Deuteronomio |
In ebraico il titolo del libro, Debarìm ( "Parole" ), riprende il suo inizio: "Queste sono le parole".
Il nome "Deuteronomio" è la trascrizione di una parola greca che significa "Seconda legge", in quanto il libro riprende con accenti nuovi e una impostazione generale diversa la legge dell'Esodo, aggiungendo anche nuovi materiali.
Molto nuova è la forma letteraria.
Il Deuteronomio si presenta come una grande omelia, costituita dai discorsi che Mosè rivolge al popolo d'Israele, accampato alle steppe di Moab, in attesa di intraprendere la conquista della terra di Canaan.
Il materiale di cui è composto il Deuteronomio alterna sezioni in cui prevalgono aspetti esortativi ed omiletici, a sezioni in cui ci si occupa esclusivamente delle leggi che regolano la vita interna del popolo d'Israele.
Primo discorso di Mosè ( 1,1-4,43 )
Secondo discorso di Mosè.
Il codice deuteronomico ( 4,44-26,19 )
Benedizioni e Maledizioni.
Conclusione dell'Alleanza ( 27,1-28,68 )
Terzo discorso di Mosè ( 28,69-30,20 )
Ultime disposizioni e morte di Mosè ( 31,1-34,12 ).
L'atmosfera che domina è quella del commiato o del testamento, che il grande condottiero affida al popolo nell'imminenza della conquista della terra, a cui egli non prenderà parte.
Lo stile è quello dell'esortazione, che cerca più di persuadere che di comandare.
Tema fondamentale e ricorrente in tutte le parti del libro è la legge, che Dio ha donato al popolo e da cui Israele non si deve mai allontanare, pena la perdita della terra e l'esilio.
La legge è il frutto di una storia nella quale Dio ha manifestato la sua misericordia e la sua predilezione per Israele.
Le pagine che rievocano gli eventi fondanti del popolo di Dio hanno, dunque, lo scopo di far cogliere l'intimo legame tra l'azione salvifica e l'obbedienza filiale, che ne scaturisce.
La disposizione del libro richiama i trattati di alleanza in cui i due contraenti stipulano un patto costituito da una serie di precetti da osservare.
All'osservanza delle leggi è connessa la benedizione di Dio per Israele, all'inadempienza la maledizione.
Nel Deuteronomio sono riunite tradizioni molto antiche, ma la redazione finale va collocata dopo il ritorno dall'esilio babilonese, quando Israele si trova nella condizione di dover spiegare la catastrofe che si è abbattuta sull'intera nazione.
La responsabilità di quella tragedia è imputata all'infedeltà del popolo, che più volte aveva violato il patto, liberamente sottoscritto con Dio.
Il Deuteronomio diventa per questa generazione, che ritorna dall'esilio, il punto di riferimento per la ricostruzione d'Israele come popolo di Dio.
Nel testo si intersecano materiali antichi con riletture più recenti.
Vi si può vedere l'opera di una scuola, che ha rielaborato nell'epoca successiva all'esilio materiale più antico, inserendo in momenti cruciali le sue riflessioni teologiche.
L'ottica con la quale tali letture sono proposte richiama quella dei profeti, e in particolare le parole del profeta Geremia.
L'autore o redattore finale appartiene probabilmente ai secoli V-IV a.C.
Quinto e ultimo libro del Pentateuco.
Il titolo ebraico, desunto dalle parole iniziali è Queste sono le parole.
Deuteronomio e la semplice trascrizione del titolo introdotto dalla versione greca: significa seconda legge ed è una errata interpretazione di una espressione ebraica ( Dt 17,18 ): invece di copia di questa legge, la versione greca rese questo deuteronomio; espressione passata poi nelle versioni latine.
Il titolo conviene tuttavia al libro in quanto contiene una seconda legislazione che, oltre un materiale nuovo, ripete in larga misura quanto è oggetto della prima legge ( per es. Es 20,22-23,33 ), ma con accenti propri, con una tonalità generale diversa.
Il libro si presenta essenzialmente come la raccolta di tre grandi discorsi pronunciati da Mosè.
Questi; riassumendo la storia degli avvenimenti passati, ne spiegano il senso religioso, accentuano nella legge alcuni punti caratteristici, regolano la vita religioso-sociale dopo la conquista della Palestina e riaffermano in modo persuasivo e penetrante che l'avvenire del popolo dipende dalla fedeltà alle disposizioni divine.
Il libro termina con la elezione di Giosuè a nuova guida del popolo che si avvia alla conquista della terra promessa e con la morte di Mosè mentre dal monte Nebo contempla la terra in cui non gli è dato di entrare: i discorsi, parte centrale del libro, formano cosi l'addio del legislatore al suo popolo i e con la narrazione degli ultimi eventi anteriori all'ingresso in Palestina termina il Pentateuco.
Il periodo in cui sono letterariamente inseriti i tre discorsi di Mosè è il penultimo mese della peregrinazione nel deserto ( 1,3; 34,8 ); mentre l'ultimo mese è dedicato al lutto per la morte di Mosè ( 34,8 ).
Deut. si può dividere in quattro parti la cui estensione e importanza è naturalmente assai diversa.
I Primo discorso, 1-4,40.
II Secondo discorso, 4,41-28,69.
Consta di tre sezioni ben distinte: introduzione, corpo conclusione.
1° sezione : 4,41-11,32.
2° sezione : codice deuteronomico, 12-27,26.
3° sezione : conclusione, 28,1-69.
III Terzo discorso, 29-30,20.
IV Ultimi eventi della vita di Mosè, cc. 31-34.
La caratteristica che si nota immediatamente nella lettura di Deut. è rappresentata dalla lingua e dallo stile.
Il suo vocabolario non è molto ricco, i termini che gli sono esclusivi e quelli che hanno solo rare testimonianze nel resto della letteratura biblica sono relativamente pochi; ma alcuni di essi, soprattutto un notevolissimo numero di frasi ed espressioni proprie che si incontrano con particolare frequenza, danno al libro una delle inconfondibili sue caratteristiche.
Sono i suoi termini e le sue frasi preferite: in esse l'A. concentra la sua dottrina e una loro rassegna rivela molto circa il contenuto e il modo di presentazione.
Lo stile è generalmente puro, classico, elevato.
Le frasi sono coniate in un modo determinato, con una struttura e un ritmo così singolare da distinguere chiaramente Deut. dagli altri libri del Pentateuco.
L'oratoria e la parenesi, il tono caldo e pieno di simpatia, la passione che traspira da ogni frase, la tonalità patetica, gli incessanti appelli personali all'uditorio e al lettore, l'assenza di retorica pura, di prolissità, di monotonia, la freschezza con cui ritorna sugli stessi soggetti danno alla veste letteraria del libro un carattere inconfondibile ( l'introduzione a Es ).
Chi vi si è familiarizzato ne può individuare subito il filo conduttore in altri libri e comprende come abbia influenzato uno strato tanto vasto della letteratura biblica.
Passando dallo stile al contenuto, valutato in riferimento agli altri libri del Pentateuco, anche solo dall'analisi si avverte che sono considerevolmente numerosi i punti di contatto con le tradizioni jahvista ed elohista e con la legge di Santità ( Lv 17-26 ) della tradizione sacerdotale; mentre con altre parti di quest'ultima tradizione, Deut. non mostra alcun contatto diretto e spesso anzi ne differisce notevolmente.
Sebbene tra i due non si possa affatto parlare di opposizione, il nostro libro non è anticultuale, ma è per un culto vero e sincero sebbene non abbia lo sviluppo e il carattere proprio del culto della tradizione sacerdotale.
Deut. è molto più che un semplice codice di leggi: è l'espressione di un profondo spirito etico e religioso che determina il suo contenuto, investe le sue leggi e le sue parti narrative.
Le leggi e la storia sono direttamente presentati come mezzi per la realizzazione dell'ideale proposto a Israele.
Non è un corpo legale completo ne dal punto di vista civile ne dal punto di vista cultuale: l'A. attinge dalle tradizioni e dai costumi d'Israele quanto giudica più necessario e adatto per illustrare e inculcare quei principi religiosi e morali che ritiene necessari e indispensabili a ogni Israelita; dimostra poi ampiamente di non accontentarsi della pura osservanza della legge ma vuole che questa parta da motivi giusti, sia alimentata dai principi che non si stanca di ripetere.
È un libro pervaso di spirito profetico e legislativo, dove le leggi sono l'espressione di un grande ideale spirituale ed etico che deve pervadere e guidare tutta la comunità israelitica.
L'A. scrive con uno scopo ben preciso: dare una nuova formulazione alla antica legge divina, riportarla al suo valore vitale in relazione al periodo in cui vive, esporre e interpretare la legge mosaica tenendo conto dei bisogni e delle circostanze presenti.
A questo sono diretti gli elementi storici e legislativi, e dalla profonda convinzione della indispensabilità di un ritorno rinnovatore per la vita del popolo e per la continuità dell'antica fede deriva l'elemento parenetico così importante e caratteristico.
L'A. scrive sotto un acuto senso e una dolorosa esperienza del pericolo dell'idolatria; ha una chiara visione che Israele sta tradendo la sua storia, le sue leggi, la sua missione: di qui il continuo insistere contro l'idolatria, la messa in guardia verso i pericoli; di qui gli impareggiabili accenti sui doveri di gratitudine, obbedienza e amore verso il Dio unico, quello della rivelazione mosaica.
Se è così, viene naturale la domanda sulla data della composizione di questo capolavoro dell'A. T. che non ha riscontri in tutta la letteratura orientale estrabiblica.
Sulle questioni di carattere generale cfr.
l'introduzione a Es.
Nello spirito del Magistero della Chiesa, al quale è riservato ogni giudizio in materia e che inculca uno studio critico sempre più attento e una valorizzazione sempre più cosciente della parola divina, allo stato attuale delle ricerche, si può ritenere che la sentenza più convincente è quella che pone la composizione sostanziale del libro nel periodo del rè Ezechia o comunque nel corso del VII sec. a. C.
A questa sentenza inducono ragioni interne al libro e ragioni esterne di carattere sociale, politico e religioso ( 2 Re 18-20; Pr 25,1 ).
In Deut. si sente vigorosamente l'influsso di Isaia.
Egli sperimentò nel tempio la gloria e la santità di Dio ( Is 6,1ss. ), sapeva che ivi era la sua dimora ( Is 8,18 ), la sorgente della legge e della parola di Dio, la mèta futura del pellegrinaggio di tutti i popoli ( 2,2-5 ).
In ugual misura, e forse di più, si sente l'influsso di Osea ( VIII sec. ), che operò nel regno del nord, per il quale la forza unitiva tra Dio e Israele è fondata sull'amore di Dio ( Os 2,8-25; Os 3,1; Os 11,8; Os 14,5 ).
E dal quadro religioso-sociale delle profezie di Amos per il nord ( VIII sec. ) e di Michea per il sud ( nel periodo che va tra i re Akhaz e Manasse, VIII-VII sec. ) si completano gli elementi indispensabili per una piena valorizzazione di Deut.
Nella sua entità sostanziale ( 4,44-30,20 ) il libro è opera di una sola persona, ma ha dietro di sé una storia molto lunga.
La maggior parte del materiale, molto probabilmente, viene dal regno del nord e fu portato a Gerusalemme dopo la caduta di Samaria ( anno 721 ).
In questo filone mosaico del nord, congiunto ad altro materiale conservato nelle tradizioni mosaiche del regno di Giuda, l'A. attinse con scrupolosa fedeltà per la composizione di Deut.
L'opera, dimenticata per circa un secolo nel tempio di Gerusalemme, fu scoperta durante i lavori fatti eseguire dal re Giosia ( 621-620 ) e divenne la magna charta ( non diciamo « il programma » ) della sua attività di restaurazione religiosa e sociale ( 2 Re 22,2-23,25 ); da questo periodo alla caduta di Gerusalemme, o poco dopo, data verosimilmente il suo completamento ( 1,1-4,43; 31-34 ), seguito dalla redazione della grande storia d'Israele che va da Giud. a 2 Re, permeata dallo stesso spirito di Deut.
Eccettuate poche espressioni e frasi, si ritiene che il libro abbia grande unità: le ragioni un tempo addotte contro di essa si sono dimostrate largamente insussistenti.
L'impressione contraria che possono generare certe sezioni, in una certa misura deriva dallo stile e per il resto è dovuta all'atteggiamento positivo e pieno di rispetto che l'A. ha per le tradizioni e il materiale di cui si serve.
Come e perché Deut. sia sostanzialmente mosaico è già stato rilevato ripetutamente quando si è trattato degli altri libri del Pentateuco : è un dato positivo che la critica odierna in genere riconosce largamente.
Ma in proposito è bene sottolineare ancora: Deut. non solo nelle singole sezioni si fonda su materiale antichissimo e mosaico, ma nel suo insieme, le sue tendenze generali e particolari vogliono mantenere la religione mosaica nella sua purezza, lontana da ogni contaminazione cananea; e in questo concorda specialmente con la legge di Santità ( Lv 17-26 ); ciò che caratterizza essenzialmente la sua novità non è la materia ma la formulazione, l'adattamento, la applicazione, lo sviluppo di usi, tradizioni e leggi preesistenti; e la rivalorizzazione, l'enfasi, la maturazione di alcuni principi e visioni che nella loro sostanza sono schiettamente mosaici.
Inoltre, la legge dell'unicità del tempio, se è nuova per la chiarezza della formulazione e dell'insistenza, in realtà era contenuta nell'unicità del luogo di culto, durante la peregrinazione nel deserto e nella unicità dell'arca dell'alleanza in tutto il periodo monarchico come prova lo stesso movente dell'azione del re Geroboamo I ( 1 Re 12,26ss. ); i corollari che derivano da questo principio originario della fede mosaica erano stati dimenticati o trascurati con la conseguenza di una graduale discesa alla adozione di riti, culti, pratiche cananee e assire, fino alla associazione, se non addirittura alla identificazione, di Jahve con divinità pagane, fino a un culto sincretistico dimentico dell'insegnamento fondamentale del mosaismo.
Infine, l'idea un tempo comune tra i critici acattolici che il ritrovamento del libro sotto il re Giosia fosse una « pia frode » per legittimare il programma di riforma ideato e scritto in realtà dai sacerdoti contemporanei è oggi completamente sorpassata: non si tratta di una invenzione ma di un ritrovamento, il re probabilmente aveva già iniziato la riforma ( 2 Cr 34 ) e, se nell'uno e nell'altro si ha il prodotto di un identico movimento, non mancano notevoli divergenze in parte di estrema importanza ( per es. Dt 18,6ss. e 2 Re 23,9 ).
Per concludere : se Deut. pone Mosè nel proprio periodo e, con le norme da lui lasciate, lo fa parlare a un Israele religiosamente smarrito e degenerato, non si prende una eccessiva libertà.
L'acqua della sorgente è la stessa che correrà nel letto del fiume: il fiore e il frutto sono contenuti nel germe; non altera le leggi chi per mantenerle nell'antico spirito e in armonia con la vita della nazione le rinnova affinché siano efficaci.
Con una grande energia morale, con uno straordinario potere retorico e uno spirito profetico, Deut. sviluppa e adatta ai nuovi bisogni gli elementi più vivi, essenziali e fondamentali dell'antica legislazione.
Da quanto precede, è facile arguire quale ricchezza permanente sia racchiusa in Deut., come molto degnamente termini la legge dell'A. T. e costituisca il testamento di Mosè.
Un concetto teologico fondamentale è il monoteismo morale.
La fede che solo Jahve sia Dio ( Dt 4,35.39; Dt 7,9; Dt 10,14; Dt 32,29 ), se riceve teoricamente la più piena formulazione in Is., praticamente è nella fede di Mosè, di Elia, di Amos ecc. e l'insistenza e la formulazione di Deut. è la più vicina a Is.
Non si preoccupa tanto dell'esistenza o meno di altri dèi: l'enfasi è posta sul fatto che non hanno alcun potere e un dio senza potere non merita considerazione.
Unica è la fonte di ogni potenza, di ogni autorità, di tutto il creato: Jahve.
Da lui solo dipende l'universo: premia il giusto, castiga il superbo e il malfattore, nulla sfugge al suo giudizio, alla sua giustizia, alla sua imparzialità.
Nella propria storia, Israele ha avuto modo di constatare tutto ciò; non deve avere altri dèi all'infuori di lui ( Dt 5,7 ).
La natura di Jahve è diversa da quella di qualsiasi altro essere: quindi non solo Israele non può rendere culto a un oggetto materiale ma ne uomo ne animale ne alcun essere celeste lo può rappresentare ( Dt 4,12.15-24 e, in specie, il v. 19 ).
Come la sua persona non è legata ad alcun essere e la sua natura sovrasta tutto il creato, così nessun luogo può essere centro legittimo di culto se lui stesso non lo ha scelto.
Ogni forma di divinazione non può essere tollerata, ogni santuario o altare locale - anche se dedicato al vero Dio - non è che una contaminazione religiosa.
Jahve fa conoscere la propria volontà per mezzo dei profeti ( Dt 18,9-19 ) e manifesta il luogo dove vuoi essere venerato: qui fa abitare il suo nome ( Dt 12,14.18.21; Dt 14,24s.; Dt 16,2.6s. Dt 11; Dt 17,8.10; Dt 26,2 ).
Il suo nome è la sua personale presenza; Gerusalemme è il luogo in cui si fa conoscere, da cui manifesta la sua attività, ma non circoscrive e non limita la sua persona.
Perciò Deut. distingue il nome, domiciliato nel tempio, dalla persona di Jahve non circoscritta dal tempo e dallo spazio.
In Deut. il nome che abita nel Santo dei Santi prende il posto che nei templi pagani è tenuto dalle immagini degli dèi; come già nel Decalogo il nome di Jahve tiene il posto che nel paganesimo ha l'immagine sacra.
Deut. è conscio del pericolo continuo a cui sono esposte queste verità: per tale motivo si dimostra cosi drastico e assoluto nel vietare non solo le relazioni religiose ma anche le civili con i vicini Cananei e anzi li vota all'anatema ( Dt 7,1 ).
Il pensiero della elezione ( Dt 7,6 ) è formulato così spesso e con tanta enfasi da rappresentare uno dei temi fondamentali: è alla base della relazione di Jahve con Israele, da l'impronta alla dottrina dell'alleanza di Dio con i patriarchi ( Dt 4,31; Dt 7,12; Dt 8,18 ) e dell'alleanza sinaitica ( Dt 17,2 ) ed è motivato solo dalla graziosa benevolenza di Jahve, non dal merito, dal numero, dalla rettitudine di Israele ( Dt 7,7; Dt 9,4ss. ); essa - come l'alleanza - è fondata non su relazioni giuridiche ma sulla misericordia e sull'amore di Dio ( Dt 7,7 s ).
Su questo amore riposa tutta la storia d'Israele, ne è l'unica spiegazione e la grande speranza per il futuro ( Dt 8,5; Dt 29 ).
Di qui il motivo per cui il precetto fondamentale di Deut. è l'amore ( Dt 6,4ss. ): Israele deve amare Dio di amore totale e costante, per la condiscendenza divina, per i privilegi passati, presenti e futuri ( Dt 10,12; Dt 11,1.13.22; Dt 13,4; Dt 19,9; Dt 30,6.16.20 ).
E da questo amore di Dio e dell'uomo deriva quel pathos che pervade tutte le leggi di Deut.
Come persona giuridica tutto Israele è una unità; la legge divina forma il destino di tutta la comunità in quanto tutti i singoli partecipano e sono responsabili del tutto.
Ma come persona giuridica Israele non può adempiere il precetto dell'amore: lo può compiere solo attraverso la sua personalità morale per cui non si parte più dal tutto per discendere ai singoli, ma è ai singoli che viene inculcato il precetto.
Onde quel senso di totale devozione personale a Dio che si esprime in termini personali rivolti ai singoli ( « Tu, Tuo, Vai » ), che tende a un amore indiviso e sa sostenere la rinuncia di quanto è incompatibile con essa ( Dt 10,20; Dt 11,22; Dt 30,20 ).
Dall'amore verso Dio all'amore verso gli uomini.
Non è solo nel culto e nei doveri religiosi in senso stretto che l'Israelita deve dimostrare il suo amore, ma nella vita domestica e sociale.
Le leggi dei cc. 12-26 tendono al benessere morale e sociale della nazione e partono dal principio che l'amore verso Dio non solo richiede che si eviti quanto nuoce alla famiglia o alla società, ma che si compia quanto rende felici gli altri.
Il vero Israelita deve osservare le leggi della sua società: tra queste c'è anche quella della purificazione dai malfattori ( Dt 13,6; Dt 17,7.12; Dt 21,21; Dt 22,21 ).
Deut. sottolinea in specie quei doveri che comportano direttamente l'applicazione di un principio morale, insistendo sulla giustizia, l'integrità, l'equità, la generosità ecc.
Così, se non ci sono considerazioni morali o religiose in contrario, l'umanità è uno dei motivi dominanti del libro.
Liberalità e filantropia sono inculcate.
Il tempo passato da Israele in Egitto è ricordato come uno dei motivi che devono ispirare simpatia e comprensione verso gli altri ( Dt 15,15; Dt 16,12; Dt 23,8; Dt 24,18.22 ).
Sono ancora caratteristiche dell'umanità cosi felicemente sottolineata da Deut. il riposo sabbatico per il forestiero e lo schiavo ( Dt 5,14 ), le disposizioni per il tempo di guerra, in favore di chi edificò una casa nuova ecc.
Non che tutto ciò sia ugualmente nuovo, vi sono riscontri con le legislazioni più antiche; ma si hanno qui sviluppi e motivazioni nuove con tale enfasi e chiarezza da caratterizzare tutta l'opera.
Deut. parla con un cuore traboccante di amore verso Dio, gli uomini e la natura; vuole suscitare in tutti coloro che l'ascoltano una risposta improntata alle stesse caratteristiche.
In nessun libro dell'A. T. si sente un amato e un'atmosfera di cosi generosa devozione verso Dio e di così larga benevolenza verso la società e verso l'uomo; in nessun altro libro i doveri dell'uomo sono presentati con un sentimento così profondo e tenero, con una eloquenza così persuasiva; in nessun altro libro dell'A. T. sono esposti con tanta finezza e abbondanza di particolari principi così efficaci per elevare e raffinare tanto la condotta religiosa quanto la vita quotidiana dei singoli e della società.
Si comprende il grande influsso che ebbe la sua dottrina e il suo stile su Ger., sulla seconda parte di Is., su Cron. e su una buona parte di Sal.; oltre il ripensamento di tutta la storia d'Israele ( Gios.- 2 Re ) dovuto appunto al così detto Deuteronomista; e non fa meraviglia che nel N. T. le citazioni e i riferimenti a Deut. siano notevolmente abbondanti.
Dai principi dottrinali esposti appare quanto sia vicino al compimento neotestamentario della divina rivelazione.
Le risposte date da Gesù al tentatore nel deserto sono prese da Dt 6,13.16; Dt 8,3 ( Mt 4,3.7.10; Lc 4,4.8.10 ); Gesù interrogato sul primo comandamento divino, cita la preghiera che si intitola Ascolta ( Dt 6,4s.; Mc 12,29s; Lc 10,27; Mt 22,37 ); e cita ancora Deut. abrogando il divorzio ( Dt 24,1ss; Mc 10,4; Mt 5,31; Mt 19,7 ); così per la legge del levirato ( Dt 25,5ss; Mt 22,24; Mc 12,19; Lc 20,28 ).
Ma questi non sono che minimi esempi.
Gesù Cristo si riservava di dimostrare il significato religioso ultimo della storia di Israele e dare ad essa un senso universale; di approfondire divinamente e portare a compimento la grande ascensione religiosa di tutto il Pentateuco e specialmente dell'ultimo libro e di estenderne al mondo l'insegnamento perenne; di affermare per sempre l'inseparabilità dei due massimi precetti: l'amore di Dio e del prossimo.
A lui, infine, era riservato il rinnovamento e la rigenerazione spirituale dell'uomo affinché la legge non restasse un codice, una imposizione esterna, ma - perfezionata dal suo insegnamento divino e sfrondata di quanto aveva di effimero, temporaneo, preparatorio - fosse assunta nella legge dello spirito.
Ed è finalmente animato dallo Spirito ( Rm 8,1s. ) che il cristiano, in piena libertà, adempie ogni legge esteriore.
Il testo ebraico è giunto con una particolare purezza e non presenta alcun notevole problema testuale.
Unica eccezione è costituita dai cc. 32-33.
Don Federico Tartaglia
Card. Gianfranco Ravasi
Il Re Giosia, il sacerdote Elchia la profetessa Udda e un libro ritrovato nel Tempio
Tre solenni omelie di Mosé nel deserto nella valle dell'Araba
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