Pietro Bagna

Dal "Campidoglio" al monte Bracco

Il Catechista Bagna nacque a Torino il 3 aprile 1922, primogenito di tre fratelli: Pietro, Teresio e Vittorio.

In famiglia, come in gran parte della piccola borghesia piemontese, dominava un senso molto vivo della dignità e della riservatezza personali che avrebbe segnato profondamente la mentalità del bambino.

Il padre Annibale, uomo di grande carattere, era un calzolaio rinomato per la perizia artigianale ed ebbe l'onore di ricevere qualche commessa perfino dalle principesse di Casa Savoia.

Aveva il laboratorio dentro casa, in via Balme n. 7, dove produceva scarpette per ballerine molto apprezzate per la qualità delle rifiniture.

La madre, Francesca Gagliardi, di indole dolce e riservata, aveva trasmesso al figlio Piero quella particolare delicatezza d'animo che emergeva in tutti gli atti esteriori e nel modo, fine e garbato, di rapportarsi con vicini di casa e conoscenti.

Le condizioni familiari, come è stato rilevato nei profili di altri grandi Catechisti, dal punto di vista economico non si potevano definire floride.

Del resto i Bagna abitavano in zona Campidoglio che certo non brillava per l'alto numero dei benestanti.

Perciò il primogenito, di temperamento mite e sensibile, si dovette misurare ben presto con le durezze della vita, che lasciarono nel suo animo un desiderio profondo di pace interiore.

Piero, fin dalla più tenera età, avvertì una fortissima attrazione per la dimensione religiosa.

Questa lo spinse alla ricerca di una valida guida spirituale che, appena adolescente, trovò in Monsignor Silvio Murzone.

Il sacerdote operava presso la Casa di San Pietro Vallemina ( Pinerolo ) dove, tra i 14 e i 15 anni, Piero ebbe modo di frequentare la locale Colonia estiva intitolata a Pier Giorgio Frassati.

Già allora si occupava di tenere a bada i più piccoli, dando prova di una spiccata predisposizione all'educazione dei ragazzi.

Su tutto, però, prevaleva un forte desiderio di consolazioni spirituali che mal sopportava le prolungate rinunce ai colloqui con Dio.

I fratelli non hanno scordato le lunghe ore di preghiera e meditazione che Piero, nella cameretta condivisa dai tre ragazzi, strappava al tempo libero e al sonno: " Pregava molto, perfino di notte; avendo una camera da letto in comune, talvolta mi svegliavo e lo trovavo inginocchiato al pavimento." ( Vittorio Bagna )

" Tutta la parte adolescenziale ha avuto un carattere mistico. Piero è stato un mistico puro. " ( Teresio Bagna )

Il padre non sembrava condividere gli slanci mistici del figlio.

Si verificò persino qualche piccolo screzio.

Piero aveva 14 anni quando il genitore, dopo averlo sorpreso a sistemare una folta schiera di immaginette sacre sul comodino, lo rimproverò aspramente per quello che riteneva essere un segno di "debolezza", spazzando via, con brusca energia, il piccolo altarino domestico improvvisato dal figlio: questi non poté fare altro che scoppiare a piangere, sentendosi umiliato da un gesto di disapprovazione che lo feriva negli affetti più cari.

Nonostante queste piccole incomprensioni familiari, il rendimento scolastico si manteneva più che soddisfacente, permettendo a Piero di distinguersi tra gli allievi delle Scuole Magistrali frequentate presso la "Domenico Berti" di piazza Bernini ( la sezione maschile della scuola venne poi separata e spostata in via Parma ).

Le professoresse erano molto impressionate dalla sua dedizione e dal suo impegno; in particolare l'insegnante di italiano elogiava apertamente la sua applicazione agli studi e la portava come esempio al fratello Teresio.

Bagna, fin da ragazzo, non si limitava alla pratica assidua della preghiera e dell'Eucaristia, ma partecipava attivamente alla vita comunitaria di S. Alfonso, la parrocchia del suo quartiere, frequentando la locale sezione giovanile dell'Azione Cattolica, la Legion Tebea, così chiamata in onore dei legionari romani, che, sotto la guida di S. Maurizio, erano stati martirizzati nel 285 d.C., presso l'attuale S. Moritz in Svizzera.

Negli ambienti dell'Azione Cattolica, intorno ai 16 anni, conobbe anche Michele Banchio, oggi anziano sacerdote, che a distanza di tanti anni non perde occasione per esaltare le virtù del carissimo amico.

Pur osservando uno stile di vita pio e riservato, il "legionario" di via Balme si esponeva al prossimo con grande fiducia, senza musonerie, né infingimenti, manifestando il vivo desiderio di difendere con forza e determinazione i propri ideali.

Un atteggiamento che talvolta può costare molto, in termini di sacrifici e delusioni.

Qualcosa del genere si verificò nel 1944, durante la guerra, quando, in uno slancio di generosità "patriottica" Piero, a dispetto di un carattere solitamente pacifico e mansueto, decise di partecipare insieme al fratello Teresio ad alcune azioni partigiane.

Per quaranta lunghi giorni i due Bagna militarono tra gli insorti, poi quando iniziarono i rastrellamenti, Piero decise di consegnarsi ai nazisti ( c'era il pericolo che, in assenza di risultati concreti, gli ufficiali germanici attaccassero la popolazione civile ).

Sarà Teresio a convincerlo a ritirarsi oltre le linee e a ragion veduta.

Infatti, i prigionieri fatti dai tedeschi in quell'occasione vennero tutti sistematicamente fucilati: in Val Pellice ci sono ancora oggi 35 lapidi a ricordare quel massacro.

I due fratelli, una volta tornati a Torino, si barricarono in casa per parecchi mesi.

Essi non rischiavano, infatti, una semplice reprimenda o l'invio ai campi di lavoro, ma la pena di morte che i tedeschi applicavano senza troppe distinzioni a quelli che definivano "banditi".

" L'esperienza della lotta partigiana, per quanto ci riguarda, si svolse così: eravamo da pochi giorni su in montagna, sopra Barge, quando scattò un improvviso rastrellamento delle SS tedesche.

Era successo questo: alcuni nostri "amici" partigiani avevano sorpreso in macchina un colonnello delle SS e lo avevano ucciso.

Potete immaginare la reazione dei tedeschi, che da Hitler avevano ricevuto disposizioni feroci per questo genere di casi.

Inviarono subito sulle nostre tracce duemila SS per il rastrellamento.

A quel punto noi ci mettemmo in fuga; dapprima sul Monte Bracco e poi da lì scendemmo in pianura per rientrare a Torino.

Siamo rimasti tappati in casa per parecchi mesi, fino alla fine della guerra.

Ce la siamo vista davvero brutta: se ci avessero scovato finivamo fucilati all'istante.

Inoltre non essendo compresi nell'elenco delle tessere annonarie e non potendo uscire di casa eravamo a corto anche di cibo.

Alcuni miei colleghi dell'Ispettorato si adeguarono alle disposizioni tedesche e furono deportati in Germania dove affrontarono un addestramento militare spietato: noi preferimmo darci alla macchia perché l'alternativa era quella di entrare nelle formazioni fasciste di Salò.

Comunque anche i tedeschi hanno vissuto dei momenti d'inferno: sia da parte dei partigiani che dei nazisti, non si risparmiavano colpi.

Piero spingeva più di me per la scelta partigiana, ma in seguito, sdegnato da tanto spargimento di sangue, divenne un pacifista convinto." ( Teresio Bagna )

Chi non l'ha vissuto in prima persona ha qualche difficoltà a comprendere lo stato d'animo di totale e disperante incertezza che imperava in Italia durante l'occupazione nazista.

La Repubblica di Salò governava su mandato di Hitler e, di fatto, era uno stato vassallo.

I giovani a suo tempo arruolati nell'ex Regio Esercito, dopo l'8 settembre si trovarono lacerati tra il giuramento prestato al Re, la fedeltà al vecchio alleato germanico e l'esigenza, non meno pressante, di "salvare la ghirba".

Intanto gli Alleati bombardavano senza sosta le città, seminando il terrore e spingendo intere famiglie a sfollare nei paesini di campagna.

Si viveva alla giornata, in un clima di snervante precarietà, in cui nulla, a cominciare dalla distribuzione del cibo era sicuro.

L'architetto Giuseppe Varaldo, ex presidente della Legion Tebea, conobbe Piero proprio in quegli anni e ci fornisce un quadro interessante di quelle che erano le principali preoccupazioni dei giovani del tempo.

" Lui abitava in via Balme 7. Io l'ho conosciuto durante la guerra, tra la fine del'42 e il settembre del '43, ma inizialmente fu solo una conoscenza molto superficiale.

Dopo la breve esperienza partigiana, Teresio e Piero si nascosero in casa per sfuggire ai rastrellamenti; in quei mesi un compagno di classe di Teresio, il geometra Maggiorini, ha frequentato la loro abitazione senza mai accorgersi della loro presenza.

Essendo Piero del '22 e Teresio del '24, rientravano nelle classi richiamate dalla Repubblica Sociale.

Nei primi mesi del'44 il governo di Salò richiamò anche il primo quadrimestre del '26, non ai fini del servizio militare ma per un periodo di lavoro in Germania.

Da un momento all'altro ci si aspettava la chiamata del secondo e del terzo quadrimestre del '26 e dunque, come molti amici del tempo, cercai di mettere le mani avanti per evitare questo trasferimento forzato.

Mi si presentarono due possibilità: entrare nella Croce Rossa, oppure lavorare alla Grandi Motori della Fiat, dove si producevano i motori per i M.A.S., i mezzi d'assalto della Marina.

Solo così si otteneva il lasciapassare dei tedeschi, senza dover partire per la Germania o per il fronte.

Dopo le visite mediche, nel giugno del '44 mi fu imposto di scegliere: mi decisi per la Grandi Motori - dove conoscevo il Capo Reparto della Scuola Allievi ed il Direttore Generale - e lì prestai servizio per otto mesi.

L'ultimo scaglione a ricevere una chiamata formale dagli uffici di leva è stato il primo quadrimestre del '26.

Ma all'antivigilia di Pasqua del '45 la Grandi Motori emanò un editto in base al quale i dipendenti delle classi '23, '24, '25 e '26 dovevano presentarsi il lunedì successivo non più alla Grandi Motori, bensì all'organizzazione tedesca Todt che eseguiva lavori presso il ponte di Brandizzo, dove tra l'altro, quasi ogni giorno c'erano mitragliamenti da parte degli Alleati; chi non si fosse presentato avrebbe perso il posto.

Gli operai di carriera hanno fatto quel che dovevano fare per restare alla Grandi Motori, io, invece, visto che il secondo e terzo scaglione del '26 non erano stati richiamati, disertai l'invito e mi chiusi in casa.

Pochi giorni dopo, col 25 aprile e la Liberazione è finito tutto." ( Arch. Giuseppe Varaldo )

Va considerato un altro fatto fondamentale per descrivere in maniera più fedele la situazione e gli stati d'animo vissuti dai giovani del dopoguerra.

Il conflitto aveva scavato un solco molto profondo tra la generazione dei trentenni appena tornata dal fronte, dai campi di prigionia o dalla lotta partigiana e quella dei ventenni che in un modo o nell'altro, dopo l'armistizio del '43, non avevano vissuto in prima persona gli orrori della guerra.

Molti giovani ex combattenti furono così provati dalle durezze patite in trincea da smarrire per strada le esuberanze e i sogni tipici della loro età, un po' come succede ancora oggi ( ovviamente su scale anagrafiche completamente diverse ), nei paesi del Terzo Mondo, ai cosiddetti bambini-soldato che assimilano il disincanto dei quarantenni prima ancora di entrare nella vita adulta.

Piero Bagna, pur non avendo indossato la divisa, si sentiva per molti aspetti più vicino a questa generazione di reduci "segnati" dalle sofferenze della guerra, gente che si lasciava andare con una certa difficoltà, evitava le goliardate, teneva atteggiamenti più riservati e compassati.

" Quelli della generazione immediatamente precedente alla nostra ( molti erano stati deportati in Germania e ne erano tornati completamente stravolti ) se ne stavano in un certo senso appartati rispetto al resto del gruppo giovanile della parrocchia di S. Alfonso, dove aveva sede la Legion Tebea, proprio perché c'era qualcosa - un insieme di esperienze che li accomunava fra loro e li separava da noi - che li costringeva a tenere un comportamento e degli atteggiamenti più adulti o comunque diversi dai nostri.

Il Geometra Casalegno, ex presidente della Legion Tebea, era reduce dalla Germania; un altro giovane, tale Sabino, nato nel '18, era stato sotto le armi praticamente dal '38 al '46 e l'esperienza del fronte l'aveva letteralmente prostrato.

Lui trentenne seguiva i ventenni ovunque andassero passivamente, senza intervenire, non si riusciva a coinvolgerlo in nulla.

So che poi ha trovato lavoro come bigliettaio dei banchi del mercato presso Porta Palazzo; ma di questi reduci così duramente provati dall'esperienza bellica ne circolavano parecchi." ( Arch. Giuseppe Varaldo )

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