La nascita di Gesù nella famiglia |
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Si può dire che la fede è viva, quando ci fa scoprire Dio e la sua azione in tutta la nostra vita.
Il cristiano sposato cerca di percepire come Dio è presente, come egli agisce, come egli parla attraverso tutti gli avvenimenti della vita matrimoniale e particolarmente tramite l'altro, il compagno o la compagna della sua esistenza.
Dio è sempre presente e aspetta costantemente una risposta di ciascuno, attraverso la realtà quotidiana.
Sotto una forma chiara o in maniera più velata.
Dio agisce e parla in tutti gli avvenimenti del focolare.
Agisce per fare vivere sempre più profondamente l'amore umano come un sacramento della sua grazia.
L'amore umano è dunque una chiamata divina.
Per dei cristiani, il punto di partenza della vita coniugale consiste nell'essere attenti a Dio nell'altro.
Si adotta così un'attitudine di buon senso: quella di ascoltare veramente l'altro, senza vivere su una idea bell'è fatta.
Attitudine raddoppiata da una posizione di fede: essa aiuta a vedere nelle necessità del coniuge gli sforzi chiesti da Dio a ciascuno.
Accettare l'altro, è accettare Dio. Rifiutare l'altro è rifiutare Dio.
Il focolare è dunque una vocazione; esso rappresenta una chiamata di Dio.
Ciascuno dei coniugi deve persuadersi della seguente realtà: « Mio marito o mia moglie è un essere incompiuto di cui Dio mi affida la co-responsabilità … ».
Le sue deficienze non dovrebbero sorprendermi.
È nella natura delle cose che l'essere con cui m'impegno abbia da perfezionarsi.
E Dio vuole precisamente che ciascuno degli sposi contribuisca ad aiutare l'altro a raggiungere la sua pienezza.
Occorre dunque aiutare l'altro a scoprirsi tale quale Dio lo vorrebbe, e non cercare di trasformarlo secondo un interesse personale « ricostruirlo » sul proprio modello.
Lo stesso sia detto per i difetti: per aiutare l'altro devo combattere i difetti che intralciano l'azione di Dio nella sua vita e non quelli che mi infastidiscono.
Ogni giorno e in ogni cosa, l'altro è una chiamata di Dio nella mia vita.
Ogni giorno …: qui, risiede la difficoltà.
Non è facile rimanere ogni giorno in questa attitudine di fede.
L'esperienza mostra che i sogni, i rimpianti, i paragoni, le ipotesi, rappresentano un vero sbarramento tra gli sposi.
Dio si esprime a noi nel reale.
Si esprime attraverso l'altro tale quale è.
L'amore umano, l'esistenza di ogni giorno s'iscrivono nell'economia del mistero di Cristo di cui siamo i servitori.
In rapporto a questa suprema realtà, la vita coniugale non è che una via che conduce alla vocazione totale del cristiano.
E dunque alla santità.
Nel matrimonio, il figlio si situa come una vita nuova che s'impone ai genitori con tutti i diritti di una persona.
Amarsi è innanzitutto, ma non esaurientemente, accogliere il figlio.
La potenza di procreazione possiede un significato soprannaturale meraviglioso: essere un contributo al compimento del Corpo di Cristo.
Gli sposi che mettono al mondo dei figli e si assumono la responsabilità talvolta ben gravosa della loro educazione danno a Cristo la possibilità di sviluppare il Suo Corpo, di progredire verso la Sua pienezza.
I figli sono il Cristo che - con i genitori e attraverso loro - costruisce il suo Corpo.
Una forma più estesa di questa fecondità riguarda il servizio degli altri.
Grazie alle loro ricchezze coniugali e alle loro responsabilità familiari - e non in contraddizione con esse - gli sposi vedono aprirsi davanti: a loro il campo vastissimo delle loro attività nella Chiesa e nella società.
I genitori si scoprono veramente « padre e madre » quando preparano ai loro figli i quadri in cui si svilupperanno: scuola, parrocchia, tempo libero, formazione professionale.
Ma c'è di più.
Il fatto di essere cittadino, operaio o impiegato, membro della Chiesa, impegna i genitori in legami con il prossimo, che s'impongono a loro, indipendentemente dal loro matrimonio.
Se gli sposi hanno il cuore piccolo, se nessuno ha rivelato loro le dimensioni del loro amore, se non afferrano il dono di Dio, la risposta sarà necessariamente piccola nel campo dei bambini come in quello del servizio del prossimo.
Ma se, al contrario, la loro formazione umana e cristiana ha aperto loro il cuore, se hanno percepito la grandezza della loro vocazione propria, il posto del loro amore nella crescita della Chiesa, essi saranno disposti ad accogliere la vera dimensione della loro fecondità. ( v. A. D'Helly; Amour et Sacrement ).
Gesù Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni.
« Spogliò se stesso, prendendo la natura di un servo ».
Per noi « da ricco che Egli era, si fece povero » ( 2 Cor 8,9 ).
« Tutti i fedeli quindi sono invitati e tenuti a perseguire la santità e la perfezione del proprio stato.
Perciò tutti si sforzino di rettamente dirigere i propri affetti, affinché dall'uso delle cose di questo mondo e dall'attaccamento alle ricchezze, contrariamente allo spirito della povertà evangelica, non siano impediti di tendere alla carità perfetta.
Ammonisce infatti l'Apostolo: « Quelli che si servono di questo mondo siano come quelli che non ne godono: poiché passa la scena di questo mondo » ( 1 Cor 7,31 - Lumen Gentium, 42 ).
« Il significato della povertà evangelica ha cambiato considerevolmente nel corso dei secoli, ed è ancora oggi assai differente secondo gli Ordini religiosi o semplicemente secondo i paesi in cui essi sono vissuti.
Se la povertà significa l'attitudine dell'anima tramite cui preferiamo Dio, il suo amore, la sua vita, a tutti i valori di questo mondo, come la perla preziosa per cui occorre essere pronto a vendere tutto il proprio bene, allora la povertà non è un consiglio facoltativo, ma una esigenza di vita di ogni cristiano.
Ma se la povertà significa un modo sociologico di vita, allora non possediamo più criteri per decidere quale è evangelica e quale non lo è.
La stessa povertà, come la medesima ricchezza, possono essere pro o contro il Cristo.
La povertà, di per sé, non è né un bene né un criterio.
Non saremo giudicati sulla nostra povertà, ma sul nostro amore.
Senza dubbio l'amore ci condurrà allo spoglio di ogni ricchezza egoista e al condividere con i più poveri; ma allora non è più la povertà come tale che viene cercata: è la comunione nell'amore ». ( Besret )
Un certo numero di giovani coppie dei nostri paesi ricchi, si adattano, sembra, senza grande difficoltà tanto ad una vita confortevole come ad una esistenza meno comoda.
Weyergans, autore cattolico belga attuale, di notevole fama, ha osservato parecchie, coppie in vacanze, durante due mesi, nella Provenza dove soggiorna d'estate.
Ecco il frutto delle sue osservazioni: « Non vorrei trarre conclusioni affrettate, ma dopo aver osservato per due mesi, la vita naturale e senza ingannevoli attrattive di queste giovani coppie di sposi, mi sembra di poter fare alcune interessanti osservazioni.
La caratteristica essenziale e comune a tutte è l'indifferenza per la condizione economica.
La cosa può meravigliare, perché viviamo in un'epoca di gretto materialismo, ed è facile credere che i giovani sposi desiderino soprattutto il possesso del televisore, dell'automobile, del frigorifero.
Molti di loro avevano questi "comforts" ( in città, non certo in vacanza ), e tuttavia sembravano essersene dimenticati e non ritenerli più di importanza fondamentale.
Alcuni erano anche più ricchi di altri, ma ciò non impediva che tutti fraternizzassero e si aiutassero vicendevolmente con discrezione.
Le mogli erano graziose, eleganti, ma con pochissime esigenze.
I mariti vestivano come tutti i giovanotti in vacanza: blue-jeans e camicie di tela.
Non si distinguevano in nulla l'uno dall'altro, ma soprattutto non avevano l'intenzione di distinguersi.
Questo disprezzo per i beni materiali si univa ad un vivo senso realistico della vita.
Sapevano bene che occorre del denaro, se era necessario, anche durante le vacanze.
Li ho sentiti discutere sul prezzo di un mobile, li ho visti alzarsi all'alba per andar al mercato di buon'ora ed ottenere più facilmente uno sconto.
Li ho visti studiare per poter superare un esame che consentisse un miglioramento della propria posizione professionale.
E le mogli erano realiste quanto i mariti; lavoravano anch'esse senza trascurare i propri compiti familiari.
Questa è una generazione in crescita.
Ha relegato il denaro al suo giusto posto, che è quello di servo.
Non rifiuta di consacrargli del tempo, ma lo fa solo perché sa che può essere utile.
Il denaro non è più un fine.
Non le interessa viaggiare in utilitaria o in fuoriserie: la macchina deve servire per spostarsi e non per far invidia ai vicini.
Credo che questa generazione sia migliore di quella che l'ha preceduta è - posso sbagliare - ma il miglioramento è promosso dalle donne che hanno influenzato i loro mariti in questo senso ».
Malgrado i piccoli screzi superficiali inevitabili, una famiglia in cui Cristo è presente, ed è vivo in ciascuno dei suoi membri, è una famiglia che normalmente vive nell'armonia.
Una tale famiglia, evidentemente, porta e irradia la pace di Gesù.
Per assicurare questa armonia è necessario innanzitutto evitare le diverse « pareti » che potrebbero sterilizzare l'immensa buona volontà degli sposi:
- la « parete » tra la vita coniugale e la vita cristiana.
Troppi sposi considerano da una parte lo sviluppo, le ricchezze, le crisi della loro comune condizione, e dall'altra le loro relazioni personali con Dio, il loro ruolo in seno alla Chiesa.
Su simili basi, come raggiungere l'armonia, se non in maniera passeggera e accidentale?
- la « parete » anche tra gli approfondimenti successivi dell'amore coniugale, che tende a trasformarsi in carità, e la presa di coscienza crescente delle esigenze dell'amore fraterno.
Il servizio del prossimo fa sentire con sempre maggiore forza la sua necessità, il « comandamento nuovo » del Signore vuole ogni giorno di più strappare gli sposi al loro egoismo apparente o camuffato.
Ma questi hanno paura di vedere soffrire l'intimità familiare, e in certe situazioni concrete, sono lacerati.
- la « parete » finalmente, tra il dono carnale e la comunione degli spiriti e dei cuori.
Quando non è rischiarata, arricchita, giudicata alla luce di una fede condivisa, la vita carnale non acquisisce il suo vero senso e non raggiunge tutta la sua fecondità.
Occorre abbattere questi muri, alzati dalle tendenze istintive dell'essere, come dalle numerose influenze di una società paganizzata.
Questo è possibile nella luce e nel calore dell'Amore di Cristo ». ( A. M. Carré ).
Sotto una certa prospettiva, gli sposi riconoscono che un amore coniugale vero è una realtà terribilmente esigente.
In periodo di crisi, si rischia di imbattersi in questa visione troppo stretta: « Perché dovrei sacrificarmi per l'altro? ».
Rimanendo su un piano poveramente umano, si pesa e si misura la parte di rinuncia chiesta a ciascuno.
Occorre però andare al di là, nella fede: « Dio ha diritto su tutto ».
Il vero significato degli sforzi, dei sacrifici accettati per il coniuge non è altro - in definitiva - che la fedeltà a Dio, a Dio che si esprime in mille maniere, e in particolare, per un cristiano sposato, tramite l'intermediario dello sposo o della sposa.
Infine la visione di fede di questa chiamata divina attraverso il focolare stesso, può apportare un aiuto pratico agli sposi quando si trovano di fronte ad un superamento da realizzare: liberazione dall'influenza familiare, impegno apostolico più generoso, qualunque altro sacrificio.
Si accorgono che il focolare è una vocazione, ch'esso rappresenta un invito a Dio.
Soltanto il senso di questo invito divino può illuminare certe tappe della loro esistenza, e creare le condizioni di un'armonia, di una pace familiare durevole.
Un secondo mezzo per assicurare l'armonia in famiglia è di conoscersi ( padre-figli ) e di valorizzare le ore « comunitarie ».
Ma « come conoscersi, privati come siamo del tempo utile per un incontro proficuo?
A questo padre occupatissimo, che non ha il tempo di preoccuparsi dei propri figli - è Weyergans che parla - vorrei in primo luogo domandare se per lui il valore del tempo "familiare" è veramente superiore a quello del denaro guadagnato.
Perché a che serve passare la vita a costituire una grossa fortuna, se ciò è a detrimento della vera vita, che è fatta prima di tutto dell'amore che si dona e si riceve, tanto per la moglie che per i figli?
Se mi risponde che il denaro non viene prima dell'amore, vorrei chiedergli allora di fare il totale delle ore che ha la possibilità di trascorrere con i suoi e se per caso non ne trafughi qualcosa per sé ( incontri che si prolungano al caffè, il giornale, il telefono ecc. ).
Resta poi da dare il dovuto valore alle ore "comunitarie".
Quando il padre è presente, sia davvero disponibile, per giocare con i bambini, per aiutare i ragazzi a terminare i compiti, per filosofare con i più grandi ( e non c'è affatto bisogno di essere laureati in filosofia per filosofare! ); presieda amichevolmente la tavola; plachi sul nascere le discussioni; narri delle storie e se ne faccia raccontare; ascolti i propri figli, sia, allo stesso tempo, allegro, comprensivo e maturo.
Proprio perché siamo dispersi, la casa è l'incontro delle nostre pene e delle nostre gioie, e il padre deve essere, in questa oasi di pace, al fianco della madre che fa regnare l'ordine e la dolcezza, colui che da vigore e slancio.
La casa deve essere il luogo del suo riposo.
Ma è nell'ordine delle cose che un padre non sia mai in riposo.
Saranno queste ore dedicate ad essere tutto per tutti, vigilante e attivo, che gli daranno il vero riposo, la distensione ch'egli cerca.
Un padre è l'incarnazione del paradosso cristiano: è perdendo la sua vita che la salverà ». ( Weyergans ).
Fr. Joseph Cleamence