18 Dicembre 1968
Diletti Figli e Figlie!
Il breve sermone, che riserviamo a queste Udienze generali, ha per scopo di immettere negli animi dei Nostri visitatori una parola, semplice e viva come un seme, che dovrebbe poi essere coltivata, e dare da sé il segno della sua profondità e della sua fecondità.
Noi qui Ci limitiamo a fare, come un Parroco ai suoi fedeli, dell'umile catechismo: grande dottrina in termini popolari.
E la dottrina, che ora Ci interessa, è quella che tormenta l'uomo moderno, quella su Dio, quella sul modo di cercare Lui, e sulla valutazione dei risultati, ai quali possiamo arrivare in questa difficile e inevitabile ricerca.
E sappiamo una verità fondamentale: abbiamo un Maestro.
Più che un Maestro, un Emmanuele, cioè un Dio con noi; abbiamo Gesù Cristo.
È impossibile prescindere da Lui, se vogliamo sapere qualche cosa di sicuro, di pieno, di rivelato su Dio; o meglio, se vogliamo avere qualche relazione viva, diretta e autentica con Dio ( cfr. Cordovani, Il Rivelatore ).
Non diciamo che prima di Gesù Cristo Dio fosse sconosciuto: l'antico Testamento è già una rivelazione, e forma i suoi cultori ad una spiritualità meravigliosa e sempre valida: basta pensare ai Salmi, che alimentano ancor oggi la preghiera della Chiesa con una ricchezza di sentimento e di linguaggio insuperabile.
Anche nelle religioni non cristiane si può riscontrare una sensibilità religiosa e una conoscenza della Divinità, che il Concilio ci ha ammonito a rispettare e a venerare ( cfr. Dichiar. Nostra aetate, n. 2; cfr. Card. Konig, Dizionario delle Religioni, Herder, 1960, Roma ).
Ed in genere l'uomo, che pensa, che agisce, che comanda, che soffre, che si esprime artisticamente, coglie qualche cosa di Dio, al quale, per tanti titoli, la nostra vita è collegata; lo studio delle religioni ce lo dimostra; la storia, la filosofia, la psicologia, l'arte ce lo confermano.
Ogni aspirazione alla perfezione è una tendenza verso Dio ( cfr. S. Th. 1, 6, 2 ad 2; De Lubac, Pour les chemins de Dieu, c. 11, pp. 7 e 8 ).
Ma sta il fatto, enunciato nel capo primo del Vangelo di San Giovanni: « Nessuno ha mai veduto Iddio; il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, ce lo ha fatto conoscere » ( v. 18; cfr. 1 Cor 2,9 ).
Come pure sta il fatto che le condizioni reali, esistenziali dell'uomo denunciano il bisogno d'un aiuto della rivelazione divina anche per quelle verità religiose alle quali la ragione, per sé, potrebbe arrivare ( cfr. S. Th. 1, 1; Conc. Vat. I, De Fide, c. 2 ), e ciò per ragione di speditezza, di sicurezza e d'integrità.
Così che, ferma restando la capacità naturale dell'uomo a ragionare delle cose divine, non che il dovere di bene impiegare le nostre facoltà conoscitive allo studio teologico e alla vita spirituale ( cfr. Denz. Sch. 3019-3020 [ 1799-1800 ] ), è saggio, è utile mettersi alla scuola della Parola divina, e accogliere con fede gli insegnamenti ch'essa ci rivela, e che la Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura offrono « come uno specchio, nel quale la Chiesa pellegrina in terra contempla Dio, dal Quale tutto riceve, finché giunga a vederlo a faccia a faccia, com'Egli è » ( Cost. dogm. Dei Verbum, n. 7 ).
Il Concilio, testé celebrato, si svolge tutto in questa luce, la quale conferisce alle sue dottrine una bellezza, una pienezza, una forza, che lo caratterizzano: né dubbi, né controversie, né anatemi, e nemmeno enunciazioni astratte dei dogmi della fede troviamo nel tesoro dottrinale lasciatoci dal Concilio, ma un senso di realismo vivo e di spiritualità animatrice tutto lo percorre, e irradia la corrente di verità e di grazia, dalla quale la Chiesa sta derivando il suo rinnovamento.
È ovvio pertanto che Cristo sieda maestro sulla cattedra conciliare ( Dei Verbum, n. 4 ), e che stimoli così la nostra risposta di fede alla grande, ricorrente questione, posta inizialmente da Lui stesso su Se stesso: « Chi dicono gli uomini che sia il Figlio dell'uomo? » ( Mt 16,14 ), come Gesù usava chiamare Se stesso.
Sorge cioè ancora una volta, dopo le molte e interminabili questioni della generazione precedente alla nostra ( cfr. Lagrange, Le sens du christianisme d'après l'exégèse allemande, Gabalda, 1918 ), la domanda chi sia veramente Gesù.
Un celebre scrittore russo fa chiedere ad un suo personaggio: « Un uomo colto, un europeo del nostro tempo, può credere ancora, può credere alla divinità di Gesù Cristo, Figlio di Dio?
Poiché, alla fine, tutta la fede è là » ( Dostojewski ); e un famoso teologo cattolico tedesco commenta: « Il mistero di Cristo infatti non consiste, propriamente parlando, nel fatto ch'egli sia Dio, ma in ciò che Egli sia insieme Dio e uomo.
Il prodigio inaudito, incredibile, non è soltanto che sul volto di Cristo risplenda la maestà di Dio, ma che un Dio sia al tempo stesso un uomo, che un Dio si sia mostrato sotto la forma di un uomo » ( Adam, Iesus Christus, 1934 ).
La nostra generazione risente la pressione di questa grande dottrina; e pur troppo le voci non cattoliche, che si diffondono oggi nel mondo ripetono con nuove parole, ma con motivi vecchi, le risposte aberranti ( Mt 16,14 ): è un personaggio straordinario, si dice; ma non si sa bene chi Egli sia; meglio andare al sicuro, e con l'aria di magnificarlo moralmente, si finisce per minimizzarlo essenzialmente.
Alla dottrina cattolica si fanno obbiezioni d'essere mitica, ellenica, metafisica, soprannaturale … e l'apologia che gli autori eterodossi di moda fanno di Cristo si riduce ad ammettere in Lui « un uomo particolarmente buono », « l'uomo per gli altri », e così via, applicando a questa interpretazione di Cristo un criterio, diventato decisivo e dispotico, quello della capacità moderna a capirlo, ad avvicinarlo, a definirlo.
Lo si misura col metro umano, con un dogmatismo soggettivo; e alla fine con uno scopo, seppur buono, ma utilitario, lo si accetta per quello che Cristo oggi può servire, uno scopo umanitario e sociologico.
La verità non conta che nella misura della sua comprensibilità; il mistero perde il suo contenuto teologico e religioso, e si risolve nei riflessi pratici applicabili alla società moderna e ai volubili gusti d'un mondo in trasformazione.
Per nascondere il vuoto dottrinale, che così si produce, si ritorce talvolta su la Chiesa cattolica, fedele alla sua secolare cristologia, l'accusa di non averlo abbastanza imitato, il Signore: d'averlo chiuso in formule dogmatiche incomprensibili e superate.
Pensiamo a queste accuse, amaramente, onestamente, serenamente.
Ma Noi non vogliamo ora entrare in discussioni né polemiche, né apologetiche; non è qui la sede.
Vogliamo solo mettere sull'avviso voi, Figli fedeli, e con voi quanti si fidano della confessione vittoriosa di Pietro sul mistero di Gesù, il Figlio dell'uomo: « Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivente » ( Mt 16,16 ), a rimanere « forti nella fede » ( 1 Pt 5,9 ).
Noi dobbiamo stare alla parola del Pontefice, teologo del mistero dell'Incarnazione, S. Leone Magno, che c'insegna: « Il Verbo di Dio, Dio Lui stesso, perché Figlio di Dio, … si è fatto uomo: così piegandosi a prendere la nostra piccolezza, senza abdicare alla sua grandezza, da rimanere ciò che Egli era e da assumere ciò che Egli non era, e da unire la vera natura del servo alla natura ch'Egli aveva eguale a quella di Dio Padre » ( Serm. XXI; P.L. 54, 192 ).
È la dottrina del Concilio di Calcedonia; è la dottrina della Chiesa cattolica, la quale, per nulla dimentica dell'aspetto dell'« Uomo per gli altri », preferito da una cristologia moderna non cattolica, ripete di Cristo l'incisiva parola di S. Agostino: « Fortitudo Christi te creavit, infìrmitas Christi te recreavit », la potenza ( divina ) di Cristo ti ha creato, la debolezza ( della passione ) di Cristo ti ha rigenerato ( In Ev. Io. XV, 6 ); la Chiesa nostra ben sa che per annunciare con pastorale efficacia il dogma di Cristo oggi deve studiare con amorosa premura le risorse della sua pedagogia e le esigenze della psicologia moderna ( cfr. Volk, L'homme d'aujourd'hui et le Christ, nel volume: Problèmes actuels de Christologie, pp. 264-294, Desclée de Br. ), ma non cambia, non mutila la verità, di cui è depositaria e maestra, nella certezza che in tale verità sarà sempre e a tutti possibile ritrovare il vero volto di Cristo, e nel volto di Cristo la visione, a noi ora possibile, del Padre, come pure la visione, sempre da scoprire, dell'uomo.
L'amore, Figli carissimi, l'amore a Cristo sperimenta questo prodigio.
L'umanità di Cristo, c'insegna S. Teresa, è il tramite per arrivare a Dio ( cfr. Vida, c. 22; Castillo, c. 7 ); e S. Caterina ci descrive il corpo crocifisso di Cristo come una scala, che l'amore percorre per salire alla perfezione ( Lettera 74 ), e ci parla del Signore come d'un ponte che ripara l'abisso prodotto fra Dio e l'uomo dal peccato.
Cristo, come sempre ci ricorda il Concilio, è il Mediatore della nostra salvezza ( cfr. Sacr. Conc. n. 5 ).
Il Mediatore unico, necessario, nostro, dolcissimo.
Viene il suo Natale: così pensiamolo!
Con la Nostra Benedizione Apostolica.