Convegno ecclesiale di Verona |
Moderatore: Franco Vavvari, psicologo, Arezzo
Segretario: Elisa Manna, responsabile del settore politiche culturali, Censis, Roma
17-18 ottobre 2006
Il gruppo ha registrato tutte le presenze previste.
Il dibattito è stato vivace, sincero.
Si sono misurati punti di vista diversi.
Una certa fatica è emersa nell'individuazione di proposte concrete.
Nella prima sessione ci sono stati 28 interventi.
Nella seconda sessione 34.
Nella terza oltre 50.
In molti hanno potuto intervenire due o tre volte, in modo che il dibattito ha preso una buona scioltezza.
La presente sintesi, ripresentata al gruppo e via via riformulata, ha ottenuto apprezzamento unanime.
Il gruppo, convinto della necessità di un approccio ai nuovi problemi con nuovi strumenti pastorali - sia per l'analisi sia per l'elaborazione dell'azione -, ha sperimentato una sorta di primo assaggio di quella pastorale integrata che si sta iniziando ad auspicare.
Un assaggio felice, che esclude con decisione la creazione di un eventuale nuovo « Ufficio » per la promozione pastorale dell'impegno in questo ambito.
Le istanze di questo ambito, invece, debitamente accolte, pongono l'esigenza di una riforma degli uffici esistenti ai vari livelli perché ormai inadeguati per una reale visione d'insieme e una conseguente azione coerente.
- Per annunciare la speranza ai compagni di viaggio della nostra società italiana, europea e mondiale, speranza che è Cristo risorto, occorre, nella crescente complessità del nostro tempo, ritrovare l'essenziale.
Questa speranza che abita nei nostri cuori, e si alimenta alla Parola di Dio, si qualifica nel nostro impegno civile quotidiano per una chiara tensione escatologica.
L'orizzonte escatologico non è una fuga o un'alienazione, ma la forza in più per un impegno audace.
Qui sta la differenza cristiana, che è sostanza di tutte le nostre speranze.
Questa speranza rafforza il nostro compito di « esserci » e questo « esserci » realizza l'escatologia.
La società ha bisogno di cristiani autentici che facciano crescere l'ethos collettivo.
Accanto al valore quindi della presenza anche solo del singolo cristiano - che non deve essere minimizzata - occorre discernere insieme le nuove forme dell'aggregarsi per un rinnovato impegno sociale e politico.
- Qui ( e non in una rosea e banale valutazione del presente ) si origina un atteggiamento di simpatia verso il mondo e, insieme, una dilatazione della visione, dell'analisi, della percezione delle nostre comunità che deve estendersi all'Europa e al mondo.
- Insieme alla simpatia per i fratelli e le sorelle della nostra società, occorre comunicare un alto senso di responsabilità e di rinnovata stima per la democrazia, intesa come bene mai acquisito definitivamente.
- Accanto a questo ( e proprio in ordine alla continua crescita della democrazia ) si evidenzia un « vuoto » tra la dimensione ecclesiale e quella politica.
La crescita del volontariato è un bene, ma l'enfasi posta su questa realtà oscura la dimensione del cristiano come cittadino, generando l'idea che essere volontario esaurisca l'essere cittadino.
Potrebbe essere un segno di ripiegamento, incoraggiato, negli ultimi anni, da una forte e ingiusta svalutazione del ruolo della persona impegnata in politica.
- Al contrario: c'è bisogno e voglia di incidere e di verificare le possibilità di un impegno politico per alimentare la speranza ( apprezzata, in tal senso, l'assegnazione del Nobel per la pace all'economista inventore del microcredito ).
- Se la cittadinanza riguarda la convivenza di tutti gli uomini, allora i cattolici devono sentirla certamente come un diritto, ma anche e soprattutto come un dovere, non ritenendo di poter tenere come proprietà privata il concetto di « bene comune » né continuare ad avere un linguaggio distante da quello degli altri uomini del nostro tempo.
- Preoccupazione per la scarsa sensibilità per questa problematica, diffusa nell'ambiente civile in generale e nel popolo di Dio.
Ancor più viva la preoccupazione per la scarsa presenza giovanile in questo ambito.
Tra le varie ragioni: una lettura privatistica della fede, i ritorni negativi di una conflittualità esasperata dei cattolici impegnati nell'agone politico, una sistematica ricerca strumentale dei cattolici ai fini del consenso, specialmente elettorale.
- Occorre un superamento della dialettica laico nella Chiesa / laico nella società, anche perché c'è da affermare una nuova cittadinanza per tutti sia nella Chiesa che nella società.
Si deve infatti essere praticanti come cattolici e praticanti come cittadini.
Non aiutano le immagini di « passi avanti » e « passi indietro » che qualcuno dovrebbe compiere ( laicato e gerarchia ).
Semmai si devono integrare i linguaggi, dando voce ai mondi tipicamente laicali all'interno della Chiesa per una comune maturazione di coscienza secolare, e quindi testimoniando a una sola voce un maggiore impegno della Chiesa tutta intera nei punti critici della vita sociale: dalla denuncia per le forme di negazione della cittadinanza alla sua positiva promozione ( diffusa e drammatica l'esperienza di laici che si sentono « tagliare le radici dal corpo ecclesiale » proprio quando si impegnano ).
- Non si può avere una legittima attesa positiva in questo e in altri ambiti se non si punta sulla formazione.
- I temi inerenti alla cittadinanza devono ricevere le opportune verifiche nella vita ecclesiale: le omelie spesso disincarnate e spiritualizzanti, la catechesi ai bambini o ai preadolescenti che non prevede questi argomenti come se non li riguardassero, l'applicazione della dottrina sociale della Chiesa che è un messaggio alto, ma ancora non tradotto nella vita pratica e non diffuso oltre i confini ecclesiali.
- A questo proposito si evidenzia un « punto critico »: da una parte i « principi non negoziabili » derivanti dalla fede ( non si abbassi mai la vigilanza sui temi della bioetica ) e dall'altra la necessità della mediazione nel contesto politico.
Questo punto dovrebbe essere maggiormente dibattuto e messo a fuoco, anche in ragione di una certa deriva dei cattolici europei, in fuga crescente dalla politica perché ritenuta un « luogo » non più abitabile.
- I diritti di cittadinanza non solo riguardano il singolo cittadino, ma le esperienze di relazioni significative in ambito civile - prima fra tutte la famiglia - e delle aggregazioni sociali portatrici di culture rispettose della persona.
- La cittadinanza si esprime, si irrobustisce o si vanifica in mondi che sono ancora troppo distanti dal tessuto ecclesiale e che vanno letti con attenzione: economia ( « strutture di peccato », specialmente nelle terre di mafia, camorra e ndrangheta ), istituzioni nazionali e sopranazionali ( taglio dei fondi per la cooperazione, canale decisivo per la crescita della cittadinanza ), burocrazia.
- Per tutto questo occorre riscoprire la parrocchia come primo luogo naturale di pastorale ordinaria.
Qui infatti, meglio che altrove, si possono evitare i rischi di azioni concepite come parallele o conflittuali o sostitutive di ciò che si fa nella società.
Occorre essere aperti realmente ed evitare logiche che ghettizzano sia autoctoni sia immigrati.
La nuova frontiera della cultura è l'intercultura, intesa come formazione alla convivenza e concelebrazione delle differenze.
- Non si dà azione efficace in questo ambito, se non si comprende il ruolo decisivo dei mezzi di informazione di massa.
È urgente una capillare formazione all'uso.
Infatti occorre uscire da quel circuito vizioso che fa dei cattolici i protagonisti di una costante litigiosità politica.
D'altra parte si deve riaffermare da parte ecclesiale uno stile che non permetta di delegittimarsi a vicenda sulle traduzioni concrete, in ambito politico, delle proprie idee.
Dissentire è normale e in parte salutare, ma sempre sentendosi parte della stessa comunità.
Il progetto culturale, come « collante » del tessuto ecclesiale, deve avere il primato sulle appartenenze politiche.
- In positivo, la comunità ecclesiale deve sviluppare una cultura e stili di vita che si facciano carico delle future generazioni, innanzitutto promovendo il valore della generazione della vita, quindi della gestione del territorio e delle risorse, della preoccupazione di trasmettere a esse un patrimonio spirituale e culturale.
Per dare speranza occorre sbarazzarsi del « tutto e subito » o del « tutto per me ».
Deve interessare infatti non cosa dicono oggi di noi, ma cosa diranno fra cinquant'anni.
1. Investire sulla formazione, specialmente dei laici.
Non deve dire la Chiesa come essere nelle diverse situazioni, ma incoraggiare la ricerca e le proposte nuove, specialmente le esperienze giovanili.
Conoscere e informare sulla realtà.
Costruire progetti in rete, contaminandosi con il territorio.
Caposaldo della formazione è la diffusione della dottrina sociale della Chiesa, negli spazi della scuola pubblica ( elaborare i « pacchetti formativi » da offrire ), nell'ora di religione, nelle università, negli istituti di scienze religiose.
Riaffermare il valore delle scuole di formazione sociale e politica, aperte soprattutto ai giovani.
Non devono essere solo teoriche, e non dimenticare mai l'ascolto della Parola, come ricordato nella meditazione di don Franco Mosconi, supplemento d'anima nell'ambito delle problematiche legate alla cittadinanza.
Riprendere e studiare testi come La Chiesa italiana e le prospettive del Paese.
2. Famiglia e scuola sono luoghi dove sviluppare la relazionalità, fondamento primo di ogni possibile cittadinanza.
Si deve insistere per dare maggior dignità all'educazione civica nella scuola, come fondamento della convivenza civile ( contemporaneo richiamo all'ispirazione religiosa e laica - la Costituzione ).
Le famiglie aperte ai problemi sociali sono famiglie che si arricchiscono, così come la parrocchia: escono dall'autoreferenzialità.
Per darci futuro occorre affidare ai giovani le responsabilità.
Sostenere le famiglie - e le aggregazioni in suo favore - per un accompagnamento quotidiano, in particolare quelle giovani, rendendole consapevoli del loro rilevante compito sociale.
Questo va inserito nel vissuto ordinario della vita della Chiesa, superando la logica degli uffici ( grandi parrocchie, Diocesi, livello centrale ).
In tal senso l'unica via è quella del metodo di « pastorale integrata », per diventare una vera comunità che sa sviluppare germi di rigenerazione per una cittadinanza integrata.
Tale metodo dovrebbe diventare « obbligante ».
3. Inventare dei laboratori della fede in mezzo alla società, senza separazione.
4. Promuovere campagne di salvaguardia delle coscienze dei cittadini dalla diffusa povertà davanti ai mezzi di comunicazione.
Una gestione più comunitaria e partecipata dei nostri mezzi di comunicazione ( Avvenire, Sat2000 ecc. ).
Riuscire a ricavare dalla pubblicità forme di finanziamento da destinare all'azione culturale e civile.
5. La parrocchia sentita come ambito privilegiato.
Promuovere la nascita di laboratori attenti alle problematiche del territorio, « antenne territoriali » dove si elaborano proposte di soluzione.
Una « bacheca della cittadinanza » in ogni parrocchia può sollecitare uno sguardo vigile a quel che succede e aiutare a interpretarlo.
È anche il luogo che meglio può rispondere alle esigenze di integrazione nel lavoro degli immigrati.
6. Sviluppare nel tessuto ecclesiale forme di cooperazione tra nord e sud d'Italia per uscire dalla solitudine e dall'autoreferenzialità.
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