10 Novembre 1976
Verso la fine dell'anno liturgico, - si concluderà fra due settimane, con l'ultima domenica del ciclo stabilito, la quale lo coronerà con la festa di Cristo-Re -, ancora ci attrae il desiderio di farne una sintesi, com'è nel genio del modo di pensare del nostro tempo, e di raccogliere intorno ad un'idea le molte cose che sono state l'oggetto della nostra riflessione religiosa annuale.
Questo anno, dopo l'Anno Santo ed ancora nel cono di luce del Concilio, quale aspetto religioso sembra per noi riassumere la nostra fede?
Indubbiamente Cristo; sempre Cristo è il centro irradiante che assorbe il nostro pensiero, che ispira la nostra preghiera, che guida la nostra condotta, se noi siamo fedeli al nostro impegno che cristiani ci definisce e ci fa.
Ci siamo già domandati - forse qualcuno si ricorderà -, sempre desiderosi di condensare in punti prospettici estremamente brevi e fondamentali la nostra mentalità, chi è Cristo in Se stesso, e chi è Cristo per noi; speriamo che qualcuno di quanti ci hanno ascoltati abbia potuto dare a se stesso le formule esatte e densissime, importantissime, di questa catechesi conclusiva della nostra osservanza liturgica annuale.
Ma non è tutto.
Affinché questa sintesi possa afferrare un altro aspetto della nostra presenza religiosa al messaggio cristiano domenicale noi sentiamo sorgere dentro di noi una nuova inevitabile e anch'essa formidabile domanda: e cioè: in sostanza questo insegnamento, che mi deriva da Cristo, che cosa mi propone di credere, di sapere, di pensare?
In altre parole: che cosa offre di specifico, di fondamentale, di irrinunciabile, di bello il Vangelo, che ho ascoltato, alla Messa festiva, o ad altra sorgente informativa?
Questa revisione postuma dell'ascoltazione evangelica è tutt'altro che superflua, se non vogliamo ricadere nel vacuo nominalismo, che si serve dell'epiteto « cristiano » per qualificare mille cose in modo puramente convenzionale, superficiale, esteriore, senza ne approfondirne il significato essenziale, né sperimentare la vibrazione interiore che il ricorso ad un tale nome dovrebbe sempre suscitare.
E tanto meno è superfluo ristabilire il posto che l'insegnamento cristiano deve assumere nella scala dei valori speculativi ed operativi, che esso comporta, se davvero esso è religioso, anzi è verità religiosa, e sale in vetta dei principii determinanti l'umano ordinamento e lo spirituale equilibrio.
Per quanto fecondo, indispensabile ed inesauribile sia e debba essere l'impulso che il cristianesimo conferisce all'umana promozione, esso non può essere intenzionalmente strumentalizzato per una concezione della vita, - oggi, ad esempio, si parla del « cristianesimo per il socialismo » -, la quale concezione ideologicamente e praticamente al cristianesimo contraddica.
Discorso lungo sarebbe qui da farsi; ma ora basti l'accenno.
A noi adesso preme e basta definire quale sia in sostanza quella dottrina, che si definisce cristiana, e che ha fatto oggetto della riflessione religiosa e liturgica dell'anno che sta per concludersi.
Accogliendo un modo oggi molto consueto d'esprimere gli orientamenti sommari della spiritualità possiamo anche noi classificare la dottrina cristiana come tracciata in una duplice direzione, verticale e orizzontale, cioè come rivolta al grande mistero di Dio, e al mistero, infinitamente più esiguo, ma pur esso mistero inesauribile, quello dell'uomo.
Cioè: l'insegnamento di Cristo, il suo Vangelo, ci apre due finestre, una sul cielo, l'altra sulla terra.
Chi frequenta la scuola del Maestro divino godrà d'una scienza, d'una sapienza, d'una incomparabile e beatificante rivelazione circa l'Iddio infinito e ineffabile, trascendente e immanente, e sarà autorizzato a chiamarlo col nome di parentela, più augusto e più familiare.
« Voi dunque - c'insegna Cristo - pregate così: Padre nostro, che sei nei cieli … » ( Mt 6,9ss ).
Meravigliosa teologia, di cui l'umanità non potrà mai saziarsi, e da cui una volta scoperta, una volta interiormente sperimentata non potrà mai staccarsi.
Oh! tenti la filosofia umana di balbettare qualche sublime parola sul « Dio ignoto » senza lasciarsi fiaccare dal dubbio e dalla paura, e ci dica se mai visione più perfetta e più rassicurante sia mai stata offerta alle labbra, al cuore umano!
oh! non vogliamo disconoscere le altezze dell'umana poesia, le speculazioni dei mistici d'ogni religione e d'ogni speculazione, i gemiti di tanti spiriti derivanti dalle esperienze più acute dell'amore e del dolore, ma non potremo non ringraziare il divino Maestro Gesù d'averci insegnato la sua, la nostra ormai insuperabile preghiera, che scorre da animi diventati intrepidi ad accogliere il grande e primo mandato dell'amore, somma di tutta la legge e di tutte le profezie sull'operare umano ( Cfr. Mt 22,37ss ),
e sgorga da labbra infantili educate alla divina conversione ( Mt 11,25ss ).
Questo l'insegnamento verticale ( Cfr. B. Pascal, Pensées, 527, 537, 547, 548, etc. ).
E l'insegnamento orizzontale? la teologia su l'uomo; la leggiamo con quella di Dio, innanzi tutto: « Chi vede me, vede il Padre » ammonisce Gesù il discepolo Filippo, che aveva osato domandare: « Signore, mostraci il Padre, e tanto a noi basta » ( Gv 14,8-9 ).
Gesù irradia una duplice visione, quella divina, l'infinita perfezione; e quella umana, nella sua molteplice degradazione, cioè in ogni umana sofferenza traspare, per chi lo sa scoprire, il mistero dell'uomo, sofferente e degradato, ma non più da disprezzare, ma da cercare piuttosto e da amare, con amore plus-valente, con amore religioso ( Cfr. Mt 25,35ss ).
Questa è la religione di Gesù.
Bisogna che vi insistiamo.
Oggi sembra che sia di moda; e sta bene.
Ma ricordiamo: finché è Vangelo.
La civiltà anche più esperta e raffinata, non regge al vero e forte e coerente amore dell'uomo per l'uomo, se Cristo non c'insegna chi sia l'uomo e perché amarlo ( Cfr. Gv 2,25; cfr. L. De Granmaison, Jésus Christ, II, pp. 85; Rous- Selot-Huby, Christus, pp. 982 ss. ).
Con la nostra Apostolica Benedizione.