9 Luglio 1969
Diletti Figli e Figlie!
Non vogliamo ancora una volta, in questa familiare conversazione, richiamarci al Concilio, osservando, come altra volta dicevamo, la mentalità che esso ha generata: una mentalità aperta su alcuni aspetti della vita cristiana, dei quali faremo bene a prendere coscienza e a delineare nei loro giusti termini, non isolandoli come concetti astratti, o come forme di vita a sé stanti, ma considerandoli nel disegno armonico della concezione genuina, rinnovata e globale del cattolicesimo.
Uno di questi aspetti è quello della libertà.
Il Concilio ha parlato di libertà, riferendola a molte cose.
La libertà è una parola magica.
Essa dev'essere studiata con diligenza seria e serena, se non si vuole spegnerne la luce e farne un termine di confusione equivoca e pericolosa.
Nessuno di noi vorrà confonderla con l'indifferenza ideologica e religiosa, tanto meno con l'individualismo eretto a sistema, o con l'irresponsabilità, il capriccio e l'anarchia.
Vi sarebbe una lunga lezione da fare circa le distinzioni e le riserve sopra una parola di moda, che sembra avere stretta parentela con la libertà, la parola rivoluzione, con certi suoi derivati, oggi molto diffusi.
Ma considerata nel suo concetto umano e razionale, come autodeterminazione, come libero arbitrio, noi saremo fra i primi ad esaltare la libertà, a riconoscerne l'esistenza, a rivendicarne la tradizione nel pensiero cattolico, che ha sempre riconosciuto questa prerogativa essenziale dell'uomo.
Basti ricordare l'Enciclica Libertas del 1888, di Papa Leone XIII.
L'uomo è libero, perché dotato di ragione, e come tale giudice e padrone delle proprie azioni.
Contro le teorie deterministiche e fatalistiche, sia a carattere interiore, psicologico, sia a carattere esteriore, sociologico, la Chiesa ha sempre sostenuto che l'uomo normale è libero, e perciò responsabile delle proprie azioni.
Ella ha imparato questa verità non solo dagli insegnamenti della saggezza umana, ma altresì e soprattutto da quelli della rivelazione; ella ha ravvisato nella libertà uno dei segni primigenii della somiglianza dell'uomo a Dio, ricordando fra le moltissime questa parola riassuntiva della Sacra Scrittura: « Iddio da principio creò l'uomo, e lo lasciò in mano del suo arbitrio » ( Sir 15,14; Dt 30,19 ).
Ognuno vede come da questa premessa derivi la nozione di responsabilità, di merito e di peccato; e come a questa condizione dell'uomo sia collegato il dramma della sua caduta e della redenzione riparatrice.
Anzi la Chiesa cattolica ha sostenuto che nemmeno l'abuso iniziale, che il primo uomo fece della sua libertà, il peccato originale, ha compromesso nei suoi infelici eredi in modo totale, come sostenne un tempo la Riforma protestante, la capacità dell'uomo d'agire liberamente ( cfr. S. Agostino, De libero arbitrio, II; Retract; S. TH., I, 83; I-II, 109 ).
Come pure la Chiesa ha sempre sostenuto che « nessuno può essere costretto con la forza ad abbracciare la fede » ( Dich. Dignitatis humanae, n. 12 ); ed anche ha affermato, durante la sua lunga storia, a prezzo di oppressioni e di persecuzioni, la libertà per ciascuno di professare la sua religione: nessuno, ella dice, dev'essere impedito, nessuno dev'essere costretto, in ordine alla propria coscienza religiosa ( ib. n. 2 ).
Semplificando assai l'immensa e complessa materia relativa, alla libertà, possiamo innanzi tutto osservare che il Concilio non ha affatto scoperto, o inventato la libertà;
esso ne ha rivendicato alla coscienza personale i diritti inalienabili, li ha suffragati con la magnifica teologia del nuovo Testamento, li ha proclamati per tutti nell'ambito del civile consorzio;
cioè ha sostenuto, oltre che l'esistenza, l'esercizio della libertà in due direzioni principali:
la direzione personale, ammettendo per ogni uomo un alto grado di autonomia, riconoscendone il dominio alla coscienza, regola prossima e indeclinabile ( cfr. Rm 14,23 ) dell'azione morale, tanto perciò più bisognosa d'essere illuminata dalla verità e sostenuta dalla grazia ( cfr. Gal 5,1; Gv 8,36 ), quanto più da sola essa oggi tende a determinarsi ( cfr. Gaudium et spes, n. 16 e n. 17 );
e la direzione sociale, esigendo, come dicevamo, una vera e pubblica libertà religiosa, nel rispetto però dei diritti altrui e dell'ordine pubblico ( Dign. hum., n. 7 ecc. ),
e sostenendo il « principio di sussidiarietà » ( Gaudium et spes, n. 86 ), il quale, in una società bene organizzata, mira a lasciare la più ampia libertà possibile alle persone e agli enti subalterni,
e a rendere obbligatorio solo ciò che è necessario per un bene importante, non altrimenti raggiungibile, e in genere per il bene comune ( Dign. hum., n. 7 ).
La mentalità favorita dagli insegnamenti del Concilio porta il gioco della libertà, più che prima praticamente non fosse, nel foro interiore della coscienza, tende perciò a temperare l'ingerenza della legge esteriore, ma tende ad accrescere quella della legge interiore, quella della responsabilità personale, quella della riflessione sui massimi doveri dell'uomo, che sono la virile rettitudine nella pratica del bene fino alla perfezione della santità, e il senso della legge naturale, cioè della razionalità morale ontologica, che oggi tanto si ammira negli eroi antichi ( cfr. ad esempio, nei protagonisti della tragedia greca ) e nei moderni ( nei campioni, ad esempio, della resistenza, della bontà e del sacrificio ), mentre poi se ne discute, fino a dubitare della sua esistenza e della sua permanenza, ( si vedano, ad esempio, certe contestazioni ai riferimenti alla legge naturale nella nostra Enciclica « Humanae vitae » ).
Sappiamo come il Vangelo abbia accentuato l'interiorità dell'obbligazione morale, come ne abbia fissato l'incomparabile sintesi nel precetto sommo e troppo oggi dimenticato dell'amore totale a Dio, dal quale deriva, per via di motivazione e di somiglianza, l'amore del prossimo, allargato a tutti, parenti, amici, estranei, lontani e nemici, cioè a tutta l'umanità.
Questo indirizzo morale in favore della persona e della libertà particolare autorizza una più ampia e spontanea, ed anche più precoce esplicazione della libertà; genera un lecito pluralismo di costumi, in ciò ch'essi hanno di contingente; e favorisce la ricchezza delle libere e legittime espressioni locali, linguistiche, culturali; allarga, anche nell'interno della Chiesa, quella libertà di studi e d'iniziative, di cui già molto godevano i figli affezionati e fedeli ( si veda, ad esempio, la molteplicità delle istituzioni organizzative, caritative, religiose, culturali, missionarie, che l'autorità della Chiesa, anche prima del Concilio, non solo permetteva, ma favoriva ), e di cui oggi si ha tanto vivace desiderio ed in cui speriamo sia verace promessa di autentica vita cattolica.
Avremo quindi un periodo nella vita della Chiesa, e perciò in quella d'ogni suo figlio, di maggiore libertà, cioè di minori obbligazioni legali e di minori inibizioni interiori.
Sarà ridotta la disciplina formale, abolita ogni arbitraria intolleranza, ogni assolutismo; sarà semplificata la legge positiva, temperato l'esercizio dell'autorità, sarà promosso il senso di quella libertà cristiana, che tanto interessò la prima generazione cristiana, quando essa si seppe esonerata dall'osservanza della legge mosaica e delle sue complicate prescrizioni rituali ( cfr. Gal 5,1 ).
Noi dobbiamo perciò educarci all'uso schietto e magnanimo della libertà del cristiano, sottratto al dominio delle passioni ( cfr. Rm 8,21 ) e alla servitù del peccato ( Gv 8,34 ), e interiormente animato dal gioioso impulso dello Spirito Santo, giacché, come dice San Paolo, « coloro che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio » ( Rm 8,14 ).
Ma dovremo nello stesso tempo essere coscienti che la nostra libertà cristiana non ci sottrae alla legge di Dio, nelle sue supreme esigenze di umana saggezza, di sequela evangelica, d'ascetismo penitenziale, e d'obbedienza all'ordine comunitario, proprio della società ecclesiale.
La libertà cristiana non è carismatica, nel senso arbitrario, che oggi alcuni si arrogano: siate « liberi, c'insegna l'apostolo Pietro, senza farvi della libertà un mantello per coprire la vostra malizia, ma come servi di Dio » ( 1 Pt 2,16 ); non è la sfida spregiudicata alla norma vigente nella società civile, la cui autorità, - è San Paolo che parla, - obbliga in coscienza ( Rm 13,1-7 ), e nella società ecclesiastica, plasmata dalla fede e dalla carità, e governata da un'autorità rivestita di poteri non provenienti dalla base, ma da origine divina, per istituzione di Cristo e successione apostolica; poteri, se occorre indiscutibili ( Lc 10,16; 1 Gv 4,6 ), e gravi ( 1 Cor 4,21 ), anche se sempre rivolti piuttosto che al dominio ( cfr. 2 Cor 1,23; 1 Cor 13,10 ), all'edificazione, cioè alla liberazione spirituale dei fedeli.
Dunque riassumiamo: il nostro tempo, di cui il Concilio si fa interprete e guida, reclama libertà.
Noi dobbiamo sentirci felici e pensosi di questa nostra fortuna storica.
Dove poi troveremo la vera libertà, se non nella vita cristiana?
Ora la vita cristiana esige una comunità organizzata, esige una Chiesa, secondo il pensiero di Cristo, esige un ordine, esige una libera ma sincera obbedienza; esige perciò un'autorità, la quale custodisca e insegni la verità rivelata ( 2 Cor 10,5 ); perché questa verità è l'intima e profonda radice della libertà, come ha detto Gesù: « la verità vi farà liberi » ( Gv 8,32 ).
Ricordatelo, Figli carissimi.
Con la Nostra Apostolica Benedizione.