Il libero arbitrio |
E. - Se è possibile, manifestami la ragione per cui Dio ha concesso all'uomo il libero arbitrio della volontà.
Se non l'avesse, non potrebbe peccare.
A. - Ma per te è apoditticamente noto che Dio gli ha dato questo potere e pensi che non doveva essergli dato?
E. - Per quanto mi è sembrato di capire dal libro precedente, si ha il libero arbitrio della volontà e soltanto per esso si pecca.
A. - Anche io ricordo che questo tema ci si è reso evidente.
Ma ora io ti ho chiesto se tu hai conoscenza certa che proprio Dio ci ha dato questo potere che evidentemente si ha e per cui evidentemente si pecca.
E. - Nessun altro, penso.
Da lui siamo e tanto che si pecchi o si agisca bene, da lui si hanno la pena e il premio.
A. - Ma anche questo voglio sapere, se ne hai conoscenza certa, ovvero se, mosso dall'autorità, lo ammetti per fede opinativamente, senza averne scienza.
E. - Ammetto che sull'argomento dapprima mi sono rimesso alla autorità.
Ma che cosa di più vero che ogni bene è da Dio e che ogni cosa giusta è bene e che è cosa giusta la pena a chi pecca e il premio a chi agisce bene?
Ne consegue che da Dio è retribuito con l'infelicità chi pecca, con la felicità chi agisce bene.
A. - Non faccio obiezioni. Chiedo però ancora come sai che siamo da lui.
Questo ancora non lo hai dimostrato, ma soltanto che da lui si hanno la pena e il premio.
E. - Ma questo lo considero dimostrato soltanto in base al principio ormai reso evidente che è Dio a punire i peccati poiché da lui è la perfetta giustizia.
Può essere di una qualsiasi bontà concedere benefici ad estranei che non ne dipendono, ma non è della giustizia punire chi non ne dipende.
Ne consegue che noi da lui dipendiamo perché non solo è benigno verso di noi nel dare, ma è anche giustissimo nel punire.
Inoltre si può dimostrare che l'uomo è da Dio anche dal principio da me posto e da te concesso che ogni bene è da Dio.
Infatti l'uomo, in quanto uomo, è un determinato bene perché, quando vuole, può vivere secondo ragione.
A. - Certo che se le cose stanno così, è già risolto il problema che hai proposto.
Se l'uomo è un determinato bene e se non potesse agire secondo ragione se non volendolo, ha dovuto avere la libera volontà, senza di cui non poteva agire moralmente.
Infatti non perché mediante essa anche si pecca, si deve ritenere che per questo Dio ce l'ha data.
È ragione sufficiente che doveva esser data il fatto che senza di essa l'uomo non può vivere moralmente.
Si può inoltre comprendere che per questo scopo è stata data anche dal motivo che se la si userà per peccare, viene punita per ordinamento divino.
Ma sarebbe ingiusto se la libera volontà fosse stata data non solo per vivere secondo ragione ma anche per peccare.
Come infatti sarebbe giustamente punita la volontà di chi l'ha usata per un'azione per cui è stata data?
Quando invece Dio punisce il peccatore, sembra proprio dire: " Perché non hai usato la libera volontà per il fine cui te l'ho data? "; cioè per agir bene.
Se l'uomo fosse privo del libero arbitrio della volontà, come si potrebbe concepire quel bene per cui si pregia la giustizia nel punire i peccati e onorare le buone azioni?
Non sarebbe appunto né peccato né atto virtuoso l'azione che non si compie con la volontà.
Conseguentemente, se l'uomo non avesse la libera volontà, sarebbero ingiusti pena e premio.
Fu necessario dunque che tanto nella pena come nel premio ci fosse la giustizia poiché questo è uno dei beni che provengono da Dio.
Fu necessario quindi che Dio desse all'uomo la libera volontà.
E. - A questo punto concedo che ce l'ha data Dio.
Ma non ti sembra, scusa, che se è stata data da Dio per agire secondo ragione, non dovrebbe esser possibile che si volga a peccare?
È lo stesso caso della giustizia che è stata data all'uomo per agire moralmente.
È forse possibile che mediante la giustizia che già si possiede si viva male?
Così mediante la volontà non si potrebbe peccare se la volontà fosse stata data per agire moralmente.
A. - Come spero, Dio mi concederà di poterti rispondere o piuttosto che tu possa risponderti perché te lo insegna nell'interiorità la stessa verità che è la sovrana maestra di tutti.
Ma dimmi un po' se è opportuno dire che non doveva esserci dato ciò che riconosciamo come dato da Dio, supposto che ritieni come certo e oggetto di conoscenza ciò che ti avevo chiesto, cioè se Dio ci ha dato una libera volontà.
Se non è certo che ce l'ha data, ragionevolmente indaghiamo se ce l'ha data per il bene sicché, una volta scoperto che ci è stata data per il bene, è accertato anche che ce ne ha fatto dono colui da cui derivano all'uomo tutti i beni.
Se poi si scoprisse che non è stata data per il bene, si comprenderebbe che non ce l'ha potuta dare lui perché è blasfemo considerarlo colpevole.
Se invece è certo che egli l'ha data, bisogna riconoscere, comunque sia stata data, che doveva esser data e non altrimenti da come è stata data.
L'ha data un essere, la cui opera è assolutamente impossibile biasimare.
E. - Ritengo queste verità con fede incrollabile, ma poiché non ne ho ancora scienza, iniziamo la ricerca come se tutte fossero opinabili.
Osservo infatti che dalla supposizione che la libera volontà è stata data per agire secondo ragione, supposizione che rimane opinabile perché mediante essa possiamo anche peccare, diviene opinabile anche l'altra: se doveva esser data.
Se infatti è opinabile che è stata data per agire moralmente, è opinabile anche che doveva esser data.
Ne consegue che sarà opinabile anche che ce l'ha data Dio perché se è opinabile che doveva esser data, è opinabile anche che da lui sia stata data.
Sarebbe blasfemo pensare che abbia dato un dono che non doveva esser dato.
A. - Per lo meno è apodittico per te che Dio esiste.
E. - Anche questo ritengo innegabile non per conoscenza intellettuale ma per fede.
A. - Ma supponi che uno di quegli insipienti, di cui è stato scritto: Ha detto l'insipiente dentro di sé: Dio non esiste, ( Sal 53,1 ) ti facesse proprio questo discorso e non volesse ammettere con te per fede ciò che tu ammetti, ma conoscere se per fede ammetti delle verità.
Pianteresti in asso questo tizio ovvero riterresti opportuno dimostrare in qualche modo ciò che ritieni innegabile, soprattutto se egli non intendesse resistere per cocciutaggine, ma conoscere criticamente?
E. - L'ultima tua clausola mi indica sufficientemente ciò che dovrei rispondergli.
Anche nell'ipotesi che fosse completamente irragionevole, mi concederebbe che non si deve discutere di alcun argomento, e soprattutto di argomento tanto importante, con un tipo sleale e cocciuto.
Quando mi ha concesso questo, prima dovrebbe intendersi con me perché io gli creda che con disposizione sincera indaga sull'argomento e che in lui, per quanto attiene all'argomento, non si nascondono slealtà e cocciutaggine.
A questo punto gli dimostrerei, cosa possibile a tutti secondo me, quanto sarebbe disposizione più equanime se, come egli desidera che un interlocutore gli creda nei confronti dei propri sentimenti intimi, a lui noti e ignoti all'altro, così anche egli credesse all'esistenza di Dio sull'autorità dei Libri di uomini illustri.
Essi hanno testimoniato nelle scritture di esser vissuti col Figlio di Dio ed hanno tramandato di aver visto cose che sarebbero assolutamente impossibili se Dio non esistesse.
Soggiungerei che sarebbe ben presuntuoso se mi criticasse perché ho creduto a loro, quando pretende che io creda a lui.
Concluderei che non può trovare pretesti per non volere imitare ciò che non riesce a rimproverare ragionevolmente.
A. - Dunque tu supporresti che sia criterio sufficiente dell'esistenza di Dio il fatto che non pregiudizialmente abbiamo giudicato di doverci rimettere ad uomini autorevoli.
E allora perché, scusa, non pensi ugualmente che dobbiamo rimetterci all'autorità dei medesimi scrittori per quanto attiene agli altri argomenti che abbiamo iniziato ad esaminare come opinabili e misteri addirittura?
Potremmo non affannarci più nella indagine.
E. - Ma noi desideriamo avere conoscenza e scienza di quanto accettiamo per fede.
A. - A ragione ricordi il tema che non possiamo negare di aver posto all'inizio della precedente discussione.
Se altro non fosse credere ed altro conseguire con l'intelletto e se prima non si dovesse credere la verità di ordine superiore e trascendente che desideriamo conseguire con l'intelletto, non a proposito avrebbe detto il Profeta: Se non crederete, non conseguirete con l'intelletto. ( Is 7,9b )
Ed anche nostro Signore con le parole e le azioni ha esortato coloro che ha chiamato alla salvezza ad avere prima la fede.
Ma in seguito, parlando del dono che doveva dare ai credenti, non disse: " Questa è la vita eterna che credano ", ma: Questa è la vita eterna che conoscano te solo vero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo. ( Gv 17,3 )
Poi a coloro che già credono dice: Cercate e scoprirete. ( Mt 7,7 )
E non si può considerare scoperto ciò che, non essendo oggetto di scienza, si accetta per fede e nessuno diviene idoneo a scoprire Dio se prima non accetta per fede ciò di cui in seguito avrà scienza.
Quindi ossequenti al precetto del Signore cerchiamo con insistenza.
Ciò che cerchiamo perché ce ne esorta, lo scopriremo perché ce lo mostra nei limiti in cui è possibile scoprire in questa vita l'oggetto trascendente da individui come noi.
Si deve poi credere che dai più buoni, mentre ancora sono in questo mondo, e da tutti gli uomini buoni e pii dopo questa vita, tale oggetto con più perfetta chiarezza è conseguito per visione.
Si deve sperare che sia così anche per noi e, disprezzate le cose terrene e umane, lo si deve considerare ed amare con ogni impegno.
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