30 Agosto 1967
Diletti Figli e Figlie!
Salutiamo fra i vari gruppi presenti quello che si qualifica col titolo di « Apostolato della sofferenza » e che merita, proprio per questo titolo, una speciale Nostra considerazione.
Lo salutiamo e lo benediciamo, rivolgendo il Nostro affettuoso pensiero a quanti promuovono ed assistono questa ed ogni altra forma di spirituale assistenza e di fraterno servizio agli ammalati; e agli ammalati stessi corre il Nostro pensiero e si estende dappertutto, dovunque sono infermi, pazienti e minorati, dovunque il dolore fisico, e con esso quello morale, tormenta, mortifica ed umilia membra umane, quelle specialmente di fratelli Nostri nella fede e figli Nostri, come appartenenti al gregge di Cristo, che di esso Ci ha fatto pastore.
Ricordiamo tutti questi aggregati alla immensa e diffusa città del dolore, negli ospedali, nelle cliniche, negli ospizi, ed anche più quelli che sono rimasti nelle loro case, custoditi dalla pietà e dalla bontà dei loro familiari, e quelli ancora che mancano di assistenza sanitaria e di conforto spirituale, portando con la pena della malattia quella, spesso non meno grave, della solitudine e della povertà.
Noi abbiamo ancora presenti gli incontri, sempre per Noi commoventi ed ammonitori, che avemmo occasione, e quasi vorremmo dire fortuna, di avere con l'umana sofferenza, misteriosa e pietosa nei bambini, e quasi intollerabile nei giovani, nelle vittime del lavoro e del dovere, nelle persone su cui appoggia la cura d'una famiglia, desolata anch'essa per la malattia di chi ne era il cuore ed il sostegno; e quella triste e quasi senza speranza dei vecchi, dei cronici, degli alienati.
Oh, fratelli sofferenti, oh, figli doloranti sparsi nel mondo, Noi vorremmo che la Nostra voce arrivasse a tutti ed a ciascuno di voi per ripetervi, mentre Noi stessi piangiamo con voi, la parola di Gesù, l'uomo del dolore: « Non piangere » ( Lc 7,13 )!
Perché questa nostra compassione?
Per il sentimento comune che rende sensibile chi ha cuore d'uomo verso il dolore dei suoi simili, e lo sollecita, per uno dei più nobili impulsi della natura umana, a dirsi ed a farsi solidali e pronti al soccorso dei mali altrui?
Sì, certamente; noi, uomini come siamo, vogliamo essere partecipi a questa compassione filantropica, che fa gli uomini civili e stringe gli uni e gli altri nei vincoli sentimentali e morali di una sorte comune; vogliamo anzi onorare l'educazione e l'organizzazione, che la nostra società moderna, ripudiando certa rediviva spietata fierezza pagana verso i deboli e verso i sofferenti, va saggiamente promovendo.
Ma dobbiamo aggiungere che noi, come seguaci di Cristo, e ministri della sua parola e della sua carità, abbiamo anche altri motivi per curvarci, con immensa riverenza e con vivissimo interesse, su quanti soffrono e piangono.
La dottrina cristiana sul dolore è un'enciclopedia; investe tutta la vita umana, pervade la storia della redenzione, entra nella pedagogia ascetica e nell'iniziazione mistica, si collega col destino eterno dell'uomo.
Se in questo breve momento vogliamo contentarci d'uno sguardo su questo vasto mondo, dove il conflitto fra il male ed il bene sembra placarsi nella sublimazione della sofferenza, cercando un sentiero per percorrerlo ed esplorarlo, potremo soffermarci sulla considerazione della posizione che il cristiano occupa nella Chiesa.
La Chiesa è il Corpo mistico di Cristo; ogni cristiano è un vivente inserito in questa comunione soprannaturale, dove nessuno è confuso, dimenticato ed inutile: ciascuno è membro; cioè ha una sua funzione insostituibile da compiere, ciascuno una vocazione sua propria, articolata ed armonizzata con quella di tutti gli altri membri del corpo ecclesiastico; e tutti traggono identica vita e ordine singolare dall'unione col Capo della Chiesa: Cristo, il Quale effonde il suo Spirito vivificante in tutta la compagine dei cristiani.
Ognuno è cristiforme.
Già questa è verità consolantissima per chi soffre.
Nessuno soffre solo.
Nessuno soffre inutilmente.
Anzi, secondo panorama, chi soffre ha titoli speciali per avere maggiore partecipazione alla comunione con Cristo: nel sofferente, ce lo ricorda il Concilio ( Lumen Gentium, n. 8 ), si rispecchia in maniera più fedele l'immagine di Cristo; più intima, possiamo dire, se Gesù stesso ha voluto identificarsi con i minimi suoi fratelli ( cf. Mt 25,35ss ); chi soffre diventa, in modo singolare, conforme al Signore ( cf. Apostolicam actuositatem, n. 16 in fine ).
Di più: chi soffre, chi soffre con Cristo, coopera alla redenzione di Cristo, secondo la celebre e luminosa teologia di San Paolo: « Compio nella mia carne ciò che manca alle passioni di Cristo a vantaggio del corpo di Lui, che è la Chiesa » ( Col 1,24 ).
Il sofferente non è più inerte e di peso negativo per la società umana e spirituale a cui appartiene; è un elemento attivo; è uno, come Cristo, che patisce per gli altri; è un benefattore dei fratelli, è un ausiliario della salvezza.
Solo che questa estrema valorizzazione del dolore esige due condizioni: l'accettazione e l'offerta, l'accettazione paziente e capace d'intuire ( altra meravigliosa visione del dolore cristiano! ) d'intuire un ordine dietro e dentro il dolore stesso, la mano paterna, anche se grave, del medico divino che sa trarre il bene, un bene superiore, da un male, il male della sofferenza; e l'offerta, che al dolore dà valore proprio della vittima, che annulla in se stessa le esigenze della giustizia e che da se stessa trae la somma espressione dell'amore; dell'amore che dà, dell'amore totale.
Oh! Quanto vi sarebbe da meditare e da dire su queste prospettive cristiane del dolore, le quali sembrano e sono estremamente lontane dalla concezione naturalistica della vita, ma sono, in pari tempo, di facile conquista per chi sente e subisce e patisce la severa e spesso atroce realtà del dolore.
E aggiungiamo l'ultimo paradosso: di facile godimento.
Ditelo voi, cari malati cristiani; ditelo voi, cari sofferenti delle più varie pene, che avete fede in Cristo Signore, e che proprio in virtù di codeste pene sperimentate una strana, ineffabile comunione col Crocifisso; non potete forse anche voi, in un impeto interiore di eroismo cristiano, ripetere le parole dell'Apostolo: « Sovrabbondo di gaudio in ogni tribolazione nostra » ( 2 Cor 7,4 )?
Sia detto tutto questo ad istruzione nostra: così è la vita cristiana; e sia detto a consolazione dei Nostri figli e fratelli sofferenti, con la Nostra confortatrice Benedizione Apostolica.