Giacomo |
Il tema centrale della lettera di Giacomo, sviluppato nello stile di una omelia e senza il rigore di una esposizione dottrinale, è quello della vera sapienza ( 3,13-18 ), dono di Dio, capace di elevare tutta la vita del credente.
Questa sapienza cristiana ispira alcuni comportamenti:
tradurre in atto la Parola ascoltata,
evitare i favoritismi,
compiere buone opere come prova di una fede viva,
saper frenare la lingua
e rifiutare l'uso ingiusto della ricchezza.
L'insistenza di Giacomo sulle opere ( necessarie per le situazioni vissute nella sua comunità ) non è in contraddizione con la tesi di Paolo sulla giustificazione per la fede ( vedi Gc 2,14-26 e Rm 3,28 ).
Paolo dichiara superflue le opere della legge; Giacomo proclama necessarie le opere della carità.
Saluto ( 1,1-18 )
Fede e opere ( 1,19-2,26 )
La vera sapienza ( 3,1-5,6 )
Il Signore è vicino ( 5,7-20 ).
Questo scritto, che si presenta all'inizio come lettera, diventa poi un'omelia di stile sapienziale e profetico.
Vi ricorrono ben 43 imperativi; il nome di Gesù è menzionato due volte.
Certe somiglianze con la prima lettera di Pietro si spiegano con la presumibile dipendenza da una tradizione comune.
È un testo assente dai più antichi elenchi di libri ispirati ed è sconosciuto a molti Padri della Chiesa.
Soltanto verso la fine del IV sec. esso viene comunemente accettato nel NT.
L'autore della lettera è un giudeo-cristiano che ripropone in modo originale gli insegnamenti della sapienza ebraica.
Egli si presenta come "Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo" ( 1,1), personaggio comunemente identificato con quel "Giacomo fratello del Signore", che viene ricordato in Mt 13,55; At 12,17; Gal 1,19.
Figura di primo piano nella chiesa di Gerusalemme ( At 21,18 ), una delle "colonne", come scrive Paolo in Gal 2,9, venne fatto lapidare dal sommo sacerdote Anano nell'anno 62.
Diversi autori considerano questa attribuzione un caso di pseudonimia; l'autore della lettera sarebbe stato in realtà un anonimo cristiano autorevole, il quale avrebbe scritto verso gli anni 80/85 usando lo pseudonimo di Giacomo.
Indirizzando la lettera "alle dodici tribù che sono nella diaspora" ( 1,1 ), egli si rivolge probabilmente a gruppi di cristiani di origine ebraica, di lingua greca, abitanti in Fenicia, Cipro, Antiòchia di Siria e forse anche in Egitto.
Nelle edizioni attuali del N. T., alle quattordici lettere dell'epistolario paolino seguono sette lettere, che portano il nome di « cattoliche », di cui la prima è attribuita a S. Giacomo.
Nei grandi codici unciali del sec. IV ( Vaticano e Sinaitico ) esse però precedevano le lettere di Paolo.
Il titolo di « cattoliche » sembra alludere a una loro destinazione più vasta, in certo modo universale.
Per l'identità di autore entrano in questa raccolta anche le due lettere minori di S. Giovanni, per quanto dirette rispettivamente a una sola Chiesa e a un solo individuo.
Dalla storia dei primi secoli risulta che vi furono parecchi dubbi sulla appartenenza al canone di queste lettere, a eccezione della prima di Pietro e della prima di Giovanni, sempre accettate senza discussione in tutte le Chiese.
Già nel sec. V, però, il consenso sulla canonicità di tutte queste epistole è moralmente unanime.
In questo gruppo la lettera di S. Giacomo ha conquistato soltanto lentamente e progressivamente autorità e notorietà nella Chiesa.
Invero, è a partire dal sec. III, con Origene, che essa viene segnalata come un'opera di Giacomo, fratello del Signore e primo vescovo di Gerusalemme.
L'autore, che nella lettera si chiama semplicemente Giacomo, è identificato da moltissimi cattolici con l'apostolo Giacomo, figlio di Alfeo ( Mt 10,3; At 1,13 ), detto anche il « minore », per distinguerlo dall'altro apostolo Giacomo, figlio di Zebedeo e fratello di Giovanni evangelista.
Altri invece lo distinguono, e dicono che l'autore della lettera e « fratello » ( Mt 13,55; At 1,14 ) del Signore e vescovo di Gerusalemme, martirizzato nell'anno 62 d. C., non faceva parte del collegio dei dodici apostoli ( At 12,17 ).
Le due opinioni presentano ciascuna argomenti notevoli, ma non definitivi, data anche l'ambiguità dell'unico testo che potrebbe dirimerla, cioè Gal 1,19.
La lettera è indirizzata « alle dodici tribù che sono nella diaspora » ( 1,1 ).
Si tratta dei cristiani convertiti dal giudaismo, dimoranti fuori della Palestina.
La difficoltà di determinare con chiarezza i rapporti tra questa lettera e la dottrina paolina sulla salvezza per la fede, rende anche difficile precisare la data di composizione di essa.
Per coloro i quali la pretendono intesa a correggere la falsa interpretazione del pensiero paolino sulla fede giustificante, essa non può esser stata composta che dopo le lettere ai Gal. e ai Rom., e quindi tra il 58 e il 62.
Per coloro, invece, i quali negano questa dipendenza, la data andrebbe cercata nel periodo antecedente il concilio di Gerusalemme, cioè verso il 49 ( At 15,1-29 ).
Avremmo così il più antico testo del N. T.
In realtà, lo scopo della lettera è eminentemente pratico, quello cioè di ammonire i lassisti, che si ritenevano dispensati dal compiere le opere della carità, richieste anche da S. Paolo, e confortare nello stesso tempo i lettori nelle tribolazioni insorgenti entro e fuori della Chiesa.
Per questo carattere la lettera di Giacomo richiama la letteratura sapienziale del V. T.
Lo stile in cui è scritta è pittoresco e felice, come elegante è il greco e preciso il vocabolario, pur denunziando semitismi, che ne svelano l'origine giudaica.
Don Federico Tartaglia
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