Evangelizzare il mondo contemporaneo |
B195-A1
Il compito fondamentale della Chiesa e del cristiano è quello di far conoscere il messaggio del Vangelo.
La missione dell'evangelizzazione, faceva rilevare il documento della CEI del febbraio 1974, significa annunciare il messaggio della salvezza all'uomo d'oggi non in una maniera qualsiasi, ma in modo che lo ascolti, lo comprenda e lo accolga.
Se questa è la condizione affinché l'annuncio riesca efficace, la proclamazione del messaggio deve essere capace di suscitare l'interesse dell'uomo.
Avvicinare il Vangelo alla nostra generazione, al mondo moderno, è forse impegno più difficile di quanto lo sia stato per gli apostoli del I secolo.
Il Vangelo era "un corpo estraneo" per l'uomo di quel tempo; il suo contenuto era "scandalo e follia" ( 1 Cor 1,23 ).
Stabilire un confronto, tuttavia, non avrebbe significato se non tenendo fermo il presupposto che il Vangelo, come Cristo, "è lo stesso ieri e oggi e nei secoli a venire" ( Eb 13,8 ).
La "Parola che non passa" è stata pronunciata per l'uomo e porta ad ogni uomo, ogni volta, la "sua" buona novella.
Rimane vero però, ed il Vaticano II lo ha ribadito più volte, che la formulazione del messaggio deve trovare un linguaggio adeguato per l'incessante trasformazione che culture e progresso apportano nell'ambito delle conoscenze, delle attese, della mentalità, delle prospettive del tempo in cammino.
Ma qual'è la mentalità dell'uomo contemporaneo, quali i suoi problemi le sue esigenze?
« Ai nostri giorni, l'umanità scossa da ammirazione per le sue scoperte e la sua potenza, agita però spesso ansiose questioni sull'attuale evoluzione del mondo, sul posto e sul compito dell'uomo nell'universo, sul senso dei propri sforzi individuali e collettivi, ed ancora sul fine ultimo delle cose e degli uomini ». ( Gaudium et Spes, 3a ).
Siamo a questo: la rapidità dei mutamenti che caratterizza il mondo odierno e di cui l'uomo rivendica in modo esclusivo il ruolo di protagonista, sconcerta l'uomo stesso che finisce per subirli, poiché pone alcuni interrogativi di fondo di ardua soluzione per il pensiero umano.
Quali sono i nodi di fronte ai quali l'uomo misura la sua angosciosa impotenza?
Primo fra tutti è la constatazione della contingenza, cioè la comprensione della mancanza di continuità tra passato e futuro che superi la frammentarietà che distrugge ogni struttura di razionalità e di finalità.
Insomma, l'uomo è consapevole dell'incapacità del pensiero a trovare valori che superino l'usura dei tempo e facciano sentire l'uomo legato alla vita dei suoi predecessori ed al futuro di coloro che lo seguiranno.
Questa chiusa temporalità comporta un'assenza di significato per l'azione presente dell'uomo.
Se non v'è alcun fondamento duraturo dell'essere a cui la vita umana è destinata, l'uomo è coinvolto in un processo di morte senza scampo, mancando la dimensione che supera la breve parabola degli anni dell'esistenza terrena.
Un atroce cerchio sigilla l'uomo nella sua effimera esperienza terrestre; nessuna sorgente di sicurezza lo solleva dal suo isolamento, prigioniero del suo limite, del suo confine senza orizzonte; prigioniero del suo stesso sforzo verso un progresso che è senza valore perché privo di continuità.
Proprio qui ha la sua motivazione più profonda l'angoscia dell'uomo contemporaneo ( la chiamano anche insicurezza ontologica, ansietà metafisica ).
Le conquiste tecniche e scientifiche sono circoscritte nello stesso involucro in cui geme l'uomo crisalide.
Di modo che, proprio la capacità che l'uomo oggi ha acquistato di imprimere rapide trasformazioni alla sua esistenza, si ritorce contro di lui, celandogli la sua origine e la sua meta: il suo vero destino di nascita - morte - risurrezione.
Perde così il significato della vita.
L'autonomia si tramuta nell'impotenza di dominare la stessa realtà terrestre, il suo mondo, il suo ordine, e vanifica perfino le sue aspirazioni di puro benessere materiale che scopre labili e illusorie.
Si aggiunga che nella nostra epoca, gemella della torre di Babele, l'uomo esclude la presenza e l'intervento di Dio ( l'ateismo è un tratto caratteristico del nostro tempo ), e con ciò ha perso qualsiasi principio di orientamento e non riesce più a trovare parametri validi su cui fondare i propri giudizi ed è incline ad attribuire a concetti e a vocaboli ricorrenti nei rapporti col prossimo, a livello di comunità familiare, di nazione, di continenti, significati abnormi, utilitaristici, personali al punto che la confusione invade tutti gli spazi del linguaggio.
Si assiste all'appropriazione indebita e a stravolgimenti di parole- base di uso comune, e di per sé chiarissime, come giustizia, pace, amore, libertà che si distorcono, si violentano, si camuffano fino ad assumere significati contraddittori e bugiardi da bocca a bocca.
Il pane può corrispondere a scorpione ( Mt 7,9 ); la giustizia può trovare accoglienza come violenza dall'altra parte della barricata; la libertà può realizzarsi come oppressione; la pace come guerra.
Una clinica di parole "malate".
La contraffazione è in atto anche nell'ambito della coscienza ed allora il frutto intossicato e letale è la perversione.
L'uomo del nostro secolo è diventato schiavo dei propri istinti, dell'egoismo, del piacere, della sensualità, della cupidigia, della truffa: e per soddisfarli ricorre a qualsiasi mezzo, a volte con la connivenza del potere, il quale rimane compromesso fino a legalizzare con ordinamenti inquinati e permissivi anche le manifestazioni più brutali ed esecrande.
Perversione: sì, perché l'uomo se ne giustifica, si ritiene autorizzato, si sente rispettabile, se ne vanta come di una conquista del progresso.
"Grande mistero è l'uomo", scriveva S. Agostino, profondo conoscitore dell'animo umano; e, in quanto mistero, partecipe della dimensione soprannaturale e sacrale, elusa la quale, l'uomo può soltanto esaltare dei simboli di affermazione umana dissociati dalla sua vera essenza la cui circonferenza, per quanto dilatata, ha sempre il suo meridiano che attraversa al centro la zona misteriosa e sacra, appunto, di aspirazioni che travalicano ogni orizzonte terreno.
Le inquietudini morali che rendono precario e ambiguo il senso della vita, i problemi davvero urgenti e vitali sono situati in quel centro.
Questa realtà, altezzosamente ed affannosamente ripudiata dal vecchio scientismo positivistico e dal nuovo laicismo viscerale, non si cancella con la conquista della luna; una teoria dell'agire non può sostenersi senza indagare i propri fondamenti e senza chiarirsi quali siano i valori che la alimentano dal di dentro.
Non giova invocare il processo di socializzazione che porta nel vicolo chiuso della perdita del senso della responsabilità individuale e quindi del peccato come fatto personale.
Il lavoro della fantasia che rimpalla sempre "a monte" l'attribuzione della responsabilità alla ricerca di un alibi liberatorio non scagiona, né in tutto né in parte, la corruzione e i traviamenti dell'individuo singolo.
Questo è dunque l'uomo socio - economico, culturale, mutevole ed antidogmatico, libero e socializzato, disorientato ed oppresso, secolarizzato e areligioso, intraprendente ed angosciato?
Si direbbe che ha accolto l'invito di Nietzsche: « Rompete le tavole ».
Ma la spaccatura che assicurava, quale immancabile ed irreversibile traguardo, l'eclisse del sacro, anzi la morte di Dio, ha messo a nudo, sotto le incrostazioni della superstizione e del magismo, la falda viva di una persistente religiosità sentita come inalienabile esigenza che proclama, e reclama, la necessità di un ricupero totale dei più autentici valori spirituali e religiosi.
Quest'uomo contemporaneo, che richiama, con facile rimando, l'immagine del viandante della parabola, « aggredito ed abbandonato coperto di ferite lungo la via, mezzo morto », ( Lc 10,33 ) è il soggetto della Parola di Dio; a lui è portata la buona novella, è colui che Dio interpella e chiama alla salvezza.
E c'è già stato Chi ha pagato il conto.
« Dio ha tanto amato il mondo da darà il suo figlio unigenito » ( Gv 3,16 ).
« Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati ed arrivino alla conoscenza della verità » ( 1 Tm 2,4 ).
È sempre Dio che fa il primo passo e l'uomo che pone la sua fede, la sua speranza ed il suo amore nel Salvatore Gesù trova veramente il principio di continuità capace di dare un senso alla sua storia e alla sua vita.
La fede viene dall'alto.
« È davvero sorprendente, scrive P. Mazzolari, che mentre tutto si può dare perché tutto è stato messo nelle mani dell'uomo, nessuno può dare la fede, all'infuori di Dio.
Posso renderle testimonianza, posso farla conoscere, ma non la posso dare ».
Posti questi principi di fondo, si chiarisce la necessità della domanda, della preghiera.
La preghiera germoglia sulla fede.
Il Vangelo ce ne offre parole e sentimenti.
« Signore, credo, ma aiuta la mia incredulità » ( Mc 9,28 ).
« Signore, aumenta la mia fede » ( Lc 17,15 ).
Possiamo affermare che la fede è un atto della volontà dell'uomo che desidera ristabilire l'armonia tra il piano dei valori terreni e quello dei valori spirituali.
Il momento della fede non è sempre preciso, chiaro, completo.
Ma sappiamo che è la fede che salva, quella fede che non può essere evidenza, ma adesione al mistero ( 1 Cor 13,12 ).
« La tua fede ti salva » ( Lc 7,50 ).
Si direbbe che Gesù stesso ha misurato, in un certo senso, le difficoltà dell'atto di fede da parte dell'uomo.
« Ho pregato per te perché la tua fede non venga meno » ( Lc 22,32 ).
Solo Dio può giungere nei vuoti della ragione dell'uomo, purché l'uomo si renda disponibile.
Oggi assistiamo alla radicalizzazione, anche nella volontà della proclamazione del Vangelo, dell'eresia dell'azione.
Pullulano le scuole e le correnti teologiche che interpretano la Parola con soluzioni assolutamente inadeguate, perché limitate allo sforzo di mettere in sintonia il messaggio della salvezza con le filosofie, le ideologie e persino con le politiche della sfera terrestre.
Sembra che vi sia insistente preoccupazione di « allungare frettolosamente il passo di Dio » e di mettere in sottordine il concetto stesso contenuto etimologicamente nel termine "religione", che significa appunto "legame con" il Dio della Rivelazione, dell'Incarnazione.
Il problema è uno di quelli, insomma, che si risolvono più con i ginocchi che con il cervello.
L'atteggiamento più logico e più producente del cristiano è quello del pubblicano: verifica spassionata della propria condotta nella certezza che nessuno merita più considerazione da parte di Dio di colui che riconosce il proprio errore; sentire con sincerità la propria incapacità di raggiungere la giustificazione ( stare in fondo ); la fiducia di incontrare la sorgente della luce e della pace interiore che placa le inquietudini della mente e del cuore ( Lc 18,9-14 ).
Oggi si contesta con violenza una religione che finisce per significare osservanza di alcune norme, soddisfazione esteriore di alcuni riti che si esaurisce in un rapporto formale, in un "dovere" compiuto, ma che non coinvolge alla radice la "persona", non la mette in crisi, non la compromette fino al rischio.
Nessuna contestazione è più salutare e più necessaria.
Infatti la troviamo in atto in ogni pagina del Vangelo.
Gesù fu il primo contestatore di una religione di parata, addobbata di atti rituali e legali compiuti con "durezza di cuore".
Una contestazione sconvolgente della religione dell' « esterno del bicchiere pulito con l'interno pieno di rapina e di intemperanza » ( Mt 23,25 ).
È evidente che la condanna investe non già l'elemento dell'atto esteriore in se stesso, o nella condotta, anzi. « Vedano gli uomini le vostre opere buone e glorifichino il Padre che è nei cieli » ( Mt 6,16 ).
La condanna è per l'assenza dell'apporto interiore, per la dissociazione tra corpo e spirito, per la mutuazione della persona, per l'ipocrisia dell'olocausto.
Nel mazzo delle parole malate c'è anche quella della religione, dunque.
Notare bene che qui si dice religione e non Chiesa, che, allora, l'idolo polemico sarebbe ben più esposto alla fronda a perdifiato di moda da parte di profeti senza profezia, di maestri senza dottrina, di fratelli senza affetti, di democratici senza tolleranza, di religiosi senza fede.
Il Vangelo è un libro che propone scelte come rischio non tanto della parola quanto della condotta, del costume.
La testimonianza delle opere deve precedere le parole.
Viene in mente il celebre "fioretto" in cui S. Francesco invita frate Leone ad accompagnarlo a "far predica".
Escono per le vie della città, non aprono bocca, rientrano in convento.
Frate Leone domanda: « Ma non dovevamo predicare? »
E Francesco: « L'abbiamo fatto ». Gli esempi gridano.
San Giovanni il Battista predicò l'imminente venuta del regno e la necessità del radicale cambiamento ( conversione ) dell'uomo nella prospettiva di questa venuta; ma le sue parole erano servite da una condotta integerrima e la sua testimonianza giunse fino alla morte.
E Gesù stesso, il modello assoluto, iniziò col fare prima di insegnare.
Ogni creatura passa nella vita con una porzione di luce.
L'esempio è la parola gridata sui tetti, efficace, convincente; ed è anche l'unica espressione che non corre il pericolo di soggiacere alle interpretazioni delle fazioni intellettualistiche e "progressiste".
Oggi l'uomo è assediato da un arcobaleno di ideologie senza margini.
Non è lasciato solo una sola ora nella giornata.
I mezzi di comunicazione lo stringono in una morsa incessante, e moltiplicano le ragioni della sua insicurezza, sconcertano i suoi giudizi.
Sembra giunta l'epoca, predetta da Gesù, dell'invasione dei falsi profeti sulla terra ( Mt 7,15 ).
« Insegnarne la storia - diceva B. Shaw - servendoci della vita dei farabutti ».
Fanno notizia, quelli.
Nasce una mitologia nuova, un pantheon di idoli falsi e bugiardi proposti alla invidia e al desiderio quali modelli « moderni, affascinanti, liberi, pionieri del progresso ».
Eppure questo mondo, « che offre i frutti più belli, più perfezionati, più godibili della civiltà contemporanea, non soddisfa, perché su di esso pende come una spada di Damocle la domanda terribile: Che giova mai all'uomo guadagnare tutto il mondo se poi perde l'anima sua? » ( Paolo VI ).
Gesù è l'origine della nostra salvezza per la sua morte e resurrezione ed è perciò la nostra vita vera.
Egli è il "Dio - con - noi", la cui presenza nel nostro essere è luce per le nostre scelte, è forza per il nostro agire.
L'uomo, credendo in lui che lo ama, amando lui con il quale vive, sperando in lui che lo attende, riesce a dare un significato alla propria esistenza.
Il cristiano deve scegliere tra le spinte della società opulenta, le dottrine che tutto promettono sotto il vessillo della ricchezza, della potenza, del successo, e la promessa del regno che è vicino.
Deve mettersi all'ascolto, nel frastuono, del "ma io vi dico" che lo determina in una adesione a Cristo, e a Cristo Crocifisso, accettando di diventare segno di contraddizione nel mondo.
Testimoniare infatti che solo Cristo è la nostra salvezza significa contestare le scale di valori puramente umani come vuole il mondo odierno.
Di qui il contrasto, la lotta, la persecuzione riservata a coloro che non si adeguano al dettato del mondo, ma aspirano all'attuazione delle beatitudini del discorso della Montagna.
Il conflitto è in atto.
Si veda, per esempio, come viene presentato, e liquidato, il significato genuino dell'Anno Santo.
Il Papa ha voluto servirsi di questo evento penitenziale ed eminentemente spirituale, per dare vita, nel rinnovamento dei costumi e nella riconciliazione dell'uomo con Dio e dell'uomo con l'uomo, ad un più vero slancio del sentimento religioso, creando occasioni di meditazione, di ricerca, di approfondimento al vivere più pienamente la dimensione comunitaria e sociale del messaggio evangelico.
Ed ecco l'ottusa manomissione operata da molte "teste d'uovo" del nostro giornalismo.
« Celebrazione che, in clima di "battage" propagandistico, chiama a raccolta grandi masse di fedeli, organizzando colossali spettacoli religiosi, distribuisce indulgenze …
Manifestazione superflua paragonabile ai pellegrinaggi musulmani alla Mecca …
Un ritorno al trionfalismo preconciliare e non più in sintonia con i tempi … ».
Chi ha il coraggio di "battere una strada differente" viene sempre messo in questione.
È difficile sottrarsi alle mode del pensiero, delle ideologie in una società che si regge sul gioco dell'egoismo e del compromesso e nella quale non potrà mai trovare il suo posto il "povero di Jahvè" perché sarà sempre di imbarazzo ai « ragionamenti errati degli empi » ( Sap 2,1 ).
Così che nella vita della chiesa continua, sempre attuale e sempre senza altra via di soluzione che non sia quella della croce, il drammatico conflitto tra colui che sceglie il "mandato dal Padre" per rivelare la verità dell'amore e coloro che, fatti complici della menzogna, vanno seminando l'odio e la confusione.
Scegliere bisogna, nella fedeltà, il Cristo, accogliendolo quotidianamente nella propria esistenza, nella certezza che la suprema realizzazione dell'uomo coincide con la scelta e la ricerca pura e amorosa della gloria di Dio, e troverà la sua pienezza oltre la morte, giacché « la gloria di Dio è l'uomo vivente ».
Fr. O. Girino