Venite e vedrete |
CCC nn. 27; 30; 163-165 CdA nn. 10-16 CdG1 pp. 21-24
Gesù si rivolge ai due giovani che lo seguono dicendo loro: "Venite e vedrete".
Di fronte all'atto di fede di Natanaèle Gesù promette: "Vedrai cose più grandi".
L'esperienza dell'incontro con Dio è l'esperienza di una promessa che non si esaurisce nel presente.
La fede in Gesù lega la nostra persona alla sua persona; la nostra vita alla sua, così che il suo futuro è anche il nostro.
E quel futuro, promesso da Dio, già realizzato in Gesù, supera ogni nostro desiderio ( 1 Cor 2,9 ).
Sperare è poter vivere, soprattutto lungo la giovinezza, mentre si attendono i frutti di una vita matura.
Senza speranza nel futuro, anche il presente diventa inaffrontabile.
Chi vuole tutto subito, è incapace di attesa e di speranza: rischia di diventare violento manipolatore delle persone e delle cose, in vista di ottenere a qualsiasi costo ciò che vuole.
L'attesa, invece, si arma di pazienza e costanza, perché ciò che speriamo tarda a venirci incontro e noi siamo sottoposti alla prova.
Pazienza e costanza devono essere ancora più forti quando i beni sperati sono grandi e decisivi per la realizzazione della vita.
Un amore profondo e stabile, relazioni sincere e pacifiche, l'attesa di un mondo più giusto: non tutto dipende solo da noi, ma chiede costanza nell'operare per quanto speriamo.
La preghiera mantiene vivo il desiderio e colloca la speranza nella sua giusta dimensione, perché riconosce che, alla fine, tutto è dono.
La pesca miracolosa ( arazzo su disegno di Raffaello )
Sono tante le speranze che fioriscono, soprattutto lungo la giovinezza.
Da quelle più normali - della salute, di un progetto realizzato, della gioia di un amore dato e ricevuto - a quelle più grandi, tutte hanno un denominatore comune: non sono completamente in nostro potere.
Ognuna, però, prima ancora di venire realizzata, è già in se stessa un dono, perché ci rende vivi.
Le speranze realizzate rinnovano la forza di continuare a sperare.
Non tutto si compie secondo le modalità attese.
Ne hanno fatto esperienza anche i discepoli di Gesù, sospinti più di una volta a superare le loro aspettative umane.
Le delusioni, sia quelle che riguardano la propria persona sia quelle che si riferiscono alla costruzione di una convivenza umana più giusta, costituiscono certamente una prova e possono determinare momenti di crisi, ma possono anche essere una salutare medicina, che libera dal pericolo delle illusioni e delle ingenuità.
La delusione, faticosamente accettata, collocata nel dialogo-lotta della preghiera e dell'incontro con Gesù, permette di vedere più chiaro dove sta il vero bene e apre alla speranza di un bene più grande.
I discepoli di Gesù anche nei momenti più dolorosi, quando si affacciano al loro cuore la delusione e la tristezza o quando constatano la loro infedeltà, non cadono nella disperazione.
L'esperienza del Risorto, il vedere adempiute - e ben oltre le aspettative - le promesse di Gesù, matura in loro la confidenza in Dio e nel compiersi del suo regno.
Nelle giornate di fatica e di gioia ci sostiene la certezza che un giorno tutte le nostre cadute e i nostri piccoli fallimenti potranno essere vinti e recuperati e che i nostri buoni risultati saranno confermati per sempre.
Noi speriamo che anche la morte possa essere vinta e diventi il luogo della nostra pienezza di vita.
E non è forse proprio lo Spirito del Dio della speranza a sorreggere e alimentare questa tensione, che non cede mai di fronte a nessuna delusione e a nessuna sconfitta?
Allora acquista un senso affidarsi a Dio come a colui che è più grande dell'uomo, che supera ogni realtà sotto il sole, ma che ha lasciato una traccia di sé dentro di noi.
La speranza inspiegabile di cui l'uomo vive, attraverso i suoi molti volti, manifesta questa nostalgia dell'Assoluto ed è sostenuta e nutrita dall'incontro con una persona e il suo mistero: "Cristo Gesù, nostra speranza" ( 1 Tm 1,1 ).
La nostra ricerca ci conduce all'incontro con Gesù e diventa speranza di vita piena.
Non si esaurisce nella tranquillità di una vita comoda, chiusa nel perimetro angusto dei nostri interessi, ma esige il coraggio della missione, senza altra garanzia che Dio e la sua fedeltà, per spendere la nostra vita nell'amore.
Cercare, dimorare, decidersi, sperare: sono le quattro dinamiche fondamentali del cammino dei due discepoli, di cui parla l'evangelista Giovanni.
Lo sono anche del nostro cammino: appaiono momenti basilari, prospettive decisive, a cui sempre occorre tornare.
All'inizio di questo percorso catechistico, questi atteggiamenti ci ricordano quanto sia impegnativo incontrare veramente il Signore.
Ci è naturale, allora, affidare a lui questo cammino con le parole di Sant'Agostino: "Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore non ha pace finché non riposa in te" ( Sant'Agostino, Confessioni, I, 1, 1 ).
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