15 Aprile 1970
Nell'udienza generale precedente Noi abbiamo ripreso il discorso sulla Chiesa, discorso attuale, discorso locale, discorso spirituale, in questo tempo e in questa basilica, più d'ogni altro spontaneo e obbligante.
E Noi ci siamo chiesti come nasce la Chiesa.
Abbiamo risposto: dalla fede, primo principio interiore, prima condizione soggettiva, senza la quale il battesimo, ch'è la vera nascita sacramentale individuale ed ecclesiale, nello Spirito Santo, non può produrre il suo effetto rigeneratore, che, tra l'altro, fa poi della fede stessa una virtù soprannaturale del cristiano.
Ma ora vi chiediamo: come si arriva alla fede?
Cioè: non solo ad un sentimento religioso, ad una vaga conoscenza di Dio e del Vangelo, ma ad un assenso della mente e del cuore alla Parola di Dio, alla verità rivelata da Cristo e insegnata dalla Chiesa.
La domanda è altrettanto facile, che importante; e se la pose per primo San Paolo, il quale subito vi diede risposta.
Nella lettera, da lui scritta ai Romani, egli si chiede: « Come crederanno ( gli uomini ) in Uno, di cui non hanno sentito dire nulla?
E come ne sentiranno parlare senza chi lo annunzi?
E come lo annunzieranno, se non sono stati mandati? » ( Rm 10,14-15 ).
E soggiunge: Fides ex auditu.
La fede dipende dalla predicazione, e la predicazione dalla parola di Cristo ( Rm 10,17 ).
E a sua volta la predicazione esige un mandato, un'investitura, una missione ( Cfr. Cornely, Lagrange, h. 1 ).
Si comprende il concetto e l'importanza dell'evangelizzazione, dell'attività pastorale, dell'attività missionaria; concetti questi che sono familiari anche nel nostro tempo, e che considerati in ordine alla nascita perenne dei membri della Chiesa acquistano la loro grandezza e la loro specifica funzionalità: la Chiesa nasce dalla Chiesa docente, non da sé in quanto tale; o meglio nasce da Cristo, che manda, allo scopo di salvare gli uomini, mediante la sua parola e la sua grazia, i suoi Apostoli: questi sono i testimoni oculari, primi e diretti: Vidimus et testamur ( 1 Gv 1,2 ): noi abbiamo visto, dicono gli Apostoli e ne diamo testimonianza.
Da notare dunque: il canale delle verità della fede è l'Apostolo; autorevole per la sua personale esperienza e autorizzato per la sua investitura missionaria; dopo di lui seguirà, a catena, chi diffonde sulla terra e trasmette nella storia la medesima testimonianza, non più immediata ma mediata ( da leggere S. Agostino ) ( S. Aug., In Ep. Ioannis ad Parthos, 1, 2, 3; PL 35, 1979-1980 ).
Donde due caratteri essenziali di questo disegno derivante da Cristo in ordine all'annuncio del suo Vangelo di salvezza: la gelosa, testuale fedeltà dell'annuncio, e l'incarico distintivo, qualificante, conferito alla successione apostolica di custodirlo, di propagarlo, di difenderlo, di spiegarlo, in una parola: di insegnarlo.
Questo indica che la Chiesa possiede in se stessa un organo che la istruisce, che le garantisce la genuina espressione della Parola di Dio, un magistero gerarchico, generatore del Popolo cristiano ( del quale anch'esso fa parte, ma con funzione potestativa, provvidenziale, come l'occhio per tutto il corpo ).
San Paolo diceva, confrontando e sovrapponendo la sua funzione generatrice e vivificante di maestro a quella di tutte le altre voci della cultura cristiana o profana: « Se voi anche avete migliaia di precettori in ( ordine a ) Cristo, ma non avete molti padri: sono io che per mezzo del Vangelo vi ho generati in Gesù Cristo » ( 1 Cor 4,15 ); così scrive ai Corinti; e ai Galati: « Io di nuovo vi faccio rinascere, fino a tanto che sia formato Cristo in voi » ( Gal 4,19 ); e, quasi per accentuare la causalità efficiente, anche se ministeriale, del suo compito di maestro, non chiama « fratelli », come di solito, i suoi interlocutori, ma « figli miei carissimi », « figlioli miei » ( Ibid. ).Fra Cristo e i cristiani si inserisce una potestà docente; è il magistero gerarchico.
Ora questa inserzione, questa potestà, è stata ed è tuttora oggetto di gravi e rivoluzionarie contestazioni ecclesiali.
A prima vista, si direbbero legittime.
« Nel campo della religione, la nozione stessa d'un potere sembra esclusa, poiché la religione è il vincolo della coscienza alla sua sorgente e al suo fine …
A fortiori se si tratta della religione di Gesù, che ha riformato la Legge e le sue osservanze e che chiama ogni persona, anche la Samaritana, al culto - in Spirito e Verità -, che è la vera adorazione » ( Guitton ).
È ciò che ha operato la riforma protestante, escludendo il magistero della Chiesa, e mettendo ogni seguace di Cristo a contatto diretto con la « sola Scrittura » e lasciando a ciascuno un « libero esame » di essa.
Ma è così che Cristo ha voluto che la sua rivelazione fosse comunicata ai credenti?
E non vi era pericolo che la verità della Sacra Scrittura perdesse il suo univoco significato, e si frantumasse in mille diverse e contrastanti interpretazioni?
Che cosa è capitato all'unità della fede, la quale doveva appunto affratellare i cristiani in questa sintesi: « Uno è Iddio, una la fede, uno il battesimo »? ( Ef 4,5 )
La storia dolorosa della divisione dei cristiani in tante frazioni, tuttora separate, lo dimostra; e come potrà il generoso sforzo ecumenico contemporaneo ricomporre tutti i cristiani nell'unico corpo mistico di Cristo, « fino a che tutti convergiamo nell'unità della fede » ( Ef 4,13 ), come ci ricorda l'Apostolo?
E potremmo anche ricordare: bastasse la Sacra Scrittura a generare il cristianesimo, donde viene la Sacra Scrittura, se non da un magistero apostolico orale, che la precedette, la produsse, la riconobbe e la custodì?
Bisognerà inoltre osservare che Cristo non ha fondato una religione astratta, una pura scuola di pensiero religioso; ha fondato una comunità di apostoli, di maestri, incaricati di diffondere il suo messaggio, e di dare così origine ad una società di credenti, alla sua Chiesa, alla quale ha promesso e poi inviato lo Spirito di verità ( Cfr. Gv 16,13 ), ed ha assicurato che nessuna potenza avversaria avrebbe potuto prevalere contro di essa ( Cfr. Mt 16,18; Siri, La Chiesa, Ed. Studium, p. 54 ss. ).
Il Concilio ha lasciato una chiara ed organica dottrina su queste basilari questioni; e faremo bene a studiarla per riordinare i nostri pensieri in proposito, specialmente per quanto riguarda il punto più contestato, il magistero ecclesiastico ( Cfr. Dei Verbum, nn. 5-10; Betti, Il magistero del Romano Pontefice, in L'Osservatore Romano del 4 aprile 1970 ).
Grande tentazione della cultura religiosa, anche cattolica, è oggi quella di scuotere l'ossequio al magistero della Chiesa e l'impegno dogmatico alla dottrina teologica ch'esso comporta, cercando di cambiarne l'espressione testuale e poi di alterarne il valore di termini, in modo di attenuare ed anche talora di annullare il significato obiettivo della dottrina, per sostituirvi interpretazioni, erudite forse, ma arbitrarie ed atte a inserirsi nelle correnti delle opinioni culturali moderne, ma non sempre a custodire il senso univoco e autentico della rivelazione, interpretata dalla Chiesa e da essa autorevolmente insegnata.
E grande argomento per tale affrancamento dal magistero ecclesiastico è quello della libertà della scienza ( libertà che la Chiesa riconosce, purché essa sia davvero nell'ambito della scienza, cioè della verità ), e della libertà di coscienza, alla quale anche la Chiesa riconosce i suoi diritti, e anche la sua priorità, quando essa si esercita pronunciando il giudizio morale della coscienza circa l'atto singolo, e immediato da compiere: allora la coscienza è detta la regola prossima dell'agire, la quale non può, non deve prescindere da una regola più alta e generale, che si chiama la legge; come l'occhio non può prescindere dalla luce, che gli rischiara il cammino ( Cfr. S. Alfonso, Theol. moralis, 1, p. 3 ).
La coscienza, da sola, non basta a dare la conoscenza, né della realtà delle cose, né della moralità delle azioni.
Nel campo poi della fede, cioè delle verità rivelate, la coscienza ( salvo specialissimi carismi mistici ) non può orientare da sola la mente del credente: la fede obiettiva non è un'opinione personale, ma una dottrina stabile e delicata, fondata, come si diceva, sulla rigorosa testimonianza d'un organo qualificato, il magistero ecclesiastico, non certo arbitrario, ma scrupoloso interprete e trasmettitore della fede, tanto che ( per citarlo ancora una volta ), Sant'Agostino diceva: « Io non crederei al Vangelo, se a ciò non mi muovesse l'autorità della Chiesa » ( S. Aug., Contra Man., 5; cfr. Lumen gentium, 25 ).
E fa eco un teologo contemporaneo: « La coscienza del credente riceve dall'autorità del magistero ecclesiastico, come la cosa più preziosa, un'infallibile sicurezza nelle verità morali fondamentali ».
Dio voglia che la salutare impressione di questa sicurezza sia concessa nella visita, che state facendo, alla tomba dell'apostolo Simone, per vaticinio di Cristo, diventato Pietro, nel cui nome Noi diamo a voi tutti la Benedizione Apostolica.