La morte ma non peccati |
B198-A3
Era, come tutti sanno, il motto di S. Domenico Savio che, sotto la sapiente guida di S. Giovanni Bosco, aveva già raggiunto nella sua adolescenza l'eroismo della virtù.
La vita di questo giovanissimo santo è l'affermazione pratica di due cose:
1) che anche nell'adolescenza è possibile raggiungere un alto grado di santità.
Fanno male perciò quegli educatori che hanno poca fiducia nei giovani ( e nella grazia di Dio ) e si contentano di proporre loro delle mete mediocri.
2) che la lotta decisa e diligente contro il peccato conduce di per sé alla santità.
Parrebbe che questo fosse solamente l'aspetto negativo della vita spirituale, invece avviene per l'anima come per tutti gli organismi viventi, che quando sono sani si sviluppano e fioriscono spontaneamente ( il peccato è la malattia dell'anima, se non la morte ).
« Più che l'esercizio delle virtù, sarà lo sforzo per purificarci il cuore che ci porterà più brevemente e più sicuramente alla perfezione …
Non potremo mai compiere atti sublimi di virtù se non saremo molto ricchi di grazie, e questa abbondanza di grazie potrà essere raggiunta soltanto dopo che avremo reso puro il cuore ».1
In questa prospettiva il Servo di Dio Fr. Teodoreto nella Regola dei Catechisti prescrive: « dimostrare a Dio il più sincero amore, cercando con la massima diligenza di evitare ogni peccato, anche veniale » ( art. 12/4 ); che è lo stesso pensiero espresso da Gesù con queste altre parole: « Se mi amate, osservate i miei comandamenti ».
Ordinariamente gli uomini sono molto lontani dal comprendere l'intrinseca gravita del peccato e perciò se ne lasciano largamente infangare.
Anzi, quanto più ne sono colpiti, tanto meno se ne preoccupano.
Proprio al contrario di quel che fanno per le malattie del corpo.
Ma i santi, che sono i veri saggi, hanno orrore del peccato e preferiscono la morte del corpo a quella dell'anima.
« Che serve all'uomo guadagnare anche tutto il mondo, se poi perde l'anima sua? ».
La Sacra Scrittura ci avverte che tutta la vita è tentazione e lotta, e che solo i vincitori riceveranno il premio, mentre i vinti saranno precipitati nella morte eterna: è il senso tragico della vita, posta tra un bene immenso e un male sommo.
Spesso durante la vita anche le circostanze in cui si presenta l'alternativa tra il bene e il male assumono un aspetto tragico, per cui il rifiuto del peccato si paga con la vita.
E il caso di tutti i martiri, il cui numero è infinito e la cui testimonianza, è di tutti i tempi e di tutti i luoghi, perché dovunque e sempre Dio ha dei servi che gli sono fedeli fino all'effusione del sangue.
Nel Cinquecento, il secolo dell'eresia protestante, rifulge di particolare bellezza S. Tommaso More.
Ricco di doti spirituali e di cultura che ne facevano uno dei più grandi uomini del suo tempo, aveva raggiunto la più alta carica dello Stato, quella di Cancelliere del Re d'Inghilterra.
Ma egli aveva anche una coscienza adamantina, illuminata da una acuta intelligenza, che gli faceva leggere chiaro negli avvenimenti e lo preservava dagli errori.
E fu proprio per questo che ci rimise la testa.
Il prestigio di cui godeva Sir Thomas More era troppo grande perché Enrico VIII non ne desiderasse il consenso al suo divorzio dalla legittima moglie.
Tutti i grandi di Inghilterra, compresi molti Vescovi, lo avevano già approvato.
Invano Thomas More tentò di esimersi.
Egli non aveva alcuna velleità di far l'eroe, ma non poteva nemmeno rimanere nell'equivoco, come molti gli consigliavano di fare.
Sapeva bene a qual rischio esponeva sé e la sua famiglia e gli sanguinava il cuore.
Ma non poteva tradire la verità, non poteva rendersi complico dell'iniquità.
Furono usate tutte le arti e furono fatte tutte le pressioni per indurlo a cedere, ma egli preferì morire.
Senza di questa prova, però, nessuno oggi si ricorderebbe di lui, nonostante il cancelliere, il dotto e il fine ed arguto umanista che fu.
La provvidenza di Dio lo collocò in alto, non per far rifulgere altri valori, ma la sua adamantina e chiara rettitudine: la morte, ma non il peccato.
Tra i martiri di tutti i tempi ci furono anche dei giovani, anzi dei ragazzi.
Agnese, Tarcisio, Pancrazio, Gelso, Marcellino, per citare solo degli esempi notissimi, erano appena adolescenti.
Nel 1886 un centinaio di giovani, negri ugandesi subirono il martirio per essersi rifiutati di accondiscendere alle turpi pretese del loro re.
L'Uganda era retta allora da una monarchici assoluta e il re poteva disporre dei suoi sudditi in tutti i modi.
Ma la legge divina pone dei limiti alle prepotenze umane ed afferma la sua priorità e superiorità al di sopra di tutto.
Quante tragedie nella storia a motivo dì questo contrasto.
In un primo tempo i re dell'Uganda si erano mostrati favorevoli al cristianesimo, che aveva potuto così diffondersi rapidamente nel paese per opera dei Padri Bianchi.
Disgraziatamente arrivarono i musulmani, i quali portarono la rovina, non con la loro teologia, ma con i loro costumi, che in materia sessuale sono assai depravati.
Essi introdussero a corte i peccati impuri contro natura, corrompendo il re Mwanga, giovane non ancora ventenne.
Il quale, circondato da moltissimi paggi, incominciò a pretendere che si prestassero a quelle azioni.
Ma i paggi erano cristiani e si rifiutarono decisamente.
Il maggiordomo di corte, Giuseppe Mukasa, un cristiano, buono e amato da tutti, perfino dai pagani e dal musulmani, cercava di distogliere il re dalla sua corruzione, ma il re, irritato, se ne sbarazzò, facendolo decapitare e poi ardere sul rogo.
Quindi il furore regale si riversò sui paggi, tutti giovani dai tredici ai vent'anni, che erano più di cento e che furono immolati in varie riprese.
Un gruppo di ventidue giovani, fra cui il vice-maggiordomo Carlo Lwanga, furono arsi sul rogo il 3 giugno 1886, giorno dell'Ascensione.
Degli altri paggi non si conoscono i particolari del martirio.
I martiri ugandesi furono canonizzati nel 1964 e sul luogo del loro martirio, a Namugongo, dove il papa Paolo VI si recò in pellegrinaggio nel 1969, fu eretto un santuario, che il cord. Pignedoli, Legato papale, inaugurò il 3-6-1975.
L'azione che lo Spirito Santo compie nelle anime pure è veramente mirabile, infondendo loro una sapienza e una fortezza superiori all'età e alle capacità naturali.
È famoso l'esempio di Maria Goretti, una bambina dodicenne, poverissima di beni materiali e di cultura umana, che si lasciò uccidere piuttosto che cedere a chi la insidiava.
Ciò che ella opponeva al suo assalitore era divieto divino: « No, Antonio, è peccato ».
La Chiesa ha veduto nel martirio di Maria Goretti un esempio così alto e così ricco di vita cristiana che l'ha proposta all'esempio universale, innalzandola abbastanza presto all'onore degli altari ed inserendone la festa nel calendario universale.
Alla cerimonia della sua canonizzazione, celebrata da Pio XII nel 1950, assisteva la vecchia madre.
Quante lacrime, povera donna, aveva versate per la sua bambina, così assennata e buona e così tragicamente perita; ma non avrebbe mai immaginato di versarne tante altre di commozione e di gioia per la gloria a cui la vedeva innalzata.
Così fa il Signore con i suoi eletti, rendendoli partecipi del calvario e della risurrezione di Gesù.
« Non temete coloro che uccidono il corpo. Temete piuttosto colui che può precipitare il corpo e l'anima nel fuoco della geenna » disse Gesù.
E chi può far precipitare nella geenna è solo il peccato.
Maria Goretti e i martiri dell'Uganda sono più propriamente martiri della castità, e la castità è vanto e caratteristica della Chiesa cattolica, sorgente segreta di carità e di eroismo.2
Il messaggio che viene da questi martiri reca un particolare ed energico richiamo alla società odierna, immersa nel fango fino al collo, ma è pure un incitamento a tutti i cristiani a "mantenersi puri da questo secolo", particolarmente a coloro che con la professione dei consigli evangelici « meglio testimoniano la vita nuova ed eterna acquistata dalla redenzione di Cristo ».
1 v. Lallemant, Dottrina spirituale.
2 La recente ed opportunissima « dichiarazione » della Sacra Congregazione per la dottrina della fede, sull'etica sessuale, è nel solco della secolare tradizione e dell'insegnamento della Chiesa Cattolica.