Esperienze programmatiche d'una Scuola Professionale

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Tipiche finalità pedagogiche

Di conseguenza, i Catechisti - concependo ormai la stessa istituzione professionale come « educazione » e per altro già così predisposti dalla loro condizione di laici consacrati e per giunta formatisi in clima lasalliano - si diedero a sondare non solo l'« umanità » del lavoro, ma l'« evangelicità » che esso implica, la sua naturale « cattolicità ».

Nel contempo i Catechisti cercarono e sperimentarono programmi, metodi e condizioni d'ambiente che meglio contribuissero a esplicare dall'intimo del lavoro sino a dominarlo, quanto venivano intuendo intorno all'efficienza pedagogica di esso.

Soprattutto si cercava come legare il lavoro per interiore processo - quasi avesse alcunché di sacramentale - al mistero del Signore Crocifisso, onde ne fosse trasfigurato nella pienezza delle sue dimensioni tecniche e economiche, in redintegrazione personale, sociale, universale.

Intanto si comprese come per il giovane lavoratore, la professione debitamente acquisita non costituisca soltanto il mezzo indispensabile a guadagnarsi con sicurezza il pane quotidiano, ma sia al tempo stesso condizione affinché egli si senta « soggetto » e non « oggetto » di socialità, in quanto « attore » apprezzato e ricercato « collaboratore » del progresso tecnico-economico.

Più estesamente, apparve con crescente chiarezza come il lavoro qualificato fosse palestra di quegli aspetti dinamici della personalità che significano fiducia in sé stessi e senso di dignità, equilibrio e maturità, apertura cordiale alla vita, socialità, costruttività.

Proprio al contrario di ciò che alimenta ed esprime i « complessi » del malcontento e del sovversivismo.

Ad ogni modo, sollecitati dalle intense suggestioni pedagogiche promananti dall'insegna programmatica, i Catechisti continuarono ad adoperarsi al fine di comprendere come l'opera educativa della nuova Scuola professionale avrebbe potuto esplicarsi « mediante » il lavoro, e non semplicemente « a fianco » del lavoro se non addirittura « malgrado » di esso.

Fu così che lentamente, si venne delineando l'essenza del lavoro e il caratteristico atteggiamento mentale, la singolare mobilitazione di tutta la personalità che esso comporta, il modo suo proprio di prodursi come santificazione, se illuminato dalla fede e fecondato dalla grazia.

Apparve cioè come il lavoro, quello degli artigiani e degli operai,

non abbia per oggetto specifico la manifestazione di chi lo compie,

né la contemplazione di alcunché,

né la ricerca di questa o di quella verità,

né il concepimento di qualche ritrovato,

quanto piuttosto la realizzazione di un prodotto o la prestazione di un servizio.

Perciò il lavoro qualificato si distingue come attività transeunte, come « fare » inteso a realizzare alcunché attuando concezioni eteronome e soddisfacendo a richieste altrui.

Più profondamente il lavoro risulta come l'attuazione del mondo per opera dell'uomo, per farlo più confortevole ed « umano », strumento ed espressione ad un tempo di cultura e di civiltà.

Eteronomo in merito alla concezione, e perciò « esecutivo », il lavoro degli operai è altresì « anonimo », obbligato com'è da caratteristiche prefissate spesso esigentissime e da oggettive norme tecniche e in quanto per lo più valutato con criteri di funzionalità strumentale e di efficienza economica.

In quanto attività massimamente transeunte, il lavoro qualificato richiede che si sappia quasi incarnare un processo di realizzazione tecnicamente organico ed economicamente significativo, secondo una progressione che va

dalla comprensione fedele di quanto è richiesto,

alla individuazione delle fasi e dei mezzi di realizzazione,

all'esecuzione provetta e tempestiva,

al controllo critico di ciò che è stato eseguito:

sempre secondo un ritmo che non ammette divagazioni, né interruzioni arbitrarie, né ritardi ingiustificati,

e che esige invece continuità e regolarità di applicazione, disciplina rigorosa, senso di vigile responsabilità.

Proteso in questo diuturno spendersi « esecutivo » e « anonimo » verso entità materiali da trasformare o da usare quasi vivificandole con il meglio di sé, il lavoratore facilmente può come estraniarsi da se medesimo, può ridursi come atrofizzato in quanto alla capacità di « ritrovarsi », di « possedersi ».

Causa l'ormai abituale e prolungato prodigarsi fuori di sé, verso qualcosa che se intensamente lo assorbe avaramente lo riflette, il lavoratore rischia insomma, di trovarsi come umanamente esaurito.

Così, proprio nell'attività che lo qualifica socialmente e da cui trae il necessario sostentamento, il lavoratore può incontrare l'insidia della « strumentalizzazione » di sé medesimo, può essere cioè compromesso nello sviluppo armonico della sua personalità in quanto interiormente aggiogato al lavoro sino ad essere come necessitato a sentire, a giudicare e ad agire se non in funzione di esso.

Non più dunque il lavoro come servizio in favore dell'uomo, ma l'uomo a servizio del lavoro, tanto più a motivo dello spirito razionalistico e tecnicistico attualmente imperante nei luoghi di lavoro.

Dal vortice della strumentalizzazione il lavoratore tenta di salvarsi cercando come d'istinto qualcosa che gli riconfermi la sua autonomia, la sua dignità di soggetto e non di oggetto della produzione, qualcosa che lo appaghi secondo le aspirazioni e non solo secondo i bisogni, ma sfuggendogli l'autentica problematica della sua condizione o si dà attivisticamente al lavoro per il lavoro, o vi soggiace passivamente, oppure vi resiste col negare al proprio lavoro l'interiore consenso e cercando sotterfugi ed evasioni con cui sottrarvisi in qualche modo.

Se queste sono le note che contraddistinguono l'essenza e la « prospettiva » perenni del lavoro qualificato insieme alle sue determinazioni contingenti e ai pericoli che lo minacciano, è chiaro come non si possa educare « mediante » il lavoro se non assumendo tutto ciò a fondamento dell'azione educativa.

La quale azione consisterà principalmente nell'aiutare il giovane lavoratore a esplicitare - sia come consapevolezza che come intenzionalità, intensità e capacità produttiva - le virtualità e le relazionalità cosmiche, umane, sociali, e in largo senso religiose del lavoro, a combatterne i pericoli, a cooperarne la cristiana trasfigurazione.

L'afflato e la concretezza educativi, come « salvazione-formazione » « mediante » il lavoro dall'ideale espresso dall'insegna « Casa di Carità Arti e Mestieri », sembrano oggi indicare ai Catechisti che il loro compito consiste

nel coadiuvare l'inclusione risolutiva del « fare » transeunte nell'« agire » immanente ( agire come « carità » in una visione di fede );

l'« extrasoggettività » del produrre come « assoggettamento » elevante dell'universo;

l'« impersonalità » della prestazione professionale

nella « sovrappersonalità » del servizio coscientemente e liberamente reso.

In particolare, per ciò che concerne la componente intellettuale, occorre sviluppare con organica compiutezza la comprensione tecnica, economica, sociale e spirituale del lavoro, approfondendolo come punto di vista sulla realtà.

In merito alle tendenze e agli abiti operativi, occorre sviluppare l'iniziativa e la capacità costruttiva che il lavoro richiede.

In quanto alle tendenze etiche e agli abiti corrispondenti, bisogna valorizzare la funzione disciplinatrice del lavoro come dominio dell'istinto e della passione, ma soprattutto è necessario assecondare lo specifico e intenso « prodigarsi fuori, verso altro » del lavoro onde sia trasfigurato in abnegazione cosciente, in dono generoso, in « estasi » di carità.

In sintesi, è necessario rinvigorire, rettificare ed elevare sino alla soprannaturale trasfigurazione l'intenzionalità e l'apertura operativa proprie del produrre, le quali se si focalizzano nell'attuazione di un oggetto come spiritualizzando la materia, tuttavia non vi si esauriscono, ma per esso oggetto e in concomitanza di esso si protendono sino a raggiungere e a incarnare i più alti valori umani e religiosi, riflettendosi al tempo stesso nel lavoratore come incremento di vita profonda nel tempo e per l'eternità.

Insomma, ricostruire la « verità » piena del mondo materiale, facendolo « casa » e prolungamento dell'uomo, attuare la sua vocazione ultima che è la glorificazione di Dio nell'uomo e per l'uomo.

La vocazione definitiva del lavoro è nel mistero di Nazareth, aspetto e momento del mistero della Redenzione.

Ma se il mistero di Nazareth è un mistero di umiliazione, non lo è di certo per quello che l'umiliazione ha di subito e di avvilente, ma come infinita condiscendenza salvatrice, come infinita abnegazione redentrice, come inesauribile carità.

Questa dunque la vocazione del lavoro e, per esso, del lavoratore.

Alla « Casa di Carità Arti e Mestieri » tocca per divina volontà far rivivere tale mistero affinché il mondo del lavoro lo riscopra e vi si rifondi.

In questo modo la « condizione operaia » potrà apparire non più come dura necessità per « sopravvivere », ma come condizione da scegliersi, non solo come coerenza a eventuali indicazioni psicotecniche, ma come possibilità di « vivere » in pienezza, cioè attuando una caratteristica e insostituibile « prospettiva » di valori umani cristiani.

In quanto all'attuazione dei tratti dell'ideale delineati, è stato compiuto un lungo cammino, che dura tutt'ora …

Dapprima l'azione educativa si è prodotta come « affiancamento » del lavoro, successivamente lo si è « aiutato » sempre più dall'intimo, oggi l'intento è di « accoglierlo » soprattutto nel piano didattico come tipico alimento di « umanità » e di « santità », come punto di partenza verso una visione e un costume integralmente cristiani.

Comunque, riflettendo sul significato dell'Opera in rapporto all'intero ciclo della scuola, i Catechisti hanno compreso che essa è voluta dal Signore come provvidenziale coronamento della Scuola popolare cristiana.

Il lavoro qualificato, quello cioè contrassegnato come « professione », poiché consiste nella capacità di assolvere a precisi compiti, sia pure esecutivi,

che richiedono iniziative,

applicazioni intellettuali coordinate,

abilità specifiche, frutto assai più dell'esperienza che non della meccanica ripetizione,

senso di responsabilità,

dominio di sè sino alla solidarietà e alla collaborazione,

si è pure dimostrato modo caratteristico ed efficace strumento di più ampia « professionalità » che consiste nel saper « professare » la condizione di uomo e di cristiano ovunque, col testimoniare « facendo » la verità, cioè assolvendo debitamente il proprio compito non solo nel lavoro, ma anche in famiglia, nel civile consorzio, nella Chiesa.

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