Venite e vedrete |
CCC nn. 142-143; 150; 153-158; 160-165; 166-184 CdA nn. 86-93
L'incontro dei due giovani del Vangelo con Gesù, lo stare con lui, matura in loro la decisione di seguirlo.
Giovanni il Battezzatore li ha condotti fin sulla soglia dell'incontro e li ha invitati a riconoscere in Gesù il Messia che vanno cercando: "Ecco l'Agnello di Dio. Ecco colui che toglie i peccati del mondo".
Da quell'incontro ne scaturiscono altri: quelli con Simone, il fratello di Andrea, che Gesù chiamerà Pietro, e poi con Filippo e, attraverso di lui, con Natanaèle.
Quest'ultimo è un altro giovane in ricerca, forse appesantito da pregiudizi.
"Da Nazareth può mai venire qualcosa di buono?", obietta a Filippo che lo invita a incontrare Gesù.
Ma anche per Natanaèle l'incontro con Gesù si rivela decisivo.
Si sente conosciuto profondamente da lui nella sua ricerca e anch'egli si decide per la fede: "Tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re di Israele" ( Gv 1,40-51 ).
Ci sono momenti nella vita nei quali urge prendere decisioni: se e come continuare un'esperienza affettiva con un'altra persona; verso quale lavoro orientarsi, conciliando le aspirazioni personali con le esigenze di fatto; come spendere il periodo di leva a servizio della collettività; a quale progetto politico aderire con il proprio voto o con una collaborazione più attiva; se fare nella vita un anno di volontariato, se proseguire gli studi, se continuare l'appartenenza a un'esperienza formativa ecclesiale …
Non è facile decidersi.
Talvolta vorremmo che altri decidessero per noi, come quando eravamo bambini; oppure ci illudiamo che, lasciando tempo al tempo, le scelte si producano da sole, senza il nostro impegno.
Altre volte una sorta di timore di fronte a scelte definitive ci porta a operare in modo da precostituirci sempre una via di uscita, quasi si abbia il sospetto che la definitività comporti una diminuzione della personalità e della libertà.
Alla fine, senza aver deciso, ci troviamo incamminati su una via non scelta da noi, ma che altri con furbizia, talora con inganno, sempre con la nostra acquiescenza, hanno operato al posto nostro.
Come per il giovane Natanaèle, anche per noi la decisione di fede esige il superamento di pregiudizi.
Vuole essere una decisione intelligente e critica.
Anche se il mistero divino trascende l'indagine umana, la fede interroga ugualmente l'intelligenza e ne chiede il sostegno.
L'atto di fede è un atto intellettualmente onesto e umanamente sensato.
Esprime l'amore con cui la persona si sente attratta da Dio e, contemporaneamente, trasforma e migliora la realtà quotidiana, dove il credente vive e opera.
Certo, una comprensione matura della vita di fede è possibile solo al termine di un cammino, ma fin dall'inizio è offerto a chi crede il significato e le motivazioni su cui costruire la sua vita personale.
L'intelligenza credente legge il presente non solo alla luce del passato, delle leggi sociologiche o comportamentali, economiche o fisiche, ma come realtà che ricerca il suo fine ultimo, quell'assoluto che trascende ogni tempo e ogni costrizione.
La ragione umana non contrappone fede e scienza, né viene umiliata dall'esperienza religiosa, anzi fa fecondamente interagire scoperta scientifica e mistero divino, ricerca e intuizione, argomentazione e rivelazione.
La decisione di fede impegna la persona in tutti i suoi aspetti, in tutte le sue dinamiche.
È sempre faticosa e non priva di conflitti.
Si deve infatti fare i conti non solo con le proprie caratteristiche, con la storia passata, con le possibilità e i limiti, ma anche con situazioni non sempre ideali.
La decisione di fede ha il suo percorso, non nasce a caso.
Sono necessari criteri di valore, ma anche allenamento a formulare giudizi che permettano di intravedere come i valori possano prendere corpo nelle situazioni concrete.
Il confronto con gli altri e il consiglio di persone sagge sono importanti in questo allenamento a valutare e a discernere.
Anche se l'incontro con Cristo, come evento divino di grazia, ha un carattere perentorio e definitivo, la decisione di fede si distende lungo un cammino, che progressivamente integra tutti gli aspetti della nostra persona nella volontà di vivere per Dio, alla sequela di Gesù.
In questo cammino intelligenza e affettività, relazioni e aspirazioni, dolori e gioie vengono orientati verso un orizzonte che è Dio stesso, ma insieme maturano la nostra identità.
Nelle decisioni prese, ciascuno definisce chi vuole essere e costruisce la propria personalità, chiudendosi o aprendosi agli altri.
Quando si percepisce e si accoglie l'altro come un dono, ci si apre a lui con rispetto e con fiducia, con sincerità e amore.
Se, invece, l'altro è visto come una minaccia o come un estraneo, allora ci si chiude facilmente nell'indifferenza o, peggio, si reagisce con aggressività e con violenza.
Se poi lo si vede come un mezzo di cui servirsi, si ricorre anche alla manipolazione per ottenere ciò che è nel proprio interesse.
Il messaggio evangelico e l'esperienza di fede insegnano che la chiusura condanna alla povertà e allo spreco della vita, mentre nel dono di sé, espresso nelle innumerevoli forme dell'amore, l'uomo raggiunge la piena maturità.
Si rende in questo modo capace di accogliere lo straordinario dono di Dio, che è presente in ogni persona e porta l'impronta del mistero di Dio: "Facciamo l'uomo ( tutti gli uomini ) a nostra immagine e somiglianza" ( Gen 1,26 ).
Ogni fatto della vita e ogni dinamica dell'esistenza chiama in causa il nostro credere in Dio; ogni momento esige l'esercizio responsabile della fede.
Tutta la vita del credente diventa dono e compito.
Fede e responsabilità si saldano insieme, si esigono e si rafforzano a vicenda.
Intelligente e totalizzante, la decisione di fede è anche impegnativa.
Legarsi al mistero di Cristo non è un fatto pacifico e spontaneo, ma esigente e perfino drammatico: chiede di prendere su di sé la croce ( Mc 8,34 ), di vivere quella "stoltezza di Dio" ( 1 Cor 1,25 ), per la quale Gesù si è donato completamente, fino a morire; di respingere la "sapienza di questo mondo" ( 1 Cor 1,20 ), che si esaurisce nell'affermazione di sé, nell'autoesaltazione dell'uomo e della sua storia.
Credere è passare sempre attraverso la porta stretta della conversione, del cambiamento del cuore.
Questo scontro fra la carne e lo spirito, fra la verità e la menzogna non può essere passato sotto silenzio, né può essere evitato da alcun discepolo.
La decisione di fede esige il coraggio di camminare controcorrente, di sottoporre a giudizio critico i modelli di vita che ci vengono proposti come scontati.
In questo rifiuto della pura immediatezza si risente l'eco del confronto e della scelta fra JHWH e gli idoli, fra il Dio vero e le divinità apparenti.
Anche oggi, come a Sichem, è venuta l'ora di scegliere tra il servire il Signore o gli idoli ( Gs 24,1-28 ), perché osi crede osi cade nell'idolatria con le sue manifestazioni antiche e moderne.
La decisione di fede appare cosi una decisione sofferta, segnata da tanti momenti di gioia, ma anche da fatica e da fragilità.
Appare però l'impegno permanente e indispensabile per orientare la vita alla verità e per aderire a quella verità riconosciuta in Cristo.
Senza decisione la vita si svela come un vagabondaggio spirituale, dove l'assommarsi delle esperienze non insegna nulla e non conduce da nessuna parte.
La decisione di fede, invece, sviluppa quella fiducia che abbiamo incontrato nei discepoli, fino a renderla terreno fertile per l'incontro impegnativo e risolutivo con Gesù.
Attorno a questa decisione nasce il discepolo, nasce colui che, mentre sceglie Cristo, giunge alla scoperta del proprio io, alla maturità della propria personalità.
Solo nell'incontro con Cristo trova piena realizzazione il dinamismo dell'esistenza: "Solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo" ( Gaudium et spes, 22 ).
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