La compassione di Gesù verso i malati

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- Vito Moccia -

1. La malattia nella vita umana

La malattia e la sofferenza sono sempre state tra i problemi più gravi che mettono alla prova la vita umana.

Nella malattia l'uomo fa l'esperienza della propria impotenza, dei propri limiti e della propria finitezza.

Ogni malattia può farci intravedere la morte.1

Così la Chiesa si esprime nel Catechismo con riguardo alla malattia, ed è bene che nelle nostre riflessioni, incentrate sul valore che acquisisce la sofferenza, se sopportata in unione e per amore di Gesù Crocifisso, ci facciamo guidare dall'insegnamento del Magistero, per essere consolidati nella giusta dottrina, e trovare un valido aiuto nella crescita della virtù.

Così prosegue il Catechismo: La malattia può condurre all'angoscia, al ripiegamento su di sé, talvolta persino alla disperazione e alla ribellione contro Dio.

Ma essa può anche rendere la persona più matura, aiutarla a discernere nella propria vita ciò che non è essenziale per volgersi verso ciò che lo è.

Molto spesso la malattia provoca una ricerca di Dio, un ritorno a lui.2

Quindi anche nella malattia siamo sollecitati ad un atto di libertà, ad una assunzione di responsabilità interiore: o chiuderci in noi stessi, ma sperimentando ancora di più il nostro limite e la nostra caducità, oppure aprirci a Dio, accettare la sua volontà, nella consapevolezza che in essa è riposta la nostra pace, perché Dio è amore, e ci ama anche quando proviamo i morsi del dolore e le strette della sofferenza.

È una soluzione di ripiego quest'ultima, visto che non ci sarebbe altra scelta?

Dio ci guardi dal formulare una simile ipotesi!

Che il dolore sia connesso alla nostra limitatezza di creature, è un fatto ovvio, per cui senza un particolare intervento di Dio non possiamo sottrarci da esso.

Ma possiamo pensare che l'intervento divino debba andare solo nel senso da noi desiderato, e non invece in quello opposto, senza che parimenti la provvidenza di Dio sempre trabocchi di grazia e di predilezione per noi?

S'innesta a questo punto il problema più generale della presenza del male, su cui pertanto dobbiamo brevemente soffermarci per completezza.

2. La Provvidenza e lo scandalo del male

Anche a questo riguardo, per concisione, ma soprattutto per l'efficacia della formulazione, riportiamo le risposte del Catechismo: Se Dio Padre onnipotente, Creatore del mondo ordinato e buono, si prende cura di tutte le sue creature, perché esiste il male?

A questo interrogativo tanto pressante quanto inevitabile, tanto doloroso quanto misterioso, nessuna rapida risposta può bastare.

È l'insieme della fede cristiana che costituisce la risposta a tale questione: la bontà della creazione, il dramma del peccato, l'amore paziente di Dio che viene incontro all'uomo con le sue Alleanze, con l'Incarnazione redentrice del suo Figlio, con il dono dello Spirito, con il radunare la Chiesa, con la forza dei sacramenti, con la vocazione ad una vita felice, alla quale le creature libere sono invitate a dare il loro consenso, ma alla quale, per un mistero terribile, possono anche sottrarsi.

Non c'è un punto del messaggio cristiano che non sia, per un certo aspetto, una risposta al problema del male.3

E ancora, con più aperto riferimento a Gesù Crocifisso, principio e centro delle nostre riflessioni: La fede in Dio Padre onnipotente può essere messa alla prova dall'esperienza del male e della sofferenza.

Talvolta Dio può sembrare assente ed incapace di impedire il male.

Ora, Dio Padre ha rivelato nel modo più misterioso la sua onnipotenza nel volontario abbassamento e nella Risurrezione del Figlio suo, per mezzo dei quali ha vinto il male.

Cristo crocifisso è quindi " potenza di Dio e sapienza di Dio ".

Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini. ( 1 Cor 1,24-25 ).

Nella Risurrezione e nella esaltazione di Cristo il Padre ha dispiegato " l'efficacia della sua forza "  e ha manifestato " la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti ". ( Ef 1,19-22 )4

È necessario quindi che prendiamo piena coscienza di questa potenza di Dio, non solo sul piano della conoscenza e della convinzione, ma soprattutto nel nostro modo di sentire, nell'atteggiamento interiore, negli abiti di vita, affinché il nostro immedesimarsi in Cristo trovi nei momenti di dolore e di sofferenza un'alta intensità.

Oltretutto, con il valore oggettivo di tale intimità spirituale per l'unione con Dio e la riparazione del peccato, ne consegue anche un sollievo psicologico, per la consapevolezza di operare, e di operare amando il Crocifisso, pur quando sul piano naturale tutto sembrerebbe soccombere.

3. Cristo - medico

È intuitivo l'aiuto che ci può venire in queste circostanze di prova dall'Adorazione al Crocifisso lasciataci da fra Leopoldo e fr. Teodoreto come eredità spirituale.

Il contemplare a una a una le piaghe del Signore, come in un mistico pellegrinaggio sulla sua umanità santissima, favorisce l'unione del nostro spirito con il suo, ci fa sentire la sua vicinanza, ci facilita l'ascesa alla Croce, per essere attratti da Lui senza opporre resistenza, in quell'abbraccio ai suoi piedi così efficacemente espresso nelle immagini che illustrano l'Adorazione, in conformità alla visione avuta in sogno da fra Leopoldo nel 1893, nel Castello di Viale d'Asti.

In effetti il compimento dell'adorazione, e perciò dell'amore al Crocifisso, non può fermarsi alla contemplazione, ma deve spingersi sino alla salita sulla Croce, nell'accettazione della nostra limitatezza di creature, con i dolori e le sofferenze conseguenti, per essere veramente incorporati in Lui.

Offrire le sofferenze a Gesù crocifisso, e sentire la vicinanza di Lui innalzato sulla Croce, unendo il nostro dolore al suo dolore, meglio, confondendo il suo amore infinito con il nostro amore, limitato ma genuino, è una delle risposte al problema del male, ma una risposta operosa, fattiva, proficua per le nostre intenzioni, segnatamente per invocare dal Padre onnipotente le vocazioni sacerdotali, religiose, familiari e di autentica testimonianza cristiana.

Questa aspirazione è così formulata nel testo di una Via Crucis edita a cura della Casa di Carità, alla stazione undicesima, la crocifissione: È sciolto il nodo del dolore umano: il sofferente ha il vincolo con Cristo, e il patire si perde e si tramuta nell'alta fiamma che da Lui divampa.5

Più efficacemente tali concetti sono esposti in un altro passo del Catechismo, che riportiamo a conclusione di tali riflessioni: Commosso da tante sofferenze, Cristo non soltanto si lascia toccare dai malati, ma fa sue le loro miserie: " Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie " ( Mt 8,17 ).

Non ha guarito però tutti i malati.

Le sue guarigioni erano segni della venuta del Regno di Dio.

Annunciavano una guarigione più radicale: la vittoria sul peccato e sulla morte attraverso la sua Pasqua.

Sulla croce, Cristo ha preso su di sé tutto il peso del male e ha tolto il " peccato dal mondo " ( Gv 1,29 ), di cui la malattia non è che una conseguenza.

Con la sua passione e morte sulla Croce, Cristo ha dato un senso nuovo alla sofferenza: essa può ormai configurarci a lui e unirci alla sua passione redentrice.6

4. Offerta spirituale per le vocazioni

Queste riflessioni sulla sofferenza, ricavate dal Magistero ecclesiastico, ci inducono certamente a comprenderne sempre maggiormente il significato alla luce della parola di Dio e della sua grazia, e a recepire il frutto spirituale ad essa connesso, cioè il carattere meritorio, se accettata per amore di Gesù Crocifisso.

L'offerta delle sofferenze al Signore, con riguardo specifico alle vocazioni sacerdotali, religiose e laicali, ci innesta in quel fiume di grazia, di cui il nostro " Coraggio della sofferenza " è un componente, che trasforma i dolori in amore soprannaturale, rendendoli meritori, e facendo di noi dei promotori della vita consacrata.


1 Catechismo della Chiesa cattolica, n° 1500.

2 Ibidem, n° 1501.

3 Ibidem, n° 309.

4 Ibidem, n° 272.

5 Via Crucis con illustrazioni tratte da H. Matisse. Casa di Carità Arti e Mestieri, 2002.

6 Catechismo cit., n° 1505