Esperienze programmatiche d'una Scuola Professionale

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Rapporti sociali

La scuola - è risaputo - non è un mondo a sé stante, un ambiente chiuso a ogni apporto, a ogni comunicazione.

Piuttosto la scuola dev'essere caratterizzata dalla massima relazionalità, in forza della quale appunto si alimenta e a cui deve educare.

Eminentemente ricettiva, la scuola dev'essere pure generosa dispensatrice, da cui ne consegue la necessità di collegamenti intimi e appropriati con le altre comunità o società che alla scuola conducono e che da questa debbono ricevere.

Tale apertura, ricettiva per certi aspetti e donante per certi altri, doveva più che mai aver luogo in una scuola di arti e mestieri per di più contrassegnata come « Casa di Carità », in una scuola cioè scaturita dal Cuore di Gesù Crocifisso, nutrita dalla Sua divina carità, da Lui voluta come strumento di pacificazione e di salvazione del mondo del lavoro.

Era perciò indispensabile che anche per la nuova Opera, ci si ponesse il problema delle relazioni con le aziende - che del mondo del lavoro sono le organizzazioni operanti - da risolversi in modo conforme all'insegna.

I rapporti con le aziende non conseguirono da un piano prestabilito, ma ebbero inizio per l'impulso di eventi contingenti, tuttavia sempre considerati come portatori d'indicazioni provvidenziali da scoprire e assecondare.

Furono i Dirigenti della « Michelin Italiana » a proporre ai Catechisti l'attuazione di corsi diurni di qualifica a beneficio di figli di dipendenti.

La proposta trovò i Catechisti già persuasi sulla necessità di aprire la scuola diurna e tuttavia perplessi a motivo delle gravissime difficoltà da superare, e fu per essi l'invocato segno dal Cielo.

Successivamente, il bisogno di denaro, di mezzi, di indicazioni, e - più tardi - la necessità di trovare un'occupazione ai primi allievi licenziati, spinsero i Catechisti a intensificare i rapporti con le aziende.

Intanto sull'esempio della « Michelin » si aggiungeva la « Lancia » che soppressa la scuola interna, stimò opportuno avviarne i nuovi allievi presso la « Casa di Carità ».

Poi venne la volta delle « Officine Moncenisio » di Condove, ai cui Dirigenti era giunta favorevole notizia circa i precedenti esperimenti.

Poi seguirono la « Giustina », la « Nebiolo », la « Viberti », la « Philips » di Alpignano, la « Fergat », la « Microtecnica », la SAFOV tutte direttamente interessate dalla stessa « Casa di Carità ».

Mentre che il numero delle aziende collaboratrici andava crescendo, i Catechisti si domandavano quale avrebbe dovuto essere la natura, la portata, il significato delle relazioni che via via si venivano intessendo.

Non sapendo ricordare né quando, né come, riassumiamo dicendo che uno dopo l'altro caddero o almeno si modificarono sensibilmente tanto l'idea di configurare la « Casa di Carità » come scuola interaziendale, che il convincimento di doversi mantenere la più rigida autonomia appena temperata da rapporti saltuari e occasionali comunque ispirati ad un chiuso interesse tanto dalla scuola che dalle aziende.

L'« interaziendalità » infatti, qualora fosse stata accettata, avrebbe significalo la dipendenza della scuola dalle aziende.

Con quale esito, ai fini educativi?

con quali effettivi giovamenti per la stessa formazione tecnico-professionale dei giovani?

Di fatto, non mancarono consigli e inviti a che si mutasse l'insegna dell'Opera.

In altri casi, ci fu chi preferì parlare di « Scuola di Arti e Mestieri », mai di « Casa di Carità ».

L'autonomia poi, intesa in senso egocentrico, avrebbe nuociuto alla comprensione e intesa reciproche e perciò compromesso quegli aiuti che ci si riprometteva dalle aziende, ma soprattutto sbarrata l'apertura divinamente oggettiva della « carità » ai problemi più tormentosi del mondo del lavoro, conducendo gli stessi Catechisti a equivocare circa la collaborazione che si sarebbe dovuta dare e il compenso che se ne sarebbe potuto richiedere.

Fu invece deciso di riaffermare sì l'autonomia dell'Opera, ma come garanzia di più durevoli poiché più efficienti relazioni, come condizione indispensabile per una piena fecondità, affinché si potesse cioè donare al mondo del lavoro quello che gli si doveva donare.

Nel frattempo il problema dell'occupazione degli allievi licenziati si veniva approfondendo.

Ci si sentiva intimamente impegnati ad assicurare a ciascun giovane un posto di lavoro confacente, e intanto ci si ripropose fermamente di non svolgere corsi che per mestieri certamente ricercati.

Comunque, la soluzione più profittevole imponeva la conoscenza preventiva e circostanziata degli ambienti e delle mansioni di lavoro, come esigeva l'assistenza ai neo-lavoratori specie durante l'ambientamento.

Sopra ogni cosa occorreva salvaguardare e potenziare la loro testimonianza cristiana.

Più avanti, apparve chiaramente quanto fosse necessario assecondare un ragionevole progresso professionale dei giovani aiutati in precedenza a trovar lavoro.

Si venne allora alla decisione di riunire periodicamente gli ex-allievi per gruppi aziendali allo scopo di aiutarli a crescere in efficienza e perseveranza.

Infine l'esigenza di aggiornamento sempre meglio soddisfatta, si maturò in proposito di concorrere a risolvere i problemi aziendali riscontrati, e concernenti principalmente la preparazione del personale e le relazioni umane.

Dapprima con un corso di elettromeccanici di cantiere su richiesta del Collegio dei Costruttori Edili;

poi si passò ad un corso per turbinisti di centrale idrotermo-elettrica per conto dell'Azienda Elettrica Municipale;

successivamente furono organizzati:

un corso per capi-maestranze della « Michelin »;

uno di cultura tecnico-professionale per fonditori della « Nebiolo »,

e uno per montatori e manutentori di ascensori della SAFOV.

Sono attualmente allo studio, come già abbiamo detto, corsi per cronotecnici e preventivisti, per operatori, collaudatori di precisione e capi-maestranze.

Così la « Casa di Carità Arti e Mestieri » venne realizzando poco a poco un autentico affiancamento delle Aziende, conquistando la posizione necessaria per lo sviluppo di una paritaria e perciò più apprezzata e feconda collaborazione.

Intanto si comprese come la nuova Opera fosse destinata non soltanto alla formazione di singoli lavoratori, ma attraverso ad essi fosse chiamata a dare al mondo del lavoro il senso e le dimensioni spirituali della « Casa » sul fondamento della carità, che sola veramente edifica e riunisce, facendo compiutamente umana e perciò anche divina ogni relazione o convivenza.

Attualmente la « Casa di Carità Arti e Mestieri » può con fondamento presentarsi come un efficace strumento per la pacifica evoluzione degli aggregati aziendali in comunità cristiana di lavoro.

Lo sviluppo dell'Opera ha pure posto il problema dei rapporti con gli Enti pubblici preposti all'istruzione - o all'addestramento che dir si voglia - professionale.

Occorrevano autorizzazioni, riconoscimenti ufficiali e possibilmente aiuti.

Per qualche anno si ricorse al locale Consorzio per l'Istruzione Tecnica, poi ci si appoggiò all'INAPLI a motivo dei maggiori aiuti elargiti.

Dopo la visita, nel marzo 1953, di S. E. il Ministro del Lavoro, on. Leopoldo Rubinacci, visita che ottenne all'Opera i più autorevoli e incoraggianti consensi, a seguito delle indicazioni ricevute la «Casa di Carità» presentava la candidatura quale « Centro di Addestramento Professionale » autorizzato e sovvenzionato dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale.

Come tale venne riconosciuta a partire dall'esercizio 1954-1955, e in questa veste ufficiale continua tuttora.

Gli aiuti dello Stato, benché sino all'anno 1956-57 non abbiano raggiunto la metà delle sole spese di esercizio, hanno tuttavia costituito il più cospicuo contributo allo sviluppo dell'Opera.

D'altra parte, la « Casa di Carità Arti e Mestieri » - lo attestano pure le autorevoli dichiarazioni vergate sull'albo dei visitatori - costituisce a tutt'oggi uno dei « Centri di Addestramento » più importanti della Nazione, e una notevole dimostrazione di successo per gli stessi piani addestrativi promossi ed attuati dal Ministero del Lavoro.

L'insegna programmatica, anche nelle relazioni con gli Enti pubblici, ha determinato orientamenti di estrema importanza.

In primo luogo poiché esprimendo un'Opera a cui sono legate le promesse del Signore, ha incoraggiato i Catechisti a consentire o a perseverare secondo il nuovo indirizzo, nonostante le difficoltà che via via si venivano frapponendo.

Difficoltà del resto comprensibili se si riflette circa l'imperfezione di certe norme giuridiche emanate pressoché senza precedenti esperienze, e sotto la pressione della situazione contingente.

Difficoltà ancora spiegabili se si rileva come il clima delle relazioni tra Stato e libera iniziativa sia ancora in via di profonda evoluzione, senza che si sia ancora sufficientemente allontanato il pericolo di incomprensioni reciproche e di irrigidimenti unilaterali.

In secondo luogo l'insegna ha significato una continua affermazione del diritto che giovani lavoratori hanno non solo di essere preparati professionalmente ma di ricevere una conveniente educazione.

E ciò è stato ribadito in tutti i contatti con Enti e persone responsabili, spiegando come l'insegna rappresenti, non già una fraintesa « confessionalità », ma le finalità più elevate che si debbono più che mai perseguire se si vuole formare con il lavoratore l'uomo e il cittadino, se si vuole realizzare una democrazia sostanziale e moralmente operante.

In terzo luogo, la « carità » - perfezione di giustizia - ha riconfermato nei Catechisti un franco atteggiamento di collaborazione con i pubblici poteri, come li ha sostenuti nell'affermare all'occorrenza la necessità di salvaguardare una ragionevole autonomia, che consentisse all'Opera maturità e pienezza di azione e di collaborazione.

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