La Questione Ambientale
Conferenza Episcopale Lombarda
« Ogni essere umano ha il diritto fondamentale di vivere in un ambiente adatto alla sua salute e al suo benessere »1
1. Questa dichiarazione mostra l'importanza attribuita a livello mondiale alla questione ambientale.
Il problema del rapporto tra uomo e ambiente, presentato alla pubblica opinione sotto la denominazione di « questione ecologica », è ormai uno tra i più acuti e avvertiti nella società contemporanea.
Esso coinvolge scienziati, economisti, operatori sociali, studiosi di etica, governi e organismi internazionali, e ha pure varcato i confini degli stretti circoli specialistici o dei gruppi di pressione per diventare argomento d'interesse, di critica e di valutazione a livello popolare e della gente comune.
Com'è accaduto per molti altri temi di rilievo etico-sociale - pensiamo al problema della pace, del disarmo, dello sviluppo o della liberazione dei paesi del terzo mondo, della condizione giovanile, dell'emancipazione della donna, e così via - anche la questione dell'ambiente si va imponendo alla riflessione cristiana e alla sensibilità ecclesiale; è entrata inoltre nei laboratori della ricerca teologica e non può assolutamente essere disattesa ormai anche dalla prassi pastorale.
I movimenti ambientalisti riscuotono poi di fatto notevole consenso nell'ambito delle varie associazioni cattoliche, spesso giovanili, che vengono incoraggiate pure da un riferimento, si può dire universale, alla figura di San Francesco e alla tradizione francescana, interpretate come apporto cristiano a una cultura ecologista.
Il magistero pontificio di Giovanni Paolo II è ritornato più volte sul tema del rapporto dell'uomo con l'ambiente, disponendo i suoi interventi sulla costante linea della protezione e della difesa della vita umana.
Qui possiamo ricordare due testi che a noi sembrano particolarmente significativi, quello che si trova nel n. 15 della Redemptor Hominis e quello ancora più ampio ed elaborato del n. 34 della Sollicitudo Rei Socialis.
In questo più vasto orizzonte ecclesiale, come Vescovi delle Chiese di Lombardia pensiamo sia opportuna una nostra riflessione, per aiutare e sostenere la coscienza dei cristiani in un doveroso sforzo di discernimento, per sottoporre il grave problema del degrado ambientale a una valutazione critica alla luce della visione cristiana, che colloca l'uomo al centro del mondo e dell'ambiente in cui vive.
A questo scopo diventa importante l'attenzione della coscienza cristiana alla causa ecologica.
La coscienza cristiana deve assumere una forma critica e culturalmente avvertita, evitando di indulgere ad accostamenti affrettati tra i luoghi comuni della comunicazione pubblica e i temi religiosi propriamente collegati a una visione cristiana della creazione.
Anche a prescindere dalle semplificazioni della corrente comunicazione di massa, la questione ecologica si mostra obiettivamente di grande complessità.
Basti pensare che essa conduce quasi ovviamente a mettere in discussione un tipo di civiltà, soprattutto quella occidentale, che critica e che vorrebbe sostituire.
A questa complessità della questione fa riscontro una varietà di ambiti, secondo i quali essa dev'essere considerata teoricamente e affrontata praticamente.
Pensiamo in particolare all'ambito della cultura civile, a quello politico, a quello della coscienza morale del singolo, e allo stesso ambito ecclesiale.
S'intuisce che tra questi diversi ambiti si debba attuare uno scambio e uno stimolo reciproco, pur senza trascurare le dovute distinzioni.
Nel quadro di tale articolazione complessa e relativa ai problemi dell'ambiente, si giustifica questo nostro intervento di Vescovi delle Chiese di Lombardia, definito negli obiettivi e nei limiti dalla sua indole pastorale.
Non si tratta qui immediatamente di proporre risoluzioni politiche per il problema ecologico e neppure di presentare una sintesi teologica sul rapporto tra uomo e ambiente.
Si tratta invece, più semplicemente, di aiutare la coscienza dei cristiani a istituire una riflessione personale, attenta insieme alla concretezza storica e sociale del territorio nel quale vive la nostra gente e alla tradizione della fede.
L'iniziativa dell'uomo spesso produce indubbi danni sull'ambiente; tuttavia sembra di fatto persistere ancora oggi, nella coscienza comune, la persuasione che l'ambiente sia una fonte di risorse pressoché illimitate, sicché non trova spazio la preoccupazione di rispettare, conservare o addirittura proteggere la natura nei confronti di una presunta aggressione da parte della società.
Questa persuasione più o meno riflessa, e tuttavia operante, è messa in questione dall'emergere delle minacce di impoverimento, e in alcuni casi d'esaurimento, delle risorse naturali, talvolta non rinnovabili, come pure dal pericolo in cui versano numerosissime specie viventi, centinaia di migliaia di vegetali e di animali, di microrganismi conosciuti o non ancora studiati.
L'esaurimento riguarda risorse assai diverse e di diverso rilievo sotto il profilo economico ma esso va considerato in rapporto al danno reale costituito dall'impoverimento delle forme di vita esistenti sul pianeta; e questo è vero non solo per la funzione equilibratrice di queste nei confronti dei processi naturali, ma anche per il vantaggio e il beneficio che la società ormai trae da esse.
La prospettiva poi di un impoverimento delle risorse energetiche, pur essendo un caso diverso, non costituisce un problema di minor preoccupazione, tanto per la qualità della vita umana quanto per un suo conveniente sviluppo.
Il problema dell'inquinamento o del deterioramento dell'ambiente si ricollega a quelli che abbiamo precedentemente considerato, relativi alle risorse naturali, alle specie esistenti e alle fonti energetiche.
Esso coinvolge le componenti essenziali della vita umana come l'aria, l'acqua e il suolo.
E qui gli aspetti deprecabili e rovinosi sono macroscopici: basta pensare
all'aumento del tasso di ossido di carbonio nell'aria,
alle piogge acide,
alla riduzione dello strato di ozono,
nonché all'inquinamento delle acque superficiali dei fiumi e dei laghi.
Le acque dei fiumi che circoscrivono le nostre terre di Lombardia, a cominciare dal Po, sono in taluni casi e in certi tempi sfigurate, avvelenate o comunque seriamente deteriorate da guasti ambientali assai gravi.
Tra le cause che hanno turbato gli equilibri vitali dell'ambiente tre sembrano essere le più evidenti:
le varie necessità della produzione agricola;
il notevole incremento delle aziende industriali e artigianali sempre più specializzate;
il fabbisogno energetico.
L'agricoltura costituisce un fattore primario per l'ambiente è a sua volta può, secondo i casi, considerarsi o vittima o causa dello stesso degrado ambientale.
Indubbiamente l'incremento della popolazione mondiale ha posto problemi allo sviluppo agricolo:
per i paesi ricchi si tratta di migliorare l'alimentazione mettendola al servizio della civiltà dei consumi;
per i paesi poveri si tratta di soddisfare il diritto a una alimentazione che consenta non solo di sopravvivere ma di vivere e di crescere in armonico sviluppo.
L'agricoltura in Lombardia può essere considerata tra quelle ad alto rendimento e ad alta specializzazione, che ha bisogno di ricorrere a un sempre crescente uso di fertilizzanti sintetici e, in alcuni casi, di pesticidi che servono alla fertilità del suolo e a eliminare le cause nocive.
Questi interventi hanno una loro motivazione razionale e sono plausibili, purché non giungano a contaminare le falde acquifere e a costituire gravi ipoteche sulla nostra salute attraverso i cibi.
In Lombardia, e non più solo nei centri ad alto tasso produttivo, si nota una crescente presenza di attività industriali di grande e piccola dimensione, artigianali e del settore terziario.
Questo, se da un lato è segno dell'operosità della gente lombarda, dall'altro esige che l'investimento non miri solo alla produzione ma anche a combattere i rischi dell'inquinamento.
Il fabbisogno energetico è certo legato in maniera meno rigida alla qualità delle necessità primarie dell'uomo; tuttavia non possono essere ignorati o sottovalutati i cosiddetti bisogni secondari, legati alle forme attuali della civiltà.
Occorre operare un discernimento sul diverso valore umano e sui rispettivi costi energetici che sono richiesti dai molteplici consumi e, quindi, decidere a livello sociale e politico le forme di produzione che vanno scoraggiate: a cominciare da quelle che costituiscono una fonte di inquinamento dell'atmosfera oppure un serio pericolo per la salute fisica dell'uomo.
Quando si parla dell'ambiente occorre farsi attenti anche al fatto dell'insediamento della popolazione sul territorio.
Evidentemente la produzione sia industriale che agricola, il livello dei consumi e di conseguenza l'accumulo dei rifiuti sono anche in rapporto al numero di abitanti, oltre che alle capacità imprenditoriali di una zona.
Sotto questo profilo la Lombardia presenta una cospicua intensità di fenomeni di alterazione ambientale.
In questo ventennio, la nostra Regione è stata al centro di un vasto fenomeno immigratorio, che ha determinato una forte crescita di abitanti.
Ciò ha comportato un notevole aumento di case, di ambienti di lavoro, di automobili in circolazione, di mezzi di comunicazione: alla densità di popolazione, sensibilmente più elevata rispetto alla media nazionale italiana, corrisponde inesorabilmente un più alto rischio di inquinamento, che ci richiama a maggiore responsabilità e ci impone il dovere di un'adeguata presa di coscienza.
Di fronte alla gravità e complessità dei problemi sollevati dalla preoccupazione per l'ambiente viene invocato largamente il ricorso alle nozioni e ai metodi argomentativi propri della ecologia; tale rinvio ci riporta ancora all'ambiente.2
D'altra parte, il problema dell'ambiente non ha solo un aspetto scientifico ma presenta implicazioni profonde, economiche e sociali, e anche etiche: perciò esso implica una concezione globale del progresso e dello sviluppo, che appunto nel rapporto uomo-ambiente trovano le istanze più autentiche e severe di verifica e di discernimento.
Riconosciamo l'importanza del contributo che il modello ecologico scientifico offre alla comprensione dell'ambiente e dei suoi rapporti con l'esistenza umana.
Dal punto di vista del metodo, però, esso richiede di venire integrato in una visione senza riduzioni dell'uomo e del suo destino.
Il rapporto tra l'uomo e il suo ambiente non è interpretato dalla sola dimensione biologica.
La vita umana ha anche e ultimamente una qualità spirituale.
Espressione di questo carattere spirituale è la libertà, che costituisce l'uomo in una posizione di dominio nei confronti della natura.
L'esercizio della signoria dell'uomo non si esprime soltanto nel dominio tecnico, ma nella salvaguardia della sua dignità di fine rispetto a tutta la creazione, come proclama la Bibbia: « Di gloria e di onore lo hai coronato … Tutto hai posto sotto i suoi piedi ». ( Sal 8,6b-7b )
Possono bastare questi cenni per raccomandare alla coscienza cristiana un attento discernimento nei confronti delle molteplici « ideologie ecologiste ».
L'urgenza di un siffatto discernimento si manifesta con particolare chiarezza quando si considerino i risvolti politici.
Anzitutto è da rilevare come la causa ecologica non sia abbracciata esclusivamente da formazioni politiche ambientaliste, ma sia diventata in diversa misura patrimonio comune di tutti i partiti e delle formazioni politiche.
D'altra parte non è sempre facile valutare quanto l'attenzione alla tematica ambientale costituisca un'effettiva opzione ideale, e quanto invece non rischi di ridursi a espediente retorico favorito dai meccanismi della comunicazione di massa.
In ogni caso occorre operare un'attenta distinzione tra il consenso che può e deve essere accordato a molte delle singole istanze sociali e politiche avanzate dai diversi movimenti ambientalisti, e il dissenso che invece dev'essere dichiarato nei confronti di chi pretenda trasformare una presunta istanza ecologica nell'equivalente di un progetto civile e politico complessivo e globale.
Il rapporto uomo-ambiente, che comunemente va sotto il nome di questione ecologica, presenta aspetti complessi, di fronte ai quali la coscienza cristiana è chiamata a provocare anzitutto un chiarimento di principio e, quindi, anche una responsabilità pratica conseguente.
Ridotta ai suoi termini più essenziali essa è la questione dell'alterazione, a opera dell'uomo, di quegli equilibri dinamici che garantiscono la sopravvivenza della biosfera e, dunque, anche delle risorse indispensabili alla vita umana.
Tuttavia, al di là di questa determinazione minima, si può parlare, e di fatto si parla, di crisi dell'ambiente, non soltanto sotto il profilo delle sue disponibilità materiali, ma anche sotto il profilo dei suoi significati e dei conseguenti valori spirituali.
In un tempo nel quale ci si è abituati a vedere nella realtà delle cose solo il materiale del lavoro umano, si è come offuscata la trasparenza della realtà verso lo spirituale e l'eterno.
Accade di fatto che la considerazione materiale o economica della natura assuma una tendenziale egemonia teorica e pratica nella concreta vicenda sociale.
Per intendere e denunciare tale fenomeno, senza peraltro accedere a una rinnovata sacralizzazione paganeggiante della natura, ci sembra opportuno richiamare in sintesi il punto di vista cristiano sulla natura, affidandoci all'insegnamento biblico.
« Signore mio Dio quanto sei grande! ». ( Sal 104,1b )
Il grido di stupore, di ammirazione e di gratitudine è strappato dalla bocca del salmista dalla considerazione dello spettacolo cosmico.
« Hai fondato la terra sulle sue basi; mai potrà vacillare ». ( Sal 104,5 )
La stabilità della terra appare quasi una prima e fondamentale promessa di Dio, mediante la quale è assicurata la sua fedeltà alla causa della vita umana.
Oltre che stabile, la terra è ordinata, è disposta in forma propizia alle necessità dell'uomo: « E l'ha creata non come una orrida regione, ma l'ha plasmata perché fosse abitata »; ( Is 45,18b ) sicché il salmista può ancora riconoscere: « Tutto hai fatto con saggezza, la terra è piena delle tue creature ». ( Sal 104,24b )
Accanto alla voce stupita del salmista troviamo tuttavia nella Bibbia anche voci di diverso accento.
Tra tutte è da ricordare, in particolare, la maledizione del suolo pronunciata a seguito del peccato di Adamo: « Maledetto sia il suolo per causa tua!
Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita ». ( Gen 3,17b )
Si parla qui della stessa terra di cui si tesse l'elogio nel salmo?
Come comporre situazioni tanto dissonanti?
Forse che la terra ed il creato intero mostrano un volto diverso e contraddittorio secondo i tempi ed i luoghi nei quali l'uomo viene di volta in volta a trovarsi?
In questa nostra epoca la terra sembra essere minacciata nella sua stabilità, nel suo sorprendente ordine dall'indiscriminata e pretenziosa proliferazione dell'iniziativa tecnologica dell'uomo.
La tecnica appartiene di diritto al novero delle risorse mediante le quali l'uomo realizza nella sua storia civile quella signoria nei confronti del creato, che corrisponde ai disegni di Dio: « Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi; tutti i greggi e gli armenti, tutte le bestie della campagna, gli uccelli del cielo e i pesci del mare, che percorrono le vie del mare ». ( Sal 8,7-9 )
Di fatto sono innegabili i vantaggi procurati alla causa della vita umana sulla terra dalle imprese tecniche e dalle ricerche scientifiche sviluppate al servizio di essa.
Bisogna però precisare gli aspetti prevaricanti della tecnica.
Bisogna rettamente intendere e coordinare i due aspetti che la realtà naturale presenta per la coscienza dell'uomo: quello cioè della dimora sorprendentemente predisposta a vantaggio della vita umana e quello, invece, di semplice repertorio di risorse potenziali, che spetterebbe all'iniziativa umana impiegare effettivamente per la costruzione di una dimora accogliente.
Sul fondamento di una chiarificazione di alcuni principi generali è legittimo sia il tentativo di una diagnosi delle minacce più gravi che oggi insidiano l'ambiente, sia anche l'individuazione degli auspicabili rimedi a tali minacce e delle condizioni etiche, culturali e politiche per realizzarli di fatto.
L'equivoco fondamentale che minaccia i rapporti dell'uomo con i beni della terra è denunciato in forma concisa, e insieme assai efficace, dal discorso della montagna, là dove è proposto all'attenzione dei discepoli il modello di vita offerto dagli uccelli del cielo e dai gigli del campo.
La cura per la vita, dice Gesù, non può essere scambiata con la più scadente cura per il cibo, né la cura per il corpo con la più scadente cura per il vestito.
La vita infatti non vale più de cibo e il corpo più del vestito?
Come dire: la cura per la vita umana non può ridursi alla cura per i bisogni, la cui soddisfazione pure si raccomanda come urgente in ordine alla sopravvivenza.
La semplice soddisfazione dei bisogni non basta a realizzare la vita dell'uomo; di pane soltanto l'uomo non vive; per vivere egli ha bisogno di una parola, ( Cfr. Mt 4,4; Dt 8,3 ) e cioè di un senso o di una speranza, che la cultura odierna spesso cerca con serietà e che la parola di Dio dischiude in pienezza.
Quando accada che l'uomo mortifichi il proprio desiderio di vita nei termini di una cura pagana per il cibo o per il vestito, o per le molteplici altre forme del bisogno, allora quel desiderio si trasformerà ineluttabilmente in affanno interminabile.
Il di più della vita, rispetto al cibo, ha nel testo del discorso della montagna quest'altra designazione precisa: il Regno e la sua giustizia.
A chi cerchi prima di tutto questo Regno sono promesse tutte le altre cose in aggiunta: « Il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno ». ( Mt 6,32 )
Detto altrimenti, colui che cerca il Regno di Dio e la sua giustizia troverà insieme l'autorizzazione a curarsi anche del cibo e del vestito, ma secondo modi e misure capaci di accogliere e custodire la trascendenza della vita rispetto a tutte queste cose.
I beni cosiddetti « materiali » possono e debbono essere riconosciuti quali veri beni soltanto a condizione che essi diventino per la coscienza dell'uomo segno e pegno dei beni sperati.
Alla luce della struttura generale dell'esperienza umana, che la rivelazione biblica propone, debbono essere intese anche quelle affermazioni della Genesi che sono frequentemente citate, ma anche facilmente fraintese, quando si ragiona sui rapporti dell'uomo con la terra.
Dio delibera la creazione dell'uomo a propria immagine, perché « domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra ».
Benedicendo poi l'uomo e la donna, Dio affida loro il compito di « dominare » la terra. ( Gen 1,26 )
Affidamento che va inteso per ogni generazione, per cui l'uomo è chiamato non solo a sfruttare la terra ma a custodirla e a condividerne i beni con tutti i popoli.
Il dominio della terra cui qui si allude non può essere troppo sbrigativamente interpretato, quasi corrispondesse a quello realizzato mediante il potere della tecnica.
Questo « dominio » è, prima ancora che un compito laborioso da realizzare, una « benedizione », e cioè un dono che suscita gratitudine.
È però vero che, secondo la tradizione biblica, la mediazione della libertà umana è essenziale, perché la creazione tutta di Dio realizzi il destino ad essa assegnato.
Ma tale mediazione non può essere intesa nei termini dell'impresa scientifico-tecnica di dominio sulla natura;
essa piuttosto consiste nella dimensione etica con cui l'uomo vive il suo rapporto con la natura;
e più ancora nel riconoscimento della promessa di salvezza iscritta nella terra che Dio affida all'uomo
e nella corrispondenza a tale promessa mediante l'obbedienza ai suoi Comandamenti.
Su questo punto ci sembra di dover concludere con le parole di Giovanni Paolo II: « Il dominio accordato dal Creatore all'uomo non è un potere assoluto, né si può parlare di libertà di "usare ed abusare" o di disporre delle cose come meglio aggrada.
La limitazione imposta dallo stesso Creatore fin dal principio ed espressa simbolicamente con la proibizione di "mangiare il frutto dell'albero" (cfr. Gen 2,16s ) mostra con sufficiente chiarezza che nei confronti della natura visibile, siamo sottomessi a leggi non solo biologiche ma anche morali che non si possono impunemente trasgredire ».14
« Di fronte alla prospettiva documentata di una terra con risorse limitate, non bastano [ … ] le reazioni emotive, il rifiuto del progresso, il controllo delle nascite o impossibili soluzioni silvo-pastorali ».15
Le considerazioni di principio, che abbiamo solo accennato, ci consentono di conseguire una idea appropriata della cosiddetta crisi ecologica.
La terra di fatto oggi abitata dall'uomo occidentale appare per molti aspetti come un bene minacciato.
Le ragioni di tale fatto vanno cercate molto più profondamente di quanto non facciano le analisi intorno all'ecosistema ed ai suoi scompensi; vanno cercate cioè nelle crisi di conoscenza e di accoglienza dei valori etici e più compiutamente dei Comandamenti di Dio, e cioè nella crisi di quelle certezze morali che solo possono autorizzare un agire generoso e veramente libero.
Non si tratta neppure di rinunciare allo sviluppo perseguito dalle nostre società industriali.
Occorre, invece, che il carattere morale del rapporto tra l'uomo e l'ambiente venga responsabilmente riconosciuto e venga promosso uno sviluppo che sia a sua volta eticamente qualificato.
Sviluppo e ambiente appellano alla responsabilità etica dell'uomo, come ci ricorda Giovanni Paolo II nella Sollicitudo Rei Socialis.
È opportuno, perciò, ricordare alcuni criteri etici che devono guidare l'intervento dell'uomo sull'ambiente.
Rispettare l'ambiente naturale significa custodire le possibilità che il Creatore vi ha immesso e dalle quali l'intervento umano procede.
L'ambiente naturale è un tutto ordinato, ed è fondandosi su questo ordine voluto da Dio stesso che l'uomo ha sviluppato il suo progresso e la sua civilizzazione.
Si richiede che ogni tipo di intervento e di trasformazione sull'ambiente venga attentamente valutato non solo in base a considerazioni di tipo economico, ma anche con attenzione ai possibili rischi di degrado ambientale che esso può introdurre.
Il rispetto è gratitudine verso Dio, e gli interventi preoccupati di salvaguardare la bellezza dell'ambiente naturale non sono lontani dall'essere una forma di lode e contemplazione.
Molte risorse naturali non sono rinnovabili e, perciò, non possono essere sottoposte ad uno sfruttamento indiscriminato.
Questo criterio della moderazione è richiesto dalle esigenze del bene comune dell'intera umanità e, in particolare, dalla preoccupazione per i paesi in via di sviluppo ed economicamente più poveri: l'ecologia deve diventare solidarietà e la moderazione nel consumo condivisione.
E non si deve dimenticare neppure che l'umanità attuale è responsabile delle possibilità di sviluppo delle generazioni future, che verrebbero compromesse dalla mancanza di quelle risorse che oggi vengono improvvidamente consumate.
L'intervento dell'uomo non deve solo essere rispettoso dell'ambiente naturale, ma anche dell'ambiente vitale quotidiano, con particolare riferimento ai fenomeni di urbanizzazione selvaggia delle periferie metropolitane, alle zone di alta densità di popolazione e a quelle fortemente industrializzate.
Poiché è in queste zone che risulta più alto l'inquinamento ambientale, si dovranno misurare gli interventi tenendo conto delle conseguenze per la salute della popolazione.
Si apre qui il vasto e complesso capitolo riguardante la sicurezza dell'impiego di alcuni tipi di energia, quali, ad esempio, il carbone e il nucleare.
Benché il giudizio sulla sostenibilità dei rischi connessi a queste fonti di energia sia complesso e delicato, intervenendo molteplici fattori di ordine tecnico ed economico, resta tuttavia moralmente doveroso l'impiego di ogni sforzo al fine di ridurre al minimo i rischi possibili.
Essendo in gioco la salute di migliaia di esseri umani e l'integrità delle future generazioni, la prudenza richiede che nessun motivo venga anteposto a quello della sicurezza.
I criteri che abbiamo indicato devono ispirare innanzitutto le decisioni e le scelte dei singoli.
I credenti vi sono invitati dallo stile di vita che il Vangelo stesso richiede.
La fede chiama alla conversione e, in questo caso, si deve parlare di una vera e propria « conversione ecologica ».
Il degrado ambientale, infatti, alla luce della parola di Dio, viene illuminato nella sua autentica realtà di frutto e segno del peccato.
Il peccato contro Dio coinvolge infatti la natura, che aspira essa pure alla libertà dei figli di Dio che solo Cristo può dare.
L'esistenza di Gesù nella sua radicalità evangelica è dunque la via che conduce ad una riconciliazione tra l'uomo e il suo ambiente minacciato.
Il Regno di Dio, che Cristo è venuto a portare, è anche il compimento di un mondo divenuto totalmente trasparente al suo Creatore.
La sensibilità ecologica rettamente intesa non è altro che un aspetto dell'ascesi cristiana.
Essa richiede, dunque, che i singoli prendano coscienza dei problemi dell'ambiente e dei valori ad esso connessi e che, se è necessario, cambino mentalità nel loro atteggiamento verso la natura.
Ciò deve indurre ad uno stile di vita più sobrio, più attento all'uso di certi beni, più preoccupato per gli sprechi o per gli eccessi del consumismo.
Se è necessario, si dovranno accettare volentieri eventuali limitazioni o sovraccosti finalizzati a valori generali superiori.
Soprattutto dovrà crescere nei singoli il senso di corresponsabilità a livello di una comunità umana che si allarga a dimensioni mondiali.
Il problema ecologico richiede scelte che coinvolgono un progetto globale di società, ma nello stesso tempo questo non sarà possibile se i singoli non sviluppano un nuovo stile di vita.
La rassegnazione o il pessimismo non devono avere buon gioco.
Alla speranza à connesso il coraggio della testimonianza.
In questo campo le comunità cristiane, soprattutto parrocchiali, hanno una grande responsabilità: sostenere e promuovere scelte ecologicamente impegnate e autenticamente evangeliche, reagendo nei confronti di un consumismo che finisce col soffocare le coscienze anche più disponibili.
Per loro natura queste scelte, anche se producono cambiamenti limitati, agiscono come stimolazioni coraggiose e profetiche, che scuotono più ampi strati di persone e invitano a riflettere.
Un'opera preziosa e insostituibile poi le comunità cristiane possono compiere nell'educazione delle giovani generazioni, attraverso gli oratori, che stanno conoscendo una stagione di rifioritura nelle nostre diocesi lombarde e attraverso associazioni pedagogicamente legate alla natura, come ad esempio quella scoutistica.
Più di tante parole, lo stile stesso di vita di queste comunità giovanili deve costituire il modo più concreto di educare al rispetto, alla cura e alla salvaguardia dei beni creati.
Infine, il problema ecologico deve impegnare a un grande sforzo di elaborazione culturale, sociale e politica.
Occorre promuovere tutta una serie di ricerche scientifiche, che consentano di valutare e prevedere adeguatamente le conseguenze degli interventi umani sull'ambiente naturale e la possibilità di progettarne altri che non minaccino l'equilibrio ecologico.
Grande è l'importanza delle ricerche finalizzate alla scoperta e all'impiego efficace delle fonti di energia alternative e cosiddette « pulite », come pure l'opera di recupero e salvaguardia del paesaggio già danneggiato.
Non si tratta che di esempi.
Ma il punto forse decisivo è la progressiva instaurazione di un nuovo ordine economico globale, fondato sulla mutua volontà e la coscienza dei popoli, nella consapevolezza della interdipendenza che lega tra loro sviluppo autenticamente umano, ambiente naturale.
È futuro dell'umanità stessa.
Come dichiaravamo all'inizio, il proposito di questo documento non è quello di fornire un progetto globale e riassuntivo per la soluzione della questione ecologica.
Non ne avremmo la competenza e, comunque, non è questo il nostro compito.
Neppure ci è parso utile ripetere qui l'elenco particolareggiato dei mali di cui soffre l'ambiente naturale della vita umana a seguito delle molte violenze tecnologiche, oppure il correlativo elenco dei buoni propositi che ci attenderemmo dai responsabili del territorio.
Abbiamo inteso, invece, attirare l'attenzione anzitutto sul carattere multiforme e composito della questione ambientale, anche a correzione di rappresentazioni semplicistiche, che hanno largo corso nella società e tra gli stessi credenti.
È necessario insistere sulle prospettive più fondamentali della riflessione critica intorno al destino della nostra civiltà, che sono le prospettive etico-religiose.
Soltanto entro il quadro definito da tali prospettive è possibile articolare in termini appropriati la stessa questione ecologica o, meglio, le molte questioni implicite nel rapporto dell'uomo con l'ambiente.
Il buon ambiente per la vita umana non è certo la « foresta vergine », né alcun altro ecosistema spontaneamente realizzato dalle forze della natura.
Il buon ambiente non può che essere ambiente civile, elaborato cioè attraverso l'opera dell'uomo.
Il vero problema non è, dunque, quello di difendere la natura dall'opera dell'uomo, ma quello di verificare la qualità di tale opera.
Alla buona qualità di tale opera deve certo concorrere la conoscenza dei delicati e insieme meravigliosi equilibri naturali, realizzati dalle forze spontanee della natura sul nostro piccolo e singolarissimo pianeta, e un comportamento responsabile di fronte a tali equilibri.
Ma più fondamentalmente, alla buona qualità di quell'opera deve provvedere l'ascolto della voce della terra: perché la terra ha una voce, pronuncia una parola, che riecheggia la stessa parola di Dio.
Valgano le suggestive parole del libro della Sapienza a ispirare anche oggi una tale certezza: « La creazione infatti a Te suo creatore obbedendo, si irrigidisce per punire gli ingiusti, ma s'addolcisce a favore di quanti confidano in Te.
Per questo anche allora, adattandosi a tutto, serviva alla tua liberalità che tutto alimenta, secondo il desiderio di chi era nel bisogno, perché i tuoi figli, che ami, o Signore, capissero che non le diverse specie di frutti nutrono l'uomo, ma la tua parola conserva coloro che credono in Te ». ( Sap 16,24-26 )
+ Card. Carlo Maria Martini presidente
+ Bernardo Citterio segretario
+ Giulio Oggioni vice-presidente
Milano, 15 settembre 1988
1 | Cfr. Il futuro di noi tutti, Rapporto della commissione mondiale per l'ambiente e lo sviluppo, Milano 1988, p. 421. |
2 | Ci sembra utile qui ricordare che, sotto il profilo scientifico, per ambiente si può considerare la somma dei fattori viventi e non, organizzato in sistemi di diversa complessità, regolati da particolari cicli energetici, cui concorrono fenomeni biologici e biochimici, legati alla vita vegetale ed animale, e geochimici, dipendenti da modificazioni che avvengono nel suolo e nell'atmosfera e nelle acque superficiali. Nell'ambiente si verificano una serie di equilibri che tendono a mantenere costante per quanto possibile la sua composizione. Si indica come natura l'ambiente naturale, cioè quella parte dell'ambiente non modificata sostanzialmente dall'uomo ( cfr. Giovanni Battista Marini Bettolo, Relazione sul tema dell'ambiente fatta al sinodo sui laici, in « L'Osservatore Romano », 10 ottobre 1987, p. 3 ). |
14 | Giovanni Paolo II, Sollicitudo Rei Socialis, n. 34. |
15 | Giovanni Battista Marini Betollo, Relazione sul tema dell'ambiente fatta al Sinodo sui laici, cit. |