31 Luglio 1968
Diletti Figli e Figlie!
Le nostre parole hanno oggi un tema obbligato dalla Enciclica, intitolata Humanae vitae, che abbiamo pubblicato in questa settimana circa la regolazione della natalità.
Riteniamo che vi sia noto il testo di questo documento pontificio, o almeno il suo contenuto essenziale, che non è soltanto la dichiarazione d'una legge morale negativa, cioè l'esclusione d'ogni azione, che si proponga di rendere impossibile la procreazione ( n. 14 ), ma è soprattutto la presentazione positiva della moralità coniugale in ordine alla sua missione d'amore e di fecondità « nella visione integrale dell'uomo e della sua vocazione, non solo naturale e terrena, ma anche soprannaturale ed eterna » ( n. 7 ).
È il chiarimento d'un capitolo fondamentale della vita personale, coniugale, familiare e sociale dell'uomo, ma non è la trattazione completa di quanto riguarda l'essere umano nel campo del matrimonio, della famiglia, dell'onestà dei costumi, campo immenso nel quale il magistero della Chiesa potrà e dovrà forse ritornare con disegno più ampio, organico e sintetico.
Risponde questa Enciclica a questioni, a dubbi, a tendenze, su cui la discussione, come tutti sanno, si è fatta in questi ultimi tempi assai ampia e vivace, e su cui la Nostra funzione dottrinale e pastorale è stata fortemente interessata.
Non vi parleremo adesso di questo documento, sia per la delicatezza e la gravità del tema, che Ci sembrano trascendere la semplicità popolare del presente settimanale discorso, sia per il fatto che non mancano già e non mancheranno, intorno all'Enciclica, pubblicazioni a disposizione di quanti s'interessano del tema stesso ( cfr. ad esempio: G. Martelet, Amour conjugal et renouveau conciliaire ).
A voi diremo semplicemente qualche parola non tanto sul documento in questione, quanto su alcuni Nostri sentimenti, che hanno riempito il Nostro animo nel periodo non breve della sua preparazione.
Il primo sentimento è stato quello d'una Nostra gravissima responsabilità.
Esso Ci ha introdotto e sostenuto nel vivo della questione durante i quattro anni dovuti allo studio e alla elaborazione di questa Enciclica.
Vi confideremo che tale sentimento Ci ha fatto anche non poco soffrire spiritualmente.
Non mai abbiamo sentito come in questa congiuntura il peso del Nostro ufficio.
Abbiamo studiato, letto, discusso quanto potevamo; e abbiamo anche molto pregato.
Alcune circostanze a ciò relative vi sono note:
dovevamo rispondere alla Chiesa, all'umanità intera;
dovevamo valutare, con l'impegno e insieme con la libertà del Nostro compito apostolico, una tradizione dottrinale, non solo secolare, ma recente, quella dei Nostri tre immediati Predecessori;
eravamo obbligati a fare Nostro l'insegnamento del Concilio da Noi stessi promulgato;
Ci sentivamo propensi ad accogliere, fin dove Ci sembrava di poterlo fare, le conclusioni, per quanto di carattere consultivo, della Commissione istituita da Papa Giovanni: di venerata memoria, e da Noi stessi ampliata, ma insieme doverosamente prudenti;
sapevamo delle discussioni accese con tanta passione ed anche con tanta autorità, su questo importantissimo tema;
sentivamo le voci fragorose dell'opinione pubblica e della stampa;
ascoltavamo quelle più tenui, ma assai penetranti nel Nostro cuore di padre e di pastore, di tante persone, di donne rispettabilissime specialmente, angustiate dal difficile problema e dall'ancor più difficile loro esperienza;
leggevamo le relazioni scientifiche circa le allarmanti questioni demografiche nel mondo, suffragate spesso da studi di esperti e da programmi governativi;
venivano a Noi da varie parti pubblicazioni, ispirate alcune dall'esame di particolari aspetti scientifici del problema, ovvero altre da considerazioni realistiche di molte e gravi condizioni sociologiche, oppure da quelle, oggi tanto imperiose, delle mutazioni irrompenti in ogni settore della vita moderna …
Quante volte abbiamo avuto l'impressione di essere quasi soverchiati da questo cumolo di documentazioni, e quante volte, umanamente parlando, abbiamo avvertito l'inadeguatezza della Nostra povera persona al formidabile obbligo apostolico di doverCi pronunciare al riguardo;
quante volte abbiamo trepidato davanti al dilemma d'una facile condiscendenza alle opinioni correnti, ovvero d'una sentenza male sopportata dall'odierna società, o che fosse arbitrariamente troppo grave per la vita coniugale!
Ci siamo valsi di molte consultazioni particolari di persone di alto valore morale, scientifico e pastorale; e, invocando i lumi dello Spirito Santo, abbiamo messo la Nostra coscienza nella piena e libera disponibilità alla voce della verità, cercando d'interpretare la norma divina che vediamo scaturire dall'intrinseca esigenza dell'autentico amore umano, dalle strutture essenziali dell'istituto matrimoniale, dalla dignità personale degli sposi, dalla loro missione al servizio della vita, non che dalla santità del coniugio cristiano; abbiamo riflesso sopra gli elementi stabili della dottrina tradizionale e vigente della Chiesa, specialmente poi sopra gli insegnamenti del recente Concilio, abbiamo ponderato le conseguenze dell'una o dell'altra decisione; e non abbiamo avuto dubbio sul Nostro dovere di pronunciare la Nostra sentenza nei termini espressi dalla presente Enciclica.
Un altro sentimento, che Ci ha sempre guidato nel Nostro lavoro, è quello della carità, della sensibilità pastorale verso coloro che sono chiamati a integrare nella vita coniugale e nella famiglia la loro singola personalità; e abbiamo volentieri seguito la concezione personalistica, propria della dottrina conciliare, circa la società coniugale, dando così all'amore, che la genera e che la alimenta, il posto preminente che gli conviene nella valutazione soggettiva del matrimonio; abbiamo accolto poi tutti i suggerimenti formulati nel campo della liceità, per agevolare l'osservanza della norma riaffermata.
Abbiamo voluto aggiungere all'esposizione dottrinale qualche indicazione pratica di carattere pastorale.
Abbiamo onorato la funzione degli uomini di scienza per il proseguimento degli studi sui processi biologici della natalità e per la retta applicazione dei rimedi terapeutici e della norma morale a ciò inerente.
Abbiamo riconosciuto ai coniugi la loro responsabilità e quindi la loro libertà, quali ministri del disegno di Dio sulla vita umana, interpretato dal magistero della Chiesa, per il loro bene personale e per quello dei loro figli.
E abbiamo accennato all'intento superiore che ispira la dottrina e la pratica della Chiesa, quello di giovare agli uomini, di difendere la loro dignità, di comprenderli e di sostenerli nelle loro difficoltà, di educarli a vigile senso di responsabilità, a forte e serena padronanza di sé, a coraggiosa concezione dei grandi e comuni doveri della vita e dei sacrifici inerenti alla pratica della virtù e alla costruzione d'un focolare fecondo e felice.
E finalmente un sentimento di speranza ha accompagnato la laboriosa redazione di questo documento; la speranza ch'esso, quasi per virtù propria, per la sua umana verità, sarà bene accolto, nonostante la diversità di opinioni oggi largamente diffusa, e nonostante la difficoltà che la via tracciata può presentare a chi la vuole fedelmente percorrere, ed anche a chi la deve candidamente insegnare, con l'aiuto del Dio della vita, s'intende; la speranza, che gli studiosi specialmente sapranno scoprire nel documento stesso il filo genuino, che lo collega con la concezione cristiana della vita, e che Ci autorizza a far Nostra la parola dell'Apostolo: « Nos autem sensum Christi habemus », noi poi teniamo il pensiero di Cristo ( 1 Cor 2,16 ).
E la speranza infine che saranno gli sposi cristiani a comprendere come la Nostra parola, per severa ed ardua che possa sembrare, vuol essere interprete dell'autenticità del loro amore, chiamato a trasfigurare se stesso nell'imitazione di quello di Cristo per la sua mistica sposa, la Chiesa; e che essi per primi sapranno dare sviluppo ad ogni pratico movimento inteso ad assistere la famiglia nelle sue necessità, a farla fiorire nella sua integrità, e ad infondere nella famiglia moderna la spiritualità sua propria, fonte di perfezione per i singoli suoi membri e di testimonianza morale nella società ( cfr. Apostolicam actuositatem, n. 11; Gaudium et Spes, n. 48 ).
È, come vedete, Figli carissimi, una questione particolare, che considera un aspetto estremamente delicato e grave dell'umana esistenza; e come Noi abbiamo cercato di studiarlo e di esporlo con la verità e con la carità che tale tema voleva dal Nostro magistero e dal Nostro ministero, così a voi tutti, interessati direttamente che voi siate o no alla questione stessa, chiediamo di volerlo considerare col rispetto che merita, nell'ampio e luminoso quadro della vita cristiana.
Con la Nostra Benedizione Apostolica.