13 Novembre 1974
L'Anno Santo, anche per Roma, sua sede tipica e centrale, è alle porte.
Bisogna disporre i nostri animi a recepire le sue grandi lezioni e a compiere effettivamente la disciplina sua propria.
I nostri animi! sono predisposti? sono preparati?
A nessuno di noi sfugge la condizione psicologico-morale in cui essi generalmente si trovano, condizione poco propizia ad accogliere questo esercizio spirituale, ch'è l'Anno Santo, con piena e salutare rispondenza.
Vogliamo esaminare semplicemente e sommariamente perché?
La riflessione si fa innanzi tutto soggettiva.
Ciascuno esamina se stesso, in ordine agli influssi spirituali dell'atmosfera religiosa ed ecclesiale oggi circostante.
Fortunati coloro che godono una normale padronanza di sé, e che possono senz'altro intraprendere lo sforzo ascetico, che il programma dell'Anno Santo presenta a ciascuno ed a tutti per infondere nei singoli animi e nella Chiesa intera quella nuova vitalità cristiana, che dovrebbe caratterizzare quest'ultimo quarto del secolo ventesimo, e preparare la nuova generazione ai grandi problemi del cristianesimo del secolo venturo.
Ma non tutti, anche in seno alla Chiesa, sono in tale stato favorevole.
Pare infatti che uno stato di incertezza, una incertezza interiore, una incertezza sopra la stessa definizione personale propria, impedisca un facile e fiducioso accoglimento del piano spirituale dell'Anno Santo.
Come classificare questa incertezza?
Ciascuno può tentare un'analisi propria, e fare da sé la propria diagnosi interiore.
Noi ci limitiamo all'indicazione d'un fenomeno oggi abbastanza diffuso, che dà un titolo a codesta incertezza; chiamiamolo una « crisi di identità ».
Che cosa vogliamo dire?
Vogliamo dire che spesso quest'analisi soggettiva sopra la propria esistenza sfocia nel vuoto, cioè in un dubbio.
E il dubbio, quando non sia semplicemente metodico e ipotetico, cioè un mezzo di ricerca e di processo cogitativo, ma sia una contestazione interiore, pessimista, della propria abituale certezza, può diventare una voragine che scuote ed inghiotte il castello logico e morale della propria consueta mentalità.
Il dubbio, in questo caso, invece di portare all'esplorazione della verità, porta all'oscurità spirituale, alla tristezza, alla noia, all'audacia iconoclasta contro la stessa propria personalità.
Il dubbio, strano a dirsi nel nostro secolo illuminista, fiero e sicuro delle proprie conquiste scientifiche, è un morbo contagioso e assai diffuso nel pensiero speculativo, e perciò anche religioso, del nostro tempo.
Sarebbe lungo rintracciarne le origini filosofiche, le quali non potranno non imputare ad un famoso filosofo, Cartesio, la svolta impressa alla ragione, in cerca di certezza, dalla via maestra dell'evidenza intellettuale a quella ristretta e soggettiva dell'esperienza psicologica ( ricordate? « io penso, dunque io sono: cogito, ergo sum », dando poi, quasi in compenso, grande e meritato credito alla certezza del pensiero matematico ).
Ma il fatto è che lo stato mentale del dubbio è diventato comune e ancor oggi di moda, quasi un'elegante modestia del pensiero, pago di opinioni, più che di verità, e disponibile a sostituire empiricamente i « luoghi comuni » della mentalità corrente alle esigenze logiche di una più sicura dottrina; produce perciò effetti gravi e imprevisti.
La contestazione negativa della gioventù odierna può derivarsi anche dalla scoperta dell'infermità logica del pensiero profano moderno, e dalla usurpata autorità dei comodi e pseudo-dogmi di un dato costume sociale.
Il giovane intuisce che alla base di questo comune sistema mentale v'è l'incertezza, v'è il dubbio; è sistema costruito sulla sabbia; e perciò egli protesta.
Così che dubitare oggi è diventato atteggiamento abituale e generale; tutto è messo in questione.
La smania del cambiamento sembra offrire rimedio alla incertezza e alla sfiducia, che invadono la pubblica mentalità; e ciò spesso non senza giovamento operativo e progresso pratico: il mondo così cambia e progredisce; ma il cuore dell'uomo piuttosto ne soffre, e inconsciamente sospira a quella verità e a quell'amore, che non gli può dare il mondo esteriore, ma solo il Maestro interiore, che viene in cerca di noi sulle vie della ragione, illuminate dalla fede ( Cfr. S. Aug. De vera religione, 39,73; e De civ. Dei, 11,26 ).
E per ciò che ora a noi interessa ricorderemo come sia contrario al genio del cattolicesimo, al regno di Dio, indugiare nel dubbio e nell'incertezza circa la dottrina della fede, la quale invita, sì, a studio continuo e progressivo, ma partendo da alcune verità sicure per arrivare ad altre verità, che ne sono l'approfondimento e il godimento.
Sarebbe necessario, per quanto adesso ci riguarda, riconquistare fiducia nella antropologia propria del nostro pensiero cristiano ( Cfr. G. Bevilacqua, La luce nelle tenebre, c. IV ); e intraprendere così il cammino di questa nuova tappa della nostra vita con una lampada in mano, vogliamo dire con la certezza di noi stessi, di chi noi siamo, donde veniamo e dove andiamo.
Chi è l'uomo? che cosa significa la vita umana?
Bisognerebbe aver superato le fatali teorie della degradazione materialista e dell'unilateralità idealista per ricostruire una positiva e dinamica scienza della nostra vita.
Non possiamo essere, secondo l'immagine dell'Apostolo Paolo, « come bambini sbattuti da ogni vento di dottrina per gli inganni degli uomini e la malizia loro a rendere seducente l'errore, ma, seguendo la verità con amore, noi possiamo progredire in tutto verso di Lui ch'è il nostro capo, Cristo » ( Ef 4,14-15 ).
Bisogna riacquistare fiducia nella razionalità umana, che fonda la sua certezza sull'evidenza dei principii, sul rigore logico del processo mentale e sull'apporto decisivo di una fede credibile ( Cfr. Actualité de St. Thomas, Desclée 1972 ).
Bisogna superare la crisi circa la propria identità.
Chi sono io?
E a rispondere a questa radicale domanda viene in nostro aiuto la dottrina della grazia.
Ciascuno può dire:
io sono figlio di Dio,
io sono un « cristiano »,
io sono un tempio dello Spirito Santo,
io sono un membro della Chiesa;
sono un povero uomo della terra, ma in cammino verso il cielo …
Anzi io sono un essere, una persona, un « santo », su cui è stampato un carattere sacramentale indelebile, che, col battesimo, con la confermazione, e - se ne ho avuto la somma fortuna - con l'ordine sacro, sono configurato al sacerdozio di Cristo ( Cfr. S. TH. III, 63, 3 ); e se poi un vincolo speciale, il voto, mi ha francamente impegnato alla sua sequela, vedo penetrata la mia vita, la mia personalità, da coefficienti perfettivi, dei quali non è più lecito dubitare, e dai quali non è più possibile, senza violenza al mio essere naturale e soprannaturale, recedere.
« Eravamo una volta tenebre, dice ancora S. Paolo, ma ora siamo luce nel Signore: avanti, camminate come figli della luce » ( Ef 5,8 ).
Ora possiamo muovere il passo sulla via dell'Anno Santo.
Con la nostra Benedizione Apostolica.
I Rettori dei Santuari Mariani d'Italia