Gli Istituti secolari

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11. Ammissione all'Istituto

L'ammissione dei membri nell'istituto, a qualunque livello, è riservata ai responsabili maggiori e al loro consiglio, secondo le costituzioni.

L'importanza di queste decisioni per la vita degli istituti non ha bisogno di essere dimostrata; essa è messa in rilievo dal c. 642.

Una norma generale in proposito sarebbe stata auspicabile.

Si sarà anche rilevato che il responsabile, sia generale sia inferiore a lui, come responsabile autonomo o come delegato, agisce con il suo consiglio.

La formula esige di essere precisata meglio.

Essa sembra indicare un atto collegiale, o almeno supporre un consenso del consiglio, e non un semplice parere.

Nel diritto dei religiosi, un maggior rigore sembra richiesto dai cc. 656,3 e 658.

Osservando le cose più da vicino, un margine di libertà maggiore lasciata ai responsabili dell'ammissione, favorisce la sua serietà e permette di tener conto di elementi confidenziali, di cui solo i responsabili dispongono, e con i quali devono poter decidere.

Dato l'andamento generale di questo c. 720, tutto dipenderà dalle precisazioni date dagli statuti dell'istituto e dagli altri testi del suo diritto proprio, in particolare dal " libro della formazione " che alcuni di essi devono già avere.

Certe ammissioni sono più importanti delle altre.

Quella che riguarda l'ingresso nel periodo di prova iniziale, quella che ammette ai primi impegni, e quella che ha un carattere definitivo: ammissione agli impegni temporanei consideraci come definitivi, o agli impegni perpetui.

Una norma - comune deve essere qui richiamata: può essere ammessa, in forza del c. 597, ogni persona che professi la fede cattolica.

È vero che una prescrizione negativa sarebbe stata più radicale: « non possono essere ammesse se non persone che professino la fede cattolica ».

Il rilievo è importante, poiché un istituto, di nostra conoscenza, ammette come " mèmbri in senso largo " persone che non sono cattoliche, neppure battezzate, come collaboratori nella loro azione filantropica o culturale; il che dà all'istituto una occasione di far loro conoscere, grazie a questo lavoro comune e a questa amicizia, la fede della Chiesa cattolica.

Lo stesso problema esiste per i cristiani di altre professioni di fede, ortodossi o riformati, che potrebbero anch'essi, a un titolo ben definito, essere ammessi a vivere, magari in un gruppo distinto, ma dipendente dal responsabile generale, lo stesso ideale evangelico.

Bisogna anche riprendere, per quanto riguarda l'ammissione di nuovi membri, quanto prescrive il medesimo c. 597 a proposito di rettitudine di intenzione, delle qualità richieste dal diritto universale e dell'assenza di impedimenti.

Rimandiamo al commento che abbiamo fatto a suo tempo di questo c. 597.

Quanto agli impedimenti determinati dal Codice nel c. 721, tre sono stabiliti per la validità dell'ammissione al periodo di prova iniziale.

Questi impedimenti sono innanzitutto un'età non inferiore alla maggiore età canonica, che comporta, secondo il c. 97 § 1, diciotto anni compiuti.

Il diritto dei religiosi ha stabilito nel c. 643 § 1,1° un'età inferiore, 17 anni compiuti.

Una norma generale sarebbe stata più saggia: diciotto anni compiuti oggi permettono in molte nazioni un atto libero, vista la maggiore età civile che spesso non è più di 21 anni, ma di 18 anni compiuti.

Il Codice del 1917, nel c. 88, aveva questa stessa norma.

Notiamo tuttavia che la norma dell'età minima sarà solo raramente applicata in un istituto di piena secolarità, dove è auspicabile che non siano ammesse se non persone che abbiano già una professione civile assicurata.

Nulla impedisce all'istituto di seguire spiritualmente i candidati più giovani, anche ancora studenti, che desiderano un giorno fare la loro domanda di ammissione.

Quanto ai chierici, la norma migliore consiste nel non accettare alcun sacerdote o diacono che non sia incardinato nella propria diocesi; ciò che porta il momento dell'ammissione a un'età più avanzata. 

Il problema si pone diversamente se i chierici membri sono incardinati nell'istituto, cosa che non è auspicabile.

Il secondo impedimento è il fatto di essere legato da un vincolo sacro in un istituto di vita consacrata, o di essere incorporato in una società di vita apostolica.

Occorre, a quanto pare, rilevare che il c. 643 § 1,3° è più preciso.

Esso aggiunge in effetti: « salvo praescripto c. 684 », che vuoi dire: « a meno che si tratti di un passaggio previsto dal c. 684 per i religiosi ».

Perché il Codice non dice qui: « a meno che si tratti di un passaggio previsto nel c. 730 »?

Questa sembra essere una negligenza di redazione.

Ma vi è di più: l'impedimento non sarebbe vero se non quando il candidato tacesse la sua appartenenza a un istituto o a una società; ma questo è possibile?

Un tale impedimento avrebbe dovuto essere meglio ripensato; il Codice del 1917 considerava, nel c. 542,1°, come impedimento il fatto di esser stato legato dalla professione religiosa.

L'appartenenza a una società di vita comune non costituiva problema, almeno teoricamente; ma i chierici di queste società erano tuttavia considerati dall'ultimo impedimento di questa prima serie di impedimenti che si oppone a una ammissione valida.

Il terzo impedimento previsto dal c. 721 § 1,3°, è un vincolo di matrimonio.

Un matrimonio può esser stato dichiarato nullo, il vincolo può esser staio disciolto in forza dei cc. 1142, 1143 e 1149.

In caso di divorzio civile, e non essendo più possibile alcuna riconciliazione, un ricorso a Roma è necessario per permettere a uno dei congiunti, di cui si tratta, di entrare in un istituto.

La portata degli impedimenti a una ammissione valida al periodo di prova iniziale dovrebbe essere meglio esposta, con cura, negli statuti degli istituti secolari, a meno che un commento serio non illumini questi punti di diritto comune in un testo accessorio del diritto proprio.

Quanto a questo diritto proprio, sembra che ogni istituto, approfittando della sua esperienza, possa prevedere impedimenti particolari, anche per la validità dell'ammissione.

Il c. 721 § 2 è la trascrizione del c. 643 § 2; esso considera d'altra parte due possibilità: il diritto proprio può determinare impedimenti dai quali può tuttavia dispensare il responsabile generale solo o con il parere o il consenso del suo consiglio; sono queste altrettante misure di prudenza.

Il diritto proprio può anche porre condizioni concrete da soddisfare prima dell'ammissione.

Queste condizioni sarebbero sempre da osservare prima di ammettere il candidato, soprattutto se esse dipendono da una situazione temporanea, per es., non ammettere qualcuno che non abbia ancora soddisfatto agli obblighi militari, che non abbia terminato gli studi, che abbia obblighi familiari troppo onerosi che impediscano ogni partecipazione alla vita dell'istituto.

Resta da vedere se la vita consacrata secolare in sé non ponga le sue esigenze nell'ammissione dei candidati.

Con gli anni, le cose si precisano: certe persone, che non sopportano la solitudine di una tale vita, non possono prendere facilmente le decisioni personali che comporta questo ideale, non sono fatte per questo contatto particolare con il mondo che agisce come un lievito, non hanno la facilità di accoglienza e di comprensione dell'altro della quale necessita una presenza di vita consacrata secolare.

Il c. 721 § 3 pone un'esigenza particolare che occorre qui considerare.

Il principio è valido per ogni vita consacrata; per essere accolto, occorre che il candidato abbia la maturità necessaria per condurre bene la vita propria dell'istituto.

Già, parlando delle condizioni che si possono porre all'ammissione anche valida al periodo di prova iniziale, parecchie condizioni rientrano in questa maturità.

Il Codice tuttavia, sottolineando questo aspetto, considera certo una maturità psichica ma anche intellettuale, affettiva e spirituale.

Pochi istituti hanno messo per iscritto la loro esperienza in questo campo; anche se hanno un libro della formazione, questi punti sono scarsamente messi in rilievo.

Essi sono importanti, soprattutto per una vita in pieno mondo, in una società turbata come la nostra e sottoposta a tante pressioni di ogni genere.

Il c. 720 è troppo generale per commentarlo tutto intero qui.

Preferiamo trattare il ruolo dei responsabili maggiori in rapporto alle diverse tappe del periodo di prova che conducono all'ammissione definitiva nell'istituto, commentando il c. 723.

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