15 Marzo 1967
Diletti Figli e Figlie!
Poiché questa Udienza ha luogo nella Basilica di San Pietro, non vi sfugga la nota di tristezza e di mistero che questa chiesa, come ogni altra di rito latino, assume ed ostenta durante il periodo liturgico dedicato alla memoria e al culto della Passione.
La nota è palese nello squallore degli altari, spogli d'ogni ornamento, e specialmente nel velo, che copre le sacre immagini e fra tutte la Croce.
Gesù, il protagonista del grande dramma della Passione, l'eroe, la vittima, il crocifisso, è nascosto.
Quale senso si può dare a questa norma, evidentemente simbolica, della liturgia?
Lasciando agli studiosi lo studio delle origini e dei vari significati storici di tale rito ( cf. Radò, Ench. lit. II, 1173-1174 ), un significato appare chiaro alla pietà dei fedeli, ed è il nascondimento di Cristo, della sua divinità specialmente, a causa della opposizione, che gli uomini del suo tempo, e possiamo dire del nostro, manifestano alla sua presenza, alla sua rivelazione.
Dice l'Evangelista Giovanni, il quale ci ha lasciato qualche tratto della polemica sempre più fiera ed ostile contro Gesù, e conclusa con la sua uccisione, che Egli, più d'una volta, si sottrasse ai suoi avversari e si nascose: « Abscondit se ab eis » ( Gv 8,59; Gv 12,36; Gv 7,10 ).
Gesù nascosto accusa la nostra cecità, la nostra mala fede, la nostra istintiva tendenza alla negazione dell'intervento di Dio nella nostra vicenda umana; intervento, per giunta, estremamente amoroso, e perciò estremamente obbligante.
Siamo così avvertiti della scelta da noi fatta, quella delle tenebre.
« Venne la luce del mondo, disse Gesù a Nicodemo; ma gli uomini preferirono le tenebre alla luce » ( Gv 3,19 ).
È il dramma della notte sul mondo delle anime, che s'intreccia nello svolgimento della storia della salvezza, e che dalla liturgia sensibilmente simboleggiato risveglia negli spiriti vigilanti il desiderio della luce.
Il desiderio della luce!
Il bisogno di vedere, di sapere, di essere razionalmente sicuri, sarà mai perfettamente appagato?
Il lume giulivo e rivelatore della Pasqua darà davvero ai nostri spiriti la vittoria della chiarezza e della sicurezza?
Qui, Figli carissimi, si presenta un altro aspetto del nostro destino spirituale; aspetto, che può esso pure avere una sua sensibile e simbolica raffigurazione nel velo che in questi giorni di intensa meditazione ci nasconde l'immagine di Cristo.
Dobbiamo capire, o meglio riconoscere, l'arte misteriosa con cui Dio si è rivelato al mondo, e con cui il Figlio di Dio fatto uomo si è fatto conoscere dagli uomini.
Che il volto di Cristo non sia mai stato opaco e insignificante tutto il Vangelo ce lo dice; ma non da tutti Egli è stato riconosciuto per Quello che era.
« I suoi, dice il prologo del Vangelo di S. Giovanni, non lo hanno ricevuto » ( Gv 1,11 ).
È uno dei temi ricorrenti in tutto il Nuovo Testamento: la rivelazione cristiana non si presenta in aspetti conoscibili perfettamente e direttamente proporzionati ai nostri sensi e alla nostra ragione; si presenta, nel suo grado superiore, nella Persona di Gesù, nella sua Parola, e deve essere accettata per fede, deve essere creduta; non solo conosciuta, ma accolta con un atto vitale e totale della mente e del cuore, perché è Lui, il Cristo, che l'annuncia; perché solo Lui, come esclamò San Pietro dopo l'incomprensibile discorso di Cafarnao, preannunciatore dell'Eucaristia, solo Lui ha « parole di vita eterna » ( Gv 6,68 ).
Il che significa che la fede, per chi si pone in fase di razionalità logica, di scienza dimostrata, appare oscura.
Noi moderni dobbiamo renderci conto di questo aspetto della fede, dal quale nascono tanti problemi.
E si capisce perché la fede all'uomo ragionante debba presentare l'obiezione dell'oscurità; la fede manca di evidenza; presenta verità nascoste e velate come le immagini sacre in questo periodo liturgico.
Noi ora vediamo, dice S. Paolo, « per speculum, in aenigmate », come di riflesso, in forma enigmatica ( 1 Cor 13,12 ); e S. Agostino non teme di affermare che la fede consiste nel « credere, quod non vides », nel credere, ciò che non è manifesto ( In Io. tr. 40, 9 ).
E ciò si spiega sia per il limite proprio della mente umana ( cf. S. Th., I-IIæ, 47,3 ), sia per il modo, con cui le verità da credere, ci sono presentate non direttamente e non sotto il lume dell'evidenza, e sia ancora per la profondità inaccessibile delle divine realtà, a cui la fede ci consente di accedere.
E dobbiamo ricordare che tra la venuta di Cristo nella scena evangelica e quella ultima di Cristo alla fine del mondo la nostra vita religiosa si realizza per via sacramentale, non per via di esperienza diretta.
Ma perché questa oscurità?
È questo il segreto dei disegni di Dio: investigabiles viae Eius; le sue vie non le possiamo rintracciare ( Rm 11,33 ): Dio così vuole esercitarci, durante questa vita, nella fede; la nostra salvezza dipende dall'accettare questo suo piano religioso.
Del resto, questo aspetto oscuro della fede ha relazione con alcune conseguenze estremamente importanti della nostra vita religiosa.
La prima si è che siamo obbligati a cercare.
Il Signore ci è venuto vicino, senza manifestarsi comunemente a coloro che non lo cercano, che non lo desiderano, che non lo studiano e non lo amano: « In mezzo a voi sta Uno, dirà il Precursore, che voi non conoscete » ( Gv 1,26 ).
In secondo luogo: se la fede è oscura, la fede è libera.
È anche questo uno dei grandi problemi relativi alla fede: la volontà, con la grazia, concorre all'atto di fede.
E, se è libera, la fede è meritoria ( cf. II-IIæ, 2, 9 ad 2: cf. Pascal, Pensées, 564 ).
E non diciamo di più, per ora.
Dovremo poi cercare come questa forma di conoscenza, più debole della scienza rispetto alla nostra maniera normale di conoscere, più forte e più alta rispetto alla certezza che introduce nello spirito, sia fonte di luce; di tale luce, che orienta la vita e illumina la visione del mondo.
Provate, per la Pasqua, quando il volto crocifisso del Redentore tornerà a polarizzare i nostri sguardi, a chiedere a Lui di fare veramente della fede la lampada del vostro pellegrinaggio terreno.
Con la Nostra Apostolica Benedizione.