21 Maggio 1969
Diletti Figli e Figlie,
Noi siamo tutti così dominati dalle immagini, dalle notizie, dall'avvenimento del viaggio spaziale, che sta svolgendosi in questi giorni, che non possiamo esimerci dal farne oggetto della nostra breve meditazione quest'oggi.
Gli occhi o, meglio, i pensieri del mondo seguono, ancora una volta, ma forse questa volta con più intenso interesse, l'itinerario stupefacente degli astronauti, che vanno con impensabile velocità ad esplorare da vicino il satellite della nostra terra, la luna quieta amica delle nostre notti, dalla faccia mutevole, fredda ed argentea.
Si guarda, si ammira, si riflette, si spera, si prega.
L'orizzonte diventa astronomico, e non solo per la nostra osservazione sensibile, ma per la dilatazione della nostra mentalità.
L'astronomia è sempre stata una grande maestra di pensiero, che le comuni nozioni scarse ed empiriche, e per di più prese a prestito dalle dottrine altrui, riempivano di immagini fantastiche, di sogni inverosimili, di sistemi scientifici ipotetici e discutibili, di superstizioni senza numero, tanto che nella cultura corrente si può dire che la scienza del cielo è presso che dimenticata e ridotta a consuete ed elementari notizie.
Gli antichi ne sapevano più di noi, se non di astronomia, certo di astrologia.
Una delle difficoltà alla comprensione, ad esempio, della Divina Commedia, è quel continuo richiamo, che Dante frammischia al suo sublime poema, circa i fenomeni dell'orizzonte celeste.
I nostri scienziati moderni certamente conoscono cose meravigliose sul cielo, sul cosmo, sulle sue strutture cronologiche e matematiche, ed oggi, più che mai, sulla sua composizione fisica e sulla sua evoluzione dinamica; ma rispetto alla società essi sono degli iniziati, che studiano, parlano, vivono da sé.
Gli interessi dell'uomo gravitano più che mai sulla terra, nel minuscolo arco dei nostri giorni e nell'immediato trambusto delle nostre sperimentali vicende.
Ed ecco che, come si aprisse una finestra nella stanza della nostra vita consueta, siamo invitati a guardare fuori, nello spazio, nel cielo, nel cosmo.
E siccome questo è un fenomeno umano, che ha appunto per teatro il cielo, i nostri pensieri abituali sono quasi fermati e fissati nel vuoto che ci sta davanti.
Siamo non già incantati, né divertiti; siamo turbati.
Un quadro di realtà immenso, misterioso, che credevamo poter dimenticare, perché da noi, non astronomi, lontano, irraggiungibile, non sperimentabile, ci si presenta invece davanti.
Il raggio di visione va oltre misura, si spinge nelle profondità dello spazio, l'universo ci dice almeno che esso esiste.
In certe notti limpide d'estate abbiamo forse anche noi, contemplando le innumerevoli stelle che trapuntano di scintille la volta immensa del cielo, pensato o tentato di pensare al mistero dell'universo; forse la meravigliosa e misteriosa visione esteriore ha preso voce interiore con le note elegiache del canto notturno del pastore leopardiano, errante nelle solitudini sconfinate dell'Asia; forse il senso incombente dell'infinito, che vince lo spazio ed il tempo, ha dato anche a noi un fremito metafisico dell'oceano dell'essere, in cui la nostra minima vita si trova, ma che vita, coscienza, spirito si chiama.
Non sarà inutile lasciarci invadere un momento da simili impressioni del muto linguaggio della suprema realtà da noi percepibile, il cosmo, anche se la perfezione strumentale che oggi ce le trasmette attenua il senso che le deve in ogni caso dominare, la meraviglia, cioè la sorpresa della scoperta, della conquista e del mistero, ancor più presente, circa le cose, il mondo, l'universo.
Ammirare, ammirare dobbiamo.
E per non rendere vano questo felice sforzo del nostro spirito, su due sentieri, Figli carissimi, Noi vi esortiamo a dirigerlo.
Verso l'uomo, primo sentiero della nostra ammirazione.
Chi è l'uomo, capace di opere simili?
di concepirle, di organizzarle, di compierle, di commisurarle alle sproporzionate difficoltà ch'esse presentano, e alla sempre piccola statura del proprio essere, piccolo, limitato e vulnerabile?
Come possiede tanta capacità di studio, di conoscenze, di dominio scientifico e tecnico sulle cose, sul mondo?
E come, debole e condizionato com'è, trova il coraggio di osare simili imprese?
Ancor più che la faccia della luna, la faccia dell'uomo s'illumina davanti a noi; nessun altro essere a noi noto, nessun animale, anche più forte e più perfetto nei suoi istinti vitali, può essere messo a confronto con l'essere prodigioso che noi uomini siamo.
V'è qualche cosa nell'uomo che supera l'uomo, v'è un riflesso che sa di mistero, che sa di divino.
Le parole, ben note alla nostra conversazione con Dio, vengono alle labbra spontaneamente: « Quando io contemplo i cieli, opera delle tue mani, ( o Signore, ) la luna e le stelle che Tu vi hai seminate, che cosa è mai l'uomo perché tu ti ricordi di lui?
Eppure di poco Tu l'hai fatto inferiore agli Angeli, di gloria e di onore Tu l'hai coronato; e Tu l'hai posto a capo delle opere delle Tue mani; tutto hai messo sotto i suoi piedi » ( Sal 8,4-7 ).
Ma come? ma perché?
Risponde ancora l'incantevole salmoldia: « Tu hai diffuso sopra di noi la luce del Tuo volto, o Signore! » ( Sal 4,7 ).
Ecco: l'uomo porta in sé il riflesso di Dio!
A sua immagine è stato creato: « Creò Iddio l'uomo ad immagine sua … : maschio e femmina li creò.
E li benedisse Iddio dicendo: crescete e moltiplicatevi e popolate la terra e dominatela … » ( Gen 1,27-28 ).
Questa origine divina, questa potestà dominatrice dell'uomo s'illuminano alla nostra mente, diremmo, alla prova dei fatti; questi fatti che stiamo in questi giorni contemplando, che dell'uomo non fanno tanto l'orgoglio, quanto la dignità; non lo insuperbiscono come principio causa di se stesso, ma lo magnificano come capolavoro e come collaboratore di Dio ( cfr. 1 Cor 3,9 ).
Dovremo ricordarcene sempre.
L'altro sentiero della nostra ammirazione è Dio stesso.
Se siamo davvero intelligenti, se cioè non fermiamo la nostra commossa attenzione allo schermo fisico delle cose, al loro quadro scientifico, ma vi leggiamo dentro, nel loro segreto ultra-fisico ( cioè metafisico ) e cerchiamo di capire qualche cosa di quello che sono, subito comprendiamo una verità lampante; esse non sono causa di se stesse!
E allora, come mai esistono?
come mai sono così grandi?
così ordinate, così belle, così unite?
Una razionalità cogente ci obbliga ad arrivare sulle soglie di quella suprema sapienza, che chiamiamo religione.
Una rivelazione naturale, e oggi, in un'ora di trionfo scientifico, ci riconduce alla Fonte del tutto, all'uno necessario, al Principio creatore, al Dio vivente.
Non lasciamoci sfuggire, Figli carissimi, un'occasione come questa per ritrovarci umili, pii, buoni, religiosi e felici, davanti a segni così evidenti, per chi vuoi vedere, della somma Presenza nel nostro mondo e nella nostra vita.
Adoriamo in silenzio.
Ed insieme, noi credenti, noi cristiani.
Con la Nostra Benedizione Apostolica.