se uno ha sposato una vedova o una donna lasciata da altri, non venga ammesso nel clero.

E se vi si è intromesso, venga espulso.

E lo stesso si faccia qualora dopo il battesimo uno si sia reso responsabile di omicidio, o col fatto, o col comando, o col consiglio, anche se per difesa ».

Ma in quest'ultimo caso l'esclusione non è dovuta al peccato, bensì all'irregolarità.

- Quarto, a motivo dello scandalo.

Per cui nella stessa distinzione del Decreto [ ib., can. 34 ] si leggono le seguenti espressioni di Rabano Mauro: « Coloro che pubblicamente sono stati convinti di spergiuro, di furto, di fornicazione o di altri crimini, vengano degradati a norma dei canoni: poiché è uno scandalo per il popolo di Dio avere sopra di sé tali persone.

A coloro invece che confessano al sacerdote peccati di questo genere da loro commessi segretamente, se sono disposti a farne penitenza mediante digiuni, elemosine, veglie e preghiere, si deve promettere la speranza del perdono per la misericordia di Dio ».

Nei Canoni [ Decretales 1,11,17 ] inoltre si legge: « Se i crimini non sono stati provati con una sentenza giudiziaria, o non sono altrimenti notori, all'infuori del caso di omicidio non possono impedire, dopo la penitenza, di ricevere gli ordini o di esercitarli se già ricevuti ».

Analisi delle obiezioni:

1. La verginità, alla pari dell'innocenza, è irreparabile, rientrando nella dignità secondaria di fronte a Dio.

2. S. Girolamo nelle parole riferite non dice che è impossibile, ma che è difficile che uno dopo il peccato riacquisti il grado di prima: poiché ciò non viene concesso se non a chi compie una perfetta penitenza, come si è visto [ nel corpo ].

Alle prescrizioni dei Canoni poi che paiono proibire questa riabilitazione, S. Agostino [ Epist. 185,10 ] fa il seguente commento: « La disposizione presa dalla Chiesa di vietare di ricevere il clericato, di tornare ad esso o di rimanervi dopo che si è espiato un crimine con la penitenza, non è dovuta alla mancanza di fiducia nel perdono, ma al rigore della disciplina.

Altrimenti si metterebbe in discussione il potere delle chiavi dato alla Chiesa con quelle parole: "Qualunque cosa scioglierete sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli" ».

E poco dopo aggiunge: « Infatti anche il santo re Davide fece penitenza dei suoi delitti, e tuttavia rimase nella sua dignità.

E S. Pietro, dopo aver versato amarissime lacrime ed essersi pentito di aver rinnegato il Signore, rimase pur sempre Apostolo.

Tuttavia non si deve reputare inutile il rigore degli antichi i quali, senza togliere nulla alla certezza della salvezza, aggiunsero qualcosa a vantaggio dell'umiltà: sapendo essi per esperienza, così io penso, che alcuni fingono delle penitenze per il miraggio degli onori ».

3. Le norme ricordate si riferiscono solo a coloro che sono stati assoggettati a una penitenza pubblica, e quindi non possono essere promossi a un grado superiore.

Infatti S. Pietro fu costituito pastore del gregge di Cristo dopo il suo rinnegamento, come riferisce S. Giovanni [ Gv 21,15ss ].

Per cui il Crisostomo [ In Ioh. hom. 88 ] scrive che « Pietro dopo il rinnegamento e il pentimento mostrò di avere una maggiore confidenza verso Cristo.

Egli infatti, che nell'ultima cena non aveva osato interrogarlo, ma aveva incaricato di ciò Giovanni, dopo aver ricevuto la presidenza sui fratelli non solo non incarica un altro di interrogarlo su quanto riguardava lui, ma interroga direttamente il Maestro su ciò che riguardava Giovanni ».

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