Anche se capiamo i carboni accesi in un senso metaforico, sembra strano che dobbiamo fare del bene al nostro nemico per fargli del male.
Sembra comunque una vendetta, e non è il risultato sperato di un atto di gentilezza.
Però, il testo non dice che il male ( i carboni ardenti ) deve essere il nostro scopo per fare del bene.
Dice solo che sarà il risultato.
Non dobbiamo mai fare né sperare il male a qualcuno, ma dobbiamo comunque riconoscere che Dio farà il male ( la vendetta ) a chi fa il male ( Rm 12,17,19 ).
In un certo senso, facendo del bene al nostro nemico, peggioriamo la sua situazione, perché lui vede come si dovrebbe vivere.
Ha ancora meno scuse per il suo comportamento, e più motivo di punizione da Dio.
In questo modo, il nostro bene raduna carboni accesi sul suo capo.
Così anche, nella nostra vita, il male viene vinto dal bene ( Rm 12,21 ) e Dio ci ricompenserà ( l'ultima parte di Pr 25,21-22, che Paolo sta citando qui ).
Un'interpretazione alternativa è che i carboni accesi sono una metafora per la purificazione dopo il ravvedimento, come in Is 6,4-7 e un rito egiziano ( mentre in Sal 140,10 sono una metafora per il giudizio ).
Il nostro comportamento, in quel caso, farebbe vergognare il nemico, portandolo al ravvedimento e al suo perdono da parte di Dio.
È anche possibile che Paolo abbia pensato a tutte e due queste interpretazioni quando ha citato il proverbio.
Infatti, i rabbini interpretavano i carboni accesi in Pr 25,21-22 sia come giudizio sia come rimorso.
Vedi il commento su Matteo 5,39-44.